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I beni immateriali tra regole privatistiche e pubblicistiche - Atti Convegno Assisi (25-27 ottobre 2012)

Le sponsorizzazioni dei beni culturali e il mercato

di Giuseppe Manfredi

Sommario: 1. La disciplina speciale delle sponsorizzazioni dei beni culturali. - 2. La duplice ratio della disciplina speciale: l'esigenza di tutela del pubblico interesse. - 3. Segue: e l'esigenza di tutela del mercato. - 4. Tutela del mercato e contratti pubblici. - 5. Tutela del mercato vs. sponsorizzazioni?.

The Market and the Sponsorships of Cultural Heritage
This work concerned with the evolution of the discipline of sponsorships of cultural heritage, and in particular points to the criticality of the rules in force.

Keywords: Cultural Heritage; Sponsorship; Tender Procedures.

1. La disciplina speciale delle sponsorizzazioni dei beni culturali

La disciplina speciale delle sponsorizzazioni dei beni culturali è il frutto di una serie di interventi normativi che si sono succeduti nell'ultimo quindicennio.

Contratti di sponsorizzazione venivano però stipulati pure in precedenza, perché anch'essi - come tutti gli istituti riconducibili al partenariato pubblico-privato - vengono incontro all'esigenza di reagire all'ormai cronica crisi fiscale dello Stato trovando forme di finanziamento delle attività delle pubbliche amministrazioni che non gravino sulla fiscalità generale [1].

Ed è appena il caso di ricordare che questa esigenza risulta particolarmente impellente proprio riguardo all'amministrazione dei beni culturali: almeno sino a quando non verranno attuate adeguate politiche di valorizzazione, la conservazione di una parte considerevole dei beni culturali mondiali comporta costi difficilmente sostenibili [2].

L'assenza di una disciplina speciale non poteva considerarsi d'ostacolo alla stipula di questi contratti: nella generale capacità di diritto privato delle pubbliche amministrazioni, per cui esse "god(o)no della possibilità di essere imputate di ogni conseguenza giuridica nell'ambito del diritto privato", rientra senz'altro anche il potere di stipulare contratti atipici [3].

Ai contratti di sponsorizzazione si applicavano inoltre le regole e i principi generali sull'azione amministrativa e sull'attività contrattuale delle pubbliche amministrazioni: ad esempio, riguardo alle procedure di affidamento nel silenzio della legge risultava applicabile l'art. 3 della legge di contabilità dello Stato n. 2440 del 1923 [4].

Nondimeno, a partire dalla seconda metà degli anni novanta il legislatore ha preso a emanare una serie di disposizioni speciali, che solo in parte risultano autenticamente innovative, dato che per altra parte esse costituiscono null'altro che la legificazione nel settore delle regole e dei principi generali di cui s'è detto.

Probabilmente questo processo si è avviato per due ordini di ragioni, che sono alla base anche della disciplina di altre forme di partenariato: in primo luogo, al fine di evitare che la collaborazione con gli operatori economici privati si traduca in una qualche lesione degli interessi della collettività, o, se si preferisce, degli interessi pubblici; in secondo luogo, al fine di tutelare da scelte contrattuali arbitrarie gli operatori economici, e, quindi, il mercato.

Le disposizioni speciali sulle sponsorizzazioni dei beni culturali rischiano però di tradursi nell'ennesimo esempio di iperregolazione, ossia in una disciplina eccessivamente dettagliata ed eccessivamente rigida, suscettibile di avere ricadute negative che superano quelle positive [5].

2. La duplice ratio della disciplina speciale: l'esigenza di tutela del pubblico interesse

Il pericolo che si verifichi una lesione per gli interessi pubblici riguardo alle sponsorizzazioni risulta meno grave di quanto non sia per altri istituti di partenariato.

Ad esempio, esso risulta meno grave di quanto non avvenga riguardo a un istituto su cui negli ultimi anni si è concentrata molta attenzione, perché (magari per eccesso di ottimismo) è sembrato essere la nuova frontiera degli strumenti di realizzazione di opere pubbliche, ossia la finanza di progetto.

Nell'impiego della finanza di progetto infatti è insito il rischio che finiscano per essere realizzate opere pubbliche, od opere di pubblico interesse, che si risolvono solo in un profitto per l'impresa che le realizza, anziché per la collettività; o che addirittura queste opere si traducano in un pregiudizio per i conti pubblici: il project financing in definitiva è una modalità di realizzazione della concessione di costruzione e gestione, che può riguardare pure le opere fredde, ossia quelle scarsamente redditizie, che in parte vengono finanziate con capitali pubblici [6].

Ma è ovvio che le sponsorizzazioni dei beni culturali non comportano rischi di questo genere: le sponsorizzazioni pure si risolvono nell'erogazione di una somma di denaro all'amministrazione, mentre quelle tecniche consistono sì nella realizzazione di lavori, che però nel settore che qui interessa riguardano interventi di restauro.

