Il patrimonio culturale e le sue espressioni
La circolazione internazionale dei beni culturali, dopo
le modifiche al Codice
[The international circulation
of cultural goods after Italian Code amendments]
Sommario: 1. Premessa: una presa in considerazione migliorata ma ancora incompiuta del diritto europeo e del diritto internazionale. - 1.1. La nuova Sezione I. - 1.2. La fase europea del procedimento di uscita/esportazione. - 1.3. La restituzione in ambito europeo. - 1.4. La restituzione in ambito internazionale. - 2. I cambiamenti nella fase nazionale del procedimento di uscita/esportazione.
Le modifiche introdotte nel Capitolo V "Circolazione internazionale" del Codice dei beni culturali e del paesaggio dal decreto legislativo del 26 marzo 2008, n. 62, Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 non comportano cambiamenti radicali ma, sia sul fondo che sulla forma, sono nondimeno degne di interesse. Due novità principali possono essere rilevate. In primo luogo, le modifiche introdotte migliorano sensibilmente la presa in considerazione del diritto comunitario e del diritto internazionale vigenti nel campo della circolazione internazionale dei beni culturali in modo da adeguare il Codice a impegni presi nei confronti dei due ordini giuridici sovranazionali (1). Questo miglioramento è illustrato dalla creazione di una nuova Sezione I dedicata ai "Principi in materia di circolazione internazionale" (1.1) e dai cambiamenti introdotti nelle regole formali di esportazione dal territorio dell'Unione europea (1.2), nelle regole sulla restituzione in ambito europeo (1.3) e nelle regole riguardanti la restituzione in ambito internazionale (1.4).
In secondo luogo, le modifiche portano anche, ma in modo molto più limitato, su alcune regole interne (quelle che riguardano il procedimento circa l'uscita dal territorio nazionale) non interamente condizionate dal diritto comunitario o internazionale come le precedenti ma che risultano infatti da scelte effettuate dal legislatore con un più ampio margine di azione, anche se le preoccupazioni di compatibilità con il diritto europeo non sono del tutto assenti (2).
1. Premessa: una presa in considerazione migliorata ma ancora incompiuta del diritto europeo e del diritto internazionale
In seguito al d.lg. 62/2008, la versione 2008 del Codice compie passi molti significativi per chiarire, nel campo della circolazione internazionale dei beni culturali, i rapporti tra diritto italiano da una parte e diritto internazionale e diritto comunitario dall'altra parte. Questi miglioramenti sono benvenuti perché i modi in cui gli ordini giuridici sono stati "presentati" dal diritto interno (nella legge 1 giugno 1939, n. 1089, nella legge 30 marzo 1998, n. 88, nel Testo unico del 1999, nel Codice del 2004) non solo erano poco chiari ma erano sopratutto parziali. Anche se questa "presentazione" troncata non aveva nessuno effetto giuridico sull'applicabilità in Italia delle disposizioni dei diritti sopranazionali grazie ai meccanismi a loro propri: l'effetto dell'impegno assunto con la stipula e la ratifica di convenzioni internazionali da parte dello Stato italiano per quello che riguarda il diritto internazionale e il principio di primato per quello che riguarda il diritto comunitario.
Questa situazione non era dovuta soltanto a difficoltà riconducibili alla tecnica giuridica ma proveniva anche da una vera e propria volontà di resistenza del diritto italiano nei confronti del diritto europeo e del diritto internazionale [1]. E' anche vero che, nell'evoluzione della materia, sono stati compiuti passi verso un più corretto accoglimento di tali ordini giuridici, in particolare quelli realizzati dalla versione 2006 del Codice (decreti legislativi n. 166 e n. 167 del 24 marzo 2006) [2]. L'accoglimento è ancora più rilevante nella successiva versione del 2008, quella vigente: lo spazio che il Codice dedica al diritto comunitario e al diritto internazionale è ormai più proporzionato al loro "peso" giuridico reale e alla loro applicabilità in Italia.
Oltre questi aspetti positivi, le modifiche introdotte nel 2008 non risolvono tutti i problemi creati dall'atteggiamento "difensivo" del diritto italiano. Infatti, la versione 2008 non ha portato rimedio a due problemi strutturali che sono presenti lungo tutto il Capitolo V "Circolazione Internazionale" del Codice.
