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Alessandro Rota, La tutela dei beni culturali tra tecnica e discrezionalità (Padova, Cedam, 2002, pp. 487)

di Marco Brocca (recensione)



Nella letteratura giuridica italiana continuano a moltiplicarsi gli studi monografici sulla disciplina dei beni culturali [1], segno della vivacità e del dinamismo di una materia, certamente "classica", ma di interesse mai attenuato e ora rinnovato, alla luce delle più recenti innovazioni che l'hanno riguardata (per ricordarne solo le espressioni più significative: dal disegno per il decentramento amministrativo, alla riforma che ha interessato l'apparato ministeriale di riferimento, all'emanazione del testo unico, al nuovo assetto costituzionale delle competenze).

Lo studio di Rota si contraddistingue dagli altri lavori di settore, in quanto la disamina dei principali istituti di disciplina non assorbe l'impianto complessivo dell'opera (pure occupandone l'intera prima parte), ma appare preordinata ad un'indagine ben più ampia e impegnativa, quella incentrata sul tema "caldo" della rilevanza giuridica della "tecnica" e dei suoi rapporti con l'esercizio del potere amministrativo, che nello specifico ambito dei beni culturali assumono peculiare configurazione e conducono ad approdi, anzitutto giurisprudenziali, spesso inadeguati, se non incoerenti.

Il riferimento è a quelle conclusioni, che in dottrina sono state definite "aberranti" [2], raggiunte in sede giurisprudenziale sui caratteri e l'insindacabilità dell'attività amministrativa di imposizione dei vincoli culturali, qualificata come esercizio di discrezionalità tecnica, che hanno determinato "una sorta di no man's land, in cui né il giudice ordinario né il giudice amministrativo si arrischiano ad intervenire con un minimo di credibilità" [3].

Lo stesso Autore ricorda l'uso improprio in materia, a mò di "certi giochi di prestigio" (pag. 66), delle nozioni di discrezionalità amministrativa, merito e tecnica da parte della giurisprudenza per escludere (o, meglio, relegare negli angusti spazi di qualche figura sintomatica dell'eccesso di potere) il sindacato in sede di giudizio amministrativo di legittimità: nell'imposizione del vincolo "mentre si afferma che c'è discrezionalità, si nega la rilevanza di qualsiasi interesse; parallelamente, nel momento stesso in cui si afferma che l'attività è tutta vincolata, che non c'è scelta nella p.a., che la regola (tecnica) assorbe l'intera azione, contemporaneamente si nega qualsiasi possibilità di verificare il rispetto della regola, cioè del 'vincolo', e si riconduce tutto al merito" (pag. 66-67).

In sostanza, "certi richiami formalistici a nozioni di parte generale non soltanto non sono idonei a fondare le conclusioni che si dovrebbero trarre, ma portano spesso ad esiti opposti. In realtà è intuitivo che tali richiami molto spesso costituiscono giustificazioni a posteriori di conclusioni già tratte" (pag. 264). In particolare, rileva il ricorso all'elemento della "tecnica" come un "concetto buono per tutte le stagioni... sia per escludere la rilevanza di qualsiasi interesse diverso da quello dell'amministrazione (qualificandone come vincolata la relativa attività), sia per attrarre nel merito l'intera valutazione (detta sempre insindacabile)" (pag. 251-252).

Ecco che l'indagine stessa impone il suo oggetto: la disamina (nella seconda e terza parte del lavoro) di temi di teoria generale (la nozione di potere amministrativo, la produzione degli effetti giuridici, il potere a contenuto tecnico, ecc.) e delle relative ricostruzioni dottrinali viene condotta dall'Autore secondo un personale percorso riflessivo, che benché ancorato allo specifico punto di vista prescelto - la materia dei beni culturali e, all'interno di questa, il provvedimento di imposizione del vincolo - offre indubbiamente spunti ricostruttivi di carattere generale e, dunque, un contributo significativo al dibattito in corso sul valore della "tecnica" nelle determinazioni amministrative e sull'estensione della sua sindacabilità giudiziale.

Le conclusioni dell'Autore circa l'effettiva rilevanza della tecnica nella tutela dei beni culturali e in relazione alla verifica del corretto esercizio del potere meritano di essere evidenziate.

