Sommario: 1. Premessa. - 2. Natura giuridica e caratteri del decreto di imposizione del vincolo storico-artistico (cenni). - 3. I casi di esclusione dall'obbligo di comunicazione dell'avvio procedimento. - 4. La questione concernente l'applicazione dell'obbligo di cui all'art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241 al procedimento di individuazione dei beni privati di interesse storico-artistico.
Con la decisione n. 515 del 16 aprile 1998, la VI Sezione del Consiglio di Stato - confermando il proprio orientamento in precedenza espresso [1] - ha affermato l'applicabilità dell'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento agli interessati (previsto dall'art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241) alla procedura di individuazione dei beni privati di interesse storico-artistico di cui alla legge 1 giugno 1939, n. 1089.
Tale decisione si presenta di estremo interesse sia per le conclusioni a cui si è giunti, sia - soprattutto - per le argomentazioni poste a sostegno della propria decisione.
Sotto questo profilo, per poter comprendere in modo adeguato le suddette argomentazioni occorre premettere all'analisi della decisione alcuni cenni sia in ordine alla natura giuridica del decreto di imposizione del vincolo storico-artistico che in riferimento alle ipotesi di esclusione dall'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento previste (o comunque ricavabili) dalla l. 241/1990.
2. Natura giuridica e caratteri del decreto di imposizione del vincolo storico-artistico (cenni)
In relazione alla questione concernente la natura giuridica del decreto ministeriale di imposizione del vincolo storico-artistico va rilevato come la dottrina [2] , in passato divisa tra i sostenitori della tesi secondo cui il decreto avrebbe natura costitutiva [3] e coloro che - viceversa - affermavano la natura meramente dichiarativa del provvedimento [4] , sembra oramai (non a torto) propensa ad accogliere, con le opportune precisazioni, questa seconda tesi.
Infatti è indubbio che la finalità principale della legge 1 giugno 1939, n. 1089 consiste nell'individuare singoli beni che, pur essendo di proprietà privata, rivestono rilievo pubblicistico in quanto dotati di pregi e caratteri tali da renderli di notevole interesse per l'intera collettività nazionale.
Di conseguenza, il decreto ministeriale con il quale si impone il vincolo non può fare altro che riscontrare (con un tipico atto di accertamento) le caratteristiche proprie del bene, e questo indipendentemente dall'attività di individuazione condotta dall'amministrazione.
In altri termini, il procedimento posto in essere dal ministero ha carattere essenzialmente ricognitivo in quanto l'individuazione del bene da parte dell'amministrazione dipende dalla presenza di caratteri originariamente presenti nel bene stesso [5].
Del resto, lo stesso art. 2 della l.1089/1939, nel fare riferimento alle cose che "siano riconosciute di interesse particolarmente importante", pone in evidenza che il giudizio con il quale il ministero individua i beni consiste, essenzialmente, in un'attività ricognitiva di qualità, pregi o comunque caratteri già presenti nel bene.
Ferme restando tali considerazioni di principio, non può peraltro essere posto in dubbio che il decreto ministeriale impositivo del vincolo ha una sua fondamentale incidenza sul regime giuridico del bene.
Infatti è solamente nel momento in cui il suddetto decreto viene notificato al proprietario che il bene rimane assoggettato allo speciale regime pubblicistico proprio della l. 1089/1939; prima di tale momento, sebbene già sussistano i pregi nel bene, quest'ultimo rimane assoggettato alla ordinaria disciplina della proprietà privata prevista dal codice civile e dalle altri leggi vigenti in materia.
Ne consegue che può apparire forse corretto ricondurre tale atto nell'ambito della categoria dei c.d. accertamenti costitutivi [6], in modo da sottolineare che alla base dell'emanazione del decreto ministeriale vi è un'attività essenzialmente di carattere ricognitivo, ma che, comunque, è solamente l'atto di notifica che consente l'applicazione di un regime giuridico di carattere speciale altrimenti inapplicabile [7].
Sotto altro profilo la stessa dottrina (nonché la totalità della giurisprudenza amministrativa) [8], è viceversa concorde nel ritenere che il giudizio con il quale l'amministrazione perviene all'accertamento delle qualità del bene sia espressione di discrezionalità tecnica.
