Sommario: 1. La nozione codiciale e le sue fonti. - 2. La devozione dei fedeli. - 3. L'approvazione dell'ordinario del luogo. - 4. Il richiamo del santuario. - 5. Il luogo sacro. - 6. Santuari diocesani, nazionali e internazionali. - 7. Gli statuti. - 8. Osservazioni conclusive.
1. La nozione codiciale e le sue fonti
Il codice di diritto canonico definisce il santuario come "la chiesa o altro luogo sacro ove i fedeli, per un peculiare motivo di pietà, si recano numerosi in pellegrinaggio con l'approvazione dell'ordinario del luogo" (can. 1230).
Tale disposizione viene per lo più presentata come una "novità" in quanto la precedente codificazione non si occupava specificamente di questi luoghi di culto [1] che pure erano diffusi da molti secoli nell'intero mondo cattolico [2]. Va tuttavia ricordato che già nel 1956 una lettera della Congregazione dei seminari e delle università degli studi ne offriva una nozione non molto diversa. Li descriveva, infatti, come chiese o edifici sacri destinati all'esercizio del culto pubblico, che per un particolare motivo di pietà (ad esempio, per una immagine che vi è venerata, per una reliquia che vi è conservata, per un miracolo che vi è stato operato, per una indulgenza che vi si può lucrare), sono divenuti meta di pellegrinaggi da parte dei fedeli che vi si recano per impetrare grazie o sciogliere voti [3]. Di più: dall'esame degli atti preparatori emerge con chiarezza che la Commissione incaricata di predisporre la nuova legislazione si è ispirata in larga misura a questa fonte, al punto da recepirla pressoché testualmente nei propri schemi fino al 1979 [4].
E, per completezza, va pure ricordato che già nel postconcilio la Santa Sede si era occupata della materia dei santuari, anche con disposizioni di carattere generale, chiedendo agli ordinari di "valorizzare i santuari esistenti in diocesi" [5] e di preoccuparsi che "i santuari, specialmente quelli in onore della Santa Madre di Dio, rendano un efficace servizio alla vita spirituale della diocesi" [6].
In ogni caso la definizione adottata ha il pregio di mettere in primo piano una caratteristica del santuario che vale a distinguerlo nettamente da ogni altro luogo sacro, e che, anche nel più vasto ambito delle varie istituzioni canoniche, risulta alquanto eccezionale. La si può descrivere in questi termini: l'origine e la permanenza del santuario non è determinata dalla autorità, ma dalla pietà popolare, ossia dalla devozione della gente, che la induce a mettersi in cammino e a realizzare quel movimento di singole persone, ma più frequentemente di gruppi o anche di intere comunità civili e ecclesiali, che assume il nome di pellegrinaggio [7]. Un fenomeno che - come avverte il documento dedicatogli nel 1998 dal Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti - oltre ad aver sempre "occupato un posto importante nella vita del cristiano" e costituito "un meraviglioso dono di grazia" per la Chiesa, "nella società contemporanea, caratterizzata da intensa mobilità ( ) sta sperimentando un nuovo impulso" [8]. Vi è dunque uno strettissimo legame tra pellegrinaggio e santuario poiché - come sottolinea un altro, più recente documento dello stesso Pontificio Consiglio, interamente dedicato a questo luogo di culto - da un lato il santuario fonda la sua esistenza effettiva e la sua qualifica formale sull'afflusso dei pellegrini, e, dall'altro, l'itinerario dei pellegrini ha normalmente come "meta visibile" un santuario [9].
Un santuario è dunque qualificato e riconosciuto come tale innanzitutto e soprattutto dalla volontà popolare - meglio: dal consensus fidelium - manifestata dall'afflusso dei pellegrini che, in quanto pratica di pietà personale, non richiede di per sé alcuna autorizzazione. Di conseguenza è necessario ammettere l'esistenza di santuari per così dire "di fatto", tanto più che questa è la condizione di tutti i santuari prima che intervenga l'approvazione dell'ordinario del luogo. Non sorprende quindi che la Conferenza episcopale italiana (Cei) non abbia avuto difficoltà a riconoscere che vi sono santuari di fatto per così dire permanenti. Ha infatti precisato: "la denominazione 'santuario' in senso lato può essere conservata, per motivi storici e tradizionali, anche per quelle chiese e luoghi che non siano qualificati santuario in senso strettamente giuridico a norma dei cann. 1230-1234" [10].
