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Il valore del patrimonio culturale fra Italia e Europa

Capitali europee della cultura e politiche culturali [*]

Riflessioni di lungo periodo sul caso Bologna 2000

di Luca Zan, Sara Bonini Baraldi e Federica Onofri

Sommario: 1. Capitali della cultura e politiche culturali: qualche punto critico. - 2. Politiche, gestione, e gestione delle politiche. - 3. Politiche culturali: continuità e discontinuità nel tempo. - 4. Oltre la retorica delle politiche culturali: l'allocazione delle risorse nel decennio. - 5. Bologna Città creativa della musica Unesco: quale impatto? - 6. Riflessioni conclusive.

European Cultural Capitals and Cultural Policies. Reflections of the Long Period on the Case of Bologna 2000
The paper investigates the risk of losing connection between policies and practices in the Cultural field. Our focus concentrates mainly on the evaluation of the long term impacts related to growing international programs such as the European Capitals of Culture, and on how these initiatives are connected to the cultural strategies of a city. General (and abstract) approaches to cultural policies are likely to get the attention of experts, politicians and officers in Cultural departments in local government agencies in the name of city branding, cultural districts, creativity and the like. To what extent the diffusion of a similar rhetoric is translated into actual institutional, organizational and resources aspects related to the implementation of elegant policy designs is open to debate. The same bias is usually found in cultural policy studies, with few exceptions paying attention to the reconstruction of actual cultural policies as opposed to the ritualism of "grand strategies" making. Drawing from management studies, the paper adopts a different approach to the evaluation of cultural policies and their sustainability on the long run, investigating at the micro level the relationship between different phases of the process: planning, resources allocation, actions and results. The analysis of ten years of cultural policies in Bologna - in 2000 one of the European Capitals of Culture - will serve as specific focus to test and develop the analytical approach.

1. Capitali della cultura e politiche culturali: qualche punto critico

Il business delle capitali della cultura sembra godere di ottima salute, esperienza ormai consolidata e più che istituzionalizzata a livello europeo, a partire dal primo evento nel 1985. In Italia in modo particolare la febbre della candidatura per il 2019 sembra avere contagiato numerose amministrazioni, politici e esperti.

Il governo dovrà selezionare tra le varie proposte pervenute (e sul come si svolgerà la selezione si apre la possibilità di una interessante tesi di dottorato) entro il 20 settembre 2013. Mentre andiamo in stampa, se pure virtuale, almeno 19 sono le città candidate [1]. La lista lascia impressionati, se si pensa alla mole di lavoro, alle persone, e al movimento di denaro (corrente e futuro, reale o sperato) che si muovono dietro a questa competizione, e include alcune delle città più belle e interessanti del nostro paese. Certo è difficile trattenersi da un paio di commenti, fatti con ironia, ma che richiederebbero una seria analisi del testo e delle retoriche della politica delle capitali europee ben più rigorosa (altro compito per il dottorando di cui sopra). Venezia sembra colta dalla "sindrome della via della seta" [2], di fatto configurandosi come città-regione [3], fino alla saggia riflessione del sindaco che di recente porta al ritiro della candidatura: "Non ci porta un euro e abbiamo già troppi turisti" [4]. Anzi no, qualche giorno dopo arriva un contrordine, e si continua [5]. Sembra poi nascere una nuova città, Perugiassisi (ma poi più che un passo deciso verso il superamento di campanilismi municipali sorge il dubbio che possa essere uno strumento per unire momentaneamente quelle che sembrano auto-percepirsi come capitali incomplete, singolarmente prese. Sarebbe poi curioso sapere quanti dei lettori di questa rivista, leggendo il nome della città di Carbonia saprebbero scrivere tre righe di giustificazione di una simile candidatura, con tutto il rispetto (o anche solo, indicare dove si trova).

Il business delle capitali europee della cultura - business più che altro per politici, esperti, consulenti che non per le città in sé - sembra ben istituzionalizzato anche a livello europeo (pur non avendosi notizia di corse così accese come in Italia). Rimandando ad altra sede per una rivisitazione della letteratura (si veda ad esempio Argano [6] al di là dell'esplicita collocazione nel progetto di Perugia), basti qui sottolineare la strutturazione di una apposita procedura in tema di capitali europee della cultura. Uno sguardo ad un interessante documento pubblicato in sede di 25° anniversario dell'istituzione delle capitali europee della cultura [7] è istruttivo. Il documento, scritto da e per amministratori e burocrati coinvolti, non manca di riferimenti autocelebrativi: "There was a large consensus among the participants that over 25 years the ECoC have become one of the most sustained ambitious cultural initiatives in Europe, both in scope and scale. They have also become one of the most visible and prestigious initiatives of the European Union and probably one of the most appreciated by European citizens" [8]. Che sia di interesse e prestigio per gli amministratori è certo; dire che sia percepito e apprezzato dai cittadini è millantare consenso. La retorica stessa del documento disturba, ad esempio quando si parla di "cultural vibrancy" (pag. 11), con un linguaggio che non verrebbe in mente a nessuno (definiremmo Bologna o Milano "vibranti"?). Ma almeno si apre una discussione su un punto critico: sull'impatto di lungo termine di iniziative simili [9]. E su questo aspetto si cominciano a sviluppare alcune prime iniziative di valutazione: della serie meglio tardi che mai, dopo 25 anni.

Al di là della pur interessante discussione "interna" al gruppo Ecoc, e al come misurare gli impatti, in questa sede a noi interessa in particolare sottolineare un aspetto più specifico: vale a dire gli impatti non già in sé dell'essere capitale europea della cultura, quanto piuttosto l'impatto di lungo periodo nelle relazioni con le politiche culturali in essere nella città. Ci concentreremo sul caso di Bologna, Capitale della cultura 2000, e sulle relazioni con le politiche culturali nel decennio successivo.

2. Politiche, gestione, e gestione delle politiche

Prima di procedere all'analisi del caso Bologna, alcune riflessioni di inquadramento sono opportune sulle prospettive di analisi. Da questo punto di vista va sottolineato come uno dei principali fenomeni che ha riguardato il settore artistico negli ultimi decenni è la sua "contaminazione" col discorso sulle condizioni economiche. A livello diverso a seconda del contesto è emersa come sfida comune la questione della relazione tra approcci puramente professionali, scarsità delle risorse, e qualità del servizio [10]. Tutto ciò non sorprende, dato il ruolo centrale del finanziamento pubblico nell'arte, e dell'amministrazione pubblica nella gestione diretta delle istituzioni culturali. Come altri settori pubblici, anche le organizzazioni artistiche sono state infatti coinvolte dalla nuova tendenza a considerare concetti prima completamente estranei ad esse quali efficacia, efficienza, e value for money [11].

Ciononostante, all'interno di questo processo esistono importanti differenze tra studiosi che provengono da un background di tipo economico, e coloro che sono caratterizzati da un background di tipo organizzativo. L'intero ambito di ricerca relativo alle "città creative", città dell'arte, distretti culturali, rinnovamento e promozione urbana è forse uno degli esempi migliori di questa varietà di approcci, facendo eco alla difficoltà storica di molte scienze sociali - sicuramente quelle economiche - di considerare contemporaneamente sia aspetti macro che micro [12].

Una cosa è infatti definire un disegno generale o un'idea di sviluppo che aggiunga valore a livello puramente logico; altra cosa è concentrarsi sul fare (getting things done), in particolare quando nel processo sono coinvolte molteplici istituzioni e attori. Ecco che emerge dunque un primo scarto tra economia (e economisti) della cultura e gestione delle organizzazioni culturali: pur comprendendo la necessità di una visione strategica d'insieme, chi scrive esprime una netta preferenza verso un'analisi a livello organizzativo, focalizzandosi sulle condizioni di fattibilità delle singole istituzioni attraverso un approccio di tipo micro.

Aldilà del diverso livello e focus di ricerca, è possibile identificare un aspetto più sottile che spiega il successo della letteratura sulle città creative e simili (capitali europee della cultura incluse): l'attitudine al pensiero positivo, a volte con livelli sorprendenti di astrazione e ingenuità, ignorando completamente le questioni di implementazione o il bisogno di articolare qualunque politica in termini di condizioni, opportunità e incentivi. Da un punto di vista di meta-marketing, si potrebbe affermare che il contributo di Florida è esattamente il tipo di prodotto che il politico medio cerca. È meno noioso (e presenta minori barriere tecniche) di una discussione incentrata sulla contabilità, il budget o le risorse umane all'interno delle singole organizzazioni; è sufficientemente astratto da rendere possibile una comprensione relativamente veloce del settore senza sprecare troppo tempo nell'analisi più approfondita degli aspetti contestuali; è sufficientemente accattivante da conferire prestigio e legittimità all'azione politica che ricerca l'attenzione dei media; ed è sufficientemente semplice da essere disegnato in modo elegante, anche se la sua fattibilità è debole o poco trasparente. A tutto ciò si aggiunge l'orientamento di breve periodo che solitamente caratterizza l'arena politica (anche quando le politiche sono tradotte in azioni effettive, nessuno è comunque in grado di identificare le relative responsabilità).

