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La riforma organizzativa del Mibact

Gli archivi nella riforma dei beni culturali [*]

di Lorenzo Casini

Sommario: 1. Premessa. - 2. La situazione immediatamente precedente la riforma. - 3. Le linee ispiratrici della riforma del 2014. - 4. Le scelte compiute in materia di archivi. - 5. Le prospettive: "archivi(sti) deliranti"?

The Archives in the Reform of the Cultural Heritage
The article examines how Italian Archives have been regulated by the 2014 Reform of Cultural Property, namely within the new organizational framework of the Ministry for Cultural Heritage.

Keywords: Archives; Administrative Reform; Cultural Heritage.

"Who controls the past controls the future.
Who controls the present controls the past." [1]

1. Premessa

Il "controllo" di passato, presente e futuro è un aspetto centrale per comprendere l'importanza di un archivio. Soprattutto oggi che l'innovazione tecnologica agevola la trasmissione delle informazioni, anche non veritiere: basti pensare al numero di errori che quotidianamente troviamo su wikipedia, ma che noi stessi poi non correggiamo.

La dimensione temporale degli archivi si rintraccia in molti dei "dualismi" ben noti alla scienza archivistica, come quello tra archivio corrente e archivio storico [2]. Non a caso, un noto archivista ha scritto che "l'interesse dello Stato agli archivi trova [...] la sua giustificazione in due diversi ordini di motivi e cioè: a) la certezza del diritto che deve essere garantita ad ogni cittadino attraverso la conservazione degli atti che possono contribuire a quella certezza; b) le esigenze della cultura storica ed in genere delle scienze, che debbono essere soddisfatte anche attraverso la conservazione delle fonti documentarie di quelle. Esiste, cioè, ormai riconosciuto un diritto del cittadino alla conoscenza e possibilità di utilizzazione della documentazione che lo riguarda sul piano della tutela dei propri interessi, così come un diritto alla conoscenza e studio della documentazione delle epoche passate ai fini storici, intendendo tale studio come una esigenza dello spirito umano" [3].

A sessanta anni di distanza, queste riflessioni sono ancora drammaticamente attuali, se si pensa che furono scritte trent'anni prima che in Italia fosse riconosciuto in via generale il diritto di accesso ai documenti amministrativi (legge n. 241 del 1990). Gli archivi, infatti, rispecchiano in ogni aspetto la complessità della società e del suo tempo passato, presente e futuro [4].

Questa prolusione prende in esame gli archivi nella riforma dei beni culturali, con particolare riguardo alla riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo operata con il d.p.c.m. 29 agosto 2014, n. 171. In primo luogo, è ricostruita la situazione immediatamente precedente la riforma. In secondo luogo, sono illustrate le linee ispiratrici della riorganizzazione attuata con il nuovo regolamento. In terzo luogo, sono esposte le scelte compiute in relazione agli archivi. Infine, sono considerate le prospettive e le linee di sviluppo post-riforma.

2. La situazione immediatamente precedente la riforma

Per prima cosa è necessario ricostruire il quadro di partenza. A tal fine, non è necessario ripercorrere tutte le tappe che hanno portato a quest'ultima riforma. Basti qui sottolineare che quest'anno, il 2015, ricorrono 140 anni dal regio decreto sull'organizzazione degli archivi di stato (allora gli archivi erano 19) e che, 40 anni fa, gli archivi venivano trasferiti al Ministero per i beni culturali e ambientali. Assegnati sì, ma senza subire modifiche: l'articolo 25 del d.P.R. n. 805 del 1975 precisava che "Nulla è innovato alle norme vigenti sull'ordinamento dell'Archivio centrale dello Stato", così come il successivo articolo 26 ammoniva che "Gli uffici e i servizi attualmente esistenti presso l'Amministrazione degli Archivi di Stato restano quali oggi configurati (...)".

