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La creatività culturale e la sua promozione

Giovani e imprese culturali: modalità e problemi di un intervento

di Marco Cammelli

Youth and cultural enterprises: method and problems of an intervention
The article draws the attention on a recent initiative by a group of Italian banking foundations, among which we can mention Cariplo, for the institution of a fund to finance cultural enterprises run by young people with less then 30 years. The initiative is worth of analysis for its theoretical underpinnings and for its legal implications. The concept of "culture" adopted by the fund is delimited to artistic production and it excludes those creative activities aimed at industrial production. Additionally, the concept of non-profit utilized is one compatible with the profitable management of cultural enterprises, which raises questions on the Ciampi decree (legislative decree n. 153 of 1999), still prohibiting any financing of "for-profit" enterprises by banking foundations. With regard to the legal implications, two elements deserve to be underlined: the fund is a virtuous example of cooperation among different banking foundations in a moment of lack of resources; the intervention could be linked to the theme of the need of a reformed and more favourable regulation of youth enterprises, which has been partially addressed by the Monti Government through art. 3 of the legislative decree n. 1 of 2012.

Il bando predisposto da un guppo di fondazioni di origine bancaria e destinato alle imprese culturali di giovani, cioè sotto i 30 anni secondo gli standard europei, è da segnalare per più di un motivo.

Le fondazioni infatti, una decina tra cui Cariplo cui va riconosciuto un ruolo particolare nella progettazione dell'intervento e nell'impegno finanziario, hanno deciso di istituire un fondo con una disponibilità di più di tre milioni di euro nell'arco del triennio 2012-2014 destinato a imprese culturali giovanili operanti nei territori dei partecipanti.

L'obbiettivo è quello di promuovere nelle imprese giovanili che operano in campo artistico-culturale una innovazione funzionale e strutturale capace di irrobustirne il tessuto, aumentarne la solidità, e sostenerne l'efficienza in modo da agevolarne l'equilibrio economico e nel medio periodo la relativa sostenibilità. Il tutto agendo sul processo più che sul prodotto, e lungo tre direttrici: consolidamento della struttura organizzativa (qualificazione personale non artistico, servizi interni, innesto competenze manageriali), innovazione (estensione, differenziazione, ecc.) nella offerta culturale e nella produzione artistica, incentivazione alle forme di cooperazione (economie di scopo e di scala).

Fin qui la descrizione. Ma l'interesse, e le ragioni della segnalazione che si è ritenuto di farne in Rivista, sono principalmente dovuti alle premesse concettuali e alle implicazioni, anche giuridiche, che ne discendono.

Quanto alle prime, e scontando la scelta di rivolgersi a coloro che stanno praticando modalità organizzative almeno embrionalmente già definite (impresa), il punto è l'accezione di cultura cui si fa riferimento, e il concetto di non profit.

La perimetrazione dell'ambito di intervento, come si può immaginare, è essenziale anche perché la scelta delle iniziative da sostenere avviene tramite bando, e dunque con la necessità pratica di precisare con chiarezza l'area dei possibili interessati e quella dei sicuri esclusi. La scelta delle attività aventi come oggetto principale la produzione artistico/creativa in tutte le sue forme e dei servizi strumentali al bene o alla attività culturale, pur nella sua ampiezza, dovrebbe essere sufficiente ad escludere il più ampio e altrettanto rilevante ambito di arte e creatività connessi alla produzione industriale, che obbedisce a criteri e logiche del tutto diverse.

Anche il profilo del non profit sollecita più di un approfondimento. Se è vero che in base al c.d. decreto Ciampi (decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, art. 3, comma 2) alle Fondazioni di origine bancaria è fatto esplicito divieto di "qualsiasi forma di finanziamento... diretta o indiretta, ad enti con fini di lucro o in favore di imprese di qualunque natura", ad eccezione delle imprese strumentali (proprie) o delle cooperative sociali, è altrettanto vero che l'obbiettivo della sostenibilità nel medio-lungo periodo dell'impresa non è possibile senza la disponibilità di un minimo di margini che consentano di conseguire uno stabile equilibrio nei conti economici e nella gestione. Presupposto, si noti bene, non solo di una necessaria solidità organizzativa e funzionale, ma di un risultato ben più significativo in termini sostanziali: la necessità dell'impresa culturale di riorientare la propria attenzione da quella, del tutto prevalente fino ad oggi, riservata alla cura dei finanziatori e ai desiderata della commitenza in senso ampio (enti pubblici, fondazioni, sponsor) a quella del pubblico e dei fruitori che salvo limitate e specifiche eccezioni debbono tornare ad essere il riferimento prevalente dell'offerta artistica e creativa e una componente significativa del reperimento delle risorse necessarie.