Per evitare lesioni degli interessi pubblici sono dunque risultate sufficienti le previsioni dell'art. 43 della legge n. 449 del 1997 (la cui efficacia è stata estesa agli enti locali dall'art. 119 del T.U. n. 267 del 2000), per cui le iniziative di sponsorizzazione "devono essere dirette al perseguimento di interessi pubblici, devono escludere forme di conflitto di interesse tra l'attività pubblica e quella privata e devono comportare risparmi di spesa rispetto agli stanziamenti disposti" [7].

In realtà queste disposizioni potrebbero considerarsi superflue, perché esse si limitano a esplicitare quanto discendeva già dai principi generali di cui s'è detto: anche nel silenzio della legge è scontato che alla pubblica amministrazione non è consentito stipulare contratti che non sono intesi al perseguimento di interessi pubblici o che implicano un conflitto di interesse tra attività pubblica e attività privata, etc.

Nel settore dei beni culturali assolve a una funzione analoga l'art. 120 del Codice dei beni culturali e del paesaggio n. 42 del 2004, che prevede che la sponsorizzazione deve avvenire "in forme compatibili con il carattere artistico o storico, l'aspetto e il decoro del bene culturale da tutelare o valorizzare" [8].

Qui pare però essersi verificato qualche problema in più: basti pensare alle polemiche registratesi negli scorsi anni in occasione del cosiddetto "impacchettamento" di alcuni edifici storici veneziani, ossia della copertura dei medesimi con cartelloni pubblicitari durante i lavori di restauro.

Probabilmente sono episodi di questo genere che hanno ispirato la modifica dell'art. 120 recata dal d.lgs. n. 62/2008, ossia l'accentramento della verifica della compatibilità in capo al Ministero per i beni e le attività culturali [9].

3. Segue: e l'esigenza di tutela del mercato

Il principale motore del processo di creazione della disciplina speciale delle sponsorizzazioni dei beni culturali è stato però senz'altro l'intento di tutelare il mercato evitando le alterazioni del gioco della concorrenza che derivano dalle scelte contrattuali arbitrarie, che privilegiano un operatore economico a scapito di altri.

L'Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, quando all'inizio dello scorso decennio era stata chiamata per la prima volta a occuparsi della disciplina delle sponsorizzazioni, nella determinazione n. 24/2001 aveva chiarito che questo tipo di contratto "resta fuori dall'ambito della disciplina comunitaria e nazionale degli appalti pubblici in quanto non è catalogabile come un contratto passivo, bensì comporta un vantaggio economico e patrimoniale direttamente quantificabile per la pubblica amministrazione mediante un risparmio di spesa".

Il che aveva indotto il legislatore a modificare con la legge n. 166 del 2002 l'art 2 della legge Merloni n. 109 del 1994 inserendovi la precisazione che la disciplina dei lavori pubblici non trova applicazione ai contratti di sponsorizzazione, salvo per quanto riguarda la qualificazione degli esecutori dei lavori.

L'esclusione delle sponsorizzazioni dall'ambito di applicazione della legge Merloni era stata poi ribadita dall'art. 2 del d.lgs. n. 30 del 2004 riguardo al settore dei beni culturali: peraltro, in consonanza con la tradizionale refrattarietà del settore all'applicazione della disciplina dei lavori pubblici, dovuta al fatto che per l'affidamento degli interventi di restauro in genere si è sempre teso a privilegiare la flessibilità [10].

Un parziale mutamento di indirizzo si è invece verificato con l'emanazione del Codice dei contratti pubblici del 2006.

L'art. 26 del Codice ha infatti confermato la non applicabilità della disciplina dei contratti pubblici alle sponsorizzazioni tecniche, e si è limitato a prevedere che "si applicano i principi del Trattato per la scelta dello sponsor nonché le disposizioni in materia di requisiti di qualificazione dei progettisti e degli esecutori del contratto".

Ma da ciò è discesa l'applicabilità anche ai contratti di sponsorizzazione (si badi bene: solo ai contratti di sponsorizzazione tecnica) del regime previsto per tutti i contratti esclusi dall'art. 27, ossia l'obbligo di rispettare i "principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità", e quello di far precedere l'affidamento del contratto dall'invito "ad almeno cinque concorrenti", ma solo se ciò sia "compatibile con l'oggetto del contratto" [11].

Queste due disposizioni sono state oggetto di una prima peculiare forma di "attuazione" in via legislativa tramite dell'art. 2 del d.l. n. 34 del 2011, relativo alle sponsorizzazioni degli interventi inseriti nel piano straordinario per l'area archeologica di Pompei.

