L'organizzazione dei beni culturali alla prova delle riforme
Le biblioteche pubbliche statali annesse a stabilimenti ecclesiastici: questioni organizzative
Sommario: 1. Le biblioteche pubbliche statali annesse a stabilimenti ecclesiastici dichiarati monumenti nazionali. - 2. La normativa attuale. - 3. La situazione organizzativa. - 4. La questione degli organici.
The state public libraries attached to monastic corporations: organizational issues
The libraries attached to national nonuments is a particular type of public state libraries located in Lazio, Campania and Veneto, annexed to important ecclesiastical establishments originally belonged to monastic corporations suppressed from 1866. With reform of the Ministry of Culture of 2014, these institutes, who have always been employed by the Directorate-General for Libraries and Cultural Institutions that have managed them through conventions with the original owned Orders, guaranteeing funds for maintenance and personnel, have been partially inserted into the "poli museali", part are now autonomous and also endowed with their own state personnel. The contribution, after a legal-historical framework, illustrates the current organizational and management issues, proposing some solutions.
Keywords: National Monuments; State Libraries; Poli museali; Monastic Corporations; Central Administration of Mibact.
1. Le biblioteche pubbliche statali annesse a stabilimenti ecclesiastici dichiarati monumenti nazionali
Con la denominazione di biblioteche annesse a stabilimenti ecclesiastici (legge 12 agosto 1993, n. 320), altresì dette biblioteche annesse ai monumenti nazionali (d.p.r. 5 luglio 1995, n. 417), si intende una particolare tipologia di biblioteche pubbliche statali inserite all'interno di alcuni complessi monastici inclusi nell'elenco dei cosiddetti "monumenti nazionali".
Tale ultima espressione individua una serie di edifici e di luoghi che lo Stato italiano o gli Enti locali hanno classificato negli anni come rilevanti per le proprie caratteristiche storiche, simboli di riferimento per la comunità nazionale, talvolta ricollegati alla memoria di personalità importanti.
L'origine di tale operazione declaratoria risale agli anni immediatamente successivi all'Unità d'Italia quando un certo numero di edifici e luoghi, venne definito "monumento nazionale". Tra questi vi erano alcune emergenze monumentali originariamente appartenute a corporazioni monastiche soppresse nel 1866 con provvedimento legislativo (d. luogoten. 7 luglio 1866, n. 3036, art. 33 in forza della legge 28 giugno 1866, n. 1866), che stabiliva tra l'altro che il neonato Stato italiano fosse obbligato alla loro conservazione, escludendoli da vendite o da trasformazioni in altri usi. La stessa legge, oltre a dichiarare immediatamente "monumenti nazionali" alcuni edifici, stabiliva che altri beni potessero ottenere la stessa qualificazione, secondo la procedura stabilita dalle norme regolamentari di attuazione della legge stessa che prevedeva che la designazione avvenisse da parte del Consiglio di amministrazione del Fondo per il culto approvata dal ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti. La stessa possibilità venne ribadita in altri provvedimenti legislativi (legge 15 agosto 1867, n. 3848 e r.d. 5 luglio 1882, n. 917) che stabilirono che tale designazione fosse assegnata con decreto reale e anche con l'intesa del ministero dell'Istruzione pubblica.
Pochi anni dopo, nel 1870, la giunta di Belle arti richiedeva la stesura di elenchi degli edifici pubblici meritevoli di essere annoverati fra i monumenti nazionali, che vennero stilati dalle commissioni consultive di Belle Arti, costituite a partire dal 1864 in diverse province del Regno, e che confluirono nel 1875 nel primo Elenco dei monumenti nazionali medievali e moderni. Tale elenco venne ancora successivamente incrementato e corretto nel 1896, anno nel quale il ministero dell'Istruzione pubblica richiese agli uffici regionali la redazione di specifiche schede che riconoscessero per i monumenti in oggetto l'importanza nazionale, regionale o locale. Finalmente nel 1902 veniva edito a Roma l'Elenco degli edifici monumenti nazionali in Italia.