Da questo punto di vista Bologna è un ottimo esempio del difficile percorso che le politiche culturali si trovano spesso ad affrontare. È la città con la più antica Università del mondo occidentale, con una popolazione universitaria di circa un quarto del totale degli abitanti; è famosa ancora oggi per il modello di pianificazione urbanistica che ha indirizzato il restauro del centro storico avvenuto negli anni 60; è stata Capitale europea della cultura nel 2000 e Città della musica Unesco nel 2006. Nonostante ciò, è una città dove le politiche culturali degli ultimi anni hanno riscontrato notevoli problemi.

Nel tentativo di superare i limiti dei principali approcci economici al settore culturale, e al tempo stesso il limite di prospettiva e di orizzonte temporale di buona parte della discussione sulle capitali europee della cultura, il presente articolo analizza gli ultimi dieci anni di politiche culturali successive a Bologna 2000 facendo riferimento a tre diverse aree di riflessione.

Innanzitutto il nostro approccio riconosce la disconnessione di base che può intercorrere tra retorica e pratiche emersa negli studi organizzativi (Meyer e Rowan) [13], focalizzando l'attenzione su problematiche che vanno aldilà della retorica della pianificazione di tipo politico. In secondo luogo adotta (e adatta) l'approccio analitico del controllo manageriale (si veda ad esempio Antony and Young, 1999) [14] sottolineando il legame tra obiettivi, risorse, azioni e risultati [15]. Infine, in accordo con il concetto di "strategie emergenti" [16], la letteratura strategica mette in luce l'imprevedibilità delle strategie effettive, considerando il dibattito relativo ai processi decisionali, dalla razionalità limitata al modello del garbage can [17].

Oltre a focalizzarsi sull'allocazione e organizzazione delle risorse umane e finanziarie, il nostro approccio pone dunque particolare attenzione ai comportamenti effettivi e ai risultati, rilevando l'assenza di adeguati strumenti di accountability per il loro monitoraggio e valutazione. Basandosi sui tre ambiti di letteratura evidenziati, lo schema analitico proposto mette in luce il grado di coerenza esistente a tre diversi livelli (Figura 1):

1. Coerenza longitudinale tra politiche: le politiche culturali sono raramente di breve periodo: necessitano di infrastrutture ed investimenti, adeguate analisi di fattibilità, cornici istituzionali e soluzioni organizzative. In breve, una politica culturale seria richiede un impegno di lungo periodo. Tuttavia la coerenza delle politiche culturali nel tempo risente solitamente di molteplici dinamiche, non ultima l'instabilità politica.

2. Coerenza tra politiche e allocazione delle risorse: una volta stabilite le priorità di policy, le risorse per la loro realizzazione devono essere allocate in modo coerente. Se le politiche non sono adeguatamente riflesse nelle scelte di budget, esse non possono essere realizzate.

3. Coerenza tra politiche e azioni/risultati: l'ultima fase concerne la valutazione dei risultati (in termini di output e outcome) in confronto con gli obiettivi iniziali. Per una determinata politica è importante analizzare quali azioni sono effettivamente state portate avanti e quali risultati sono stati ottenuti.

Figura 1. Uno schema per la valutazione delle politiche culturali sulla base della letteratura di management.

Se lo schema proposto è semplice, la mancanza di dati rende la sua applicazione complessa. Nel caso di Bologna, ad esempio, è possibile solamente un'analisi parziale. Nella terza sezione verrà analizzata la coerenza interna (almeno in termini retorici) di dieci anni di politiche culturali a Bologna. Sostanzialmente le domande che ci poniamo sono le seguenti: quali delle idee originariamente presenti in Bologna 2000 si trovano nei documenti di pianificazione delle politiche culturali dei successivi dieci anni? Quanto le politiche enunciate in questo decennio sono state coerenti? La quarta sezione ricostruisce l'effettiva allocazione delle risorse per la realizzazione dei progetti culturali, permettendo un primo confronto con le politiche dell'ultimo decennio. Proprio qui si riscontra un primo ostacolo, data la natura confidenziale dei dati economici, che sono stati ottenuti solo grazie ad un rapporto di fiducia di chi scrive con il personale dell'ufficio contabilità del comune di Bologna. In aggiunta, i dati forniti fanno riferimento solo ad alcune delle politiche descritte nei documenti di pianificazione, permettendo un'analisi parziale. Coerentemente con il modello proposto, la quinta sezione dovrebbe analizzare le azioni e i risultati derivanti dalle politiche. Poiché l'utilizzo di strumenti di reporting in questo senso non è obbligatorio (ed è difficilmente riscontrabile su base volontaria), l'unico modo per il ricercatore di affrontare la questione è attraverso la realizzazione di un'approfondita (e dispendiosa in termini di tempo) ricerca sul campo. Data l'impossibilità di sviluppare questa analisi per ognuna delle politiche, la scelta degli autori è stata di focalizzarsi su un progetto, la nomina di Bologna Città creativa della musica Unesco, avvenuta nel 2006.

3. Politiche culturali: continuità e discontinuità nel tempo

Un'analisi delle politiche culturali che hanno caratterizzato Bologna negli ultimi dieci anni deve necessariamente prendere in considerazione la situazione politica in quel periodo. Durante l'ultimo decennio, Bologna ha avuto quattro differenti giunte. Nel 1999 venne eletto il sindaco di centro destra Giorgio Guazzaloca, dopo mezzo secolo di governo di sinistra (il sindaco precedente era stato Walter Vitali). Le elezioni successive, avvenute nel 2004, furono vinte da Sergio Cofferati, coalizione di sinistra, il cui mandato quinquennale finì nel 2009 quando gli subentrò Flavio Delbono, sempre appartenente alla coalizione di sinistra. Tuttavia, la nuova giunta si concluse prematuramente solo pochi mesi dopo per le dimissione del Sindaco in relazione alle note vicende giudiziarie, e il comune fu commissariato. Fu nominato come commissario il prefetto Anna Maria Cancellieri, alla quale furono date tutte le funzioni normalmente assunte dal consiglio comunale, dal sindaco e dalla giunta comunale.

In questo contesto politico, il momento più significativo nella storia dello sviluppo delle politiche culturali a Bologna è stata la preparazione della candidatura come Capitale europea della cultura per l'anno 2000. Secondo la filosofia elaborata in preparazione alla domanda, le premesse a questo progetto possono essere riassunte in queste parole chiave (sebbene astratte): conoscenza, tradizione, mobilità e comunicazione. Le idee su cui si fonda la programmazione per Bologna 2000 possono essere considerate un punto di svolta per le politiche culturali mai adottate dalla città e dovevano essere implementate in un piano pluriennale di grandi progetti, idealmente inclusi nelle relazioni previsionali successive. Di seguito si analizzano le continuità e i cambiamenti nella pianificazione e nelle strategie delineate in questi ultimi anni nelle relazioni previsionali seguendo tre principali macro aree: prima, durante e dopo Bologna 2000.

1. La prima macro area include istituzioni o progetti esistenti prima della candidatura per Bologna Capitale europea della cultura (ante 2000) e che era intenzione potenziare all'interno di questa cornice.

1.a. Strategia di comunicazione integrata e centralizzazione dei musei

L'urgenza di strategie di comunicazione e promozione integrate dei musei pubblici e privati era già emersa nel 1996 quando il progetto Bologna dei musei fu lanciato all'interno dell'agenda Bologna 2000. Il progetto mirava ad accrescere l'attività dei musei creando un sistema di comunicazione condivisa per migliorare il valore di tutti i musei della città (documenti preparatori per Bologna 2000). Le sue linee di indirizzo prevedevano: una comunicazione integrata per tutti i musei civici (19 tra pubblici e privati); la creazione di un biglietto integrato per i sei musei pubblici; l'implementazione di programma didattico integrato; lo sviluppo di una produzione editoriale e di merchandising; uno studio per nuovi progetti e iniziative.

