Consiglio
di Stato, Sezione consultiva per gli atti normativi
Parere interlocutorio
1° luglio 2002, n. sez. 1794/2002
OGGETTO: Schema di d.m. regolamento recante disposizioni concernenti la costituzione e la partecipazione a società da parte del Ministero per i beni e le attività culturali a norma dell'articolo 10 del d. lg. 20 ottobre 1998, n. 368 e successive modificazioni.
LA SEZIONE
Vista la relazione n. prot. 1562 del 17 maggio 2002, pervenuta il 28 maggio 2002, con la quale il Ministero per i beni e le attività culturali chiede il parere del Consiglio di Stato sullo schema di D.M. indicato in oggetto;
Esaminati gli atti ed udito il relatore ed estensore consigliere Livia Barberio Corsetti;
PREMESSO
Riferisce l'Amministrazione che lo schema di regolamento in oggetto attua la previsione dell'articolo 10 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, nella parte in cui prevede che Ministero per i beni e le attività culturali possa organizzare l'esercizio delle proprie attività istituzionali utilizzando lo strumento societario.
Rispetto all'analoga previsione, anch'essa contenuta nell'articolo 10, concernente l'utilizzazione dello strumento delle fondazioni - e già attuata con il regolamento di cui al decreto ministeriale 27 novembre 2001, n. 491- la previsione in esame implica una disciplina regolamentare assai più ridotta, in quanto per le società, a differenza delle fondazioni, può opportunamente rinviarsi alla puntuale disciplina contenuta nel codice civile.
Nelle more, tra l'altro, è sopravvenuto l'articolo 33 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria 2002), che prevede un'ampia possibilità di affidamento in concessione dei beni ed attività culturali a soggetti pubblici e privati.
Di ciò si è tenuto conto, raccordando le previsioni regolamentari a quelle di cui al citato articolo 33, per quanto concerne l'individuazione delle attività attribuibili alle società e le procedure di scelta del socio privato.
Quanto al profilo dell'ambito di attività delle società disciplinate dallo schema di regolamento, l'Amministrazione osserva che il modello societario si caratterizza tipicamente come struttura "aperta" e, pertanto, attraverso la sua integrazione con le attività istituzionali svolte nelle forme amministrative, offre alle pubbliche amministrazioni la possibilità di dar vita a moduli organizzatori nuovi, delineati sulle specifiche esigenze funzionali dei diversi settori.
In questo senso l'utilizzazione del modello operativo societario, ben definito in via generale nei suoi aspetti organizzativi ed operativi, appare, ai fini del perseguimento degli obiettivi pubblici istituzionali, funzionale allo svolgimento di attività dai contenuti fortemente diversificabili.
Tra queste va prioritariamente ricompresa quella della tutela dei beni culturali.
In relazione all'assetto di competenze sancito dalle nuove disposizioni del titolo V della Costituzione, nel momento in cui si porrà, oltre ad un'esigenza di tutela, anche un'esigenza di valorizzazione del bene (intesa secondo la stessa formulazione dell'articolo 152 del d.lg. 112/98, come miglioramento della conservazione, dell'accesso e della diffusione della conoscenza dei beni culturali), l'attività delle singole società dovrà tenere conto della normativa regionale in materia e, di più, dovrà raccordarsi con l'attività degli organismi operanti a tali fini in ambito regionale.
L'aspetto centrale, comune ai diversi strumenti alternativi volti a favorire la cooperazione tra le amministrazioni pubbliche ed il coinvolgimento dei privati nella gestione dei beni e delle attività culturali (lo strumento delle associazioni, pure previsto dall'articolo 10, verrà disciplinato in seguito) che si è ritenuto non potesse prescindere da una disciplina specifica, è quello relativo agli strumenti di controllo a disposizione del Ministero.
La disposizione legislativa si limita a prevedere, in caso di estinzione della società, il recupero da parte del Ministero della disponibilità dei beni culturali concessi in uso. La peculiarità dei beni pubblici interessati, ha suggerito di incentrare la disciplina regolamentare sul rafforzamento degli strumenti a disposizione del Ministero, per far fronte ad eventuali comportamenti che privati (che, una volta avviata l'attività societaria possono risultare) poco rispondenti alle finalità di tutela del patrimonio culturale che devono prioritariamente orientare l'azione amministrativa nel settore.
La prospettiva di potersi trovare a dover fronteggiare senza adeguati strumenti eventuali iniziative quali: aumenti del capitale, abbattimenti e ricostituzioni del capitale sociale o trasferimenti di azioni ha suggerito una disciplina in grado di assicurare in ogni caso la permanenza del controllo pubblico.