Ciò comporta - sul piano strettamente processuale - che il decreto ministeriale impositivo del vincolo sia di regola insindacabile da parte del giudice amministrativo, salvo il caso in cui l'inosservanza di regole non giuridiche che presiedono alla corretta formazione di detta attività non trasmodi, a causa di una erronea interpretazione dei fatti, nel vizio di eccesso di potere [9].
Pur condividendo tale ricostruzione dogmatica, deve peraltro mettersi in chiaro che il decreto ministeriale impositivo del vincolo storico-artistico ha carattere vincolato e non discrezionale [10].
Infatti, sebbene alla base della decisione dell'amministrazione vi è, come si è avuto modo di osservare, un valutazione di carattere essenzialmente tecnico - discrezionale, Il ministero è comunque obbligato ad emanare il decreto nell'ipotesi in cui l'istruttoria evidenzi l'esistenza di caratteri tali da far sì che il bene stesso possa ritenersi di interesse per l'intera collettività nazionale.
Allo stesso modo, naturalmente, l'amministrazione non può emanare il suddetto decreto nell'ipotesi in cui i pregi riscontrati non sussistano, oppure non siano tali da rendere il bene di particolare interesse.
D'altra parte, la natura vincolata del decreto trova conferma nella necessità, riconosciuta dalla giurisprudenza, di sottoporre a riesame precedenti valutazioni compiute dalla stessa amministrazione nell'ipotesi in cui emergano nuovi fatti rilevanti ai fini della corretta qualificazione del bene e dei relativi caratteri [11].
Anzi, sotto questo profilo, il dovere di sottoporre a riesame le proprie precedenti valutazioni acquista particolare rilievo proprio alla luce del concetto stesso di bene culturale, che, com'è noto, subisce mutamenti continui in relazione all'evoluzione del progresso sociale.
3. I casi di esclusione dall'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento
Com'è noto, alcune ipotesi di esclusione dall'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento sono ricavabili direttamente dall'analisi del capo III della l. 241/1990 relativo alla partecipazione al procedimento amministrativo; altre fattispecie - viceversa - sono state individuate dalla giurisprudenza soprattutto facendo riferimento alle finalità della stessa l. 241/1990.
In relazione alla prima categoria di ipotesi in primo luogo va rilevato che, ai sensi dell'art. 7, comma 1, della l. 241/1990, l'obbligo di comunicazione non sussiste ove si riscontrino "ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento".
Tali ragioni, peraltro, da un lato presuppongono una rigorosa e puntuale motivazione da parte dell'amministrazione in ordine alle particolari esigenze di celerità della procedura [12], dall'altro vanno riconosciute solamente in casi estremamente particolari, rapportati alle caratteristiche intrinseche del singolo procedimento o, comunque, all'importanza dei beni da tutelare.
Sotto altro profilo tale obbligo non sussiste nel caso di emanazione di atti normativi, di carattere generale, oppure di pianificazione e programmazione; infatti, in relazione a tali categorie di atti, stante il disposto dell'art. 13, comma 1, della l. 241/1990, è esclusa l'applicazione dell'intero capo III della stessa legge (nell'ambito del quale rientra anche il suddetto articolo 7).
La ragione di quest'ultima esclusione va ricercata nel fatto che la partecipazione al procedimento - così come prevista e disciplinata dal capo III della l. 241/1990 - non è realizzabile in relazione a procedure amministrative caratterizzate da profili di generalità e astrattezza; tra l'altro - molto spesso - in tali situazioni sono le stesse procedure a prevedere forme adeguate di partecipazione degli interessati (si pensi, ad esempio, ai procedimenti di pianificazione urbanistica o a quelli relativi alle diverse tipologie di pianificazioni paesaggistiche e ambientali).
Con riferimento ai casi di esclusione elaborati in sede giurisprudenziale va in particolare segnalato quello concernente l'ipotesi in cui il destinatario del provvedimento finale sia stato comunque in grado di evidenziare i fatti e le circostanze a proprio favore in sede procedimentale; risulta infatti evidente che - essendo stato raggiunto lo scopo a cui tende la comunicazione di avvio del procedimento - la stessa appaia del tutto inutile e quindi sia ammissibile una sua eventuale assenza [13].