Dopo più di sette anni questi obiettivi di coordinamento erano ancora in cima all'agenda delle politiche culturali e una prima menzione di "centralizzazione dei musei" appare nella relazione previsionale 2003. Nel 2004 forte enfasi è stata posta sulla creazione del marchio del nuovo Museo della musica. Curiosamente, questo è stato supportato in modo retorico come un allargamento e un miglioramento del sistema museo.

Il progetto Bologna dei musei si è concluso nel 2005 quando la giunta comunale segue la decisione del sindaco di rendere gratuito l'ingresso ai musei comunali a partire da Aprile 2006 [18]. La relazione previsionale del 2006 pone una maggior enfasi ai costi necessari per centralizzare il coordinamento dei musei pubblici e per ridurre gli orari di apertura al fine di ridurre i costi (si noti che la decisione di rendere gratuito l'ingresso ha avuto come conseguenza quella di ridurre il livello dei servizi). In parallelo - in parte accelerata dall'accresciuta visibilità di cui la Galleria di arte moderna ha beneficiato grazie all'apertura della nuova sede (l'ex Forno del pane, avvenuta nel 2007) - è stata realizzata un'indagine preliminare per la trasformazione istituzionale dei musei comunali in una nuova entità autonoma. Nel 2008 la giunta comunale crea l'Istituzione musei civici (ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142 che garantisce più autonomia all'ente), senza però preparare alcun piano di sviluppo specifico.

1.b. Conservazione del patrimonio artistico

Questo è stato uno dei punti principali portati avanti dal sindaco Vitali nell'ambito della candidatura per Bologna 2000. Nonostante ciò, dal 1999 non si sono trovati riferimenti ad alcuna attività di conservazione né progetti nei piani previsionali o nei report strategici, ad eccezione delle opere di restauro della Fondazione lirica.

2. La seconda macro area include tutti quei progetti che sono stati delineati per la candidatura di Bologna 2000, e che sono ancora punti centrali nelle politiche culturali della città:

2.a. Manifattura delle arti

Il progetto della Manifattura delle arti nasce con la programmazione di Bologna 2000. Il progetto prevedeva la riqualificazione e la trasformazione di un'area che ha ospitato per lungo tempo attività di tipo mercantile e manifatturiero in un unico distretto culturale, aggregando diverse istituzioni culturali appartenenti sia al comune sia all'università: la Gam (la Galleria d'arte moderna), la Cineteca, il cinema Lumière, la Film commission, il dipartimento di comunicazione e quello di cinema dell'Università di Bologna.

La riqualificazione dell'area ha comportato la necessità di dotare la città di una nuova sede per la Gam e di uno spazio per ospitare la Cineteca, sottolineando il ruolo centrale di queste due istituzioni nell'agenda delle politiche culturali della città. Il restauro della vecchia costruzione del Forno del pane come nuova sede della Gam era stata già immaginata nella candidatura per Bologna 2000 ed è stata portata avanti alternativamente e completata nelle seguenti relazioni previsionali (2002, 2007, 2009). La Cineteca è un'istituzione indipendente del comune di Bologna. Soggetta agli altalenanti interessi politici, la Cineteca è sempre stata in cima alle priorità delle politiche culturali dal 2004 (relazione previsionale 2004) quando nella progettazione si è cominciato a proporre la creazione di un centro di produzione cinematografica e lo sviluppo di un archivio per la collezione di film. Durante l'ultimo decennio, la giunta ha proposto in varie occasioni un cambio amministrativo per la Cineteca: dal 2004, infatti, si pensava di trasformare la vecchia istituzione in una fondazione, progetto che è stato procrastinato sino all'effettiva realizzazione completata solo nel 2012.

L'obiettivo principale di questo distretto culturale è cambiato drasticamente negli anni, a seconda della giunta comunale: da importante attrazione turistica (dentro la cornice di Bologna 2000) a progetto di rigenerazione urbana e miglioramento della qualità di vita nella zona. Dal 2003 le politiche culturali indicavano l'intenzione di completare e migliorare la nuova area (relazione previsionale 2003), ma durante gli anni seguenti il progetto è stato spesso lasciato indietro e rallentato da altri progetti.

2.b. Salaborsa

Salaborsa è una biblioteca internazionale e un centro culturale sito nella restaurata sede storica dell'antico mercato finanziario che vanta più di 1.300.000 visitatori ogni anno. Salaborsa ha subito negli anni molti cambiamenti nella definizione dei propri obiettivi, soprattutto a seconda dei mandati politici. Progetto di punta nella cornice di Bologna 2000, Salaborsa è stata creata per diventare una delle più efficienti e vivaci biblioteche pubbliche e centro culturale a Bologna e in Italia, enfatizzando il ruolo della cultura come "bene pubblico" (piano strategico per Bologna 2000). Il progetto fu completato dal sindaco Cofferati con interventi pubblico-privati sul sito, anche se non abbiamo trovato alcun riferimento in merito agli esiti della privatizzazione nelle successive relazioni previsionali (in periodi recenti conclusasi in controversia legale). Negli stessi documenti si trovano pochi riferimenti temporali al progetto per la stessa Salaborsa: ampiamente citata nella candidatura per Bologna capitale della cultura, la biblioteca sparisce dai piani fino al 2009, quando si prevedono interventi sulla rete wi-fi pubblica posticipati fino al 2011 (relazione Previsionale 2009).

3. La terza macro area include altri progetti di più ampio respiro, che non erano inclusi nella candidatura per Bologna 2000, ma che sono emersi negli anni e che si ritrovano nelle successive relazioni previsionali:

3.a. Sistema Bibliotecario centralizzato

Bologna ha più di 15 biblioteche comunali. Dal 2003 è emersa la necessità di coordinare i servizi, in particolare di aggiornare i sistemi informatici e di migliorare l'integrazione con la Biblioteca Universitaria. Dopo alcuni anni durante i quali nelle relazioni previsionali non viene citato il progetto, nel documento del 2005 si descrive la creazione di un centro tecnologico a Palazzo Paleotti e si elabora l'idea di un'istituzione unica per far fronte ai bisogni di gestione centralizzata. Proposta nella relazione previsionale del 2007, nel 2008 la giunta comunale ha creato l'Istituzione biblioteche municipali ricalcando la stessa soluzione adottata per i Musei civici (relazione previsionale 2008).

3.b. Progetto di coordinamento dei teatri

Solo parzialmente citata nel progetto per Bologna 2000, la relazione previsionale 2005 ha cominciato a parlare della creazione di un'organizzazione per il coordinamento dei teatri della città. Questo organismo continua ad essere proposto nei documenti fino al 2008 quando si figura il progetto di Villa Pini: un ex ospedale privato trasformato in un centro di servizi per i teatri grazie alla partecipazione di una fondazione bancaria. Il progetto si allarga ulteriormente quando nel 2008 (relazione previsionale 2008) l'Eti (Ente teatrale italiano) interrompe l'attività del Teatro Duse, storico palcoscenico di Bologna, e il comune inserisce nelle relazioni previsionali degli anni successivi l'ipotesi di costituire un Polo teatrale bolognese includendo l'Arena del Sole - Teatro stabile di Bologna (relazione previsionale 2009). Nonostante ciò, non furono definiti degli obiettivi chiari per il progetto e non si ritrova alcun riferimento nelle relazioni successive.

3.c. Comitato grandi eventi

Un esempio di strategia di coordinamento è rappresentato dal progetto per il Comitato grandi eventi (relazione previsionale 2005): un organo consultivo pensato per organizzare mostre ed eventi nazionali e internazionali. Curiosamente, nei piani previsionali successivi al 2005 non si ritrova alcuna traccia del progetto.

3.d. Steering committee per Bologna Città della musica Unesco

Sebbene approfondiremo questo punto nella sezione 5, è importante accennare che, in seguito alle preparazione della candidatura di Bologna come Città creativa per la musica Unesco, dal 2005 si accenna in diverse occasioni alla possibilità di creare un organismo di coordinamento per le attività musicali della città, sottolineando la forte volontà di potenziarne le numerose iniziative. Nonostante questo interesse e la nomina dell'Unesco, non si trovano altre menzioni di questo progetto negli ultimi piani previsionali.

3.e. Teatro comunale

Analizzando i piani previsionali emerge che il comune non ha mai elaborato una strategia di lungo periodo per la Fondazione lirica teatro comunale (il cui presidente è come noto per legge il sindaco). Negli anni, i piani previsionali (2003 e 2005) si sono principalmente concentrati sul restauro del teatro stesso e sull'implementazione del piano di sviluppo approvato dalla Fondazione teatro comunale (relazione previsionale 2009 e 2010). Questo piano, in sostanza, mira a definire il finanziamento per la programmazione annuale, le strutture disponibili per le attività della Fondazione e i fondi erogati dal comune.