L'affermazione secondo la quale "l'esercizio del potere di imposizione del vincolo culturale comporta un momento sia discrezionale (nel senso che importa comparazione di interessi), sia un momento tecnico" (pag. 91), pure presente in giurisprudenza (ancora minoritaria), viene accolta e precisata dall'Autore nel senso che "la tecnica non rileva soltanto nell'accertamento del presupposto, ma anche nei momenti successivi e, in particolare, nella valutazione degli interessi coinvolti, la cui composizione non può che essere attuata tenendo conto del dettato delle regole tecniche" (pag. 101).

Il provvedimento che dichiara l'interesse culturale di un bene, nel vincolarlo "pone le basi e introduce, attraverso il suo contenuto e la sua motivazione, misure successive che si pongono in sostanza come suoi svolgimenti. Anzi in molti casi il provvedimento impositivo del vincolo già prevede consistenti indicazioni specifiche (cioè limitazioni) circa l'utilizzo del bene... E' il provvedimento di vincolo, infatti, che identifica le ragioni che conducono a sottoporre un certo bene al regime di tutela: indicando tali ragioni, in realtà l'atto già conforma il regime di quel bene in modo più specifico e vario di quanto generalmente non si sia disposti ad ammettere; individua l'utilizzo ammesso e quello vietato; indica eventualmente le parti del bene effettivamente d'interesse culturale, e che si presume non potranno essere modificate".

Emerge, dunque, "uno spazio 'libero', discrezionale, in cui si muove l'amministrazione: uno spazio che non si risolve nella mera dichiarazione dell'importanza dell'interesse; uno spazio nel quale diventa sempre più difficile affermare a priori l'assoluta irrilevanza di ogni interesse diverso da quello primario; uno spazio, soprattutto, che le regole tecniche spesso sono in grado di circoscrivere significativamente, orientando le prescrizioni dell'amministrazione" (pag. 95-96).

E' il principio di proporzionalità (pag. 439), quale applicazione di quello "assoluto" di ragionevolezza, come "illuminato dalle regole specialistiche del caso" (pag. 442), che impone, dopo l'"accertamento" del carattere culturale del bene, l'adeguamento della misura amministrativa alle peculiarità della fattispecie e, dunque, l'individuazione delle misure necessarie alla salvaguardia in concreto del bene stesso, col minor sacrifico possibile degli altri interessi configgenti, siano essi pubblici o privati.

Questo secondo momento è inquadrato da autorevole dottrina, più propriamente, nella categoria delle "valutazioni tecniche di tipo progettuale-operativo" [4], che, in quanto tali, riguardano non (l'accertamento dei presupposti de) il "fatto", ma il "da farsi", secondo una distinzione delle dinamiche di incidenza del "mondo" degli interessi sugli apporti tecnici, generalmente non avvertita in dottrina e giurisprudenza, ma alquanto significativa, che porta a riconoscere ipotesi di accostamento delle valutazioni tecniche al fenomeno della discrezionalità, senza peraltro confusione di piani: il "vantaggio" è "quello di spiegare una 'massimizzazione' dell'interesse primario (quello della tutela del patrimonio storico-artistico) che non trova riscontro nelle comuni scelte discrezionali e politiche" [5].

Non solo. Ritenere la regola tecnica in grado di fornire risultati univoci e quindi interamente vincolanti un'attività è assunto in linea di principio non condivisibile sotto ulteriore profilo.

E' noto che l'ideale positivista della necessaria univocità delle soluzioni offerte dalla scienza e dalla tecnica "è senz'altro tramontato e ha ceduto il posto ad una concezione che riconosce la sola garanzia di validità nell'autocorreggibilità" (pag. 337). Pertanto, le operazioni scientifiche e tecniche, per il continuo evolversi delle relative discipline e per una fisiologica "relatività" che le caratterizza, quanto a premesse, metodologie e finalità, possono fornire soluzioni non "certe", ma semmai "attendibili".

Nel settore che qui interessa, poi, è pacifico che il fatto culturale costituisca naturaliter un fatto incerto, perché legato a valutazioni che non ammettono regole univoche, corrispondente, dunque, al "fatto complesso" di Cammeo o al "fatto opinabile" di cui parla la dottrina più recente.