Inoltre, sotto altro profilo, si è considerata legittima la mancata comunicazione nell'ipotesi in cui la partecipazione del destinatario del provvedimento, per le caratteristiche proprie del procedimento, non possa portare alcuna utilità - sia sul piano del merito che della legittimità - all'azione della amministrazione [14]. Ciò potrebbe verificarsi, per ipotesi, in relazione ai quei procedimenti che si fondano esclusivamente su presupposti di fatto verificabili in modo immediato e inequivoco [15].
4. La questione concernete l'applicazione dell'obbligo di cui all'art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241, al procedimento di individuazione dei beni privati di interesse storico-artistico
Tenendo conto delle considerazioni esposti nei precedenti paragrafi può ora passarsi all'analisi delle considerazioni espresse dalla VI Sezione nella sentenza che si annota.
A questo proposito, le argomentazioni esposte dall'Avvocatura dello Stato (e respinte dal giudice amministrativo) nel sostenere l'inapplicabilità dell'art. 7 della l. 241/1990 sono essenzialmente riconducibili a due: il carattere generale (sotto il profilo funzionale) del procedimento di imposizione del vincolo storico-artistico e la natura vincolata del provvedimento impositivo del suddetto vincolo la quale renderebbe inutile la partecipazione al procedimento.
Sotto il primo aspetto l'affermazione dell'Avvocatura dello Stato, secondo cui il provvedimento di imposizione di un vincolo storico-artistico, provocando i propri effetti nei confronti della collettività (e non solo del proprietario), rientrerebbe nell'ambito di applicazione dell'art. 13 della l. 241/1990, non appare del tutto condivisibile.
Infatti, è evidente che il termine "generale" di cui al citato art. 13 deve essere riferito all'oggetto (o comunque ai destinatari) dell'atto, ma non agli interessi perseguiti, che, per il solo fatto che il procedimento è di competenza di un'amministrazione, non possono che essere di pubblico rilievo.
Tale aspetto, del resto, è adeguatamente sottolineato nella sentenza che si annota, la quale espressamente ha precisato che ogniqualvolta l'amministrazione intraprende una azione (anche attraverso l'utilizzo di strumenti privatistici) si muove in vista della realizzazione dell'interesse "di tutti", ma ciò non toglie che "nella valutazione di questo interesse generale si debba ignorare (o prescindere da) la posizione del privato, titolare di un interesse particolare, che legittimamente pretende di interloquire nella scelta decisionale (sia essa ricognitiva ovvero costitutiva) che l'Amministrazione si appresta a compiere".
A questa prima considerazione va aggiunto che il carattere "incontestabilmente singolare" del provvedimento impositivo del vincolo storico-artistico è stato recentemente affermato proprio dal Consiglio di Stato (tra l'altro con specifico riferimento al c.d. vincolo indiretto di cui all'art. 21 della l. 1089/1939 che, com'è noto, ha un oggetto ben più ampio rispetto a quello relativo a singoli beni di cui agli artt. 1 e 2 della stessa legge) [16].
Sotto altro profilo anche l'affermazione secondo cui il provvedimento in questione, avendo carattere "vincolato" [17], renderebbe del tutto inutile la partecipazione del proprietario, appare nella sostanza priva di fondamento.
Attraverso la comunicazione di avvio del procedimento il destinatario del decreto impositivo del vincolo acquisisce la possibilità di stabilire un contraddittorio con l'amministrazione, soprattutto in relazione all'analisi degli eventuali pregi e caratteri del bene. Ciò discende dal fatto che - come si è detto - il giudizio con il quale si perviene all'imposizione del vincolo storico-artistico è espressione di discrezionalità tecnica.
Sotto questo profilo, il contraddittorio tra amministrazione e destinatario, lungi dal costituire (come sostenuto dall'Avvocatura dello Stato) un elemento di "potenziale sviamento della valutazione, o comunque un fattore di turbativa della stessa", rappresenta un mezzo per portare ad una istruttoria più completa e approfondita da parte della stessa amministrazione, in quanto il proprietario del bene può portare a conoscenza dell'autorità pubblica fatti o elementi non conosciuti (o comunque non conoscibili) dalla stessa che - al limite - potrebbero anche portare l'amministrazione a recedere dal proprio proposito di imporre il vincolo [18].