Osservando l'evoluzione delle politiche in tre diversi momenti (prima della candidatura per Bologna 2000, durante e dopo) e applicando il nostro schema analitico, emerge chiaramente come l'evoluzione delle politiche non sia avvenuta sempre in modo coerente. Molti progetti sono stati trascurati per anni e poi ripresi, altri sono stati modificati drasticamente, altri ancora sono affiorati in fasi successive e solo pochi sono stati realizzati, confermando un forte scollamento tra retorica e pratica oltre ad un'intrinseca incoerenza nella pianificazione delle politiche culturali. È interessante notare anche come molte di queste politiche invece di far parte di strategie più ampie siano "emerse" senza una esplicita connessione con il quadro principale di Bologna 2000 (si pensi sia alla centralizzazione dei musei e delle biblioteche, sia al Teatro comunale).

Concentrandosi sulla coerenza delle strategie e dei piani, la struttura delle relazioni previsionali presenta due problemi principali. Primo, la ripetizione di istituzioni e progetti chiave all'interno delle relazioni previsionali non sarebbe di per sé critica se non fosse per la procrastinazione e/o l'abbandono degli obiettivi. In un certo senso, questi progetti non corrono il rischio di essere dimenticati dalle politiche ma di rimanervi incastrati a causa di difficoltà di implementazione a livello gestionale. Queste difficoltà diventano ancor maggiori a causa degli oscillanti mandati politici, che rimbalzano le necessità operative da una giunta ad un'altra.

Secondo, tutti i piani che riguardano istituzioni importanti sono delineati in una maniera così vaga e discontinua che risulterebbe molto arduo misurare il loro grado di successo. Una volta approvati - anche se parzialmente (e nonostante l'ambiguità semantica e le opache implicazioni che si riscontrano nelle relazioni) - tali progetti continuano ad essere posticipati e/o trasformati, cambiati o re-iniziati con obietti diversi.

Da un punto di vista amministrativo, la chiara volontà politica di rendere più efficienti e indipendenti alcune entità di valore emerge sia dalla progettazione per Bologna 2000 sia da tutte le relazioni previsionali a partire dal 2000 [19]. L'obiettivo era di garantire più autonomia sia attraverso la trasformazione delle principali istituzioni culturali in fondazioni private (si pensi alla Cineteca) sia attraverso la sistematizzazione dell'offerta culturale (si pensi al Comitato grandi eventi e al progetto di coordinamento dei teatri). Nessuno di questi obiettivi è stato finora raggiunto.

Infine, non solo si riscontra una mancata coerenza nella pianificazione di politiche attuabili e sostenibili, ma anche la mancanza di un serio impegno nell'assunzione delle responsabilità per la realizzazione concreta di tali politiche. Sebbene molti dei progetti indicati nelle relazioni previsionali siano decisamente interessanti, non c'è alcun obiettivo concreto prefissato: una caratteristica alquanto strana per un documento che dovrebbe definire linee guida e progetti per sviluppi futuri.

4. Oltre la retorica delle politiche culturali: l'allocazione delle risorse nel decennio

In questa sezione analizzeremo gli stanziamenti economici durante l'ultimo decennio, esaminando come le risorse siano state utilizzate in relazione alle politiche culturali della città. Grazie al sistema di contabilità analitica usato dal comune, si possono ricostruire alcuni importanti elementi di analisi.

Nonostante la nostra preferenza sia verso l'analisi di singole politiche, di spese correnti e stanziamenti annui (troppo spesso trascurati), alcuni elementi interessanti emergono dai dati sulle spese d'investimento riscontrabili nei piani a lungo termine del comune (piani pluriennali, Tav. 1):

- si rileva un piano di investimento nel suo complesso relativamente consistente (75 milioni di Euro, valore 2010);

- gli investimenti sono concentrati soprattutto nei primi cinque anni: 50 milioni di Euro tra il 2000 e il 2003 mentre dopo il 2004 il ciclo d'investimento sembrano subire un generale rallentamento (25 milioni in 6 anni);

- i progetti più importanti sono la Ex Manifattura Tabacchi; quello relativo alla conservazione del patrimonio artistico; i musei e le biblioteche pubbliche e la Salaborsa. Solo nel primo subciclo (2000-2003) il Teatro comunale, il Museo Morandi e i progetti per l'Università sono coinvolti, perdendo rilievo e finanziamenti nel secondo subciclo.

Tavola 1 - Investimenti del Settore Cultura e Rapporti con l'Università

 

migliaia di euro (rivalutato 2010)

 

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

tot

Progetto Arena del Sole

81

0

0

0

0

219

0

0

0

0

0

300

Progetto Ex Sala Borsa

348

1.052

83

623

0

36

131

881

127

0

0

3.281

Progetto Museo Morandi e Collezioni Comunali d'arte

101

66

62

252

42

0

0

0

0

0

0

524

Progetto Teatro comunale

712

535

206

544

14

96

32

0

0

0

0

2.140

Progetto altri teatri comunali

80

0

0

0

0

0

6

34

0

78

0

199

Progetto Polo culturale ex manifattura tabacchi

7.293

4.464

1.975

10.818

208

2.364

2.504

110

102

934

0

30.773

Progetto conservazione e restauro patrimonio storico e monumentale

1.328

972

1.665

4.527

880

3.224

1.391

1.654

304

224

0

16.169

Progetto musei e biblioteche centrali

805

1.021

5.036

2.689

1.894

934

872

2.786

1.880

392

0

18.311

Progetto biblioteche di quartiere

607

246

0

0

135

91

0

0

0

0

0

1.079

Progetto università: diritto allo studio

0

0

592

1.439

0

0

0

0

0

0

0

2.031

Altri interventi

0

0

0

0

0

0

242

0

0

5

0

247

TOTALE

11.355

8.357

9.619

20.893

3.175

6.964

5.179

5.465

2.413

1.634

0

75.053

Tavola 1.

Questi dati mostrano alcuni elementi di implementazione delle politiche dichiarate - ad esempio lo sviluppo dell'area della Ex Manifattura, la conservazione dei monumenti, la centralizzazione delle biblioteche - nonostante l'impatto sulle singole entità (ad esempio sui singoli musei) non sia dettagliato analiticamente. In questo periodo, la nuova sede della Gam è stata aperta, probabilmente assorbendo la maggior parte degli investimenti dedicati a musei nel complesso. Si possono qui fare alcune riflessioni in merito alla "responsabilità politica" delle varie giunte coinvolte e all'effettiva realizzazione delle strategie deliberate.

Fino a che punto gli obiettivi e le politiche si possono riscontrare nei numeri? In altre parole, qual è la relazione tra le politiche culturali così come descritte nelle relazioni previsionali e il reale utilizzo delle risorse finanziarie? Sfortunatamente, tale confronto non può essere fatto a questo livello: considerato il modo astratto (e generico) con cui le politiche sono delineate nei documenti, senza articolare gli obiettivi specifici, le risorse e le tempistiche, è impossibile analizzare a fondo le discrepanze tra le politiche dichiarate e quelle realizzate. Con ciò non si vuole dire che non è stato fatto nulla ma che, semplicemente, su questo aspetto cruciale emerge la necessità di maggior trasparenza.

Peraltro, oltre alla coerenza (o meno) tra le politiche dichiarate e gli investimenti, c'è un'ulteriore questione: la coerenza tra le politiche e gli stanziamenti annuali di risorse. Infatti, un rischio ricorrente nel settore culturale è quello di indirizzare le decisioni politiche verso grandi investimenti, dal forte impatto comunicativo, mettendo in secondo piano i finanziamenti annuali che permettono di gestire i costi e le operazioni correnti [20].

A causa di cambiamenti nel sistema di contabilità, in questo caso ci siamo potuti concentrare solo su dati a partire dal 2003 (si dimostra comunque che l'andamento è costante nei primi due anni). Analizzando le Tavole 2 e 3, emergono le seguenti considerazioni:

- In termini reali (valori 2010) le spese totali del settore cultura sono leggermente aumentate fino al 2005, per poi diminuire fino a ritornare ai valori del 2002. Questo valore costante nasconde due fenomeni importanti:

- La quota destinata alle spese per la cultura all'interno del budget del Comune è relativamente ridotta, se paragoniamo lo stesso valore con altri comuni che adottano le politiche culturali come priorità, oscillando intorno al 6% (aumentando fino al 2005 poi riducendosi ancora negli ultimi anni).