3. L'approvazione dell'ordinario del luogo
A questo proposito appare significativo che, nel corso dei lavori per la codificazione, un consultore abbia proposto di eliminare dalla definizione di santuario il requisito dell'approvazione dell'autorità ecclesiastica. Osservava giustamente che essa, di norma, interviene post factum, dopo cioè che si è verificato quell'afflusso di fedeli che costituisce la ratio peculiaris del santuario, vale a dire l'elemento che lo caratterizza e quindi ispira le poche norme che gli sono dedicate dal Codice. Considerazioni condivise dagli altri consultori, ma non ritenute sufficienti a motivare la proposta. Si è, infatti, obiettato che l'approvazione dell'autorità è condizione indispensabile ai fini dell'attribuzione della qualifica giuridico-formale di santuario, con tutte le conseguenze che ne derivano sotto i più vari profili, da quello liturgico a quello patrimoniale [11]. Non va comunque dimenticato che, a giudizio di alcuni canonisti della Curia romana, l'approvazione potrebbe avere anche carattere meramente permissivo [12], e non sarebbe nemmeno necessaria per i santuari di antica tradizione [13].
L'approvazione della autorità produce, dunque, un duplice effetto: da un lato riconosce l'autenticità ecclesiale della devozione dei pellegrini sotto tutti gli aspetti, dalla ortodossia della fede al rispetto della disciplina ecclesiastica, e, dall'altro, assoggetta il luogo di culto alle disposizioni codiciali e extra codiciali dedicate ai santuari [14]. E data la rilevanza di queste conseguenze c'è da chiedersi se non sarebbe stato opportuno riservare il relativo provvedimento alla persona del vescovo diocesano [15], e non, genericamente, all'ordinario del luogo, termine che, come noto, comprende anche il vicario generale e episcopale (can. 134).
In ogni caso la centralità riconosciuta al fattore popolare non deve indurre a sottovalutare il ruolo dell'autorità ecclesiastica, che si può manifestare, e di fatto si manifesta, anche in molti altri modi. Si pensi per esempio alla costante opera di promozione svolta da parroci, vescovi e dagli stessi pontefici a livello non solo di esortazione ma anche di concreta organizzazione: dai pellegrinaggi parrocchiali a quelli giubilari. O anche alla valorizzazione del santuario mediante una piena attuazione delle disposizioni del Codice (cann. 1233-1234), che, conformemente a quanto tradizionalmente avviene, prevedono la concessione di non meglio precisati privilegi ed esigono che "si offrano ai fedeli con maggiore abbondanza i mezzi della salvezza, annunziando con diligenza la parola di Dio, incrementando opportunamente la vita liturgica soprattutto con la celebrazione della eucarestia e della penitenza, come pure coltivando le sane forme della pietà popolare". Particolare attenzione merita, poi, la prescrizione che "le testimonianze votive e dell'arte della pietà popolari siano conservate in modo visibile e custodite con sicurezza nei santuari o in luoghi adiacenti". Una disposizione del tutto nuova che mira anche a impedire che questi oggetti vadano distrutti o dispersi, come più volte accaduto [16].
Tutte queste misure e iniziative possono contribuire non poco ad incrementare lo specifico richiamo che contraddistingue ogni singolo santuario e che rimane comunque il motivo determinante l'afflusso dei fedeli.
Infatti, come è stato rilevato dallo Pontificio Consiglio per la pastorale dei migranti e degli itineranti, "ogni santuario può considerarsi portatore di un messaggio preciso, in quanto in esso si ripresenta nell'oggi l'evento fondatore del passato, che continua a parlare al cuore dei pellegrini" [17].
La Commissione codificatrice ha tentato di proporre, sulle orme della circolare del 1956, una sommaria elencazione dei possibili "tipi" di tali eventi - vale a dire delle specifiche motivazioni che alimentano la devozione verso un determinato santuario - individuandoli in non meglio precisate memorie religiose che vi siano testimoniate, in immagini sacre che vi siano conservate. in insigni reliquie che vi siano custodite, in miracoli che vi siano avvenuti. Ma ha poi deciso di rinunciare a questa esemplificazione considerandola, probabilmente, scarsamente significativa e comunque poco consona al genere letterario della codificazione [18].