Il comma 7 dell'art. 2 del decreto prevede che "allo scopo di favorire l'apporto di risorse provenienti da soggetti privati per l'esecuzione dei lavori, dei servizi e delle forniture" inseriti nel programma, "gli obblighi di pubblicità, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, previsti dagli articoli 26 e 27 del codice dei contratti pubblici, di cui al d.l. 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni" vengono assolti "con la pubblicazione di un avviso pubblico nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e, ove occorrente, nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea, nonché su due quotidiani a diffusione nazionale, per almeno trenta giorni, contenente un elenco degli interventi da realizzare, con l'indicazione dell'importo di massima stimato previsto per ciascun intervento. In caso di presentazione di una pluralità di proposte di sponsorizzazione, la Soprintendenza provvede ad assegnare a ciascun candidato gli specifici interventi, definendo le correlate modalità di valorizzazione del marchio o dell'immagine aziendale dello sponsor, secondo quanto previsto dall'articolo 120 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d.l 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni. In caso di mancata o insufficiente presentazione di candidature, il Soprintendente può ricercare ulteriori sponsor, senza altre formalità e anche mediante trattativa privata" [12].

L'ultimo capitolo di questa vicenda - almeno per ora - è l'inserimento nel Codice dei contratti pubblici dell'art. 199-bis operato dal decreto-legge n. 5 del 2012: una disposizione evidentemente ispirata dalle polemiche che erano sorte in ordine alla nota vicenda della sponsorizzazione del Colosseo [13].

Anche qui, come nel d.l. n. 34 del 2011, il legislatore pretende di dare "attuazione" ai principi sanciti dal Codice riguardo ai contratti esclusi ("al fine di assicurare il rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, di cui all'articolo 27"), ma le modalità di attuazione sono ben diverse da quelle previste nel decreto dell'anno precedente.

In primo luogo si prevede (si badi bene: sia in ordine alle sponsorizzazioni tecniche, sia in ordine alle sponsorizzazioni di puro finanziamento) che detti principi vengono garantiti tramite l'obbligo di inserire questi interventi nella programmazione triennale dei lavori pubblici di ciascuna amministrazione - "le amministrazioni aggiudicatrici competenti per la realizzazione degli interventi relativi ai beni culturali integrano il programma triennale dei lavori di cui all'articolo 128 con un apposito allegato che indica i lavori, i servizi e le forniture in relazione ai quali intendono ricercare sponsor per il finanziamento o la realizzazione degli interventi. A tal fine provvedono a predisporre i relativi studi di fattibilità, anche semplificati, o i progetti preliminari", soggiungendo però che "in tale allegato possono essere altresì inseriti gli interventi per i quali siano pervenute dichiarazioni spontanee di interesse alla sponsorizzazione".

In secondo luogo vengono indicate molto puntualmente, quasi puntigliosamente, le modalità di ricerca dello sponsor: "la ricerca dello sponsor avviene mediante bando pubblicato sul sito istituzionale dell'amministrazione procedente per almeno trenta giorni. Di detta pubblicazione é dato avviso su almeno due dei principali quotidiani a diffusione nazionale e nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, nonché per contratti di importo superiore alle soglie di cui all'articolo 28, nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea. L'avviso contiene una sommaria descrizione di ciascun intervento, con l'indicazione del valore di massima e dei tempi di realizzazione, con la richiesta di offerte in aumento sull'importo del finanziamento minimo indicato. Nell'avviso è altresì specificato se si intende acquisire una sponsorizzazione di puro finanziamento, anche mediante accollo, da parte dello sponsor, delle obbligazioni di pagamento dei corrispettivi dell'appalto dovuti dall'amministrazione, ovvero una sponsorizzazione tecnica, consistente in una forma di partenariato estesa alla progettazione e alla realizzazione di parte o di tutto l'intervento a cura e a spese dello sponsor. Nel bando, in caso di sponsorizzazione tecnica, sono indicati gli elementi e i criteri di valutazione delle offerte. Nel bando e negli avvisi è stabilito il termine, non inferiore a sessanta giorni, entro il quale i soggetti interessati possono far pervenire offerte impegnative di sponsorizzazione. Le offerte pervenute sono esaminate direttamente dall'amministrazione aggiudicatrice o, in caso di interventi il cui valore stimato al netto dell'imposta sul valore aggiunto sia superiore a un milione di euro e nei casi di particolare complessità, mediante una commissione giudicatrice. L'amministrazione procede a stilare la graduatoria delle offerte e può indire una successiva fase finalizzata all'acquisizione di ulteriori offerte migliorative, stabilendo il termine ultimo per i rilanci. L'amministrazione procede, quindi, alla stipula del contratto di sponsorizzazione con il soggetto che ha offerto il finanziamento maggiore, in caso di sponsorizzazione pura, o ha proposto l'offerta realizzativa giudicata migliore, in caso di sponsorizzazione tecnica. Nel caso in cui non sia stata presentata nessuna offerta, o nessuna offerta appropriata, ovvero tutte le offerte presentate siano irregolari ovvero inammissibili, in ordine a quanto disposto dal presente codice in relazione ai requisiti degli offerenti e delle offerte, o non siano rispondenti ai requisiti formali della procedura, la stazione appaltante può, nei successivi sei mesi, ricercare di propria iniziativa lo sponsor con cui negoziare il contratto di sponsorizzazione, ferme restando la natura e le condizioni essenziali delle prestazioni richieste nella sollecitazione pubblica. I progetti per i quali non sono pervenute offerte utili, ai sensi del precedente periodo, possono essere nuovamente pubblicati nell'allegato del programma triennale dei lavori dell'anno successivo".