- La spesa totale costante per il settore cultura rileva però diverse tendenze: i servizi centrali sono stati ridotti, nonostante rappresentino ancora il 23% delle spese totali (a riscontro della centralizzazione all'interno dello stesso settore). Le biblioteche rappresentano la parte più consistente di budget (37.9%), malgrado un leggero calo nel tempo in termini reali. L'Istituzione musei mostra un valore finale in linea con i primi anni, a seguito di un aumento nel 2003-2005. Non sorprende che la Cineteca e la Gam presentino un aumento in valore reale (rispettivamente +30% e +70%).

Tavola 2 - Costi diretti del Settore Cultura (valori 2000)

 

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

% in 2009

2009/02

Totale Servizi Centrali esteso

9.440.250

11.475.754

10.922.775

10.319.407

8.590.364

8.986.145

8.801.770

7.943.137

23,0

0,8

Istituzione Musei

6.304.421

6.838.081

7.466.261

7.572.307

6.933.348

6.781.783

6.567.422

6.320.438

18,3

1,0

Istituzione Biblioteche

13.509.806

13.591.094

13.870.858

13.940.705

13.389.243

13.199.415

13.304.718

13.081.470

37,9

1,0

Istituzione Cineteca

2.400.347

2.995.180

3.420.906

3.692.935

2.844.530

2.950.988

3.532.782

4.166.278

12,1

1,7

Istituzione GAM

2.398.132

2.517.905

2.682.865

2.670.652

1.764.898

2.321.145

2.967.697

3.003.871

8,7

1,3

totale Cultura

34.052.955

37.418.014

38.363.665

38.196.006

33.522.383

34.239.478

35.174.389

34.515.194

100,0

1,0

totale Comune

569.958.270

567.783.302

583.287.798

593.458.432

566.405.681

568.802.779

560.893.981

592.049.376

spesa cultura in %

6,0

6,6

6,6

6,4

5,9

6,0

6,3

5,8

Tavola 2.

In sostanza, confrontando i dati del 2009 e del 2002 si riscontra una riduzione dei servizi centrali, mentre il totale per i musei e le biblioteche mostrano un costante incremento delle risorse, con un aumento rilevante per la Cineteca e la Gam.

Inoltre, alcuni elementi interessanti emergono quando si scompongono i dati dell'Istituzione musei: creata nel 2008, è comunque possibile rintracciare le risorse dedicate ai singoli musei che ne fanno parte negli anni precedenti. La Tavola 3 mostra chiaramente una sorta di effetto asimmetrico delle politiche culturali: il nuovo Museo della musica, aperto nel 2004, è stato creato e finanziato per un certo periodo grazie a risorse incrementali. Si rileva però la stessa allocazione di risorse totali per l'Istituzione musei nel 2009 e nel 2002, ciò significa che il Museo della musica è stato sovvenzionato tramite l'erosione dei fondi di altri musei appartenenti allo stesso gruppo.

Più precisamente, alla fine del decennio considerato, le realtà maggiormente penalizzate sono state: il Museo archeologico e le Collezioni comunali (-10%); il Museo del patrimonio industriale, il Museo Davia Bargellini e il Museo medievale (-30%).

In sintesi, ciò che non rivelano le politiche culturali è che - considerando una spesa costante del settore cultura tra il 2002 e il 2009 - lo sviluppo di nuovi musei o istituzioni e di quelle ritenute prioritarie (Cineteca, Gam, Museo della musica) è stato, di fatto, finanziato tramite la riduzione dei fondi per altri musei. A questo proposito, di seguito alcune riflessioni:

- Primo, non è mai stata definita una strategia esplicita in questo senso, piuttosto sembra trattarsi di una strategia emergente. Sarebbe infatti stato difficile per qualunque politico rendere esplicito tale obiettivo, posto il valore delle stesse istituzioni storiche, sebbene trascurate dall'attenzione politica negli ultimi anni (Museo archeologico, Museo del patrimonio industriale, Museo medievale).

- Secondo, almeno per quanto riguarda la Gam, è interessante notare che gli aumenti nei costi correnti sono in parte legati alla decisione di spostare il museo nella nuova sede, malgrado un budget dettagliato dell'aumento delle spese connesse a tale decisione non sia mai stato presentato (relazione saggi, 2006). Questo è un altro esempio di decisione politica presa senza pianificazione che spiega, in parte, il comparire di strategie che non erano state rese esplicite e chiare.

- Per concludere, ciò che i numeri ritraggono è una città che non sta aumentando gli investimenti o il budget sulla cultura, nonostante la retorica della politiche culturali.

Tavola 3 - Costi diretti del Settore Cultura: breakdown

 

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

Erogazione Santo Stefano

0

0

11.144

10.958

10.743

10.562

10.231

10.155

0

Museo Archeologico

1.896.302

1.997.263

1.892.367

1.860.514

1.740.388

1.732.241

1.562.337

1.752.356

0

Museo del Patrimonio industriale

884.025

870.835

757.045

796.592

833.443

736.201

910.570

657.039

0

Museo e Bibl. del Risorgimento e Certosa

309.074

469.910

595.509

538.761

394.749

431.151

386.536

417.585

0

Museo internazionale e Bibl. della Musica

516.287

575.909

1.376.812

1.163.763

1.127.287

1.116.931

1.104.103

1.158.470

0

Musei Civici d'Arte Antica

620.329

733.455

713.240

724.479

733.287

815.004

731.879

719.590

0

Museo Davia Bargellini

152.510

188.287

163.912

172.570

156.435

114.950

117.435

111.775

Collezioni Comunali d'Arte

407.853

400.735

453.832

388.414

375.278

335.470

352.748

375.041

Museo Medievale

711.134

687.293

596.778

896.907

545.889

450.060

493.214

499.502

 

totale gestiti

5.497.514

5.923.687

6.560.638

6.552.958

5.917.499

5.742.570

5.669.053

5.701.513

 

Museo della Civiltà Contadina

48.113

47.169

46.043

60.269

37.601

36.967

46.040

35.543

Museo della Cultura Ebraica

159.531

160.524

150.542

156.000

129.228

123.814

120.773

98.237

Museo della Beata Vergine di San Luca

0

8.718

67.392

112.081

102.293

119.276

117.942

109.612

Musei Convenzionati

5

2.045

41.069

45.131

44.630

44.220

36.020

39.762

Progetto Museo della Resistenza

582

94.810

94.060

64.755

72.132

114.390

40.617

56.418

Sistema dei musei e attività espositive/altro

598.675

601.129

506.517

581.113

629.967

600.547

536.976

279.356

 

tot non gestiti

806.907

914.394

905.624

1.019.349

1.015.849

1.039.213

898.368

618.926

 

Istituzione Musei

6.304.421

6.838.082

7.466.262

7.572.307

6.933.348

6.781.783

6.567.422

6.320.438

 

Tavola 3.

C'è infine anche il tema dell'efficacia da analizzare. Complessivamente, 459 mila visitatori hanno visitato i musei civici nel 2009, quasi raddoppiando il dato del 2000 (Tavola 4). Questo è principalmente dovuto all'entrata gratuita ai musei introdotta nel 2006, ed è, in sé, un ottimo risultato: il numero dei visitatori è superiore a quello degli abitanti.

Tavola 4 - Visitatori ai musei (2000-2009)

 

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

Museo del Patrimonio Industriale

5.983

17.030

14.270

20.550

21.438

22.762

24.259

31.810

30.324

29.600

Museo Civico Archeologico

73.946

63.883

63.303

58.020

59.963

77.424

143.764

96.239

99.996

107.143

Collezioni Comunali d'Arte

23.170

24.631

16.909

14.156

13.699

13.755

23.282

29.517

31.526

35.532

Museo Davia Bargellini

8.128

6.805

6.332

5.218

4.691

4.462

3.704

3.723

7.133

7.547

Museo Medievale

28.484

31.060

25.883

23.525

25.317

32.041

73.625

24.568

27.066

29.338

Museo Internazionale della Musica

19.271

21.787

26.073

33.818

39.436

37.750

Museo del Risorgimento

9.964

9.518

9.979

8.137

8.570

7.121

7.664

6.616

6.245

5.480

Casa Carducci

3.588

4.373

4.385

4.020

5.570

6.294

6.070

Galleria d'Arte Moderna

44.126

31.393

40.740

26.853

92.078

18.437

21.110

3.353

MAMbo -

50.661

93.942

123.282

Villa delle Rose e altre sedi Gam

3.062

2.917

3.750

6.226

2.412

2.467

4.653

Museo Morandi

52.896

56.201

25.809

24.782

24.420

23.216

29.760

30.210

27.871

37.299

Casa Morandi

1.366

Museo della Memoria di Ustica

3.850

4.881

6.451

Museo della Beata Vergine S. Luca

2.069

2.031

2.259

2.063

1.487

2.354

Museo Ebraico

7.145

17.345

12.232

14.046

18.163

19.084

16.225

17.377

21.310

18.765

Museo della Resistenza

 

 

 

 

 

 

1.057

2.658

3.338

6.490

 

 

253.842

257.866

215.457

201.937

296.969

250.255

383.028

344.445

403.316

459.120

0

Tavola 4.