Il carattere "giuridico" delle regole tecniche, riconosciuto dagli studi più recenti e la cui negazione ha tradizionalmente consentito alla giurisprudenza di "esaurire" la discrezionalità tecnica nel merito amministrativo e, quindi, nell'impossibilità del suo sindacato, le pone "come condizione necessaria per un esercizio legittimo del potere" (pag. 388) e ne impone l'accertabilità anche in sede giudiziale.

La norma, infatti, nell'imporre che l'attività amministrativa sia svolta in base a un certo criterio tecnico, esige che quel canone sia applicato correttamente. Il potere di accertamento dei presupposti di fatto del provvedimento amministrativo costituisce un aspetto essenziale della giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo e non può essere limitato dalla presenza di regole tecniche. Il giudice amministrativo di legittimità degli atti, giudice del fatto come del diritto, è chiamato a verificare che il "passaggio dal fatto alla decisione [nei casi in cui] vi è stato l'impiego concreto di una regola tecnica... sia stato coerente e condotto con la necessaria diligenza e perizia" (pag. 453).

Ciò non vuol dire "che il giudice sia in grado di ripetere i giudizi di valore effettuati dall'amministrazione, ma soltanto di esaminare le operazioni condotte impiegando conoscenze specialistiche" (pag. 459). Ciò che "gli sarà consentito è accertare la materiale esistenza del fatto che è il presupposto dell'emanazione dell'atto, e con essa la diligenza impiegata utilizzando le regole tecniche utilizzate nello svolgimento dell'attività istruttoria. Non potrà, invece, attribuire al fatto nuovo valore, in sostituzione di quello che costituisce il frutto della decisione discrezionale dell'amministrazione" (pag. 462).

La preclusione per forme di sindacato intrinseco "forte" (con poteri sostitutivi) discende dal principio fondamentale di separazione delle funzioni (pag. 345); l'adesione a forme di sindacato intrinseco "debole" è supportata dall'introduzione, ad opera della legge n. 205 del 2000, sulla riforma della giustizia amministrativa, della consulenza tecnica tra gli strumenti processuali ordinariamente a disposizione del giudice amministrativo (pag. 460).

Un riscontro alla tesi di Rota è rinvenibile in quella parte di giurisprudenza recente [6], che, sulla scia della nota sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601 (citata anche dall'Autore, pag. 461), che ha ammesso il sindacato del giudice amministrativo sull'"attendibilità" delle valutazioni tecniche (opinabili), appare favorevole alla configurabilità di un controllo giurisdizionale di tipo "diretto" (alla stregua dunque di parametri "interni" e "tecnici" e non solo "esterni") del fatto opinabile, ma limitato alla sua "plausibilità" e con esclusione della sostituzione della valutazione del giudice a quella dell'amministrazione.

 

 



Note

[1] Tra gli ultimi, A. Catelani - S. Cattaneo, I beni e le attività culturali, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da G. Santaniello, Padova, 2002, vol. XXXIII; F.S. Marini Lo statuto costituzionale dei beni culturali, Milano, 2002; N. Aicardi, L'ordinamento amministrativo dei beni culturali. La sussidiarietà nella tutela e nella valorizzazione, Torino, 2002.

[2] B. Cavallo, Provvedimenti e atti amministrativi, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da G. Santaniello, Padova, 1993, vol. III, 157.

[3] B. Cavallo, Provvedimenti e atti amministrativi, cit.

[4] F. Salvia, La tecnica e gli interessi, in Dir. pubblico, 2003, in corso di pubblicazione.

[5] F. Salvia, La tecnica e gli interessi, cit.

[6] Cons. Stato, sez. VI, 23 aprile 2002, n. 2199, in Foro it., 2002, III, 482, con nota di G. Scarselli, Brevi note sui procedimenti amministrativi che si svolgono dinanzi alle autorità garanti e sui loro controlli giurisdizionali e F.Fracchia, La tecnica come potere; Cons. Stato, sez. IV, 6 ottobre 2001, n. 5827, in Foro it., 2002, III, 414, con nota di E. Giardino; Cons. Stato, sez. VI, 14 marzo 2000, n. 1348, in Giust. civ., 2000, I, 2169.



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