Il progetto ha però trovato parziale realizzazione, e con ben diversa formulazione, più di vent'anni dopo, nel già citato documento della Santa Sede sui santuari, dove si prospetta anche una sorta di gerarchizzazione tra gli stessi. Vi si avverte, infatti, che la definizione di questi luoghi di culto come "pietre miliari che orientano il cammino dei figli di Dio sulla terra" - dovuta allo stesso Giovanni Paolo II - vale "in modo singolarissimo per i santuari sorti in Terra Santa nei luoghi santificati dalla presenza del Verbo incarnato", mentre è solo "particolarmente riconoscibil(e) in quelli consacrati dal martirio degli Apostoli e di quanti testimoniarono la fede con il proprio sangue". Si ricorda, poi, che "l'intera storia della Chiesa peregrinante si può trovare riflessa in numerosi santuari ( ) legati a eventi decisivi dell'evangelizzazione o della vita di fede di popoli e di comunità" [19]. Una considerazione affatto speciale è comunque riservata ai santuari dedicati alla Madonna. Lo stesso pontefice ne ha personalmente trattato più volte, qualificandoli "come luoghi che testimoniano la particolare presenza della Vergine nella vita della Chiesa, facenti parte talora del patrimonio spirituale e culturale di un popolo", e rilevando "l'esistenza di una specifica geografia della fede e della pietà mariana, che comprende tutti i luoghi di particolare pellegrinaggio del popolo di Dio" [20].
Da tutte queste fonti risulta chiaramente come le devozioni che caratterizzano i singoli santuari, in quanto sorte e valorizzate per libera e spontanea iniziativa del popolo cristiano, siano tanto varie da rendere impossibile la loro categorizzazione in un elenco anche solo tendenzialmente esaustivo.
Analoghe considerazioni valgono, e in modo ancor più evidente, per le finalità spirituali che giustificano l'esistenza dei santuari, tanto che la Commissione codificatrice scarta immediatamente la proposta di indicarle specificamente (come, ad es., rinnovato impegno nella vita spirituale, scioglimento di voti, impetrazione di grazie, opere di penitenza), ritenendo che comunque l'elencazione non risulterebbe completa [21]. Tali finalità troveranno, peraltro, più adeguata collocazione nonché ampia trattazione nei successivi documenti, già ripetutamente citati, riguardanti il pellegrinaggio e il santuario.
Il codificatore, da parte sua, ha preferito sintetizzare tutta questa complessa problematica, in una formula quanto mai essenziale, valida per qualunque santuario e pellegrinaggio, individuando il motivo dell'afflusso dei fedeli in una "peculiaris pietatis causa".
Per completare l'esame del canone dedicato alla nozione di santuario rimane da mettere in luce quello che ne riguarda, per così dire, la realtà fisica, descritta come "ecclesia vel alius locus sacer".
A tale proposito sembra opportuno ricordare che il termine "ecclesia" indica una realtà canonica precisamente definita dal can. 1214 come "un edificio sacro destinato al culto divino, ove i fedeli abbiano il diritto di entrare per esercitare soprattutto pubblicamente tale culto" e dettagliatamente disciplinata da un intero capitolo del Codice.
La stragrande maggioranza dei santuari è costituita da chiese, perché tali originariamente o edificati successivamente per rispondere ai desideri e alle esigenze dei devoti.
Niente, peraltro, esclude, come espressamente ammesso dal Codice, che siano un luogo diverso da una chiesa, come, ad esempio, in Italia, la grotta di San Michele sul Monte Tancia [22]. Si deve comunque trattare di un luogo sacro, dunque di un luogo "destinato al culto divino mediante la dedicazione o la benedizione, a tal fine prescritte dai libri liturgici" e, in quanto tale, disciplinato da varie disposizioni del Codice (cann. 1205-1213).
Ma a questo proposito, analogamente a quanto si è fatto per l'approvazione, va rilevato che, se il santuario non era già una chiesa, la dedicazione o benedizione dell'edificio successivamente costruito o del luogo rimasto nello stato originario, interviene necessariamente quando il sito è già stato ampiamente "consacrato" dall'afflusso dei pellegrini. Si può dunque affermare che un santuario "di fatto", nel senso detto, può lecitamente esistere prima di qualunque intervento dell'autorità ecclesiastica.
6. Santuari diocesani, nazionali e internazionali
In non pochi casi la devozione riguardante un determinato santuario si estende oltre i confini della diocesi in cui è situato, coinvolgendo i fedeli di un intero Paese e persino di diverse nazioni. Il Codice prende atto di questa realtà, disponendo che un santuario possa dirsi nazionale se approvato dalla conferenza episcopale, internazionale se approvato dalla Santa Sede (can. 1231). La norma ha avuto una elaborazione piuttosto travagliata e non può dirsi felice nella sua formulazione definitiva. Comunemente viene interpretata nel senso che tutti i santuari che non sono nazionali o internazionali devono riguardare una intera diocesi [23], in quanto, contrariamente ai progetti originari [24], non si fa menzione di santuari a carattere parrocchiale.