Tuttavia, combinando i numeri sui visitatori con i dati sulle risorse finanziarie utilizzate (Tavola 5), si nota chiaramente lo scarso investimento che la città compie sui propri musei nel corso degli anni, e si osservano rilevanti differenze tra situazioni che sono state seriamente penalizzate e altre che sono state favorite, quanto meno in maniera relativa. Tre aspetti emergono con chiarezza:

- Scarso investimento: mentre la relazione tra le risorse e i visitatori (quanto è speso per visitatore) presenta valori tra 24 e 60 euro nel 2002, nel 2009 questi valori si attestano tra 10 e 30 euro per visitatore.

- Asimmetria: alcuni musei sono stati particolarmente penalizzati, con valori che oscillano tra i 10 e 18 euro per visitatore nel 2009 (archeologico, collezioni comunali, Davia Bargellini, medievale, Resistenza) mentre altri mostrano una situazione migliore (con valori tra i 24 e i 30 euro, non così male per il 2002). Il Museo della Beata Vergine di San Luca presenta ancora valori alti (79 nel 2008 e 47 nel 2009): si potrebbe quindi chiedersi perché sono state spese maggiori risorse su musei che hanno una performance minore in termini di visitatori (assodato che come collezioni gli altri musei hanno opere più importanti).

- Dinamica: la tendenza che riassume le politiche del comune sui musei nell'ultima decade è quella di limitare gli sforzi: l'aumento dei visitatori dovuto all'introduzione dell'entrata gratuita nel 2006 e la diminuzione delle risorse reali spiega tale tendenza. In realtà, questa diminuzione può già essere identificata prima del 2006 per molte delle istituzioni o musei coinvolti, un chiaro segno dell'assottigliamento degli obiettivi prioritari necessari per concretizzare le politiche culturali.

Tavola 5 - Rapporto risorse/visitatori (2002-2009)

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

Museo del Patrimonio Industriale

61,9

42,4

35,3

35,0

34,4

23,1

30,0

22,2

Museo Civico Archeologico

30,0

34,4

31,6

24,0

12,1

18,0

15,6

16,4

Collezioni Comunali d'Arte

24,1

28,3

33,1

28,2

16,1

11,4

11,2

10,6

Museo Davia Bargellini

24,1

36,1

34,9

38,7

42,2

30,9

16,5

14,8

Museo Medievale

27,5

29,2

23,6

28,0

7,4

18,3

18,2

17,0

Museo Internazionale della Musica

 

71,4

53,4

43,2

33,0

28,0

30,7

Galleria d'Arte Moderna e Mambo

58,9

93,8

29,1

144,9

83,6

43,0

31,6

24,4

Museo della Beata Vergine S. Luca

 

32,6

55,2

45,3

57,8

79,3

46,6

Museo della Resistenza

 

68,2

43,0

12,2

8,7

Tavola 5.

5. Bologna Città creativa della musica Unesco: quale impatto?

Per rispondere parzialmente alle questioni poste nelle precedenti sezioni, questo paragrafo si propone di analizzare la coerenza tra politiche e risultati nel caso specifico della nomina di Bologna a Città creativa della musica Unesco. L'obiettivo di questa analisi è valutare cosa sia stato effettivamente realizzato, retorica e dichiarazioni politiche a parte. L'episodio analizzato è interessante in quanto, nonostante l'eco iniziale dato da tale riconoscimento, poche azioni concrete sono state effettivamente percepite dai cittadini: aspetto che merita una analisi approfondita.

In assenza di adeguati strumenti di reporting, il caso è stato sviluppato attraverso la ricerca sul campo, principalmente tramite interviste con gli attori principali e analisi di siti web. Inoltre, poiché Bologna Città creativa per la musica Unesco è un programma a budget zero, non è stato possibile alcun collegamento con il paragrafo precedente. Dopo una breve ricostruzione delle aspettative iniziali sulla nomina, presenteremo una descrizione delle azioni concrete successive alla stessa, per finire con una discussione sulle cause organizzative del limitato successo del progetto.

Bologna è ancora oggi l'unica città italiana ad essere stata nominata Città creativa per la musica Unesco, riconoscimento ottenuto nel 2006. Il processo inizia nel 2005, quando Benedetto Zacchiroli, allora assessore alle relazioni internazionali del Comune di Bologna, con il sostegno del sindaco Sergio Cofferati prende l'iniziativa di candidare Bologna al network dell'Unesco. La nomina riconosce ufficialmente Bologna come importante centro musicale grazie al suo vasto patrimonio musicale, l'alta presenza di musicisti e tecnici e la fitta ed articolata rete di associazioni attive nel campo della musica.

L'idea iniziale dei promotori del progetto era che la nomina Unesco agisse come doppia leva per la città: da un lato come opportunità per accrescere la visibilità di Bologna a livello internazionale; dall'altro come strumento per evitare l'ulteriore frammentazione del settore musicale bolognese, promuovendo un approccio cooperativo e di rete [21].

Nonostante questa visione, le azioni portate avanti nell'ambito del progetto sono state poche e disarticolate. In cinque anni gli unici progetti organizzati in cooperazione con altre città del network a livello internazionale sono stati di entità molto limitata (ad esempio, un piccolo festival organizzato con la città di Ghent, uno scambio di studenti con la città di Kanazawa, in Giappone e pochi altri).

Come dichiarato dai promotori del progetto, "è mancata una strategia globale in questo senso" [22]. D'altro canto, l'unico evento realizzato a livello locale che abbia avuto una certa importanza, è stato un concerto organizzato nell'ottobre 2007 in Piazza Maggiore. Negli anni seguenti, nessun evento musicale specifico è stato organizzato nella città [23], a parte la firma della "Carta delle città creative", in occasione della visita dei sindaci di Glasgow, Santa Fe e Popayan a Bologna nel 2008.

Anche la comunicazione attorno alla nomina è stata sicuramente debole: se da un lato nessuna iniziativa specifica (tavole rotonde, workshops, etc.) è stata organizzata per coordinare le attività tra i vari enti musicali, dall'altro il web è stato decisamente sotto-utilizzato (il sito ufficiale del progetto è stato aggiornato solo una volta dal 2007, e solo un numero ridotto di istituzioni comunali hanno inserito il logo del riconoscimento Unesco nella loro homepage). Il risultato è stato un basso livello di conoscenza del progetto sia a livello locale che internazionale.

Ad oggi, la sola azione intrapresa dal comune all'interno del quadro Bologna città creativa della musica Unesco è la concessione del logo a coloro che lo domandano e che - agli occhi del comune - lo meritano. Tuttavia, poche organizzazioni sembrano essere al corrente dell'iniziativa, o interessate alla stessa: attualmente, si registrano solamente circa 20 richieste e 15 concessioni all'anno [24].

Le aspettative iniziali sulla partecipazione di Bologna al network sembrano di conseguenza appannarsi: pochi eventi, una comunicazione debole, e l'incapacità di far conoscere il progetto sono i risultati principali. Come riconosciuto esplicitamente da uno dei funzionari comunali che lavorava sul progetto, "essere Città creativa della musica Unesco non implica nessun progetto o programma da gestire, è piuttosto l'acquisizione di un marchio. I contenuti musicali sono ed erano già forniti dalle organizzazioni attive nel settore: la nomina è un semplice riconoscimento della loro vitalità" [25]. Certo la nomina avrebbe potuto essere sfruttata meglio, almeno in termini di prestigio della città.