Assenti nelle prime leggi di tutela dei beni di interesse storico artistico che non citano i monumenti nazionali, preferendo introdurre il concetto di "cose mobili e immobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico", tali immobili, divenuti demaniali, vennero esplicitamente menzionati soltanto nel d.p.r. 7 settembre 2000, n. 283 ("Regolamento recante disciplina delle alienazioni di beni immobili del demanio storico e artistico"), ora abrogato; successivamente il Codice dei beni culturali (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) li ricomprende insieme al patrimonio mobile, pur senza citarli esplicitamente, tra le cose immobili e mobili testimonianze della storia e dell'identità delle istituzioni religiose (art. 10, comma 3, lett. d) e ne ha sancito, menzionandoli espressamente, l'inalienabilità assoluta (art. 54, comma 1, lett. b); cfr. anche la circolare n. 13 del 5 giugno 2012 della direzione generale per il paeaggio, le belle arti, l'architettura e l'arte contemporanee, Servizio II - Tutela del patrimonio architettonico).
Le biblioteche annesse agli stabilimenti ecclesiastici, argomento specifico di questo saggio, comprendono in sostanza undici raccolte allocate presso alcuni complessi monumentali dichiarati "monumenti nazionali" situati nel Lazio, in Campania e in Veneto. La legge del 1866 (d. luogoten. 7 luglio 1866, n. 3036) stabiliva, all'art. 33, che sarebbe stato provveduto dal Governo alla conservazione delle biblioteche delle Badie di Montecassino (Cassino) e di Cava dei Tirreni; successivamente, con r.d. 5 luglio 1882, n. 917, furono consegnati al ministero dell'Istruzione il Convento di Montevergine (Mercogliano), l'Oratorio dei Gerolamini (Napoli), l'Abbazia di Praglia (Teolo), la Certosa di Trisulti (Collepardo), il Monastero di S. Scolastica (Subiaco), l'Abbazia di S. Nilo (Grottaferrata) e l'Abbazia di Casamari (Veroli), queste ultime due già dichiarate monumenti nazionali con decreto 28 febbraio 1874, n. 206 del ministero per gli Affari di grazia e giustizia e dei culti. Tutti questi siti contenevano importanti biblioteche. Ancora più recentemente l'elenco si incrementò con altri monasteri dotati di ricche raccolte librarie: l'Abbazia di Farfa (Fara in Sabina), dichiarata monumento nazionale nel 1928 (r.d. 11 ottobre 1928, n. 2290) e l'Abbazia di S. Giustina (Padova) nel 1946 (d.c.p.s. 29 novembre 1946, n. 534), che però restarono di proprietà del Fondo Edifici di culto.
Tali biblioteche vennero menzionate per la prima volta, senza però annoverarle tra le biblioteche governative, nel regolamento organico delle biblioteche statali del 1907 (r.d. 24 ottobre 1907, n. 733), che all'art. 3 ne prescriveva l'applicazione della norma e il rispetto dell'uso pubblico, cosa che in realtà fu in quegli anni in gran parte disattesa, generalmente per ragioni di tutela del patrimonio e inagibilità dei locali oltre a rivendicazioni circa la retribuzione del personale ecclesiastico incaricato della loro gestione. Esse vennero elencate per la prima volta soltanto nel regolamento delle biblioteche statali del 1967 (d.p.r. 5 settembre 1967, n. 1501) e la stessa lista venne riproposta in quello attualmente in vigore (d.p.r. 5 luglio 1995, n. 417) che a tutt'oggi ne regola il funzionamento.
Fin dalle origini la custodia di tali biblioteche venne assegnata ai religiosi degli ordini monastici originariamente proprietari, rinunciando lo Stato ad una gestione diretta, mentre i complessi monumentali nelle quali erano inserite vennero inizialmente assegnati alle cure delle soprintendenze per le antichità e belle arti, per poi anch'essi ricadere sotto la custodia dei religiosi con delega della soprintendenza competente.