Il primo problema è relativo al fatto che, malgrado lo sforzo compiuto, il Capitolo V non fa riferimento a tutte le convenzioni internazionali che riguardano la circolazione internazionale e la restituzione dei beni culturali e che sono vigenti per l'Italia. Mancano le convenzioni relative alla circolazione internazionale dei beni culturali da territori dove si svolge un conflitto armato o occupati in seguito a tale conflitto [3]. Manca anche la convenzione sull'archeologia del 1969 [4]. La stessa osservazione può essere fatta a livello d'insieme del Codice dove le successive modifiche, e in particolare quella del 2008, hanno introdotto riferimenti fino ad ora mancanti ad alcune delle convenzioni relative ai beni culturali vigenti per l'Italia [5] ma non a tutte [6].
Il secondo problema è relativo alla mancata presa in considerazione nella codificazione, delle leggi italiane di ratifica ed esecuzione delle convenzioni internazionali che riguardano la circolazione internazionale e la restituzione dei beni culturali di cui l'Italia è parte. Le leggi di ratifica ed esecuzione delle convenzioni internazionali alle quale il Capitolo V non fa riferimento non sono state contemplate, il che è quanto meno logico. Ma più preoccupante, le leggi di ratifica ed esecuzione delle convenzioni alle quale le disposizioni del Capitolo V fanno riferimento non lo sono neanche state [7]. Il fenomeno non è circoscritto al Capitolo V ma si verifica nell'insieme del Codice. Senza aprire il dibattito sui delicati rapporti tra codificazione interna e diritto internazionale ed comunitario al quale si è già fatto cenno nei precedenti commenti, non si può che affermare che queste leggi fanno parte a pieno diritto del campo delle "disposizioni legislative" che il legislatore delegato doveva riunire per compiere l'opera di codificazione richiesta dal legislatore [8].
Di conseguenza, uno degli obiettivi che l'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137, Delega per la riforma dell'organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei ministri, nonché di enti pubblici, all'origine della codificazione del diritto relativo ai beni culturali, poneva al governo, in veste di legislatore delegato, ossia di adeguarsi alla normativa comunitaria e agli accordi internazionali", non è dunque ancora stato completamente raggiunto [9].
1.1. La nuova Sezione I
E' stata creata una nuova Sezione I dedicata ai "Principi in materia di circolazione internazionale". Comprende un articolo solo, l'art. 64-bis, che sembra fungere da introduzione al Capitolo V e anche da introduzione alle disposizioni di diritto comunitario e internazionale riprese dal Capitolo V. Ma è molto ambiguo perché, sotto il profilo delle fonti, l'articolo 64-bis non è né diritto internazionale né diritto europeo. Si tratta di diritto italiano. E se il diritto italiano è legittimo per recepire, trasporre, adattarsi ai diritti sopranazionali vigenti, lo è molto meno per "introdurli", cioè in parte interpretarli al di fuori degli spazi che gli sono concessi da questi stessi diritti. La portata giuridica reale del contenuto dell'articolo sembra finalmente molto limitata. Soprattutto non può pretendere di costituire una base interpretativa dei diritti sopranazionali vigenti.
Il comma uno dell'articolo 64-bis "Controllo sulla circolazione" afferma che il "controllo sulla circolazione internazionale è finalizzato a preservare l'integrità del patrimonio culturale in tutte le sue componenti". L'enfasi data alla nozione di integrità del patrimonio culturale riprende i motivi che hanno determinato l'adozione di convenzioni internazionali nel settore. La convenzione dell'Unesco aveva, nell'ormai lontano 1970, già lanciato un grido di allarme sul fatto che "l'importazione, l'esportazione e il trasferimento illeciti di proprietà di beni culturali costituiscono una della cause principali di impoverimento del patrimonio culturale dei paesi d'origine di questi beni" (art. 2). La convenzione dell'Unidroit del 1995 intendeva anch'essa rimediare allo stesso pericolo sottolineando "i danni irreparabili per i beni culturali che spesso derivano dal traffico illecito degli stessi beni, nonché per il patrimonio culturale delle comunità nazionali, tribali, autoctone o altre e per il patrimonio comune di tutti i popoli [...]". La letteratura scientifica di settore conferma la gravità della situazione e dimostra che la nostra comprensione del passato e della storia dell'arte è gravemente minacciata dall'ampiezza della circolazione illecita e dai fenomeni correlati (scavi clandestini in particolare) [10].