In altri termini, com'è stato messo in rilievo da una recente decisione della stessa VI Sezione del Consiglio di Stato [19], nel caso di procedimenti volti alla imposizione di vincoli storico - artistici la partecipazione dell'interessato è volta a permettere, oltre che una tempestiva difesa degli interessi dei privati coinvolti, soprattutto un confronto diretto e chiarificatore con l'amministrazione.
'altra parte, più in generale va osservato come lo scopo della partecipazione al procedimento amministrativo non è solamente quello di consentire al cittadino la possibilità di prospettare fatti o ragioni in proprio favore in vista dell'emanazione del provvedimento finale; viceversa, attraverso la partecipazione viene a determinarsi un miglioramento della qualità delle decisioni dell'amministrazione [20].
Tale principio è stato opportunamente messo in rilievo nella decisione che si annota, ove per l'appunto si è precisato che la l. 241/1990 [21] prevede la partecipazione "non tanto (e non solo) in funzione di un mero apporto conoscitivo del privato per una scelta più consapevole dell'amministrazione, ovvero in funzione collaborativa per garantire situazioni soggettive quanto invece come mezzo per concorrere alle scelte dell'amministrazione, anche nell'ipotesi (come nella specie) di interessi 'forti', definiti in sede legislativa".
Del resto, a questo proposito, Feliciano Benvenuti, già prima dell'emanazione della l. 241/1990, auspicava l'introduzione nell'ordinamento di forme procedimentali in grado di favorire l'intervento diretto dei cittadini nell'attività dell'amministrazione; anzi, a giudizio dell'Autore, l'amministrazione dello Stato democratico si sarebbe dovuta rifondare proprio sul principio di partecipazione al procedimento amministrativo.
Ferme restando queste considerazioni di principio che, senza dubbio, conducono a ritenere la necessità - in linea di principio - di dover dare comunicazione di avvio del procedimento al proprietario del bene, rimane comunque il fatto che la decisione che si annota non ha in alcun modo affrontato una ulteriore questione di fondo; cioè se la suddetta comunicazione possa essere omessa nell'ipotesi in cui si presentino particolari ragioni di celerità della procedura.
Sotto questo aspetto è certamente vero che l'urgenza non costituisce, in senso tecnico, elemento costitutivo, e perciò indefettibile, del procedimento in questione [22]; del resto - di regola - l'istruttoria condotta dalla competente Soprintendenza e volta alla ricerca dei caratteri e dei pregi propri del bene, presenta notevoli elementi di complessità e tempi non brevi [23].
Non si può peraltro omettere di considerare che possono sussistere situazioni nelle quali la previa comunicazione di avvio del procedimento può arrecare grave pregiudizio all'azione dell'amministrazione. Sussiste infatti il rischio che il proprietario del bene, venendo a conoscenza dell'inizio del procedimento, ponga in essere comportamenti in grado di ostacolare la successiva attività dell'amministrazione di individuazione del bene [24]. Ciò vale in modo particolare per i beni mobili, i quali, nel periodo intercorrente tra la comunicazione di avvio del procedimento e il successivo decreto di imposizione del vincolo, possono essere agevolmente trasferiti a terzi.
Sotto questo profilo, lo stesso disposto dell'art. 20 della l. 1089/1939, il quale attribuisce al Soprintendente il potere di ordinare la sospensione dei lavori (eseguiti in contrasto con i precedenti artt. 18 e 19) anche nell'ipotesi in cui non sia ancora avvenuta la notificazione del provvedimento impositivo del vincolo, per il suo ambito di applicazione comunque circoscritto, non sembra costituire una fattispecie in grado di assicurare - in ogni circostanza - una adeguata degli interessi pubblici perseguiti dall'amministrazione.
Si appalesa pertanto l'esigenza di individuare, all'interno del vigente quadro legislativo, soluzioni in grado di contemperare - in modo equilibrato - le esigenze connesse alla partecipazione dei privati al procedimento con quelle concernenti la tutela del patrimonio storico-artistico.
Sotto questo profilo, in astratto, appaiono possibili due diverse soluzioni.
