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Osservatorio sulla giurisprudenza del Consiglio di Stato
in materia di beni culturali e paesaggistici

a cura di Giancarlo Montedoro [*]

Sommario: 1. Beni culturali. - 2. Beni paesaggistici.

1. Beni culturali

Cons. St., sez. IV, 21 aprile 2020, n. 2335 - Pres. Maruotti, Est. Gambato Spisani - Sul procedimento per la dichiarazione dell'interesse culturale.

L'avvio del procedimento per la dichiarazione dell'interesse culturale impone un vincolo vero e proprio, sia pure non a tempo indeterminato. In particolare, ai sensi dell'art. 14, commi 4 e 5, del d.lg. n. 42 del 2004, la "comunicazione" di avvio di tale procedimento comporta che, per tutta la durata stesso, si applichino, in via cautelare, le stesse disposizioni di tutela che il vincolo stesso, una volta imposto, rende definitive.

Ai sensi dell'art. 20, comma 8, del d.p.r. n. 380 del 2001 (Testo unico in materia edilizia), i vincoli "paesaggistici o culturali" impediscono la formazione del silenzio-assenso nel procedimento relativo al rilascio del permesso di costruire.

Cons. St., sez. VI, 10 febbraio 2020, n. 1023 - Pres. De Felice, Est. Toschei - Sulla declaratoria del particolare interesse archeologico di un immobile.

Il vincolo archeologico c.d. diretto viene imposto su beni o aree nei quali sono stati ritrovati reperti archeologici, o in relazione ai quali vi è certezza dell'esistenza, della localizzazione e dell'importanza di tali beni, mentre il vincolo archeologico c.d. indiretto, viene imposto su beni e aree circostanti a quelli sottoposti a vincolo diretto, per garantirne una migliore visibilità e fruizione collettiva, o migliori condizioni ambientali e di decoro. Spetta alla discrezionalità tecnica della pubblica amministrazione valutare se emettere o meno la declaratoria del particolare interesse archeologico di un immobile; tale valutazione è pertanto sindacabile in sede di legittimità solo per difetto di motivazione o per erroneità o illogicità, ovvero per inattendibilità della valutazione stessa.

In generale, in materia di imposizione di vincoli archeologici su beni immobili ed in particolare sulla natura e consistenza dei relativi poteri, le valutazioni in ordine all'esistenza di un interesse culturale particolarmente importante di un immobile, tali da giustificare l'apposizione del relativo vincolo diretto sul bene e indiretto sui beni circostanti con il conseguente regime, costituiscono espressione di un potere di apprezzamento essenzialmente tecnico, espressione di una prerogativa propria dell'amministrazione dei beni culturali nell'esercizio della funzione di tutela del patrimonio, sindacabile solamente per incongruenza e illogicità di rilievo tale da far emergere l'inattendibilità o l'irrazionalità della valutazione.

L'imposizione di un vincolo diretto necessita di indagini e approfondimenti che possono richiedere anche molto tempo - oltre che opportuni finanziamenti non sempre disponibili - con la conseguenza che non appare illogica la scelta di sottoporre a vincolo una determinata zona anche a distanza di vari anni ed anche successivamente alla edificazione di manufatti; anzi, il vincolo si giustifica maggiormente con la esigenza di non consentire o comunque regolare un siffatto sfruttamento una volta accertato l'interesse archeologico del sito, proprio al fine di preservare l'intera zona. La tutela storico-artistica di un bene culturale, inoltre, non protegge un'opera dell'ingegno dell'autore, ma un'oggettiva testimonianza materiale di civiltà, la quale, nella sua consistenza effettiva e attuale, ben può risultare da interventi successivi e sedimentati nel tempo, tali da dar luogo ad un manufatto storicamente complesso e comunque parzialmente diverso da quello originario.

In tema di estensione del vincolo indiretto va considerata legittima la sottoposizione a vincolo di un'intera zona, considerata come parco o complesso, anche se i reperti riportati alla luce siano stati rinvenuti soltanto in alcuni terreni vincolati, purché dalla motivazione del provvedimento di vincolo e dall'attività istruttoria svolta emergano le specifiche ragioni che giustificano una valutazione unitaria della zona di pregio archeologico e sia indicata specificamente l'ubicazione dei singoli reperti nelle varie particelle catastali della zona vincolata.