Appare utile evidenziare, allora, quali sono le costanti che hanno condizionato l'organizzazione degli archivi dal loro ingresso nel settore dei beni culturali a oggi. Un ingresso sì avvenuto 40 fa, ma teorizzato sin dal 1870 e di cui una delle maggiori conferme si ebbe nei lavori della Commissione Franceschini, con una parte importante dedicata i problemi degli archivi (oltre alle dichiarazioni in materia di beni archivistici, tra le quali quella dal suggestivo titolo "Documenti dei pubblici poteri", la Dichiarazione LI).

Gli archivi, in particolare, hanno condiviso due dei problemi di fondo che hanno caratterizzato in misura crescente la disciplina dei beni culturali in Italia. Un primo problema è il "disallineamento" tra la disciplina sostanziale e quella dell'organizzazione amministrativa. Un secondo problema è il "dominio" assoluto dei beni, ossia delle cose, rispetto agli istituti.

Se gli archivi non hanno potuto sottrarsi a questi due "dilemmi", essi hanno almeno potuto evitare il terzo nodo problematico della disciplina dei beni culturali, ossia il litigioso riparto di competenze Stato-Regioni. Le costanti del sistema degli archivi, del resto, sono state chiarite molto bene: si tratta di una organizzazione per eccellenza statale, uniforme su tutto il territorio nazionale (il che non ha comunque impedito il formarsi di particolarismi da archivio ad archivio) [5].

Quali sono stati gli effetti prodotti sugli archivi dai due dilemmi giuridici dei beni culturali - disallineamento tra disciplina sostanziale e organizzativa, da un lato, e predominanza dei beni sugli istituti, dall'altro?

Quanto al disallineamento, basti citare i casi del testo unico del 1999 e del Codice dei beni culturali, scritti in entrambi casi in totale non curanza di come il Ministero si stesse contemporaneamente riorganizzando. Quando si scriveva il Codice, nell'autunno del 2003, si scelse di usare sempre, salvo casi eccezionali, la formula generica "il Ministero", perché ancora non si sapeva quale organizzazione esso avrebbe avuto. Una scelta saggia in termini di drafting e di gerarchia delle fonti, ma che dà l'idea del distacco con cui queste due operazioni - la codificazione e la riorganizzazione - furono compiute. Ma questo paradosso risale già al 1939, quando le soprintendenze furono riorganizzate usando un lessico diverso da quello delle due leggi Bottai [6].

I rischi e i danni di non considerare congiuntamente la disciplina sostanziale, e soprattutto le funzioni, e quella organizzativa sono evidenti se si guarda alle modifiche degli ultimi anni. In materia di paesaggio, ad esempio, tra il 2004 e il 2008, da un lato, lo Stato si riappropriava di gran parte delle competenze (si pensi alla previsione di un accordo per approvare i piani paesaggistici oppure al parere obbligatorio e vincolante per le autorizzazioni paesaggistiche); dall'altro lato, il Ministero era allo stesso tempo costretto a tagliare uffici e personale: si aumentavano numero e consistenza delle funzioni, mentre si riducevano le risorse per svolgerle.

Quanto al dominio dei beni rispetto agli istituti, basti citare l'impostazione del Codice e la scarsa attenzione che in esso trovano gli istituti e i luoghi della cultura. Un risultato visibile dall'esame della produzione scientifica, soprattutto giuridica, che ha visto vincere il "benculturalismo" a danno degli istituti, con pochissima attenzione per musei, archivi e biblioteche (è sufficiente consultare dizionari ed enciclopedie giuridiche per vedere quanto l'interesse per questi temi sia diminuito; in alcuni casi i lemmi sono addirittura scomparsi).

Se poi si guardano, in particolare, gli archivi, si può rilevare che, in primo luogo, la disciplina sostanziale mai è stata davvero riconsiderata: del d.p.r. n. 1409 del 1963, 51 articoli su 73 sono ancora oggi in vigore. Inoltre, fino al 1998 gli archivi non sono stati mai davvero "toccati" dalla organizzazione del Ministero dei beni culturali, salvo ovviamente essere oggetto di tutte le disposizioni riguardanti la pubblica amministrazione in genere.