4. Tutela del mercato e contratti pubblici

Le implicazioni di questa seconda linea di sviluppo della disciplina delle sponsorizzazioni dei beni culturali suscitano però più di una perplessità.

Ora, è scontato che le eccessive ingerenze dei pubblici poteri nell'economia che si erano verificate negli scorsi decenni non meritano nessun rimpianto [14].

Nondimeno, appare innegabile che negli ultimi tempi le esigenze di tutela del mercato sono state fin troppo enfatizzate, probabilmente perché (almeno sino a quando non è iniziata l'odierna crisi economica) la fiducia nel mercato sembrava essere diventata quasi una forma di ideologia in definitiva analoga a quelle che il neo-liberismo degli anni novanta intendeva superare (non caso per definirla è stato coniato anche un neologismo abbastanza brutto, mercatismo [15]).

Sicché, come spesso accade nell'esperienza umana, almeno per certi aspetti sembra essersi passati da un eccesso all'altro, o, se si preferisce, da una moda politico-culturale a un'altra moda politico-culturale.

Per quanto qui interessa, spesso si ha l'impressione che l'affermazione corrente secondo cui, soprattutto in conseguenza degli interventi normativi comunitari, il fondamento della disciplina dei contratti pubblici sarebbe ormai rappresentato solo dall'esigenza di garantire la concorrenza e il mercato, rischi di offuscare ciò che potremmo definire la natura delle cose sottostante a questa branca del diritto, ossia che i contratti in parola non sono solo un'occasione di profitto per le imprese, dato che essi restano pur sempre lo strumento di cui l'amministrazione si avvale per acquisire i beni e i servizi che necessari al fine di perseguire gli interessi della collettività [16].

Ma non solo: a ben vedere questa eccessiva enfatizzazione rischia anche di tradursi nella solita eterogenesi dei fini, e di andare a pregiudicare lo stesso mercato.

Essa infatti ha condotto a una vera e propria iperregolazione delle procedure di evidenza pubblica, la quale, oltre a mettere a rischio le esigenze di pubblico interesse per cui i contratti vengono stipulati, finisce per soffocare il naturale dinamismo del mercato [17] - senza poi considerare che tutte le cautele che così sono state apprestate a tutela della concorrenza spesso sono vanificate dal fatto che nel nostro ordinamento le aggiudicazioni dei contratti pubblici per lo più sono limitatamente giustiziabili, perché quando avvengono con il metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa sono considerate espressione di discrezionalità tecnica, la quale, come noto, viene considerata limitatamente sindacabile da parte del giudice amministrativo in forza di una opinabile assimilazione alla discrezionalità vera e propria [18].

Non pare d'altra parte casuale che di recente vi sia chi postula che si vada verso il superamento del sistema dell'evidenza pubblica per approdare a un "modello del dialogo", nel cui contesto le pubbliche amministrazioni potrebbero contrattare con gli operatori economici senza eccessivi formalismi [19]: a questa stregua si finisce dunque per voler tutelare il mercato dalla tutela del mercato.

Questa prospettazione non pare interamente convincente, per tacer d'altro perché, pur con tutti i guasti che vengono dalla sua iperregolazione, a tutt'oggi l'evidenza pubblica appare uno strumento insostituibile [20]: ma già il fatto che opinioni di questo genere siano emerse proprio in questi anni risulta significativo del disagio cagionato dalle conseguenze dalla iperregolazione dei contratti pubblici anche in chi è a favore della massima apertura al mercato.

5. Tutela del mercato vs. sponsorizzazioni?

I rischi derivanti dall'iperregolazione appaiono ancora più gravi proprio per quanto riguarda le sponsorizzazioni culturali.

Già da tempo si rileva che in questo settore le sponsorizzazioni non costituiscono un'esperienza completamente riuscita, perché non sono riuscite a attrarre i finanziamenti di cui il nostro patrimonio culturale avrebbe bisogno se non in minima parte [21].

E se a ciò si aggiunge che stiamo vivendo una congiuntura economica molto negativa, non pare che sia il caso di scoraggiare i potenziali investitori con formalità defatiganti.

Probabilmente già la scelta del legislatore del Codice dei contratti pubblici di assoggettare le sponsorizzazioni tecniche agli adempimenti previsti nell'art. 27 non era del tutto opportuna: soprattutto se si considera che, come aveva rilevato l'Autorità di vigilanza sui lavori pubblici già nel 2001, qui il legislatore non ha vincoli comunitari di sorta.