2. Beni paesaggistici

Cons. St., sez. VI, 9 giugno 2020, n. 3689 - Pres. Montedoro, Est. Lopilato - Sul giudizio di compatibilità paesaggistica.

Ai sensi dell'art. 167 del d.lg. n. 42 del 2004 la violazione della normativa a tutela del paesaggio, attuata mediante l'intervento di opere non previamente autorizzate, non è suscettibile, di norma, di sanatoria. Il giudizio di compatibilità paesaggistica è possibile soltanto nei seguenti casi, secondo il procedimento indicato dal medesimo articolo: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica; c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria.

La legittimazione alla proposizione della domanda, ai fini dell'accertamento della compatibilità paesaggistica, è individuata nel soggetto espressamente qualificato come "proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'era interessati dagli interventi". Nel perimetro applicativo soggettivo rientrano anche gli appaltatori. Il contratto di appalto è un contratto ad effetti obbligatori che conferisce, normalmente, anche la detenzione qualificata dell'area su cui deve essere realizzata l'opera. Ne consegue che l'appaltatore può essere l'autore di quegli interventi che ledono il paesaggio e, in quanto tale, può essere destinatario della sanzione prevista dalla citata norma, in applicazione del criterio dalla stessa previsto che fa leva, in mancanza di danni al bene tutelato, sul profitto conseguito mediante la trasgressione.

Cons. St., sez. VI, 29 maggio 2020, n. 3391 - Pres. De Felice, Est. Maggio - In materia di deroghe al vincolo paesaggistico.

In materia urbanistica, la possibilità di deroga al vincolo paesaggistico di cui al comma 2 dell'art. 142 del d.lg. n. 42 del 2004 riguarda soltanto le aree comprese in previsioni urbanistiche già approvate alla data di entrata in vigore della legge e non può essere modificata attraverso successivi atti programmatori, atteso che la disciplina statale àncora l'esclusione dal vincolo paesaggistico, predisposto per legge, alla delimitazione dei terreni negli strumenti urbanistici come zone A e B ad una data determinata, e cioè al 6 settembre 1985, epoca di entrata in vigore della legge 8 agosto 1985, n. 431.

Cons. St., sez. VI, 21 maggio 2020, n. 3219 - Pres. Montedoro, Est. Simeoli - Sul giudizio di compatibilità paesaggistica con riferimento a stabilimenti balneari.

L'art. 146 del d.lg. n. 42 del 2004 prevede che i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, ai sensi dell'art. 142 del medesimo decreto legislativo (tra i quali rientrano i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia) non possono distruggerli né introdurvi modificazioni, che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione, ed hanno l'obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendono intraprendere, al fine di ottenere il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica; quest'ultima costituisce atto autonomo da valere come presupposto rispetto al permesso di costruire e agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio.

A seguito della sentenza n. 232 del 2008 della Corte costituzionale, l'attuale formulazione della normativa di riferimento (legge regione Puglia n. 17 del 2006, come modificata dalla legge n. 24 del 2008) consente che venga rilasciata una concessione che non impone, al termine della stagione estiva, la rimozione delle strutture funzionali all'attività. Tuttavia, l'ottenimento del titolo abilitativo, per evitare la riproduzione di una norma già dichiarata incostituzionale, deve intendersi come espressamente condizionata all'ottenimento del nulla osta delle autorità preposte alla tutela dell'ambiente e del paesaggio. Non può infatti ammettersi che una legge regionale introduca innovazioni al regime della compatibilità paesaggistica, come regolata dall'art. 146 del d.lg. n. 42 del 2004 e da effettuare caso per caso, costituendo l'autorizzazione di cui trattasi atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio. Pertanto, pur consentendo, in astratto, l'art. 1 della citata l.r. n. 24 del 2008 il mantenimento per l'intero anno di strutture, funzionali alla balneazione, l'autorizzazione paesaggistica può comunque imporre che strutture precarie, collocate in uno stabilimento balneare, siano rimosse al termine della stagione estiva, per una più ampia visuale del litorale marino e per il pieno godimento delle zone interessate dal vincolo paesaggistico.