3. Le linee ispiratrici della riforma del 2014

La riforma del 2014, dunque, prova innanzitutto a correggere gli aspetti sopra illustrati. La riorganizzazione, sebbene nata da esigenze di contenimento della spesa, è stata l'occasione per intervenire su alcune "storture" realizzatesi in 40 anni di Ministero.

Le linee ispiratrici sono state perciò:

1) riallineare la disciplina dell'organizzazione amministrativa con le scelte compiute in termini di disciplina sostanziale: si pensi a quanto avvenuto con i musei, ad esempio, per cui dapprima vi è stato il d.l. n. 83 del 2014, al quale ha fatto seguito il regolamento di riorganizzazione;

2) riequilibrare il rapporto tra "cose" e "istituti": di qui la creazione di un sistema museale nazionale, il riconoscimento dei musei, la scelta di avere 3 Direzioni generali dedicate rispettivamente a musei, archivi e biblioteche;

3) dare piena attuazione all'articolo 9 della Costituzione in ogni suo aspetto, tutela, valorizzazione, cultura e ricerca scientifica e tecnica: donde la istituzione di una Direzione generale Educazione e ricerca - non a caso la prima elencata nel regolamento - nonché l'attribuzione di importanti compiti di studio e ricerca alle soprintendenze, ora alleggerite dai compiti di tutela.

Tutto ciò - che viene esaminato in modo approfondito nei contributi di questo numero - è stato compiuto prendendo spunto da decenni di lavori svolti da Commissioni e dalle relative proposte, da ultimo la Commissione D'Alberti, la cui relazione finale conteneva indicazioni e suggerimenti che sono stati raccolti e sviluppati con il d.p.c.m. n. 171 del 2014.

Bisogna dire, però, che il quadro da cui muovere era ed è a tratti disarmante. Vi sono infatti una fortissima carenza di informazioni e un difetto di coordinamento tra i diversi dati a disposizione, aggravato dall'assenza di una pianta organica consolidata. Questo è stato anche il frutto del mancato dialogo tra leggi di spending review e attuazione amministrativa, ognuna realizzata con tempi e modalità sfalsate. A questo va aggiunto il pessimo trattamento ricevuto dal Ministero dei beni culturali negli ultimi quindici anni. Due esempi: sebbene il Ministero sia tra i più "popolosi" quanto a dotazione organica (oltre 18.000 dipendenti), esso è il peggiore per rapporto dirigenti/personale, pari 1 a 100, ed è quello che riceve il contributo per straordinari meno significativo: 88 euro a dipendente (il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è a 145 euro a dipendente, altri Ministeri superano i 300 euro). Quanto alle esigue risorse finanziarie, si tratta di un tema noto da decenni e, per fortuna, quest'anno si è riusciti a invertire la tendenza negativa.

4. Le scelte compiute in materia di archivi

Quando si analizza il settore degli archivi, va innanzitutto ricordato il loro "peso".

Si parla di 1500 Km di scaffali: un lunghissimo scaffale immaginario che va da Roma a Parigi, senza interruzione [7]. Nel 1960, gli archivi italiani da soli erano il doppio di quelli dell'Europa (così si legge nei lavori della Commissione Franceschini) [8].

I frammentati dati sul personale mostrano però diverse incoerenze. Il totale del personale negli archivi di stato è 2.136 unità; mentre nelle soprintendenze archivistiche è di 290 unità. Meno di quante sono - o meglio erano - impegnate nei 4 poli museali di Roma, Napoli, Firenze e Venezia e nelle 2 soprintendenze speciali di Roma e Pompei, con circa 2.200 unità (e meno dei 2.300 dipendenti del solo Louvre...). E gli archivi costano quasi 20 milioni di euro di spese per affitti (di cui una buona parte è per l'Archivio centrale dello Stato).