In realtà questa conclusione non trova fondamento nel testo legislativo che, a ben guardare, si limita a individuare l'autorità ecclesiastica a cui compete attribuire la qualifica di nazionale o internazionale.
E, se è ovvio che un santuario privo di tali qualifiche deve avere l'approvazione dell'ordinario del luogo, questa constatazione non dimostra nulla. Da un lato, anche se la Cei sembra di diverso avviso [25], niente impedisce a un ordinario di approvare un santuario solo nell'interesse di una parrocchia o di una parte della diocesi, e, dall'altro, la sua approvazione è in ogni caso necessaria anche per i santuari nazionali dal momento che la conferenza episcopale non rientra nel novero degli ordinari dei luoghi (can. 134).
Si potrebbe obiettare che il can. 1232 - di cui ci si occuperà più oltre - contempla, accanto ai santuari nazionali e internazionali, solo quelli diocesani. Ma, in contrario, va osservato che nel lessico del Codice il termine "diocesano" non indica solo e necessariamente istituti che interessano l'intera diocesi, ma anche, più genericamente e ampiamente, realtà che godono di riconoscimento e approvazione solo da parte di autorità diocesane [26].
Da alcune parti [27] è stata poi fatta presente l'opportunità di prevedere, conformemente ai progetti originari [28], anche santuari a carattere regionale, dal momento che essi, di fatto, esistono come realtà talmente radicate nelle tradizioni religiose di non poche popolazioni [29] da essere persino specificamente riconosciuti, tutelati e valorizzati dalle autorità civili regionali. Un esempio significativo in tal senso è offerto dalla Sacra di San Michele, definito dalla legge regionale 21 dicembre 1994, n. 68, "quale monumento simbolo del Piemonte, per la sua storia secolare, per le testimonianze di spiritualità, di ardimento, d'arte, di cultura e l'ammirevole sintesi delle più peculiari caratteristiche che può offrire del Piemonte, nonché per la sua eccezionale collocazione e visibilità" [30].
La mancata menzione dei santuari regionali da parte del Codice risulta, peraltro, del tutto comprensibile se si considera che le regioni ecclesiastiche esistono solo in determinati territori, e che, per di più, l'assemblea dei vescovi preposti alle chiese particolari che ne facciano parte è, di norma, priva di poteri e facoltà (cann. 433-434). Tuttavia questo "silenzio" del diritto universale non sembra precludere la eventualità che un santuario assuma la denominazione di regionale, qualora, come avviene in Italia, tali circoscrizioni non solo effettivamente esistano, ma siano anche - per disposizione statutaria approvata dalla Santa Sede - sottoposte all'autorità delle rispettive conferenze episcopali regionali [31]. E c'è anche da chiedersi se sia totalmente da escludere l'istituzione di santuari a carattere interdiocesano, una volta che tutti i vescovi interessati vi acconsentano e stabiliscano gli opportuni accordi.
La formulazione del can. 1231 presta, invece, il fianco ad alcune critiche. La riserva alla conferenza episcopale della attribuzione della qualifica di "nazionale" può porre dei problemi: da un lato nel lessico del Codice il termine "natio" è sinonimo di "Stato" [32], e, dall'altro, non tutti gli Stati sono dotati di propria conferenza episcopale, come avviene, ad es., nei Paesi scandinavi. Un problema che si presenta anche a proposito di altre materie, come le associazioni.
In ogni caso è veramente singolare che il can. 1231 non menzioni i santuari universali. Infatti, contrariamente a quanto mostra di ritenere la Cei [33], i termini "internazionale" e "universale" non sono affatto sinonimi, poiché sarebbe indubbiamente da considerarsi internazionale anche un santuario che interessasse solo un numero ristretto di nazioni [34]. L'osservazione - che evidentemente non ha implicazioni di carattere sostanziale - può apparire forzata, ma è confortata dalla constatazione che in altre materie il Codice distingue chiaramente la dimensione internazionale da quella universale [35]. D'altro canto, è fuori dubbio l'esistenza di santuari che. pur vedendo un afflusso di pellegrini da più nazioni, non esercitano una significativa attrattiva a livello universale [36], quale possono avere le basiliche romane e della Terra Santa. Si pensi ad esempio a certi santuari situati in zone di confine, o, più specificamente al santuario di Aglona a cui la Santa Sede, nel recente concordato stipulato con la Lettonia, ha senz'altro attribuito la qualifica di internazionale [37].