Lo Stato garantì costantemente negli anni alle biblioteche annesse ai monumenti nazionali finanziamenti per la manutenzione, restauro, acquisto di attrezzature, fin dai tempi del regolamento delle biblioteche del 1907, soprattutto a quegli istituti che dimostravano maggiore vitalità e capacità progettuale. I rapporti tra le biblioteche annesse e quelle pubbliche statali tout-court non vennero però mai chiariti se non in anni recenti, nonostante fin dal 10 aprile 1967 fossero stati organizzati un incontro ad hoc presso la Basilica di San Paolo fuori le Mura e, successivamente, il 19 novembre 1970 il Primo convegno di bibliotecari delle biblioteche dei monumenti nazionali, presso l'Abbazia di Montevergine. Ad essi seguì poi un ulteriore incontro, indetto dal direttore generale per le accademie e biblioteche, presso la Basilica di S. Paolo il 2 luglio 1971 a cui parteciparono i conservatori dei monumenti nazionali e i bibliotecari, ad eccezione di Montecassino, nel quale furono definite le necessità di personale per il funzionamento degli istituti, proponendo uno schema di disegno di legge che permettesse di retribuire i religiosi addetti alla biblioteca. La nascita nel 1975 del ministero dei Beni culturali e Ambientali e le difficoltà espresse dalla commissione affari costituzionali perplessa sulla possibilità di remunerare dei religiosi, dopo un lungo iter parlamentare e il fallimento del disegno di legge, presentato al Senato nella seduta del 18 maggio 1977, che avrebbe previsto l'assegnazione di contingenti di personale e la retribuzione dell'incarico di direttore, si giunse a stabilire di assegnare un contributo annuale per le spese di personale sulla base delle effettive esigenze.
La norma che regolamentò i rapporti tra il ministero e le biblioteche fu la L. 2 dicembre 1980, n. 803. Essa stabilì che le biblioteche venissero gestite attraverso la stipula di una convenzione biennale tra il ministero dei Beni culturali e i conservatori degli stabilimenti ecclesiastici i quali avrebbero dovuto svolgere gratuitamente il compito di adempiere alle clausole della convenzione stessa. In essa venivano definite le unità di personale, con le relative categorie funzionali che il conservatore doveva assumere per il funzionamento della biblioteca, con il relativo compenso e gli oneri contributivi previdenziali e assistenziali, gli obblighi di servizio, nonché l'orario di apertura della biblioteca [1]. In quell'occasione il ministero definì, con la contestuale istituzione di un capitolo speciale nel bilancio dello Stato, una somma (successivamente integrata) da ripartirsi tra i conservatori delle biblioteche con la quale sarebbe stato consentita l'assunzione con rapporto di collaborazione di carattere privatistico (senza appartenere quindi ai ruoli del ministero e senza poi vantare pretese in tal senso) di unità di personale (non superiori a tre per istituto) [2], necessarie al funzionamento tra soggetti in possesso di idonei requisiti professionali previsti dalla corrispondente qualifica statale, senza quindi assegnare alle biblioteche stesse uno specifico organico.
Con la legge 12 agosto 1993, n. 320 veniva aumentato il contributo annuo per le biblioteche annesse ai monumenti nazionali e si stabiliva che ad esse potesse essere assegnato personale dipendente dal ministero dei Beni culturali in posizione di distacco al fine di assicurare la conservazione del patrimonio librario di pertinenza. Nel 2000 vennero stipulate nuove convenzioni per il biennio 2001-2002 che precisavano meglio i rapporti tra il ministero e l'ente conservatore, convenzioni che, pur con modifiche, sono state rinnovate fino ad oggi. In origine si stabiliva che la convenzione potesse essere risolta de iure indipendentemente dalla scadenza naturale da parte del ministero "in caso di approvazione, da parte dei competenti organi, dei nuovi organici delle biblioteche annesse ai monumenti nazionali". Di tale eventualità il ministero avrebbe informato il conservatore concedendo a quest'ultimo almeno tre mesi per consentire gli ultimi adempimenti.