Come sono regolati, dunque, gli archivi dalla riforma?

Quanto all'organizzazione, vi è una Direzione generale centrale dedicata - con 2 servizi, come la Direzione generale Musei e la Direzione generale Biblioteche - e un'articolazione periferica. Le Direzioni regionali sono state eliminate e dunque archivi e soprintendenze archivistiche ritornano in rapporto diretto gerarchico con la Direzione generale Archivi. Le strutture periferiche - 101 archivi di stato, di cui 6 dirigenziali, e 14 soprintendenze archivistiche, di cui 3 anche archivio di stato (Bologna, Palermo, Genova) - trovano definiti i propri compiti. Restano l'Istituto centrale per l'archivi e l'Archivio centrale dello Stato.

Una scelta di riordino complessivo - solo nel 2001 si era tentato di indicare i compiti di questi uffici, archivi e soprintendenze - nonché di semplificazione, con significativo snellimento delle declaratorie dei servizi della Direzione generale: in oltre 10 anni, infatti, l'elenco dei compiti si era allungato oltre modo, senza che migliorasse l'efficacia.

Circa le funzioni, invece, alla Direzione generale è stato assegnato un ruolo guida nella elaborazione di standard, nel rapporto con altre amministrazioni, nella razionalizzazione degli spazi, nella costituzione di poli archivistici. Alle soprintendenze sono stati affidati compiti ben definiti, da svolgere avvalendosi anche di personale degli archivi di stato (il che già avveniva ed era d'altronde l'unica possibilità, visti i numeri). Agli archivi di stato è stata riconosciuta piena autonomia tecnico-scientifica, nonché è stata data la possibilità di eseguire lavori fino a 100.000 euro. Tutti i direttori degli archivi non dirigenziali saranno funzionari delegati e tutte le strutture periferiche saranno centri di costo.

Non sono mancate, naturalmente, le critiche su alcuni aspetti di queste scelte.

In primo luogo, è stata contestata, ad esempio, la possibilità di prevedere accorpamenti tra istituti della cultura, ossia tra archivi, biblioteche e musei. L'articolo 3, comma 6, del d.m. 27 novembre 2014, infatti, stabilisce che "Al fine di migliorare la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale e in coerenza con ragioni di carattere storico, artistico, architettonico o culturale, con uno o più decreti ministeriali può essere disposto l'accorpamento di istituti e luoghi della cultura, quali musei, archivi e biblioteche, operanti nel territorio del medesimo Comune". La norma prevede una mera facoltà, per ora realizzata solo in pochissimi casi, assegnando biblioteche a musei ospitati nel medesimo edificio. La disposizione è stata - purtroppo - male interpretata, preconizzando un museo vorace che trangugia archivi e biblioteche con tutte le loro specificità, azzerandole. Ma non è così. La norma consente anche ad archivi di coesistere con biblioteche e viceversa, secondo quanto prospettato e osservato da decenni. Soprattutto, le reazioni a queste ipotesi hanno mostrato uno spirito di resistenza al dialogo lontanissimo da quanto auspicato da Giovanni Spadolini quando presentò la prima edizione del volume di Lodolini sull'organizzazione e sulla legislazione archivistica italiana: "la cultura non è né deve sentirsi un corpo separato" [9].

In secondo luogo, è stata criticata la scelta di avere previsto soprintendenze archivistiche-archivi di stato (in 3 casi), ma è pur vero che ciò già avveniva di fatto (Liguria) e, in tempi recenti, era stato espressamente previsto per Trento (e come fu in tutta Italia per 15 anni dal 1939 al 1953, quando si ebbe "l'unione personale" tra direttore d'archivio e soprintendente). Non va poi sottovalutato che ogni soprintendenza archivistica è sostanzialmente obbligata ad avvalersi del personale degli archivi di stato, se si pensa che, secondo i dati del controllo di gestione del Ministero, in alcune Regioni le soprintendenze archivistiche contano su 9 unità (come il Lazio) o 17 Toscana (ma, in Molise, risultano essere 28).