Per quanto poi riguarda il nostro Paese, è opportuno ricordare che la Cei ha individuato "l'organo competente a dichiarare nazionale un santuario e ad approvare i relativi statuti" nel suo "Consiglio episcopale permanente, previa istruttoria a cura della Presidenza" della stessa Cei [38]. Ha inoltre demandato a propri organi competenti la redazione di una apposita nota o istruzione, da sottoporre successivamente ad approvazione nelle forme previste dallo statuto [39].
Un progetto che ha trovato realizzazione, almeno parziale, in una nota pastorale dedicata al pellegrinaggio [40], e in disposizioni di carattere più specifico riguardanti profili di natura amministrativa [41] e l'adeguamento liturgico delle chiese [42].
Va rilevato che, almeno fino al 1990, ben poche conferenze episcopali hanno avvertito l'esigenza di assumere delibere in materia, con disposizioni che in alcuni Paesi risultano scarne ed essenziali come quelle italiane (Cile e Messico), e in altri singolarmente rigorose (Ecuador) e anche molto dettagliate (Filippine) [43].
Gli statuti dei singoli santuari - vale a dire l'atto che ai sensi del can. 94 § 1 definisce il fine, la struttura, le modalità di conduzione e di azione di una determinata universitas sive personarum sive rerum - devono essere approvati dall'autorità competente che è, rispettivamente, per quelli diocesani l'ordinario del luogo, per i nazionali la conferenza episcopale, per gli internazionali la sola Santa Sede (can. 1232 § 1). Inoltre il Codice esige che in essi venga precisato con particolare attenzione quanto concerne il fine del santuario, l'autorità del rettore, la proprietà e l'amministrazione dei beni (can. 1232 § 2).
Circa il fine del santuario è da ritenere che occorra chiaramente indicare lo specifico motivo di devozione che sta alla sua origine, mentre, a proposito dell'autorità del rettore, si può in linea di massima affermare che a quest'ultimo competono i diritti e i doveri corrispondenti a quelli attribuiti dai cann. 556-563 ai rettori di chiese, oltre, ovviamente, ai già ricordati obblighi previsti dal can. 1234. C'è da chiedersi se un santuario debba necessariamente avere degli statuti, come ritiene la Cei [44]. Le opinioni in dottrina sono nettamente divergenti [45], ma la tesi che non li ritiene assolutamente indispensabili trova conferma nei lavori preparatori. Da questi, infatti, risulta che la richiesta di stabilire un obbligo in tal senso non è stata accolta a causa della opposizione di diversi consultori [46]. E, d'altro canto, va osservato che un santuario può risultare privo di un proprio patrimonio ed essere già sufficientemente disciplinato nelle sue attività dalle norme del diritto universale e particolare in quanto chiesa appartenente a una diocesi, a una parrocchia, a un istituto religioso, ad un altro ente di natura ecclesiastica o no, a una persona fisica [47].
E' peraltro evidente che, ai sensi del can. 117, gli statuti sono da considerarsi come un requisito essenziale qualora si voglia costituire il santuario in persona giuridica. Quest'ultima, poi, data la natura e la finalità dei santuari, non potrà che avere carattere pubblico (vedi can. 116).
Da ultimo va rilevato che le leggi canoniche universali relative ai santuari si riducono alle poche e scarne norme del Codice, dal momento che gli altri documenti della Santa Sede che ne trattano non sembrano aggiungere ad esse alcuna prescrizione vincolante. Una sobrietà legislativa da apprezzare in quanto i santuari costituiscono realtà tanto differenziate da rendere impensabile sottoporli a una dettagliata disciplina di carattere uniforme. E che non comporta nemmeno l'inconveniente di lacune in quanto i profili essenziali sono pur sempre regolati dalla normativa riguardante i luoghi di culto in genere e le chiese in specie.
Quanto, poi, a una eventuale legislazione particolare sovradiocesana, essa risulta pressoché impossibile. Infatti le conferenze episcopali, salvo che per l'attribuzione della qualifica di santuario nazionale e l'approvazione dei relativi statuti, non hanno poteri in materia. Poteri che potrebbero invece essere esercitati dai concili particolari, ma questi sono quasi dovunque caduti da tempo in desuetudine.
Resta sempre la possibilità di una normativa diocesana, che peraltro non appare probabile. Infatti presupporrebbe la presenza nell'ambito di una stessa diocesi di un numero tale di santuari da rendere necessaria o almeno opportuna una loro specifica regolamentazione per legge e non soltanto per via statutaria. E a riprova di quest'ultima osservazione si può ricordare che le costituzioni sinodali, promulgate nel 1995, della diocesi di Milano, una delle più popolose dell'orbe cattolico, trattano dei santuari in due sole brevi norme, dedicate rispettivamente alla presenza di confessori e alla celebrazione di matrimoni [48].