Una prima soluzione emerge dalla già citata decisione della Commissione speciale del Consiglio di Stato del 12 gennaio 1998. Tale decisione, infatti, ha affermato che - qualora sussistano particolari ragioni di celerità della procedura - sussiste la possibilità, per l'amministrazione, di omettere la comunicazione di avvio del procedimento, fermo comunque restando l'obbligo di esplicitare - nel decreto ministeriale di imposizione del vincolo - le concrete ragioni che abbiano indotto la stessa ad agire in tal senso.
In tal modo - in buona sostanza - viene lasciata all'amministrazione procedente la possibilità di stabilire, caso per caso, se sussistano o meno ragioni di urgenza tali da giustificare la mancata comunicazione di avvio del procedimento [25].
E' peraltro evidente che tali ragioni, oltre a non dover essere comunque imputabili ad un comportamento omissivo dell'amministrazione [26], non potranno ridursi a mere clausole di stile, ma dovranno essere esplicitate nel provvedimento impositivo del vincolo in modo congruo e circostanziato.
Viceversa, nell'ipotesi in cui non sussistano le suddette ragioni di celerità della procedura, l'amministrazione, prima di dare comunicazione di avvio del procedimento (o comunque contestualmente ad essa), può pur sempre adottare, sulla base del disposto di cui al secondo comma dell'art. 7 della l. 241/1990, apposite misure cautelari di natura conservativa in grado di non pregiudicare la successiva attività di individuazione del bene [27].
In tal modo da un lato vengono salvaguardati gli effetti della successiva attività di accertamento delle qualità del bene, dall'altro viene comunque garantita al proprietario la possibilità di esercitare i propri di diritti di partecipazione al procedimento.
Tra l'altro tale soluzione trova una significativa conferma nel testo unico di coordinamento delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali in corso di approvazione [28].
Infatti l'art. 6 del suddetto testo unico, pur prevedendo - al primo comma - l'obbligo generale di dare comunicazione di avvio del procedimento al proprietario, possessore o detentore del bene oggetto del vincolo, al successivo quarto comma precisa che comunque la comunicazione comporta l'applicazione, in via cautelare, di una serie di disposizioni concernenti sia misure di carattere conservativo che inerenti la circolazione del bene.
[1] Sul punto, in particolare, si veda la decisione 19 novembre 1996, n. 1603, in Urb. e appalti 1997, 573 ss.
[2] Sul punto si veda G. Cofrancesco (a cura di), I beni culturali - tra interessi pubblici e privati, Roma 1996 e, più recentemente, S.Benini, La discrezionalità dei vincoli culturali e ambientali, in Foro it. 1998, III, 326 ss.; sia inoltre consentito di rinviare a G. Garzia, Il procedimento di individuazione dei beni privati di interesse storico e artistico, in Riv. giur.urb. 1994, 267ss.[3] Tesi sostenuta, tra l'altro, da A.M. Sandulli, Natura e funzione della notifica e della pubblicità delle cose di interesse storico e artistico qualificato, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1954, 1024 ss.
[4] Tra questi si veda, in particolare, P. Calamandrei, , Immobilizzazione per destinazione artistica, in Foro it. 1933, I, 1722, nonché, prima dell'emanazione della l. 1089/1939, Biamonti, Natura del diritto dei privati sulle cose di pregio artistico e storico, in Foro it. 1913, I, 1014.
[5] In questo senso si veda P.G. Ferri, Beni culturali e ambientali nel diritto amministrativo, in Dig. Disc. pubbl. Torino, 1987, vol. II, 220 ss.
[6] Cfr. T. Alibrandi, P.G. Ferri, I beni culturali e ambientali, Milano 1985, 307, i quali, in tal modo, escludono che il ministero ponga in essere un una "pura e semplice attività di certazione o di acclaramento di un fatto".
[7] Come ha messo in rilievo P. Virga, Diritto Amministrativo, vol. II, Milano 1987, 20, i c.d. accertamenti costitutivi si caratterizzano per il fatto di essere atti vincolati, nel senso che l'amministrazione è tenuta ad emanarli qualora risulti accertata la sussistenza dei presupposti a cui la legge subordina la loro emanazione.
[8] A titolo esemplificativo, si veda Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 agosto 1986, n. 630, in Foro it. 1987, III, 142 ss.