Il che, però, solleva questioni non banali anche di ordine giuridico. Intanto, la disposizione ricordata del decreto Ciampi non definisce il non profit, ma semmai traccia una generalizzata presunzione di "profit", sub specie di divieto di finanziamento o erogazione da parte delle fondazioni riferibile in ultima istanza al divieto comunitario di aiuti di stato, per tutte le imprese salvo le due categorie esplicitamente escluse. Sicché  o il discorso qui si arresta, oppure è chiaro che la disposizione non tiene conto non solo della profonda evoluzione della materia aiuti di stato dal 2007 a oggi, ma più a fondo dell'emergere di un'area intermedia (non solo culturale) in cui il profitto è solo misura di una efficiente organizzazione delle attività di impresa e comunque non è un fine ma lo strumento per rendere possibile anche sul piano delle risorse (sostenibilità) lo svolgimento di attività creative ed artistiche che ne costituiscono la missione esclusiva.

Se è così, si tratta allora di chiedersi se il necessario aggiornamento richieda una modifica legislativa o sia praticabile in via interpretativa e, in questo secondo caso, se a porvi mano abbia da essere qualcuna delle autorità in vario modo competenti (autorità garante della concorrenza e del mercato, vigilanza del ministero dell'Economia sulle fondazioni) o, almeno in parte, vi si possa provvedere direttamente all'interno dei bandi con qualche apeertura sul terreno dei requisiti di ammissibilità.

Quanto alle implicazioni, anche in questo caso giuridiche, che ne discendono possiamo limitarci a due elementi.

Il primo, specifico, riguarda le fondazioni. Il calo delle risorse disponibili e ancor più la necessità di sperimentare, con tutte le incertezze e i costi che ne conseguono, nuovi ambiti e forme di intervento portano la maggior parte delle fondazioni di origine bancaria a forme di cooperazione reciproca.

Finché  la cosa riguarda la razionalizzazione di alcune attività strumentali (istruttoria, referaggio per la selezione, valutazione di processo e di prodotto) al fine di più omogeneità di criteri e minori costi (economie di scala), non si pongono particolari problemi.

La cosa si fa più delicata nei casi, come quello qui considerato, dove l'intervento è accentuatamente sperimentale e dunque precedente ad ogni fase di standardizzazione: il punto, in questi casi, non è infatti l'economia di scala, che può profilarsi in un secondo tempo e i cui benefici sono in ogni caso ripartibili tra i partecipanti, ma il sostegno alle iniziative più meritorie indipendentemente dal territorio, con il risultato che può succedere che la fondazione (e il relativo territorio) che hanno contribuito di più alla provvista del fondo restino successivamente esclusi dalle erogazioni del medesimo. Il che solleva qualche tensione, peraltro superabile, rispetto al criterio normativo della territorialità degli interventi.

Il secondo profilo che nell'occasione balza in evidenza è quello di una più adeguata disciplina riguardante i diversi profili (contrattuale, lavoristico, fiscale, previdenziale e assistenziale) della organizzazione dell'impresa giovanile, ove maggiormente si addensano le fragilità con esiti negativi per l'intero progetto.

In astratto, le vie per porvi mano sono due: un apposito "statuto" dell'impresa giovanile, in relazione di specialità con il più generale ordinamento dell'impresa, specie se quest'ultimo mantiene le rigidità che fino ad oggi ha conservato; oppure, la fruizione di ampi spazi di flessibilità disponibili all'interno di un ordinamento che in generale, e non soltanto per l'impresa giovanile o culturale, abbia optato per un modello diverso basato su maggiore flessibilità del lavoro e maggiori garanzie per i lavoratori.

E' esattamente su questi punti che si sta muovendo l'esecutivo retto dal Presidente Monti, praticando nello stesso tempo misure generali (la maggior parte) ma anche semplificazioni mirate a facilitare le imprese giovanili, come ad esempio per le esenzioni fiscali disposte per la costituzione di Srl dall'art. 3 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1.

 

 



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