Si definivano anche meglio i compiti del conservatore: esso assumeva il ruolo di funzionario delegato, obbligato quindi alla rendicontazione delle somme ricevute ai sensi del regolamento della contabilità dello Stato; acquisiva l'obbligo di custodia dei locali e dei beni contenuti, in applicazione del regolamento delle biblioteche pubbliche statali (d.p.r. 5 luglio 1995, n. 417); poteva nominare il direttore che avrebbe assunto tale incarico a titolo onorifico e gratuito e previa comunicazione all'ufficio centrale (ora direzione generale) del nominativo su cui poi avrebbe espresso il proprio gradimento, e a cui il conservatore avrebbe potuto delegare compiti e funzioni, ad esclusione delle responsabilità contabili e di debito di consegna. Il conservatore inoltre poteva stipulare contratti privatistici biennali con collaboratori esterni, sempre nel rispetto delle mansioni del personale di ruolo delle biblioteche statali e in possesso degli stessi titoli di studio, fatta salva l'equipollenza dei titoli ecclesiastici. Tale personale doveva essere edotto sull'organizzazione e sulla normativa delle biblioteche statali e svolgere il proprio servizio per un massimo di 36 ore settimanali. L'apertura della biblioteca doveva essere garantita almeno per 36 ore in linea con le esigenze del pubblico; inoltre era fatto obbligo di redigere un regolamento interno da sottoporre all'approvazione ministeriale. Si riconfermava inoltre la possibilità da parte del conservatore, al fine di garantire l'ottimale funzionamento della biblioteca, di richiedere il distacco di personale del ministero. Il ministero garantiva attraverso suoi funzionari la vigilanza sul rispetto della convenzione e sul funzionamento della biblioteca stessa.
Con il tempo alcuni termini delle convenzioni sono stati modificati: innanzitutto è stata cassata la clausola di scioglimento della convenzione in caso di assegnazione di organico, indicando genericamente che essa potrà essere "risolta in qualsiasi momento da parte del ministero"; si è precisato che il conservatore dovrà curare "la gestione, in nome e per conto dell'Ordine religioso, del personale in servizio presso la Biblioteca, assumendo altresì la funzione di datore di lavoro" ai sensi delle norme in vigore sulla salute e sicurezza nei posti di lavoro; si è indicato che l'eventuale nomina del direttore avvenga tra i religiosi dell'Ordine e, se non ritenuto idoneo da parte della direzione generale, esso potrà essere sostituito con un funzionario della direzione generale stessa o di altri istituti del ministero; si è definito che l'eventuale personale ministeriale che intenda operare in distacco presso la Biblioteca dovrà essere richiesto dal conservatore al segretario generale del ministero; che l'orario di apertura è determinato "secondo modalità adeguate al contesto religioso" in cui la biblioteca si colloca, senza più quindi il rispetto delle 36 ore settimanali; si è dato risalto agli obblighi del conservatore di trasmettere immediatamente al ministero la notifica di eventuali sottrazioni, dando pure la facoltà alla direzione generale, in tale caso o per violazioni alle norme del regolamento delle biblioteche statali, di sospendere o rimuovere il conservatore o il direttore.
Riepilogando quindi le biblioteche annesse ai monumenti nazionali sono ad oggi biblioteche pubbliche statali a tutti gli effetti regolate dal citato d.p.r. 5 luglio 1995, n. 417 e sono in consegna ad un conservatore. Fa al momento eccezione la Biblioteca dei Gerolamini (ora Biblioteca Statale Oratoriana dei Gerolamini), che a seguito dei noti gravissimi fatti dolosi, è passata in consegna al ministero, ai sensi della convenzione del 18 ottobre 2013 con l'Ordine della Confederazione dell'Oratorio di San Filippo Neri. L'ufficio centrale prima e la direzione generale biblioteche e istituti culturali, poi, ne hanno da sempre garantito i finanziamenti per il funzionamento, la manutenzione e per l'assunzione di personale addetto.
3. La situazione organizzativa
La riforma attuata dal ministro Franceschini (d.p.c.m. 20 agosto 2014, n. 171; d.m. 27 novembre 2014) e in particolare il suo regolamento (d.m. 6 agosto 2015) ha ridisegnato la posizione delle biblioteche annesse ai monumenti nazionali all'interno dell'organizzazione del ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo.