Questa consiste nella previsione, laddove vi sia un conferimento in uso di beni culturali (non per le altre forme di partecipazione che non implicano rischi di pregiudizio irreversibile per il patrimonio culturale e che possono anche realizzarsi in forma minoritaria):
- della partecipazione pubblica (necessariamente) maggioritaria;
- dell'inserzione statutaria della clausola di gradimento sull'ingresso di nuovi soci e della nomina diretta ex articolo 2548 c.c. di rappresentanti del Ministero negli organi di gestione e di controllo interno della società;
- dell'estensione della previsione del recupero della disponibilità dei beni culturali a tutte le ipotesi in cui viene meno la (possibilità ovvero l'opportunità della permanenza della) partecipazione del ministero alla società: estinzione, ma anche recesso o cessione della partecipazione.
Le società costituite o partecipate dal ministero possono operare sul mercato della tutela e della gestione dei beni culturali, partecipare alle gare di appalto, svolgere attività di supporto a quelle delle strutture del Ministero.
Si presuppone che, di regola, la partecipazione pubblica possa coinvolgere, accanto al Ministero per i beni e le attività culturali, altri Ministeri, Regioni ed enti locali, di volta in volta interessati nella prospettiva di una considerazione integrata di percorsi e bacini culturali in cui siano presenti e possano essere impiegate risorse materiali, finanziarie, organizzative, di pertinenza di diversi soggetti.
I rapporti tra le amministrazioni pubbliche vengono definiti sulla base di un accordo di programma che orienta la gestione della partecipazione pubblica (ed in particolare, potrà prevede le modalità ed i limiti di gestione dei beni culturali oggetto di conferimento in uso).
Un aspetto particolare riguarda la possibilità che il Ministero costituisca società mantenendone, almeno nella prima fase di avvio, la partecipazione totalitaria.
Quanto alla partecipazione del privato, per rispettare i principi comunitari e le disposizioni nazionali in materia di appalti e concessioni, e, in generale, il principio di concorrenzialità quale sistema ottimale di allocazione delle risorse, qualora alla società vengano affidate direttamente funzioni o servizi pubblici, si prevede che l'individuazione del socio privato avvenga mediante le procedure concorsuali (licitazione privata) già previste dall'articolo 33 della legge 448/2001.
La vigilanza da parte del Ministero sulle società e l'istituzione di un organo di consulenza scientifica che svolge anche le funzioni di garanzia sull'adeguatezza e coerenza della gestione societaria con le finalità di tutela ed in particolare con gli obiettivi che giustificano il conferimenti in uso dei beni culturali (qui denominato Comitato dei garanti) sono state disciplinate con formulazioni in larga parte coincidente con quella utilizzata nel D.M. 491/2001.
CONSIDERATO
L'articolo 10, comma 1, del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368 dispone che il Ministero per i beni e le attività culturali ai fini del più efficace esercizio delle sue funzioni e, in particolare, per la valorizzazione dei beni culturali e ambientali può: "a) stipulare accordi con amministrazioni pubbliche e con soggetti privati; b) costituire o partecipare ad associazioni, fondazioni o società secondo modalità e criteri definiti con regolamento emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400; b-bis) (art. 33 legge 448/201) dare in concessione a soggetti diversi da quelli statali la gestione dei servizi finalizzati al miglioramento della fruizione pubblica e della valorizzazione del patrimonio artistico...".
Il comma 2 prevede che il Ministero possa partecipare al patrimonio delle associazioni, fondazioni e società anche con il conferimento in uso dei beni culturali che ha in consegna, ma che l'atto costitutivo e lo statuto dei diversi enti debbono prevedere che i beni culturali conferiti in uso tornano nella disponibilità del Ministero in caso di estinzione o di scioglimento.
Con D.M. 27 novembre 2001, n. 491 è stato adottato il regolamento recante disposizioni concernenti la costituzione e la partecipazione a fondazioni, sul quale la Sezione ha espresso a suo tempo il proprio parere favorevole.
Con lo schema in esame il Ministro per i beni e le attività culturali intende dare attuazione alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 10.
La sezione ritiene che lo schema in esame presenti taluni profili problematici che l'Amministrazione dovrebbe ulteriormente approfondire alla luce delle considerazioni che seguono.
L'articolo 1, discostandosi dalla lettera dell'articolo 10 del d.lg., al comma 1 individua come scopo principale delle società non la "valorizzazione dei beni culturali e ambientali", ma la "gestione dei beni culturali".
Ciò trova evidentemente la sua motivazione nel fatto che l'articolo 117 del nuovo titolo V della Costituzione prevede che la valorizzazione dei beni culturali sia oggetto di legislazione concorrente, onde in materia lo Stato può porre solo i principi fondamentali, con legge, mentre è escluso ogni potere di intervento in via regolamentare.
E' vero che l'articolo 10 del decreto legislativo 368/2001 non prevede la "valorizzazione" come oggetto esclusivo delle fondazioni e delle società, perché il riferimento è al "più efficace esercizio delle sue funzioni e, in particolare, per la valorizzazione", ma il termine "gestione", contenuto nel comma 1, letto in relazione anche all'articolo 3, ovvero alla possibilità di affidamento diretto per la gestione di servizi di valorizzazione, ingenera la sensazione che lo Stato intenda affidare a società anche l'esercizio di funzioni pubblicistiche, ciò che deve essere escluso per lo meno fino a quando una legge non lo preveda espressamente. Le attività che lo Stato può svolgere al fine del più efficace esercizio delle sue funzioni non comprendono infatti il trasferimento delle funzioni stesse ad altri soggetti.