Diversi elementi legati a questioni istituzionali e organizzative, tuttavia, hanno impedito che questo avvenisse. In primo luogo, l'instabilità politica della città durante l'ultimo decennio spiega, almeno in parte, la mancanza di una strategia globale nel progetto. Dopo i primi anni, durante i quali il programma beneficiava ancora della presenza dei suoi promotori iniziali, esso è stato infatti lasciato senza un referente politico: se da un lato il mandato Delbono è stato troppo breve per poter definire responsabilità su singoli progetti (giugno 2009 - febbraio 2010), il commissario incaricato dell'amministrazione durante i due anni successivi ha dovuto concentrarsi su questioni ordinarie e meno strategiche, trascurando la nomina Unesco [26].

Come conseguenza della mancanza di una leadership politica, le responsabilità all'interno dell'amministrazione sono state attribuite in maniera ambigua e discontinua. Oggi, la gestione del progetto è divisa in due: gli aspetti istituzionali sono gestiti dall'assessorato alle Relazioni Internazionali, mentre la promozione sul territorio è sotto la responsabilità dell'assessorato al Marketing urbano, anche se è l'assessorato alla Cultura che se ne occupa nella pratica. In breve, non esiste oggi un ufficio o un gruppo di lavoro ad hoc che possa essere considerato responsabile dell'iniziativa, e il lavoro è mal coordinato tra i diversi assessorati [27].

Forse la creazione di un ente esterno avrebbe avuto un impatto maggiore - come a Glasgow, dove è stata creata una fondazione specifica. Tuttavia, l'iniziativa non avrebbe avuto sufficienti risorse: se da un lato l'Unesco non fornisce fondi alle città creative, il comune di Bologna non ha, da parte sua, investito fondi specifici per lo sviluppo del progetto. Inoltre, la creazione di una struttura esterna con la partecipazione della società civile difficilmente si sarebbe potuta realizzare a Bologna, a causa della mancanza di un progetto forte, sia in termini di visione strategica e politica, sia di capacità a tradurlo in azioni concrete. Inoltre, il settore culturale della città non ha avuto reazioni rilevanti: dato che l'iniziativa non implica alcun vantaggio finanziario nel breve periodo, nessuno vi ha realmente investito, nell'incapacità di comprenderne il potenziale (anche per quanto riguarda l'attrattività per gli sponsor) e il prestigio nel lungo termine.

In breve, Bologna sembra aver perso l'occasione di sfruttare il riconoscimento Unesco, considerato come un forte marchio di qualità in tutto il mondo, anche a livello turistico. Ancora una volta, le ambizioni politiche si sono scontrate con le condizioni di azione, non prendendo sufficientemente in considerazione gli aspetti contestuali e organizzativi (quali budget e risorse umane) dell'implementazione di queste politiche. In questo caso, anche il sostegno politico sembra essere mancato, confermando quanto le attività di gestione siano influenzate dall'instabilità politica.

Anche il ruolo dell'Unesco merita di essere preso in considerazione. Senza l'ambizione di approfondire la questione (la nostra analisi si concentra espressamente sul livello comunale per analizzare il processo di implementazione del riconoscimento), sembra che l'abilità dell'Unesco nel "gestire" il network potrebbe anch'essa essere migliorata.

In primo luogo, il riconoscimento stesso non prevede incentivi o obiettivi specifici da perseguire: da quello che abbiamo potuto capire, le città creative dovrebbero essere in grado di organizzare almeno un evento specifico all'anno (cosa che non sempre è stata fatta, a Bologna) e partecipare alla conferenza internazionale annuale [28]. Null'altro è previsto.

In secondo luogo, la coordinazione del network nel complesso è senza dubbio piuttosto leggera: circa una newsletter via email al mese, più la co-organizzazione della conferenza internazionale annuale. Infine, anche gli strumenti di accountability sono abbastanza deboli: le città devono produrre un rapporto ogni due anni, ma nessuna sanzione sembra essere prevista nel caso in cui questo non avvenga (come è successo a Bologna per l'ultimo rapporto).

Anche le organizzazioni internazionali potrebbero forse mettere più impegno nella operatività dei progetti (nel getting things done), o almeno essere più attente alla valutazione degli impatti e dei risultati ottenuti, oltre che concentrarsi sulla definizione di programmi e politiche.

6. Riflessioni conclusive

Quello di Bologna è un caso intrigante: sarebbe difficile affermare che nulla è stato fatto; ma sarebbe altrettanto difficile parlare di una coerente elaborazione ed implementazione delle politiche culturali. L'analisi realizzata mette infatti in luce diverse debolezze: l'assenza di un approccio sistematico alla pianificazione e la carenza di una qualsivoglia logica di project management; la persistente mancanza di una valutazione esplicita delle azioni realizzate (o non realizzate) nel passato al fine di orientare le politiche future; la mancanza di una valutazione economica (in termini di budget o business plan) prima di e come componente del processo decisionale; e la carenza di attenzione alle questioni organizzative (quali il contesto e i vincoli amministrativi), sia nella fase di pianificazione che di implementazione.

L'effetto finale, in una situazione di risorse decrescenti, è la sottrazione di risorse da parte di nuove iniziative a progetti ed istituzioni già esistenti e non particolarmente appealing per il dibattito politico, aldilà di una qualsiasi valutazione esplicita dei risultati. Valeva la pena finanziare il nuovo Museo della musica, la Certosa, l'allargamento della Gam, lo sviluppo della Cineteca al costo di ridurre le risorse ad altri musei? Senza voler qui suggerire una specifica risposta in termini sostantivi, ci sembra rilevante sottolineare dal punto di vista procedurale la mancanza di una valutazione in tal senso che fosse antecedente al processo decisionale. Anche nel caso di assenza di risorse (come per Bologna Città della musica Unesco), l'incapacità di affrontare adeguatamente i diversi aspetti organizzativi, nonché la mancanza di una seria visione strategica di fondo, portano a risultati deludenti.

Inoltre, aspetto preoccupante dal punto di vista manageriale, le decisioni di allocazione sembrano essere negativamente correlate ai risultati di pubblico: di fatto, le istituzioni che ottengono il maggior numero di visitatori (l'archeologico, il Museo medievale), ricevono meno risorse di quelle con performance di pubblico inferiori (Patrimonio industriale, Gam). Aldilà di una qualunque retorica di gestione degli incentivi, in questo contesto le performance (di pubblico) semplicemente sembrano non contare.

Dal punto di vista procedurale è interessante notare che un'analisi come quella realizzata in queste pagine non era disponibile di per sé: i dati esistevano, ma non è mai stata percepita l'esigenza di presentare un documento funzionale al futuro disegno delle politiche, che commentasse cioè (in via critica o di supporto) l'effettiva allocazione delle risorse ed i risultati ottenuti in relazione agli obiettivi di policy precedentemente stabiliti.

Una tale lettura del caso di Bologna - decisamente meno ottimistica di quella prevalentemente in uso sulle città d'arte - può essere ricondotta anche a specifici elementi di contesto. Sicuramente la mancanza di continuità nella coalizione politica al governo della città ha giocato certamente un ruolo, o più in generale il deterioramento del dibattito politico avvenuto in Italia negli ultimi 15 anni, con la paradossale giustapposizione di tipo post-ideologico tra destra e sinistra. Certamente essere stata Capitale europea della cultura non ha fatto la differenza in questo senso. In ogni caso, difficilmente si potrebbe parlare di best practices in questo contesto. (Più in generale, sarebbe forse il caso di uscire dalla retorica delle best practices e cominciare a riflettere sulle worse practices, o semplicemente a guardare alle pratiche al di là delle policies).

È tuttavia difficile ignorare tale natura retorica delle politiche come elemento fortemente idiosincratico. L'ambiguità del linguaggio utilizzato e la mancanza di commitment della classe politica sembrano infatti essere una modalità per distogliere l'attenzione dal conflitto intrinseco di cui le scelte politiche sono portatrici, anche con riferimento al conflitto esistente tra diverse culture professionali in ambito umanistico (ad esempio tra archeologia e arte contemporanea nel caso bolognese); con l'ulteriore effetto di ridurre il livello di accountability delle politiche (nonché della politica e dei politici).

Per concludere, l'analisi del caso di Bologna è sicuramente parziale in relazione allo schema proposto. Piuttosto che limitare il significato del quadro analitico, il caso sembra però confermare ancora una volta la natura prevalentemente retorica delle politiche culturali (in generale e a Bologna), sottolineando la necessità di una maggiore trasparenza dell'azione politica anche attraverso l'uso di strumenti di accountability, sia in relazione alle decisioni di allocazione delle risorse che di risultati raggiunti.

Riferimenti bibliografici

Hall, Peter, 1982, Great Planning Disasters, Berkeley: University of California Press.