Il comma 2 prende finalmente atto in modo chiaro dell'insieme delle disposizioni vigente a livello internazionale e comunitario e dei vincoli che ne derivano per il diritto italiano, prevedendo che il controllo sulla circolazione internazionale sia esercitato "nel rispetto degli indirizzi e vincoli fissati in ambito comunitari, nonché degli impegni assunti mediante la stipula e la ratifica di convenzioni internazionali". Riconosce che il controllo sulla circolazione internazionale "costituisce funzione di preminente interesse nazionale". Ma allo stesso tempo pone due difficoltà. In primo luogo, da molto enfasi alla nozione di controllo sulla circolazione internazionale al punto di sembrare limitare "i principi in materia di circolazione internazionale" (titolo della Sezione) al "Controllo sulla circolazione" (titolo dell'articolo 64-bis), probabilmente inteso come controllo di tipo preventivo (come i controlli in merito al rilascio o meno dell'attestato di libera circolazione e della licenza d'esportazione). Invece, gli "indirizzi e vincoli fissati in ambito comunitario, nonché [gli] impegni assunti mediante la stipula e la ratifica di convenzioni internazionali" riguardano anche tutte le vicende relative alla ricerca e alla restituzione dei beni oggetto di illecita circolazione, se ritrovati. In secondo luogo, e in maniera più preoccupante, il modo poco preciso in cui è redatto il comma 2 lascia pensare che questo controllo è esercitato soltanto nell'ambito nazionale o alle frontiere del territorio nazionale. Il che non è falso ma non rappresenta più tutta la realtà. L'oggetto proprio "degli indirizzi e dei vincoli fissati in ambito comunitario e degli impegni assunti mediante la stipula e la ratifica di convenzioni internazionali", è infatti quello di adattare la risposta alla scala europea e mondiale del traffico illecito, cioè largamente sopranazionale. Le norme internazionali permettono che detto controllo sia esercitato in un ambito geografico e statale diverso da quello dove è avvenuto l'illecito e da forze di pubblica sicurezza anche loro diverse ma che agiscono per il conto dello Stato (o di altri soggetti) dove è stato commesso l'illecito come una sorta di longa manus.
Il comma terzo afferma che "[...] i beni costituenti il patrimonio culturale non sono assimilabili a merci". Questa affermazione, sommo esempio della resistenza di cui si è parlato sopra, è contraria al diritto comunitario e al diritto internazionale vigenti per i quali i beni culturali sono merci alle quale è però riconosciuto un regime particolare.
E' contraria al diritto europeo per tre motivi. In primo luogo, l'assimilazione a merci si può dedurre dall'articolazione degli articoli 28, 29 e 30 TCE che si inseriscono nel titolo I "Libera circolazione delle merci" (corsivo nostro) della parte terza "Politiche della Comunità" del Trattato. I tre articoli riguardano il divieto delle restrizioni quantitative tra gli Stati membri sia all'importazione (art. 28) che all'esportazione (art. 29) e prevedono alcune deroghe di cui una giustificata "da motivi di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale" (art. 30) che gli Stati membri possono avviare o mantenere purché "non costituisca un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri" (corsivo nostro). La natura stessa della deroga suppone che i beni che costituiscono il patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale siano in primis considerati come merce.
In secondo luogo, l'assimilazione è stata confermata dalla Corte di giustizia in una sentenza del 1968 ormai famosa [11].
In terzo luogo, l'assimilazione già implicitamente iscritta nel TCE è stata esplicitamente ripresa dalla legislazione comunitaria. Il regolamento n. 2658/87 del 23 luglio 1987 relativo alla nomenclatura tariffaria e statistica ed alla tariffa doganale comune ha integrato i beni culturali nella nomenclatura combinata con un capitolo 97 (ex 99) appositamente dedicato agli "oggetti d'arte, di collezione o di antichità" [12]. In seguito, ogni volta che il legislatore comunitario è intervenuto a proposito dei beni culturali lo ha sempre fatto con riferimento al capitolo 97 (e sottodivisioni di esso) della tariffa e anche ad altri capitoli di essa. E' stato il caso quando sono state individuate le categorie di beni culturali che potevano essere oggetto di un controllo all'esportazione [13], quando sono state individuate quelle che potevano essere oggetto di richiesta di restituzione [14] e quando sono state individuate quelle di cui gli scambi dovevano essere sottomessi al sistema comune di TVA [15].
L'assimilazione è inoltre regolarmente ribadita dalla Commissione europea [16].