[9] Consiglio di Stato, Sez. VI, 1 febbraio 1996, n. 165, in Cons. Stato 1996, I, 254 ss.
[10] In questo senso T. Alibrandi, P.G. Ferri, I beni culturali e ambientali cit., 307.
[11] Tra le tante si veda Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 maggio 1982, n. 272, in Cons. Stato 1982, I, 704 ss.
[12] Consiglio di Stato, Sez. IV, 25 settembre 1998, n. 596, in Sett. giur. 1998, I, 585.
[13] In questo senso, recentemente, si veda: Consiglio di Stato, Sez. V, 24 novembre 1997, n. 1365, in Foro amm. 1997, 3053 ss.
[14] Da ultimo si veda Consiglio di Stato, Sez. VI, 23 marzo 1998, n. 358, in Urb. e appalti 1998, 1085 ss.
[15] Così, testualmente, Consiglio di Stato, Sez. V, 11 ottobre 1996, n. 1223, in Cons. Stato 1996, 1501.
[16] In questo senso Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 gennaio 1997, n. 57, in Giur.it. 1997, III, 326 ss e Sez. V, 23 aprile 1998, n. 474, in Cons.Stato 1998, I, 609 ss.
[17] Sul punto si veda il precedente paragrafo n. 2.
[18] In questo senso Consiglio di Stato, Sez. VI, 11 novembre 1998, n. 1552, in Cons. Stato 1998, I, 1814.
[19] 23 marzo 1998, n. 358, cit.
[20] In questo senso G. Corso, L'attuazione della legge 241/90, Milano 1997, 59; sul punto si veda anche F. Ledda, Problema amministrativo e partecipazione al procedimento, in Dir.amm 1993, 168, secondo cui "scopo degli istituti di partecipazione non è quello di catturare il consenso dell'interessato, ma quello di suscitare una differenziazione nelle prospettive e un incremento delle possibilità di acquisizione e selezione dei fatti rilevanti".
[21] Nello scritto: Il ruolo dell'amministrazione dello Stato democratico, in Jus 1987, 291.
[22] Cosi' testualmente Consiglio di Stato, Commissione Speciale, 12 gennaio 1998, inedita.
[23] D'altra parte la tabella A del d.m. 13 giugno 1994, n. 495: regolamento recante semplificazione del procedimento di programmazione ed esecuzione di interventi di manutenzione straordinaria su edifici di interesse storico-artistico, ha previsto per la conclusione di tale procedura un termine di ben 210 giorni.[24] Sul punto si vedano le osservazioni di R. Tamiozzo, La legislazione dei beni culturali e ambientali, Milano 1998, 39, secondo cui, qualora i proprietari "fossero preavvertiti dell'intenzione dell'amministrazione di imporre il vincolo su beni di loro proprietà, ben difficilmente i privati riuscirebbero a sottrarsi alla tentazione di porre in essere - finché possibile sul piano della legittimità prima della imposizione formale del vincolo - qualche malizioso accorgimento per intralciare la futura, preannunciata azione della pubblica autorità o, peggio, per fare trovare la stessa autorità pubblica di fronte al fatto compiuto quale, ad esempio, la trasformazione di un manufatto o la alienazione a terzi di un mobile non ancora vincolato".
[25] Tra l'altro, con specifico riferimento ai procedimenti di competenza del ministero per i Beni e le Attività culturali, la possibilità di evitare la comunicazione di avvio del procedimento qualora sussistano particolari ragioni di celerità, trova un esplicito sostegno normativo nell'art. 4, comma 1 del citato d.m. 13 giugno 1994, n. 495.
[26] In questo senso Consiglio di Stato, Sez. IV, 25 settembre 1998, n. 569 , in Cons.Stato 1998, I, 585[27] Sul punto si veda Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 febbraio 1998, n. 350, in Cons.Stato 1998, I, 221, secondo cui l'omissione della comunicazione di avvio del procedimento non pregiudica, ai sensi del suddetto art. 7, comma 2, della l. 241/1990, la possibilità di ottenere provvedimenti cautelari.
[28] L'emanazione del suddetto testo unico è prevista dall'art. 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352 Disposizioni sui beni culturali.