D'altro canto anche l'art. 2 del d.l. n. 34 del 2011, che, pur dichiarando di costituire "attuazione" dell'art. 27 del Codice, in realtà lo deroga in melius (ovvio: se si considera inopportuno l'irrigidimento delle procedure contrattuali), dimostra che degli inconvenienti della scelta fatta nel Codice dei contratti del 2006 non è inconsapevole neppure il legislatore.

Ma sempre a questa stregua criticabile appare soprattutto la novella recata al Codice dei contratti dal d.l. n. 5 del 2012: la quale risulta essere anch'essa una deroga (ma in peius) dell'art. 27, pur venendo presentata anch'essa come "attuazione" di questa disposizione [22].

I contenuti di questa disposizione risultano opinabili a maggior ragione se è vero che essi sono stati ispirati dalla vicenda della sponsorizzazione del Colosseo.

I media ci hanno informato che in un primo tempo il Commissario Delegato per la realizzazione degli interventi urgenti nelle aree archeologiche di Roma e Ostia Antica del Ministero per i beni e le attività culturali aveva indetto una procedura concorsuale per l'affidamento di una sponsorizzazione tecnica dei lavori di restauro del Colosseo: ma dopo aver giudicato irregolari entrambe le offerte pervenute, aveva stipulato a trattativa privata un contratto di sponsorizzazione pura con una delle due imprese che avevano partecipato alla procedura.

Come noto, l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha criticato questo iter, mentre l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici ne ha affermato la correttezza, ritenendo che sussistessero le "particolari ragioni" in presenza delle quali la legge di contabilità dello Stato ammette il ricorso alla trattativa privata: "l'infruttuoso svolgimento della suindicata procedura ha indotto l'amministrazione a ritenere non più percorribile la strada dell'affidamento del contratto di sponsorizzazione tecnica (con le caratteristiche indicate dall'art. 26 del Codice), per ricorrere a differente e distinta procedura, rispetto a quella già svolta, diretta all'affidamento di altra tipologia contrattuale: la sponsorizzazione di puro finanziamento, sottratta - per le ragioni sopra illustrate - alla disciplina del d.lgs. n. 163 del 2006 e disciplinata dalle norme di contabilità di Stato, contemplanti comunque l'esperimento di procedure trasparenti" [23].

Anche ove si dubiti della correttezza dell'operato del Commissario Delegato, risulta opinabile che si sia legiferato in modo estemporaneo, per così dire sull'onda della emotività, introducendo un regime che elimina ogni flessibilità nell'affidamento delle sponsorizzazioni dei beni culturali (non escluse le sponsorizzazioni pure), mentre l'affidamento di ogni altro contratto di sponsorizzazione dell'amministrazione resta regolato dalla legge di contabilità dello Stato e dai principi degli artt. 26 e 27 del Codice dei contratti.

E, quindi, introducendo un privilegio odioso scarsamente coerente con i principi di uguaglianza e di ragionevolezza, soprattutto se si considera che, come s'è detto, il settore dei beni culturali è forse quello che avrebbe maggior bisogno di ottenere risorse per il tramite delle sponsorizzazioni [24].

Inoltre appare incongruo che l'art. 199-bis per perseguire una finalità di tutela della concorrenza e del mercato abbia impiegato lo strumento della programmazione dei lavori pubblici, che in tutta evidenza è stato mutuato dalla disciplina della finanza di progetto: in tale contesto esso non è però funzionale alla tutela della concorrenza, ma, piuttosto, all'esigenza di evitare che la realizzazione di infrastrutture sia occasione di pregiudizio per gli interessi della collettività [25] - esigenza questa per cui riguardo alle sponsorizzazioni culturali risultano ampiamente sufficienti gli strumenti apprestati dall'art. 120 del Codice n. 42 del 2004.

Né va sottaciuto che la redazione dei progetti di sponsorizzazione da inserire nella programmazione dei lavori pubblici in certi casi può richiedere specifiche competenze in tema di comunicazione commerciale di cui gli uffici amministrativi non sono dotati.

Vero è che in proposito si può senz'altro ricorrere a forme di outsourcing, incaricando di redigere tali progetti agenzie pubblicitarie private.

Ma è altrettanto vero che in tal modo si rischia di gravare di nuovi oneri i bilanci pubblici, ormai letteralmente stremati: e, date le condizioni in cui versa la nostra economia, senza neppure avere una consistente probabilità di riuscire a ottenere i finanziamenti sperati.