In terzo luogo, è stato contestato il forte taglio di posizioni dirigenziali nelle strutture archivistiche periferiche, da 35 a 20. E' vero. Ma il taglio - non scelto con la riforma, ma già deciso nel 2012 e conteggiato nel gennaio 2013 - era necessario proprio per assicurare un riequilibrio con tutti gli istituti, ossia anche i musei che, fino al 2014, mai avevano potuto contare su dirigenti a fronte di oltre 200 strutture. La riduzione di posizioni dirigenziali, inoltre, è stata compensata dalla maggiore autonomia del settore. E comunque tutti gli archivi - ora in rapporto diretto con la Direzione generale centrale - restano, come anticipato, centri di costo, con un direttore-funzionario delegato.

5. Le prospettive: "archivi(sti) deliranti"?

La riforma è solo all'inizio. Quali saranno allora i prossimi passi?

In primo luogo, va trattato e risolto il rapporto tra accesso e consultabilità degli archivi. Si pensi alle polemiche, non ancora sopite, della liberalizzazione delle foto nei musei e alle difficoltà di intervenire in modo analogo per archivi e biblioteche [10]. Vi è poi la sfida della digitalizzazione e della conservazione degli archivi digitali [11]. Sono tutti temi da trattare e risolvere. E la nuova disciplina della trasparenza amministrativa impone di individuare nuove ricette. Senza tralasciare gli effetti che produrrà sull'amministrazione degli archivi la riduzione da quaranta anni a trenta anni del termine per gli obblighi di versamento, da parte degli organi giudiziari e amministrativi dello Stato, dei i documenti relativi agli affari esauriti: una modifica introdotta in Italia nel 2014, in linea con quanto in Francia era auspicato dal noto rapporto Braibant [12].

In secondo luogo, occorre ripensare il regime giuridico degli istituti. In termini di maggiore autonomia, sul modello di quanto realizzato con i musei: occorre ridurre la distanza tra l'Italia e gli altri Paesi nell'importanza riconosciuta agli archivi come istituti della cultura (è sufficiente andare sui siti Internet degli archivi inglesi, ad esempio, per rendersene conto).

In terzo luogo, è necessario investire in formazione. Il programma di tirocini formativi per i 130 giovani ha visto premiato il settore degli archivi, ma non basta. E' necessario e urgente incidere sulla disciplina generale della pubblica amministrazione.

Alcune scelte sono state già compiute, specialmente nel d.l. n. 83 del 2014. Il credito di imposta introdotto con l'art. 1 del d.l. n. 83 del 2014 (il c.d. artbonus), ad esempio, si applica anche agli archivi. Le deroghe al tetto per assunzioni a tempo determinato previste dall'art. 8 del d.l. valgono per gli istituti e i luoghi della cultura e, dunque, anche per il settore archivistico. Così come sono già state previste risorse aggiuntive. Il Fondo per la tutela di 100 milioni annui istituito dalla legge di stabilità 2015 varrà anche per gli archivi. A gennaio 2015 è stato stanziato mezzo milione di euro per gli archivi di stato con riguardo ai documenti della Prima guerra mondiale.

La strada, però, è ancora lunga. Già sessanta anni fa un celebre archivista scrisse che "l'Archivista moderno, l'Archivista nuovo si va sempre più allontanando dal vecchio tipo di stretta osservanza quale ci venne delineato nella relazione della Commissione del 1870 sul riordinamento degli Archivi di Stato, secondo cui l'archivista 'non sceglie, non illustra, non confronta. Inventaria tutto, i diplomi e le bolle come le più umili carte; transunta dal primo all'ultimo documento di una serie né pensa se uno val più dell'altro, se un nazionale o uno straniero se ne gioverà. Serve alla storia, non si appassiona per nulla; e finito un registro ne prende un altro' [...] è chiaro che l'archivista puro, l'archivista-macchina è una figura mostruosa che, per fortuna, solo di rado ai nostri giorni s'incontra nei nostri istituti" [13].