Se in precedenza esse, non dotate di organico, facevano riferimento direttamente alla direzione generale biblioteche e istituti culturali che ne assicurava il funzionamento e la cura delle trattative sindacali per il personale, ai sensi del d.m. 23 dicembre 2014, art. 20 alcune di esse sono state aggregate ai poli museali. O meglio, nel d.m. sono citati i monumenti nazionali, includendo, de facto, senza menzionarle, ma evidentemente prendendole in considerazione, le biblioteche allocate presso di essi. In effetti la monumentalità dei locali ha avvicinato in questi ultimi anni tali biblioteche ai musei: interessate generalmente da visite guidate e dalla partecipazione a iniziative ministeriali di aperture straordinarie come i musei, due di esse, la Biblioteca di S. Scolastica e quella di Farfa, hanno allestito al loro interno spazi espositivi permanenti dedicati alle collezioni bibliografiche.
In particolare le Abbazie di Casamari, Grottaferrata, Montecassino, Subiaco e la Certosa di Trisulti sono state aggregate nel 2014 al Polo museale del Lazio, mentre il Monumento nazionale dei Gerolamini di Napoli è stato incluso successivamente nel Polo regionale della Campania nel 2016 (d.m. 23 gennaio 2016) con titolo di Complesso monumentale dei Gerolamini. Le altre biblioteche (Biblioteca dell'Abbazia di Santa Giustina di Padova, Biblioteca dell'Abbazia di Praglia, della Badia della SS. Trinità di Cava dei Tirreni, dell'Abbazia del Santuario di Montevergine), non citate tra gli istituti compresi nei poli museali, sono quindi da considerarsi autonome e indipendenti.
Rientrando tra le biblioteche pubbliche statali ai sensi del d.p.r. 5 luglio 1995, n. 417, esse dovrebbero mantenere la propria autonomia tecnico-scientifica e la dipendenza dalla direzione generale biblioteche e istituti culturali ma, essendo gestite in convenzione con i religiosi, risulta da chiarire la modalità di nomina del direttore che, per le altre biblioteche annesse ai musei, avviene da parte della direzione generale biblioteche e istituti culturali la quale, su proposta del direttore del museo competente, nomina il direttore della biblioteca statale. Tra l'altro il direttore della biblioteca annessa ad un museo ha perso il ruolo di funzionario delegato, cosa che invece a tutt'oggi è mantenuta dal conservatore delle biblioteche annesse ai monumenti nazionali, ai sensi delle convenzioni in essere.
4. La questione degli organici
Le biblioteche annesse ai monumenti nazionali non hanno mai avuto fino al 2016 un proprio organico effettivo. Se ne era discusso fin dai tempi della legge 285 del 1977 per l'occupazione giovanile quando numerosi giovani avevano svolto il loro servizio proprio presso i monumenti nazionali e che, una volta entrati in ruolo, erano stati costretti a trasferirsi nelle biblioteche pubbliche statali, ma nulla fu definito al riguardo, preferendo che l'organico venisse costituito da personale con contratto privatistico e dal supporto di personale di ruolo distaccato.
Il recente d.m. sugli organici del ministero dei Beni culturali (d.m. 14 settembre 2016 rettificato con d.m. 19 settembre 2016) ha considerato anche quello delle biblioteche in questione, includendolo nel conto generale del rispettivo polo museale di appartenenza o definendolo ex novo per quelle non incluse. In sostanza è stato trasferito nell'organico degli istituti, quel personale ministeriale distaccato che svolgeva ab initio servizio presso la biblioteca (manca l'Abbazia di Praglia che non è stata considerata perché non aveva alcun personale distaccato, ma che dovrà esserne dotata, almeno in maniera minimale) e che francamente risulta nella maggioranza dei casi davvero sovradimensionato (soprattutto Montevergine), anche in considerazione degli orari di apertura al pubblico estremamente ridotti e dell'esiguità delle incombenze amministrative.
Di conseguenza sono state incluse nelle recenti procedure di mobilità del personale ministeriale (circolare 25 gennaio 2016, n. 14) anche le biblioteche dei monumenti di Cava dei Tirreni, di Montevergine e dei Gerolamini che hanno visto stabilizzarsi una certa parte del personale in servizio presso di esse.