[1] Una lacuna più volte rilevata dallo stesso Paolo VI, che già nel 1970 così rassicurava i rettori dei Santuari riuniti in convegno nazionale: "il nuovo Codice certamente farà menzione anche di questa espressione religiosa, degnissima di essere ricordata e classificata tra quelle più meritevoli di attenzione e di promozione", per più ampie notizie al riguardo vedi S. De Fiores, L'emergere dei Santuari nella coscienza della Chiesa: significato e responsabilità, in "La Madonna", 32 (1984), nn. 1-2, pp. 20 e 22-23. Va anche ricordato come la mancanza di una definizione legislativa di santuario sia stata avvertita dalla dottrina ecclesiasticistica italiana che ha cercato di ovviarvi proponendone diverse formulazioni. Per una rassegna delle varie tesi vedi P.G. Caron, Santuario, in Novissimo Digesto Italiano, XVI, Torino, 1969, pp. 527-528. Ma ancora alla fine degli anni settanta A.C. Jemolo (Lezioni di diritto ecclesiastico, Milano, 1979, V ed., p. 348) riteneva che "santuario" non fosse "un termine tecnico del diritto canonico". Per quanto poi concerne le disposizioni, tuttora vigenti, del Concordato Lateranense circa i santuari, vedi P. Ciprotti, Santuari, in Enciclopedia Giuridica, XVII, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1991.
[2] Come si avverte nel decreto della Congregazione del Concilio "Inter publicas", 11 febbraio 1936, tra le diverse espressioni della pietà cristiana nell'ambito della Chiesa cattolica "inde a remotissimis temporibus peculiarem locum sibi iure vindicant piae ad celebriora Sanctuaria, Deo, Beatae Mariae Virgini, vel Sanctis dicata", "Acta Apostolicae Sedis", 28 (1936), p. 167.
[3] In Leges Ecclesiae post Codicem iuris canonici editae, a cura di X. Ochoa, II, Romae, Commentarium pro religiosis, 1969, n. 2558, col. 3455. Per un commento vedi D. Staffa, De notione sanctuarii et de ipsius obligatione solvendi tributum pro Seminario, in "Apollinaris", 49 (1976), pp. 251-258.
[4] Vedi "Communicationes", 12 (1980), p. 341. Del resto la Pontificia Commissione per l'interpretazione autentica del Codice (Codex Iuris Canonici fontium annotatione et indice analytico-alfabetico auctus, Libreria Editrice Vaticana, 1989, p. 332) riconosce la lettera del 1936 come una delle fonti del can. 1230, insieme al già ricordato decreto della Congregazione del Concilio che, peraltro, risulta meno pertinente in quanto non si occupa tanto dei santuari quanto delle "piae peregrinationes" di cui gli stessi sono meta.
[5] "considerando il contributo da essi dato alla amministrazione dei sacramenti della penitenza e dell'eucarestia, nonché il richiamo che essi esercitano anche sui turisti non praticanti", Congregazione per il clero, Direttorio generale per la pastorale del turismo, 30 aprile 1969, II, n. 3 B e), in Enchiridion Vaticanum, EDB, 1966 ss., (d'ora innanzi EV), III, p. 605.
[6] "Pertanto ne rimuove ogni ostacolo e ne tiene lontana ogni apparenza di lucro; vigila sulle celebrazioni liturgiche che vi si svolgono e sull'afflusso dei pellegrini affinché tutto concorra al massimo frutto spirituale, in primo luogo naturalmente la dispensazione della parola di Dio e dei sacramenti", Congregazione per i vescovi, Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi, 22 febbraio 1973, n. 90, lettera b, in EV, IV, pp. 1321-323.
[7] "un santuario in tanto è tale in quanto vi è il pellegrinaggio. Cessando l'afflusso dei pellegrini, cessa anche il santuario", così De Fiores, L'emergere dei Santuari, cit., p. 26.
[8] Vedi Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, Documento Il pellegrinaggio nel grande giubileo del 2000, 25 aprile 1998, n. 2, in EV, XVII, pp. 367-368. Più critica a questo proposito la valutazione del già ricordato decreto della Congregazione del Concilio, dove si osservava che il moltiplicarsi dei pellegrinaggi, unitamente allo sviluppo del turismo, "nonnulla profecto incommoda parere potest, nisi vis moderatrix ecclesiasticae Auctoritatis ( ) opportunam et, quantum res fert, communem ubique inducat disciplinam". Si esigeva, in particolare, che i pellegrinaggi "characterem vere religiosum semper praeseferant, habeantur et peragantur uti actus ad pietatem christianam pertinentes. atque ab itineribus ob merum solatii finem susceptis probe distinguantur".