L'auspicio per il futuro, allora, è che gli archivisti moderni possano essere anche "archivisti deliranti", capaci di creare storie incredibili e meravigliose attingendo all'archivio della cultura universale [14]. Perché, come osservò Spadolini nel 1975, plaudendo il passaggio degli archivi all'amministrazione dei beni culturali, la storia degli archivi è la nostra storia; e conservare gli archivi vuol dire conservare noi stessi [15].

 

Note

[*] Prolusione alle due giornate di studio "Archivi in Toscana. Fare rete, sfidare il futuro", organizzate dalla Soprintendenza Archivistica per la Toscana, dalla Scuola Normale Superiore e dalla Regione Toscana (Firenze, 29-30 gennaio 2015).

[1] G. Orwell, Nineteen Eighty-Four (1949).

[2] I. Zanni Rosiello, Gli archivi tra passato e presente, Bologna, 2005, e Id., Gli archivi nella società contemporanea, Bologna, 2009.

[3] L. Sandri, La storia degli archivi (1958), in Per la salvezza dei beni culturali in Italia, Roma, 1967, III, pag. 411 s.

[4] L. Giuva, S. Vitali, I. Zanni Rossiello, Il potere degli archivi. Usi del passato e difesa dei diritti nella società contemporanea, Milano, 2007.

[5] I. Zanni Rosiello, Gli Archivi di Stato: luoghi-istituti di organizzazione culturale, in Passato e presente, 1982, 2, pag. 153 ss., la quale osserva che "L'uniformità e l'accentramento hanno connotato dunque, e in modo persistente, l'organizzazione degli istituti archivistici a livello normativo e burocratico. Ma non sono riusciti a penetrare nei singoli ambienti locali e a livellare il concreto lavoro d'archivio svolto all'interno di detti ambienti".

[6] Lo notava M. Grisolia, La tutela della cose d'arte, Roma, 1952, pag. 515.

[7] Si v. Archivi in Italia, a cura della Direzione generale per gli Archivi, Roma, 2014.

[8] Per la salvezza dei beni culturali in Italia, cit., I, pag. 632.

[9] G. Spadolini, Prefazione alla Prima edizione di E. Lodolini, Organizzazione e legislazione archivistica italiana (1980), IV ed., Bologna, 1989, pag. 16.

[10] Su cui G. Gallo, Il decreto Art Bonus e la riproducibilità dei beni culturali, in Aedon, 2014, 3.

[11] Su cui si legga M. Guercio, Archivi digitali (2009), in Enc. Treccani.

[12] G. Braibant, Les Archives en France: rapport au Premier ministre, Paris, 1996.

[13] L. Cassese, Gli Archivi e la storia dell'economia degli Stati italiani prima dell'unità (1958), in Per la salvezza dei beni culturali in Italia, cit., pag. 412 s.

[14] "Archivista delirante" è come Umberto Eco definisce Jorge-Luis Borges (U. Eco, Borges e la mia angoscia dell'influenza (1997), in Id., Sulla letteratura, Milano, 2002, pag. 128 ss.).

[15] G. Spadolini, op. cit., sottolineava che "La storia dei nostri archivi è storia dei nostri maestri ed in definitiva di noi stessi. Una storia ritmata dal nesso infrangibile che esiste fra cultura e libertà e che a vario titolo e in vario modo gli archivi custodiscono. Quali che siano le smentite o le contrarietà che ci attendono, quel nesso deve intendersi irrinunciabile. Perché più forte di ogni inerzia legislativa, di ogni opacità amministrativa" (pag. 18).

 

 



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