 

Note

[1] Sul partenariato pubblico-privato v. in generale almeno gli studi pubblicati in M.P. Chiti (a cura di), Il partenariato pubblico-privato, Napoli, 2009, pag. 59 ss., e F. Mastragostino (a cura di), La collaborazione pubblico - privato e l'ordinamento amministrativo, Torino, 2011. La crisi fiscale dello Stato è oggetto di studio sotto diversi profili da diverso tempo, come testimoniano i saggi di J. O'connor, La crisi fiscale dello Stato, Torino, II^ ed., 1982, e di C. Offe, Lo Stato nel capitalismo maturo, Milano, 1977, e Ingovernabilità e mutamento delle democrazie, Bologna, 1982, e alcuni di quelli pubblicati in M. Crozier, S. Huntington (a cura di), La crisi della democrazia, Milano, 1977. In generale, sugli effetti della crisi fiscale sugli assetti dei pubblici poteri, v. E. Gualmini, L'amministrazione nelle democrazie contemporanee, Bari - Roma, 2006, e cfr. G. Napolitano (a cura di), Uscire dalla crisi. Politiche pubbliche e trasformazioni istituzionali, Bologna, 2012 - anche se questa raccolta di studi si occupa soprattutto degli effetti sugli apparati pubblici della crisi economica degli ultimi anni.

[2] Come mi ha ricordato Gian Claudio Spattini, in proposito non è il caso di azzardare percentuali sul rapporto tra il patrimonio culturale italiano e quello mondiale, dato che tutte quelle che periodicamente vengono enunciate nel lessico politico e giornalistico sono frutto di mera fantasia, e né l'Unesco né alcun altro organismo internazionale hanno mai svolto indagini in proposito: cfr. S. Settis, Paesaggio, Costituzione, cemento. La battaglia per l'ambiente contro il degrado civile, Torino, 2010, pag. 83 ss. Sulle sponsorizzazioni come strumento di valorizzazione v., per tutti, L. Casini, La valorizzazione dei beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 2001, pag. 651 ss.; sulle carenze della politiche di valorizzazione dei beni culturali v. G. Pastori, Tutela e valorizzazione dei beni culturali in Italia: situazione in atto e tendenze, in Aedon, 2004, 3.

[3] La frase riportata nel testo è di G. Pericu, Note in tema di attività di diritto privato della pubblica amministrazione, ora in Id., Scritti scelti, Milano, 2009, pag. 100. In questo senso, in relazione ai contratti di sponsorizzazione, v. M. Renna, Le sponsorizzazioni, in La collaborazione pubblico - privato, op. cit., pag. 523, che riprende le tesi di M. Dugato, Atipicità e funzionalizzazione nell'attività amministrativa per contratti, Milano, 1996.

[4] Così R. Chieppa, I contratti di sponsorizzazione, in I contratti esclusi dall'applicazione del codice dei contratti pubblici, (a cura di) D. Mazzilli, G. Mari, R. Chieppa, in Trattato sui contratti pubblici, (a cura di) M.A. Sandulli, R. De Nictolis, R. Garofoli, Milano, 2008, I, pag. 475, e la giurisprudenza ivi citata.

[5] L'espressione iperregolazione viene utilizzata a proposito delle sponsorizzazioni culturali da G. Fidone, Il ruolo dei privati nella valorizzazione dei beni culturali: dalle sponsorizzazioni alle forme di gestione, in Aedon, 2012, 1-2, anche se l'A. nega che essa si riscontri in questo contesto. In generale, sui guasti recati da fenomeni siffatti, v. B.G. Mattarella, La trappola delle leggi. Molte, oscure, complicate, Bologna, 2011, e M. Ainis, La legge oscura. Come e perché non funziona, Roma - Bari, 2002.

[6] In proposito mi sia permesso rinviare al mio La finanza di progetto dopo il d.lgs. n. 152/ 2008, in Dir. amm., 2009, pag. 429 ss. Nella vasta letteratura dedicata alla finanza di progetto v. almeno i lavori collettanei curati da G. Morbidelli, Finanza di progetto, Torino, 2004; G.F. Ferrari, F. Fracchia, Project financing e opere pubbliche. Problemi e prospettive alla luce delle recenti riforme, Milano, 2004; E. Picozza, La finanza di progetto (Project financing) con particolare riferimento ai profili pubblicistici, Torino, 2005; G.F. Cartei, M. Ricchi, Finanza di progetto. Temi e prospettive, Napoli, 2010.

[7] Sui contratti di sponsorizzazione della pubblica amministrazione, v., in generale, almeno i già citati lavori di M. Renna, Le sponsorizzazioni, cit., e di R. Chieppa, I contratti di sponsorizzazione, cit., nonché R. Dipace, La sponsorizzazione, in I contratti con la pubblica amministrazione, (a cura di) C. Franchini, Torino, 2007, II, pag. 1193 ss., e G. Piperata, Sponsorizzazioni e appalti pubblici degli enti locali, in Riv. trim. appalti, 2002, pag. 67 ss.

[8] Su questa disposizione v., per tutti, G. Piperata, Art. 120, Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) M. Cammelli, Bologna, 2004, pag. 467 e ss., M. Veronelli, Le sponsorizzazioni dei beni culturali, in Giorn. dir. amm., 2005, 8, pag. 887 ss.

[9] Su cui v. G. Piperata, Servizi per il pubblico e sponsorizzazioni dei beni culturali: gli artt. 117 e 120, in Aedon, 2008, 3.