[9] Vedi Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, Documento Il santuario. Memoria, presenza e profezia del Dio vivente, 8 maggio 1999, n. 1, in EV, XVIII, p. 478. Vedi anche, nello stesso senso, Congregazione per il culto divino, Documento Orientamenti e proposte per la celebrazione dell'anno mariano, 3 aprile 1987, n. 77, in EV, X, p. 1100.
[10] Istruzione in materia amministrativa, 1 aprile 1992, n. 103, in Enchiridion della Conferenza Episcopale Italiana, 1985 ss. (d'ora innanzi ECEI), V, p. 366.
[11] Vedi Communicationes, 12 (1980), p. 342. Cfr. M. Calvi, I Santuari nel nuovo Codice di diritto canonico, in Quaderni di diritto ecclesiale, 2 (1989), pp. 182-183.
[12] Vedi P. Palazzini, Il Santuario nel Diritto Canonico, in La Madonna, 32 (1984), nn. 1-2, p. 52. Del resto, come è stato osservato, "el modo de producirse esta aprobación lo deja libre el CIC" (R. Ahlers, in Código de Derecho Canónico, commentato a cura di A. Benlloch Poveda, Valencia, EDICEP, 1993, p. 549).
[13] In questo senso P. Vergari, in Commento al Codice di Diritto Canonico, a cura di P.V. Pinto, Libreria editrice vaticana, 20012, p. 710.
[14] Vedi J.T. Martín de Agar, in Comentario exegético al Código de derecho canónico, Pamplona, 1996, III, p. 1845.
[15] Così come avviene per l'erezione e il riconoscimento delle christifidelium consociationes, vedi can. 312 § 1, 3° e 322
[16] Vedi G. Feliciani, I beni culturali nel nuovo Codice di Diritto Canonico, in AA.VV., Vitam impendere vero, Libreria Editrice Vaticana, 1986, p. 254. Cfr. M. Morgante, I Santuari, in L'Amico del clero, 82 (2000), pp. 281-288.
[17] Documento Il santuario, cit., n. 1, p. 479.
[18] Vedi "Communicationes", 12 (1980), pp. 341- 342.
[19] Documento Il santuario, cit., n. 1, p. 479.
[20] Documento Orientamenti, cit., n. 73, p. 1097.
[21] Vedi "Communicationes", 12 (1980), p. 342.
[22] Vedi Palazzini, Il Santuario nel Diritto Canonico, cit., p. 51.
[23] Vedi Martín de Agar, in Comentario exegético, cit., p. 1846.
[24] Vedi "Communicationes", 4 (1972), p. 166.
[25] Avverte, infatti, che "la funzione pastorale del santuario è l'esercizio del culto divino da parte dei fedeli di tutta una diocesi (o nazione o chiesa universale)", vedi Istruzione in materia amministrativa, cit., n. 102.
[26] Si veda, in tal senso il can. 305 § 2, dove la qualifica di "dioecesanae" è attribuita a tutte le "consociationes", comprese quelle private, che non siano nazionali, internazionali o universali.
[27] In particolare nelle consultazioni promosse dalla Cei per preparare le delibere di propria competenza è stato proposto di "Prevedere Santuari a Statuto regionale". Inoltre la rilevanza della dimensione regionale è stata evidenziata dalla previsione che l'attribuzione della qualifica di nazionale avvenga "sentita la Conferenza episcopale regionale" e che negli statuti di tutti i santuari siano precisati i rapporti con la regione ecclesiastica V. Fagiolo, Problemi giuridici riguardanti i santuari, in La Madonna, 35 (1987), pp. 62-63.
[28] Vedi "Communicationes", 4 (1972), p. 166.
[29] Vedi Palazzini, Il Santuario nel Diritto Canonico, cit., p. 60, che, peraltro, non riconosce a questa categoria di santuari alcuna rilevanza giuridica.
[30] Oggi la Sacra è visitata soprattutto da turisti, ma non mancano attestazioni di pellegrinaggi medievali in questo tempio che può considerarsi "santuario intermedio" tra Mont-St-Michel in Normandia e San Michele Arcangelo sul Gargano.
