../1/98,%20Issn%200000-000../home../risorse%20web

Dibattito sul Testo Unico

L'art. 20, d.lg. 29.10.1999, n. 490, e gli obblighi internazionali
dello Stato nel settore dei beni culturali

di Francesco Lazzàro
(Dottorando di ricerca in diritto amministrativo - Università degli studi di Milano)


L’art. 20 è la sola norma del Testo unico dedicata alle convenzioni internazionali in materia di beni culturali e ai conseguenti obblighi che da esse discendono in capo allo Stato italiano.

Nonostante il quasi generale disinteresse della dottrina nei primi commenti organici al d.lg. 490/1999 [1], la disposizione riveste notevole importanza, vieppiù accresciuta dalla riforma costituzionale in senso federale varata recentemente dal Parlamento e oggetto a breve di referendum approvativo.

In base al testuale disposto dell’articolo citato, infatti, sembra che l’Italia si conformi ai soli obblighi internazionali convenzionali che prevedano principi di cooperazione tra Stati, nell’ambito della tutela e della valorizzazione dei beni culturali. Sono così posti nel nulla gli altri obblighi, non afferenti all’attività di tutela e valorizzazione, o comunque non riconducibili alla cooperazione internazionale.

La scelta del legislatore è alquanto singolare, posto che in ogni caso la ratifica di convenzioni internazionali impegna lo Stato alla piena esecuzione dei loro contenuti, fatte salve eventuali riserve. Sotto questo profilo, semmai, un richiamo della normativa interna alla vincolatività degli obblighi internazionali sarebbe superfluo; quello dell’art. 20, d.lg. 490/1999, è per certi versi fuorviante [2].

Si consideri ad esempio l’art. 25 della Convenzione dell’Aja per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato: esso prevede che i principi ivi contenuti siano incorporati nei programmi nazionali d’istruzione militare e civile, in maniera da essere conosciuti dalla popolazione e, in particolare, dalle Forze Armate e dal personale addetto alla protezione dei beni culturali. È evidente che la ratifica, avvenuta con legge 7 febbraio 1958, n. 279, impegna lo Stato italiano alla divulgazione dei principi in materia, anche al di là della cooperazione con altri Paesi e senza che a ciò osti la presunta limitazione dell’art. 20 del Testo unico.

Ai sensi dell’art. 4 della Convenzione di Parigi sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale, al quale l’Italia ha dato esecuzione con legge 6 aprile 1977, n. 184, grava invece sugli Stati "l’obbligo di assicurare l’identificazione, la tutela, la conservazione, la valorizzazione e la trasmissione alle future generazioni del patrimonio culturale e naturale".

In questo caso, al di là della solo parziale coincidenza della norma rispetto all’art 20 del Testo unico, si sottolinea come la convenzione disponga che ogni Stato contraente "si sforza di agire a tale scopo sia con le proprie forze, utilizzando al massimo le proprie risorse, sia in caso di necessità, con l’aiuto e la cooperazione internazionali". Come è noto, la convenzione di Parigi, elaborata in sede Unesco, rappresenta il principale strumento internazionale di tutela dei beni culturali, eppure esso considera la cooperazione fra Stati solo residualmente, in via sussidiaria rispetto all’azione interna, così che l’accento posto dal Testo unico sul ruolo cooperativo risulta ancor più stridente.

La norma, in sostanza, appare mal formulata nel disporre una limitazione agli obblighi internazionali che non trova riscontro positivo nel sistema delle fonti e che, formalmente, va a detrimento della stessa tutela dei beni culturali, laddove gli accordi internazionali o comunitari prevedano azioni diverse da quelle tipizzate dal legislatore delegato.

Il problema è acuito dalla recente riforma "federalista" dello Stato, licenziata dal Senato l’8 marzo scorso e ora in attesa di approvazione referendaria.

La revisione costituzionale ha profondamente inciso sull’assetto delle funzioni e dei poteri relativi ai beni culturali: da un lato lo Stato ha legislazione esclusiva per la "tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali" e dall’altro "sono materie di legislazione concorrente quelle relative a… valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali". I possibili conflitti fra livelli di governo dovrebbero essere sanati da "forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali".

Ai fini che qui interessano si segnala che, in base al testo riformato dell’art. 117 Cost., "la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto… dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali".

Nel caso in cui la revisione costituzionale trovasse conferma dalla consultazione popolare si avrebbe un ingresso rafforzato degli obblighi internazionali e comunitari nel sistema delle fonti, anche nel settore dei beni culturali, accrescendo le difficoltà di coordinamento con l’art. 20, d.lg. 490/1999 [3].

Senza contare che, volendo tentare una ricostruzione della norma compatibile con il nuovo testo costituzionale, l’art. 20 troverebbe applicazione solo con riferimento all’attività di tutela e di valorizzazione non svolta attraverso la legislazione statale e regionale.

In conclusione, dunque, il richiamo del Testo unico alle convenzioni internazionali, nonostante costituisca un’importante innovazione, mostra due limiti. Il legislatore delegato, in primo luogo, pur integrando nella disciplina dei beni culturali quella comunitaria, non si apre in via generale alla normativa dell’Unione, dalla quale, peraltro, derivano per lo Stato obblighi ben più pregnanti rispetto a quelli internazionali tout court. In secondo luogo, poi, la redazione dell’art. 20 del Testo unico rivela un atteggiamento di resistenza dell’ordinamento nei confronti di obblighi estranei alle sedi di produzione normativa interne e di preferenza per un approccio marcatamente nazionale.

 


Note

[1] Una delle poche eccezioni, se non l’unica, è rappresentata da M.P. Chiti, Articolo 20 - Convenzioni internazionali, in M. Cammelli (a cura di), La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali, Bologna 2000, 88 e ss.

[2] Il principio, per la verità, non trova consensi unanimi, anche se l’opinione più condivisibile è nel senso di riconoscere alle norme pattizie una specialità sui generis, superata solo dalla volontà dello Stato di venir meno agli obblighi assunti. Cfr. B. Conforti, Diritto internazionale, Napoli 1996, 301 e ss. Altre soluzioni adottate, che peraltro raggiungono il medesimo risultato, sono quella di presunzione di conformità delle norme interne al diritto internazionale e quella di specialità delle norme pattizie.

[3] Il nuovo art. 117 Cost., in sostanza, svolgerebbe la medesima funzione ora esercitata dall’art. 10 Cost. con riguardo al diritto internazionale consuetudinario, prevedendo un adattamento automatico alla normazione pattizia. In dottrina, cfr. G. Quadri, Diritto internazionale pubblico, Napoli 1968, 63 e ss.



copyright 2001 by Società editrice il Mulino


inizio pagina