[10] Cfr., in proposito, M. Cammelli, Restauro dei beni culturali mobili e lavori pubblici: principi comuni e necessaria diversità (a proposito del d.m. 3 agosto 2000, n. 294), in Aedon, 2001, 2, e E. Picozza, I contratti con la pubblica amministrazione tra diritto comunitario e diritto nazionale, in C. I contratti con la pubblica amministrazione, cit., I, pag. 33.

[11] Sulle implicazioni per le sponsorizzazioni di queste disposizioni v., per tutti, M. Renna, op. cit., passim.

[12] Sull'art. 2 del d.l. n. 34 v. A. Fantin, Le sponsorizzazioni dei beni culturali: nuovi orizzonti del partenariato pubblico-privato, in Il capitale culturale, 2011, pag. 125 s.

[13] Così S. Cavaliere, Le sponsorizzazioni e la tutela del patrimonio culturale, in Amministrazioneincammino.it. Sull'art. 199-bis cfr. anche A. Giuffrida, Decreto 'semplifica Italia' e 'Spending Review': la razionalizzazione delle misure di sostegno finanziario per gli interventi conservativi sui beni culturali, in Giustamm, n. 11/2012.

[14] Come memento delle conseguenze di questi eccessi è utile la lettura di F. Merusi, Diritto contro economia. Resistenze istituzionali all'innovazione economica, Torino, 2006. Il mutamento dell'atteggiamento ordinamentale nei confronti dell'economia verificatosi negli ultimi vent'anni è oggetto di una letteratura vastissima, ma v. almeno G. Di Gaspare, Diritto dell'economia e dinamiche istituzionali, Padova, 2003.

[15] O forse, come è accaduto per altri neologismi, sembra brutto solo perché non siamo ancora abituati al suono della nuova parola. Sulla fiducia "ideologica" nel mercato durante gli ultimi due decenni, opinabile anche in un'ottica di liberismo economico, v., per tutti, A. Roncaglia, Il mito della mano invisibile, Roma - Bari, 2005.

[16] Cfr. A. Massera, Lo Stato che contratta e che si accorda. Vicende della negoziazione con le pp.aa., tra concorrenza per il mercato e collaborazione con il potere, Pisa, 2011, pag. 18 ss.

[17] Cfr., da ultimo, gli studi pubblicati in G.D. Comporti (a cura di), Le gare pubbliche: il futuro di un modello, Napoli, 2011.

[18] Le critiche più lucide all'atteggiamento della giurisprudenza amministrativa da ultimo sono state mosse da A. Travi, in particolare in Il giudice amministrativo e le questioni tecnico - scientifiche: formule nuove e vecchie soluzioni, in Dir. pubbl., 2004, pag. 439 ss., e in Sindacato debole e giudice deferente: una giustizia amministrativa?, in Giorn. dir. amm., 2006, pag. 304 ss. Riassuntivamente, sulla vexata quaestio, v. G.C. Spattini, Le decisioni tecniche dell'amministrazione e il sindacato giurisdizionale, in Dir. proc. amm., 2011, pag. 133 ss.

[19] Mi riferisco in particolare a due saggi di G.D. Comporti, Lo Stato in gara: note sui profili evolutivi di un modello, in Dir. economia, 2007, pag. 231 ss., e Introduzione: dal potere discrezionale alle scelte negoziali, in Id. (a cura di), Le gare pubbliche: il futuro di un modello, cit., pag. 1 ss.

[20] L'ho segnalato nella recensione a Le gare pubbliche: il futuro di un modello, cit., pubblicata in Dir. economia, 2011, pag. 757 ss.

[21] V., per tutti, A. Fantin, Le sponsorizzazioni dei beni culturali, cit.

[22] Detto incidentalmente, anche in considerazione del fatto che qui, come si è detto, non vi sono vincoli comunitari di sorta, non è data comprendere la ragione dell'ostinazione del legislatore nel voler continuare a definire come attuazioni quelle che in realtà sono deroghe; ma forse essa si riallaccia a una tendenza più generale della produzione normativa recente, che sempre più spesso è disposta a piccole ipocrisie di questo genere: valga come esempio la legge n. 1 35/2012, di conversione del decreto-legge n. 95 del 2012, che (a contenuti invariati) a proposito dell'intervento sulle Province ha sostituito l'espressione riordino a quelle di soppressione e di accorpamento che comparivano nel d.l.. D'altra parte sempre più spesso i provvedimenti normativi vengono nominati con espressioni suggestive ("crescitalia", "sviluppo", etc.), che paiono dettate da mere esigenze di marketing: anche se, per solito, non è scontato che la qualità del packaging si comunichi al prodotto confezionato.