[31] Vedi G. Feliciani, Le regioni ecclesiastiche italiane da Leone XIII a Giovanni Paolo II, in AA.VV, Confessioni religiose e federalismo, Bologna, 2000, pp. 103-126, in particolare p. 117.
[32] Particolarmente significativo in tal senso il can. 3 concernente le "initas ab Apostolica Sede cum nationibus aliisve societatibus politicis conventiones".
[33] Si veda il passo della Istruzione in materia amministrativa ultimamente citato.
[34] Nelle già ricordate consultazioni promosse dalla Cei, taluno ha considerato preferibile per i santuari situati "nelle Diocesi di confine e/o a composizione bilingue o trilingue" "il titolo di 'Santuario Internazionale'", vedi Fagiolo, Problemi giuridici riguardanti i santuari, cit., p. 62.
[35] Come risulta dallo stesso Codice che nel can. 312 § 1, 1° correttamente distingue le "consociationes universales" da quelle "internationales".
[36] E' infatti da condividere l'opinione di Martín de Agar che nell'attribuzione ai santuari delle diverse qualifiche si debba soprattutto tener conto del loro "ámbito de influjo spiritual" (vedi Comentario exegético, cit., p. 1846).
[37] Vedi Conventio inter Sanctam Sedem et Lettoniae rem publicam, firmata l'8 novembre 2000 e ratificata il 25 ottobre 2002, art. 12.2: "For its part, the Holy See shall grant the Shrine of Aglona the status of 'international shrine', as foreseen in Canon Law (cfr. can. 1231 ff.)", "Acta Apostolicae Sedis", 95 (2003), p. 106. Una disposizione veramente singolare per diversi motivi. Innanzitutto per il tipo di fonte utilizzata per l'attribuzione di una qualifica che almeno fino al 1996 non risulta concessa ad altri santuari (Martín de Agar, Comentario exegético, cit., p. 1848). E, in secondo luogo, perché un'altra norma dello stessa conventio, l'art. 11, n. 1, indurrebbe a considerare più appropriata la qualifica di "santuario nazionale". Vi si afferma, infatti: "The Shrine of Aglona is part of the cultural and historical heritage of the Republic of Latvia, and as such is protected under existing legal provisions of Latvia".
[38] Vedi delibera n. 34, 18 aprile 1985, in ECEI, III, p. 1320.
[39] Vedi delibera I, 18 aprile 1985, in ECEI, III, pp. 1325-1326.
[40] Vedi Il pellegrinaggio alle soglie del terzo millennio, Nota pastorale della Commissione ecclesiale per la pastorale del tempo libero, turismo e sport, 29 giugno 1998, nn. 29-34, in ECEI, VI, pp. 725-730.
[41] Come quelli riguardanti la destinazione della "parte residua delle offerte dopo aver provveduto alla manutenzione dell'edificio, all'esercizio del culto e al sostentamento del clero addetto", la "qualificazione di una chiesa sede di parrocchia come 'santuario'", l'"affidamento della rettoria di un santuario" a un istituto religioso o a una società di vita apostolica, vedi Istruzione in materia amministrativa, cit., rispettivamente n. 33, pp. 311-312, e nn. 104-105, p. 366.
[42] Vedi L'adeguamento liturgico delle chiese, Nota pastorale della Commissione episcopale per la liturgia, 31 maggio 1996, n. 52, ECEI, VI, p 152.
[43] Vedi J.T. Martín de Agar, Legislazione delle conferenze episcopali complementare al C.I.C., Milano, Giuffrè, 1990, passim.
[44] "Ogni santuario deve avere uno statuto approvato dall'autorità competente a norma del can. 1232 § 1", così l'Istruzione in materia amministrativa, cit., n. 103, p. 365.
[45] Vedi a questo proposito Martín de Agar (in Comentario exegético, cit., p. 1849) che, da parte sua, dimostra di aver mutato opinione rispetto a quanto aveva sostenuto in Código de derecho canónico, edizione annotata a cura dell'Instituto Martín de Azpilcueta, Pamplona, EUNSA, 1992, V ed., p. 735.
[46] Vedi "Communicationes", 12 (1980), p. 343.
[47] Dello stesso avviso M. Calvi, in Codice di diritto canonico commentato, a cura della Redazione di Quaderni di diritto ecclesiale, Milano, Ancora, 2001, p. 967.
[48] Vedi costituzioni 77, n. 1, lett. c; e 408, § 4, in Diocesi di Milano Sinodo 47°, Milano, Centro Ambrosiano, 1995, rispettivamente pp. 121 e 386-387.