Il giudizio di compatibilità paesaggistica ed idrogeologica è connotato da un'ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l'applicazione di cognizioni tecniche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari della storia, dell'arte e dell'architettura, caratterizzati da ampi margini di opinabilità. L'apprezzamento compiuto dall'Amministrazione preposta alla tutela è quindi sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l'aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell'ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell'Amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile.

I contesti, estivo e invernale, in cui gli stabilimenti si inseriscono sono diversi, il che implica che differente può essere l'impatto che un manufatto può avere a seconda del periodo che viene in rilievo. La concessione per il solo periodo estivo si giustifica anche alla luce di un complessivo bilanciamento degli interessi rilevanti e in considerazione che l'incidenza sull'ambiente è comunque temporalmente limitata. La necessità di procedere allo smontaggio di manufatti a fine stagione appare peraltro prescrizione idonea ad incentivare il titolare dello stabilmente ad adottare le tipologie costruttive che maggiormente ne favoriscono l'integrazione nel paesaggio.

Cons. St., sez. VI, 4 maggio 2020, n. 2805 - Pres. Montedoro, Est. Lamberti - In tema di opere costruite su aree sottoposte a vincolo.

In materia di sanatoria di opere edilizie abusive secondo quanto previsto dagli artt. 32 e 33 della legge n. 47 del 1985, le valutazioni dell'autorità preposta alla tutela del vincolo devono essere rapportate al caso concreto e non possono tradursi nella mera applicazione delle norme vincolistiche: se ciò avvenisse non potrebbe che trattarsi di un parere negativo, perché ci si trova per ipotesi di fronte ad un'inedificabilità, che non consentirebbe in linea generale di realizzare opera alcuna.

È inammissibile l'integrazione postuma della motivazione in ordine alla compatibilità ambientale di un'opera effettuata in sede di giudizio, mediante atti processuali, o comunque scritti difensivi. La motivazione costituisce, infatti, il contenuto infungibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell'art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti. E', altresì, inammissibile la motivazione di un provvedimento autorizzatorio paesaggistico che si esaurisca nell'integrale richiamo "per relationem", senza esprimere un'autonoma valutazione dell'ente chiamato a pronunciarsi.

Cons. St., sez. VI, 20 aprile 2020, n. 2515 - Pres. Montedoro, Est. Russo - In tema di autorizzazione paesaggistica.

In materia di tutela paesaggistica, il parere reso ai sensi dell'art. 146 del d.lg. n. 42 del 2004 è espressione non di una scelta discrezionale pura, ma di una valutazione tecnico-discrezionale, destinata a produrre effetti vincolanti rispetto al successivo provvedimento per interventi in aree vincolate.

Il parere della soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio non sfugge al sindacato di legittimità, anche per l'eccesso di potere, ove si riscontrino profili di difetti di motivazione, illogicità manifesta ed errori di fatto. Il parere, per tal sua natura e per evitare che il giudizio di compatibilità paesaggistica si traduca nell'esercizio di una valutazione insindacabile o arbitraria, occorre che sia sempre sorretto da un'ampia e circostanziata motivazione, dalla quale sia possibile ricostruire sia le premesse che l'iter logico seguito nel percorso valutativo che si conclude con il giudizio finale. Nel caso in cui esso sia negativo, deve esplicitare le effettive ragioni di contrasto tra l'intervento progettato ed i valori paesaggistici dei luoghi compendiati nel decreto di vincolo, tener conto delle ragioni indicate dal privato e, perciò, indicare quale tipo di accorgimento tecnico o, se del caso, di modifica progettuale possa far conseguire all'interessato l'autorizzazione paesaggistica.

Cons. St., sez. II, 16 aprile 2020, n. 2436 - Pres. Cirillo, Est. Rocco - In tema di compatibilità paesaggistica.

I pareri di compatibilità paesaggistica costituiscono in linea di principio valutazioni che sono espressioni di discrezionalità tecnica, con la conseguenza che essi sono sindacabili in sede giurisdizionale soltanto per difetto di motivazione, illogicità manifesta ovvero per errore di fatto conclamato.