[23] Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, deliberazione n. 9/2012, che può leggersi in www.avcp.it. Nella nota del 20 dicembre 2011 l'AGCM aveva invece criticato questo affidamento, in particolare rilevando la "totale difformità tra l'Avviso e l'Accordo con riguardo alle seguenti previsioni: 1) l'Avviso ha ad oggetto il reperimento di sponsor per 'il finanziamento e la realizzazione' degli interventi sul Colosseo. Ciò comporta che lo sponsor si debba assumere la responsabilità del completamento dell'attività di progettazione e direzione dei lavori, il coordinamento della sicurezza, l'appalto a terzi o l'esecuzione diretta dei lavori, anche mediante 'imprese esecutrici dei lavori'. L'Accordo, invece, prevede il mero finanziamento dell'opera, che si risolve nella semplice messa a disposizione di una somma di denaro, a fronte della possibilità di avvalersi dei diritti di sfruttamento dell'immagine del Colosseo. 2) La disponibilità dei diritti di sfruttamento dell'immagine del Colosseo è limitata, ai sensi dell'articolo 7 dell'Avviso, ad un periodo pari alla durata dei lavori di ristrutturazione, ed è espressamente vietata ogni forma di proroga. L'Accordo prevede invece una durata del periodo di sfruttamento dei diritti ben superiore ai limiti introdotti dall'Avviso, pari a due anni oltre il termine di conclusione dei lavori in favore di Tod's e a quindici anni in favore dell'Associazione che deve essere istituita da Tod's ai sensi dell'articolo 4 dell'Accordo, calcolati a partire dal momento della costituzione della stessa. Nel caso di specie, le responsabilità poste a carico dello sponsor, nella nuova forma ridimensionata, e gli ampi diritti di sfruttamento a questo concessi, secondo quanto previsto dall'Accordo, avrebbero costituito un'importante attrattiva per le imprese che, non essendo interessate alla realizzazione degli interventi, erano semplicemente alla ricerca di una nuova modalità di promuovere la propria immagine, tanto più che i diritti connessi alla sponsorizzazione paiono ancora più appetibili se concessi per un periodo notevolmente superiore alla durata dei lavori. Alla luce di tali mutamenti, la scelta di optare successivamente per una procedura negoziata, svoltasi interpellando un numero molto limitato di soggetti, appare come una indebita restrizione del confronto concorrenziale che avrebbe potenzialmente potuto portare l'amministrazione appaltante a beneficiare di un'offerta più vantaggiosa. Nella segnalazione AS 4391, inoltre, l'Autorità aveva espresso alcune valutazioni circa il ricorso a contratti di sponsorizzazione da parte delle P.A., evidenziandone la mancata definizione del contenuto da parte del legislatore. L'ampiezza applicativa a cui un simile contratto può andare incontro richiede pertanto che l'amministrazione appaltante dia la più ampia pubblicità alla possibilità di fare ricorso a tale rapporto, anche al fine di non vanificare il richiamo ai principi comunitari di trasparenza, par condicio e tutela della concorrenza effettuato dall'articolo 26 del Codice dei Contratti Pubblici. Non pare rispondere a tale criterio il ricorso - all'indomani della gara - ad una procedura negoziata, condotta interpellando un numero di soggetti estremamente limitato, senza aver dato adeguata pubblicità alla possibilità di fare ricorso alla mera sponsorizzazione finanziaria, ed al fatto che gli oneri posti a carico dell'eventuale sponsor erano stati sostanzialmente ridimensionati. Ulteriori rilievi vanno infine mossi per quanto riguarda i tempi ristretti entro cui si è svolta la trattativa privata con i soggetti interessati: una volta ricevuta la proposta del gruppo Tod's, l'amministrazione appaltante ha infatti assegnato agli altri soggetti interessati un termine inferiore a 48 ore per la presentazione delle offerte; una scadenza così imminente è inadeguata a consentire l'esperimento di una effettiva competizione tra i soggetti convocati, risultando addirittura in una esclusione degli stessi, come dimostrato dal fatto che uno dei candidati, nell'impossibilità di predisporre l'offerta in tempi così brevi, si è visto costretto a ritirare la propria candidatura". Da segnalare pure che l'affidamento era stato oggetto di un ricorso del Codacons avanti il T.A.R. Lazio: che però l'ha dichiarato inammissibile per carenza di legittimazione nella sentenza n. 6028/2012, che può leggersi in giustizia-amministrativa.it. Sulla vicenda si rinvia comunque ancora a A. Fantin, Le sponsorizzazioni dei beni culturali, op. cit. Come noto, i raccordi tra le diverse Autorità indipendenti spesso sono problematici, dato che il legislatore in genere non si è curato di regolare le possibili reciproche interferenze: il che ha cagionato problemi ad esempio nei rapporti tra AGCM e AGCOM, come ci informano M. Conticelli, A. Tonetti, La difficile convivenza tra regolazione e antitrust: il caso delle comunicazioni elettroniche, in Riv. trim. dir. pubbl., 2008, pag. 71 ss.

[24] Cfr., in questo senso, A. Bartolini, Beni culturali (diritto amministrativo), in corso di stampa negli Annali dell'Enciclopedia del diritto.

[25] Sul punto mi sia permesso rinviare ancora al mio La finanza di progetto, op. cit.

 

 



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