L'emanazione del d.m. in questione, se non costituisce più il presupposto per lo scioglimento de iure delle convenzioni in essere, che un tempo sarebbero rimaste in vigore fintanto che non fosse stato stabilito per ogni istituzione un proprio organico, fa necessariamente meditare sulla situazione organizzativa interna e sul ruolo che possa avere il conservatore o il direttore nei confronti del personale ministeriale. Tutto ciò anche per definire chi debba essere considerato datore di lavoro e quindi di conseguenza titolare delle trattative sindacali.
Tale problema non è per nulla peregrino e si inserisce in un discorso più ampio della mappatura delle sedi di contrattazione e delle rappresentanze sindacali unitarie (Circolare ministeriale 17 gennaio 2012, n. 20). All'epoca in essa il rispettivo personale distaccato presso le biblioteche dei monumenti nazionali risultava aggregato alle rappresentanze sindacali unitarie dei segretariati (già direzioni) regionali della Campania e del Veneto. Successivamente con accordo tra amministrazioni e organizzazioni sindacali del 2 dicembre 2014 a cui seguì la nota della direzione generale organizzazione (protocollo d'intesa n. 9684 del 23 marzo 2015) alla direzione generale biblioteche e istituti culturali, quest'ultima in data 27 marzo 2015 incaricava il direttore della Biblioteca Nazionale centrale di Roma di provvedere alla contrattazione locale dei progetti di produttività e di miglioramento dei servizi culturali e amministrativi resi all'utenza nonché dei progetti relativi alle aperture straordinarie per tutte le biblioteche annesse ai monumenti nazionali del Lazio, lasciando invece le altre alla titolarità del segretario regionale della rispettiva regione. Tutto ciò avrebbe dovuto svolgersi ovviamente anche alla presenza del conservatore o del direttore dei monumenti nazionali stessi, cosa che in realtà non è mai avvenuta, e ci si domanda come possano essere contrattate questioni organizzative in assenza di coloro che in effetti ne sono i responsabili. L'emanazione del recente d.m. degli organici invita in ogni caso a modificare la situazione, assegnando ai direttori dei poli corrispondenti la titolarità della contrattazione sindacale, in qualità di datori di lavoro, come si evince ora anche da apposita circolare proprio su questo tema (d.m. 14 settembre 2016), e individuare per le altre biblioteche non incluse nei poli il titolare della contrattazione stessa, con la nomina di un direttore interno da parte della Direzione generale biblioteche e istituti culturali previa l'indizione di bando per interpello di posizione organizzativa di direzione, come per tutte le altre biblioteche che non sono sedi dirigenziali.
I rapporti con le congregazioni religiose potrebbero invece essere regolati attraverso le norme della valorizzazione dei beni di appartenenza pubblica, ai sensi del Codice dei beni culturali (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 112), che prevedono la possibilità di stipula di accordi anche con soggetti privati "per regolare servizi strumentali comuni destinati alla fruizione e alla valorizzazione di beni culturali".
Note
[1] Su queste tematiche cfr. L. Marziano, Tra passato e futuro. Le biblioteche pubbliche statali dall'Unità d'Italia al 2000, a cura di Franco Sicilia, Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato. Libreria dello Stato, 2004, pp. 263-303, che tra l'altro pubblica in appendice i modelli di convenzione stipulate fino a quella data.
[2] Dalle convenzioni siglate (approvate con d.m. 25 marzo 1981) si evince che tutte prevedevano originariamente un posto di direttore di biblioteca (di VII o VIII livello); Montecassino, Gerolamini, S. Giustina, Subiaco, anche quello di un bibliotecario (VII livello); Cava dei Tirreni, Montevergine, Praglia anche di un aiuto bibliotecario che doveva espletare allo stesso tempo compiti di ragioniere (VI livello); Gerolamini, S. Giustina, Trisulti anche quello di un coadiutore (IV livello); Casamari, Cava dei Tirreni, Farfa, Grottaferrata, Montevergine anche quello di un custode (II livello).