Se è dunque vero che nell'ambito della procedura di sanatoria degli abusi edilizi, il parere negativo espresso dal soggetto deputato alla tutela di un vincolo paesaggistico ai sensi dell'art. 32, comma 1, legge n. 47 del 1985 va ritenuto illegittimo qualora si limiti ad una descrizione dell'intervento operato rispetto all'originario stato dei luoghi e non contenga invece una specifica motivazione in ordine in ordine al pregiudizio che all'interesse pubblico deriverebbe dall'intervento edilizio, il diniego di compatibilità paesaggistica postuma o di sanatoria di opere edili realizzate in zone vincolate è comunque da ritenersi sufficientemente motivato con l'indicazione delle ragioni assunte a fondamento della valutazione di incompatibilità dell'intervento con le esigenze di tutela paesaggistica poste a base del relativo vincolo.

Cons. St., sez. VI, 6 aprile 2020, n. 2250 - Pres. Santoro, Est. Lageder - In materia di compatibilità paesaggistica e sui relativi criteri di accertamento.

In materia di tutela paesaggistica, il rinvio ai concetti di volumetria e superficie utile, contenuto nell'art. 167, comma 4, del d.lg. n. 42 del 2004, per cui l'autorità preposta alla gestione del vincolo accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al successivo comma 5, nei casi indicati, non può che interpretarsi nel senso di un rinvio al significato tecnico-giuridico che tali concetti assumono in materia urbanistico-edilizia, trattandosi di nozioni tecniche non già specificate dal Codice dei beni culturali e del paesaggio ma solo dalla normativa urbanistico-edilizia.

Cons. St., sez. VI, 2 aprile 2020, n. 2225 - Pres. FF. Sabatino, Est. Simeoli - In materia di tutela del paesaggio.

La Soprintendenza, nelle sue valutazioni, deve sempre operare con un approccio gradualistico e proporzionato, verificando se, apportando le necessarie modifiche costruttive, sia possibile mitigare in modo soddisfacente l'impatto antropico delle opere nel contesto paesaggistico di riferimento, riservando l'opzione "zero" ai soli casi di irriducibile inconciliabilità del progetto con i valori oggetto di tutela.

La Corte costituzionale ha avuto più volte modo di affermare che la tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario avente valore "primario" ed "assoluto", precede e comunque costituisce un limite alla salvaguardia degli altri interessi pubblici. Non a caso, il Codice dei beni culturali e del paesaggio definisce i rapporti tra il piano paesaggistico e gli altri strumenti urbanistici (nonché i piani, programmi e progetti regionali di sviluppo economico) secondo un modello rigidamente gerarchico, fondato sui seguenti dispositivi tecnici: immediata prevalenza del primo, obbligo di adeguamento dei secondi con la sola possibilità di introdurre ulteriori previsioni conformative che "risultino utili ad assicurare l'ottimale salvaguardia dei valori paesaggistici individuati dai piani". Resta escluso, quindi, che la salvaguardia dei valori paesaggistici possa cedere a mere esigenze urbanistiche.

Cons. St., sez. VI, 17 marzo 2020, n. 1903 - Pres. FF. Sabatino, Est. Simeoli - In materia di autorizzazione paesaggistica.

Nel procedimento di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, con l'entrata in vigore (dal 1° gennaio 2010) dell'art. 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lg. n. 42 del 2004, la soprintendenza esercita non più un sindacato di legittimità ex post (come previsto dall'art. 159 del citato Codice nel regime transitorio vigente fino al 31 dicembre 2009) sull'autorizzazione già rilasciata dalla regione o dall'ente delegato, con il correlativo potere di annullamento, ma un potere che consente di effettuare ex ante valutazioni di merito amministrativo, con poteri di cogestione del vincolo paesaggistico. Nel nuovo regime l'autorità statale emette ex ante un parere vincolante esteso al merito e non più un atto di riesame ex post di una precedente autorizzazione, confinato nel perimetro del rilievo dei vizi di legittimità dell'atto comunale.