Sicca L.M., Zan L., 2005, Much ado about management, International Journal of Art Management, volume 7, number 3, Spring, 46-64.

 

Note

[*] Il presente articolo, in versione parzialmente diversa, è stato pubblicato in lingua inglese: L. Zan, S. Bonini Baraldi, F. Onofri, The rhetoric of cultural policies and the issue of 'getting things done': Bologna cultural capital 10 years after in City, Culture and Society, 2011, 2, pagg. 189-200.

[1] Amalfi, Bari, Bergamo, Brindisi, Carbonia, Caserta, Catanzaro, L'Aquila, Lecce, Mantova, Matera, Palermo, Perugia e Assisi, Ravenna, Siena, Siracusa, Torino, Urbino, Venezia. Pare siano orientate a presentare la loro candidatura anche Napoli e Pisa. Per una rassegna si veda Artribune, Archivio - Capitale europea della cultura.

[2] Secondo una nostra intervista a Xi'an (25 luglio 2009), nel settembre 2009 il progetto "sito Unesco" della via della seta nella parte cinese coinvolgeva 6 province e 48 città. Nella provincia dello Shaanxi si collocavano 12 siti, di cui 6 nella città di Xi'an. In questo processo di scatole cinesi i 6 siti coinvolgevano 14 componenti (quelli che in un contesto normale sarebbero stati 14 candidati a siti Unesco). In sostanza, con una tale nomina, si aggirerebbe il vincolo che Unesco stesso si è dato di una nomina all'anno per paese, e in un colpo solo se ne apporrebbero verosimilmente centinaia. Non è qui in discussione l'interesse e l'unitarietà della via della seta: il problema è amministrativo, di regole e modalità di controllo per l'iscrizione (e l'eventuale monitoraggio successivo) secondo i criteri previsti.

[3] "Il territorio che riunisce le regioni del Veneto, del Friuli Venezia Giulia e del Trentino Alto Adige con le Province Autonome di Trento e Bolzano, si prepara alla sfida del futuro puntando sul binomio Cultura ed Economia e su un'azione condivisa" (dal sito Venezia 2019).

[4] Capitale della Cultura 2019: Venezia si ritira, ora Ravenna non può sbagliare, in Il Fatto Quotidiano, 14 aprile 2013.

[5] "Capitale europea della Cultura per il 2019 va avanti e la città lagunare non si ritira, nonostante le perplessità, che restano, del sindaco Giorgio Orsoni, che le aveva espresse più volte nelle ultime settimane, alla sostenibilità sul piano normativo in base al bando europeo, a una proposta così allargata sul territorio (Veneto, Friuli-Venezia Giulia e le province di Trento) che non ha precedenti" in Contrordine, Venezia non si ritira da Capitale della cultura, in La Nuova, 07 maggio 2013.

[6] L. Argano, G. Paciello, M.E. Santagati, Perugia e la candidatura a capitale europea della cultura, in I centri storici delle città tra ricerca di nuove identità e valorizzazione del commercio. L'Esperienza di Perguia, a cura di L. Ferrucci, Milano, 2013.

[7] ECoC (Euroepan Capital of Culture), Summary of the European Commission conference "Celebrating 25 years of European Capitals of Culture", Bruxelles, 23-24 Marzo 2010.

[8] Ibidem, pag. 4.

[9] "The legacy of the ECoC title on cities, or in other words its long-term impact, has become a major theme of discussion in recent years", ibidem, pag. 7.

[10] Si veda F. Benhamou, L'économie de la culture, Paris, 2004 e D. Throsby, Economics and Culture, Cambridge, 2000.

[11] Si veda: L. Zan, S. Bonini Baraldi, C. Gordon, Cultural Heritage between Centralisation and Decentralisation: Insights from the Italian Context in International Journal of Cultural Policy, 2007, vol. 13, n. 1, pagg. 49-70; L. Zan (a cura di) Conservazione e innovazione nei musei italiani. Management e processi di cambiamento, Milano, 1999; S. Bonini Baraldi, Management, beni culturali e pubblica amministrazione, Milano, 2007.

[12] Si veda R. Florida, The rise of the creative class, New York, 2002; C. Landry, The creative city. A tool for urban innovators, London, 2000; W. Santagata, Libro bianco sulla creatività. Per un modello italiano di sviluppo, Milano, 2009. Per una discussione in questo senso si veda K. Stolarick, B.J. Hracs, R. Florida, 2010, Occam's curse, dialectics, and the creative city, introduzione al numero speciale Advancing the Creative Economy Approach for Urban Studies in City Culture and Society, 2010, n. 1, pagg. 175-177. Per una critica più radicale si veda A.C. Pratt, Creative cities: the cultural industries and the creative class, LSE Research on line, 2008.

[13] L. Meyer, B. Rowan, Institutionalized Organizations: Formal Structure as Myth and Ceremony, in The American Journal of Sociology, 1977, 83(2), pagg. 340-363.

[14] R.N. Antony, D.W. Young, Management Control in Nonprofit Organization, 6th edition. The McGraw-Hill Companies, Inc. 1999.

[15] In questo senso si veda E. Bonini Baraldi E., op. cit. e L. Zan, Management Rhetoric and Arts Organizations, Palgrave MacMillan, 2006. Nonostante questo tipo di approccio abbia ottenuto una certa attenzione nell'ambito degli studi di Arts Management (si veda per esempio G.D. Canergie, P.W. Wolnizer, Art and accountability: the language of design and managerial control, in Accounting, auditing and accountability Journal, 1996, vol. 9, n. 5, pagg. 84-99; S. Chatelain, Management control and museums in International Journal of arts management, 2001, vol. 4, n. 1; L. Zan, Managerial Rhetoric, cit.), è ignorato nel campo delle politiche culturali. La necessità di porre maggiore attenzione alle condizioni d'azione e ai risultati emerge con forza sia nella teoria che nella pratica.

[16] Si veda H. Mintzberg, Some distinguishing characteristics of managerial work, in H. Mintzberg, The nature of managerial work, Englewood Cliffs, N.J., 1973; H. Mintzberg, Patterns in Strategy Formation in Management Science, 1978, vol. 24, n. 9, pagg. 934-948; R. Normann, Management for Growth, Chichester, 1977; A. Pettigrew, Context, Culture & Politics: The development of strategic change, in A. Pettigrew, The Awakening Giant. Continuity and Change in Imperial Chemical Industries, Oxford, 1985.

[17] M.D. Cohen, J.G. March e J.P. Olsen, A Garbage Can Model of Organizational Choice, in Administrative Science Quarterly, 1972, vol. 17, n. 1, pagg. 1-25.

[18] Intervista del 08 febbraio 2011 con Melissa Lamaida, Istituzione Musei Civici, Comune di Bologna.

[19] Sul punto si veda anche C. Boari, L. Zan, La Galleria d'arte moderna di Bologna tra dinamica imprenditoriale e l'innovazione Istituzione, in Conservazione e innovazione nei musei italiani. Management e processi di cambiamento, a cura di L. Zan, Milano,1999.

[20] Si veda L. Zan sul British Museum: L. Zan, Management knowledge - maneggiare con cura. L'introduzione di forme di managerialismo nella storia del British Museum, in Studi Organizzativi, n. 3, 2000, pagg. 5-51.

[21] Intervista del 1 giugno 2011 a Benedetto Zacchiroli, ex responsabile per le relazioni internazionali del Comune di Bologna.

[22] Intervista del 08 giugno 2011 con Francesca Martinese, coordinatore dell'ufficio relazioni internazionali del comune di Bologna.

[23] Nel 2008, invece di organizzare un concerto specifico, la città ha infatti "sfruttato" un evento proposto dal Teatro Comunale pubblicizzandolo come iniziativa della Città creativa (intervista con Francesca martinese, cit.). Tra il 2009 e il 2010, non è stato programmato nessun evento musicale. Per il capodanno 2011, l'assessorato alla cultura del Comune ha contattato le organizzazioni musicali locali con l'idea di organizzare un evento comune sotto l'egida di Bologna Città Creativa per la Musica. L'iniziativa non ha ricevuto però alcuna risposta positiva (intervista del 06 giugno 2011 con Valentina Lanza, responsabile settore cultura, Comune di Bologna), a conferma dello scarso livello di coinvolgimento del settore musicale della città nel progetto.

[24] Intervista con Valentina Lanza, cit.

[25] Ibidem.

[26] Intervista con Francesca Martinese, cit.

[27] Ibidem.

[28] Ibidem.

 

 



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