In proposito si deve notare che l'articolo 152 del d.lg. 112/98 ha dato una definizione di valorizzazione che sembra esaurire tutte le competenze in materia di "gestione" materiale dei beni culturali. Ma se effettivamente col termine valorizzazione si intende anche la gestione dei beni, ancor più si deve ritenere che il termine "gestione", contenuto nello schema, si riferisca alle altre funzioni pubbliche in materia di beni culturali. Ciò, che, come già detto in precedenza, deve escludersi allo stato della legislazione vigente.
A proposito del comma 3 deve poi anche escludersi che lo Stato possa "affidare direttamente le funzioni di cui al comma 1, ivi compresa la gestione dei servizi previsti dall'articolo 33 della legge 28 dicembre 2001, n. 448" e ciò sia perché la legge finanziaria in tale articolo dispone che ciò sia fatto a mezzo di procedura ad evidenza pubblica, sia perché la stessa legge prevede in materia l'adozione di un apposito regolamento, recante le procedure per l'affidamento dei servizi, i rispettivi compiti dello Stato e dei concessionari, i criteri, le regole e le garanzie per il reclutamento del personale e i parametri di offerta al pubblico e di gestione dei siti culturali.
Per quanto riguarda poi la disciplina delle costituende Società, la Sezione ritiene che essa possa determinare seri problemi in relazione alla previsione che lo Stato possa detenere l'intero pacchetto azionario delle società per azioni. In base alla vigente disciplina codicistica (2363 c.c.), si può infatti determinare una situazione in cui l'azionista resti unico, ma ciò costituisce un episodio nella vita della società, che di regola, per essere tale, deve avere una pluralità di soci. Tale previsione, in realtà, sembra dettata al fine di eludere, attraverso la costituzione di società, le norme sulla amministrazione del patrimonio e sulla contabilità dello Stato.
Si deve invece osservare che la clausola di gradimento per l'ingresso di nuovi soci, che a norma dell'articolo 2, comma 3, dovrebbe essere contenuta nell'atto costitutivo e nello statuto della società, se non correlata a criteri univoci e predeterminati può esporre lo Stato a violazioni del Trattato UE. Se infatti essa può sfuggire alla sanzione di inefficacia di cui all'articolo 22 della legge 4 giugno 1985, n. 281, in forza del quale "sono inefficaci le clausole degli atti costitutivi di società per azioni, le quali subordinano gli effetti del trasferimento delle azioni al mero gradimento di organi sociali", in quanto l'esercizio del potere di gradimento è affidato, nella fattispecie, ad un soggetto terzo, non sfugge ai principi elaborati in materia dalla Corte di giustizia delle comunità europee, che ha ritenuto che, nel caso di limitazioni alla detenzione diretta o indiretta di titoli, debba essere precisato "quali siano le circostanze specifiche e obiettive in presenza delle quali sarà concessa o rifiutata una previa autorizzazione". L'indeterminatezza non permette ai singoli di conoscere l'estensione dei loro diritti e obblighi derivanti dall'art. 73 b) del Trattato, per cui un regime nel quale il potere possa essere esercitato senza riferimento a criteri predeterminati dev'essere considerato contrario al principio della certezza del diritto. (Sent. 4 giugno 2002 in causa C-483/99, Commissione c/ Repubblica francese).
Si deve inoltre osservare che, comunque, i criteri in base ai quali è possibile negare il gradimento, dovrebbero essere riportati con chiarezza all'interno dello Statuto delle singole società, non essendo possibile, alla luce della citata giurisprudenza comunitaria, che lo Stato, detentore dei poteri di definizione dei criteri stessi, possa attraverso questi influire in ogni momento nella vita delle Società, sol che metta mano ad una loro modificazione.
Nulla da osservare per quanto riguarda il potere del Ministero di nominare a norma dell'articolo 2458 c.c. almeno un componente del consiglio di amministrazione, del comitato esecutivo e del collegio dei revisori.
Alla luce della citata giurisprudenza comunitaria destano invece perplessità anche i poteri di vigilanza, e in particolare il potere di sospensione temporanea degli organi di amministrazione (articolo 4, comma 1, lett. d), che non sembra ancorato a criteri predeterminati, tali da poter consentire alle società di conoscere i limiti entro i quali poter legittimamente operare.
Dalle considerazioni che precedono discende che la Sezione non ritiene di poter esprimere un parere favorevole sulla schema in oggetto, che deve essere rivisto dall'Amministrazione alla luce delle argomentazioni fin qui illustrate.
P.Q.M.
Nelle suesposte considerazioni è il parere.
Per estratto dal Verbale
Il Segretario della
Sezione
(Licia Grassucci)
Visto
Il Presidente della
Sezione
(Pasquale de Lise)