Il mutato quadro normativo giustifica, quindi, una diversa e più penetrante valutazione della compatibilità dell'intervento edilizio progettato con i valori paesaggistici compendiati nella disciplina vincolistica da parte della Soprintendenza, che dispone di un'ampia discrezionalità tecnica in materia, con la conseguenza che il parere può essere censurato nel caso in cui la decisione amministrativa sia stata incoerente, irragionevole, frutto di errore tecnico, ovvero risulti ictu oculi in contrasto con la realtà fattuale. La soprintendenza ha l'onere di corredare il provvedimento di diniego del parere di ammissibilità paesaggistica, con un percorso motivazionale, riferito al concreto, alla realtà dei fatti e alle ragioni ambientali ed estetiche che sconsigliano all'amministrazione pubblica di non ammettere un determinato intervento.

Nell'ambito della tutela paesaggistica è fatto divieto di ogni valutazione postuma, effettuata successivamente all'esecuzione di un intervento edilizio, salvo che per quelli di minor impatto di cui agli articoli 146 e 167 del d.lg. n. 42 del 2004.

Cons. St., sez. IV, 18 febbraio 2020, n. 1232 - Pres. Anastasi, Est. Spagnoletti - Su questioni di diritto intertemporale in materia di autorizzazione paesaggistica.

Il vincolo paesaggistico non è opponibile, in applicazione d.lg. n. 42 del 2004, a chi ha ottenuto in epoca anteriore un'autorizzazione unica ad effettuare interventi edilizi, non realizzati non per fatto proprio ma in virtù della sospensione disposta in seguito a ricorso giurisdizionale (conclusosi, nel caso di specie, in senso favorevole al titolare dell'autorizzazione unica, confermandone la legittimità).

In armonia con una corretta interpretazione degli artt. 139 e 146 del d.lg. n. 42 del 2004, la richiesta di autorizzazione paesaggistica non è necessaria e, quindi, non opera il vincolo paesaggistico, nell'ipotesi in cui gli interventi edilizi, già autorizzati dal punto di vista edilizio o paesaggistico in applicazione di un regime precedente, siano già iniziati ovvero l'esecuzione non sia stata iniziata entro i termini per "factum principis" non imputabile al soggetto autorizzato. In siffatte ipotesi opera il principio della tutela dell'affidamento in virtù del quale colui che abbia ottenuto validamente un titolo edilizio non può vedere vanificata l'acquisizione del relativo diritto dalla sopravvenienza di un vincolo paesaggistico precedentemente non operante. Tale assunto, certamente condivisibile in relazione alla sopravvenienza di un nuovo vincolo paesaggistico, tanto più è predicabile nei casi in cui l'interessato aveva ottenuto un'autorizzazione paesaggistica e, quindi, necessitava soltanto della concessione edilizia (atto di tenore vincolato, perché rapportato a criteri rigidamente predeterminati in atti regolamentari e presupposti di pianificazione).

Cons. St., sez. II, 22 gennaio 2020, n. 542 - Pres. Greco, Est. Guarracino - In tema di compatibilità paesaggistica postuma o di sanatoria.

Il diniego di compatibilità paesaggistica postuma o di sanatoria di opere edilizie realizzate in zone vincolate è da ritenersi sufficientemente motivato laddove siano indicate le ragioni assunte a fondamento della valutazione di incompatibilità dell'intervento con le esigenze di tutela paesistica poste a base del relativo vincolo.

Cons. St., sez. II, 21 gennaio 2020, n. 505 - Pres. Taormina, Est. Orsini - In tema di motivazione del provvedimento.

L'obbligo di motivazione del provvedimento, cui è tenuta l'autorità amministrativa, non è particolarmente aggravato nel caso in cui la decisione dia conto della necessità di preservare beni soggetti a vincolo di tutela paesistico-ambientale, con la conseguenza che il contrasto con la disciplina vincolistica dell'area, su cui l'intervento edilizio è stato realizzato, costituisce di per sé motivazione sufficiente a fondare il parere negativo dell'organo preposto alla tutela del vincolo e il conseguente diniego di sanatoria adottato dall'autorità comunale.

 

 

[*] Con la collaborazione della dott.ssa Vania Talienti.

 

 

 

 



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