L'affermazione del terzo comma dell'articolo 64 è anche contraria al diritto internazionale. Due argomenti possono essere fatti avanti. In primo luogo, gli articoli 28, 29 e 30 del TCE sul divieto delle restrizioni quantitative alla circolazione delle merce provengono in maniera quasi letterale dagli articoli dedicati al divieto delle restrizioni quantitative alla circolazione dei beni in ambito internazionale del GATT 47 [17] (artt. XI [18] e XX [19]). E' dunque possibile, addirittura logico, trarne la stessa interpretazione, cioè la sottomissione dei beni culturali al regime delle merci del GATT(/OMC) in particolare la libera circolazione di esse, fatta ovviamente salva la possibilità per gli Stati membri di applicare delle restrizioni quantitative all'esportazione [20].
In secondo luogo, la nomenclatura combinata di cui sopra non è stata creata dall'UE. La UE ha invece ripreso la nomenclatura elaborata dall'Organizzazione mondiale delle dogane che figura in allegato alla Convenzione sul sistema armonizzato di individuazione e di codificazione delle merci [21]. L'Italia e la UE fanno parte delle numerose parti contraenti della convenzione. E' vero che l'OMC non è parte alla convenzione ma come la maggiore parte dei suoi membri lo è oppure ne usa la nomenclatura, quest'ultima è diventata uno dei suoi indispensabili strumenti di lavoro.
Un argomento sfavorevole all'assimilazione può essere proposto con riferimento alla Convenzione sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali dell'Unesco del 20 ottobre 2005 della quale l'Italia e la UE sono parte contraente [22]. Il Codice fa un esplicito richiamo a questa convenzione nel suo nuovo art. 7-bis introdotto nella versione 2008. La Convenzione, che ha riscontrato un notevole successo per il numero elevato di ratifiche ottenute in tempi brevi, insiste sulla doppia natura dei beni, ponendo più enfasi sulla natura culturale che su quella commerciale [23] e spinge le parte contraente a promuovere quest'approccio "in altre sedi internazionali" (art. 21) [24].
Ma la Convenzione non ribalta l'assimilazione. Da un parte, non nega l'aspetto commerciale dei beni culturali ma cerca di bilanciarlo. Non si è dunque messa in opposizione frontale con l'approccio del diritto comunitario e del diritto internazionale. Una situazione di conflitto tra convenzioni internazionali non era assolutamente il suo obiettivo. Dall'altra parte, se l'articolo 21 è una disposizione abbastanza originale in una convenzione internazionale, per essere veramente messa in atto e rovesciare, o piuttosto mettere in discussione l'assunto in favore dell'assimilazione dei beni culturali a merci al livello internazionale, chiede sforzi per quali si può dubitare che le parte contraente siano pronte [25].
1.2. La fase europea del procedimento di uscita/esportazione
La legislazione italiana anteriore al regolamento n. 3911/92 del 9 dicembre 1992 relativo all'esportazione di beni culturali [26], aveva stabilito un procedimento relativo all'uscita dei beni culturali fuori dal territorio nazionale. Il regolamento n. 3911/92 ha sdoppiato questo procedimento. Alla fase "nazionale" del procedimento, disciplinata dalla Sezione III e di cui al punto 2, ha aggiunto una fase "comunitaria". Che questa seconda fase sia comunitaria non significa che la decisione spetta a un organo comunitario, ma significa che le regole relative al procedimento sono disciplinate dal diritto comunitario.
La Sezione III "Esportazione dal territorio dell'Unione europea" contiene due articoli (73 e 74) e attua il regolamento n. 3911/92 ora n. 116/2009.
Soltanto l'articolo 74 è stato modificato dalla versione 2008 del Codice. I commi sono stati ordinati in un modo più logico e in parte riscritti con decisivi miglioramenti stilistici. Il comma 1 dell'art. 74 pone il principio secondo il quale "l'esportazione al di fuori del territorio dell'Unione europea degli oggetti indicati nell'Allegato A è disciplinata dal regolamento CEE e dal presente articolo". Il comma due individua gli uffici di esportazione delle sovrintendenze come autorità competenti per il rilascio delle licenze di esportazione. Il comma tre chiarisce i rapporti tra attestato di libera circolazione (decisione di merito circa l'uscita dall'Italia adottata nella fase nazionale del procedimento, sulla quale si veda il punto 2) e la licenza d'esportazione [27]. La licenza è un documento uniforme che ha effetto su tutto il territorio dell'UE, richiesta dalla legislazione europea e rilasciata dall'Italia come atto dovuto se l'attestato è stato rilasciato in precedenza [28]. Il comma quattro designa gli uffici di esportazione anche come autorità competente per il rilascio delle licenze di esportazione temporanee. Il comma cinque esclude dall'applicazione delle regole italiane di merito sull'uscita dal territorio nazionale gli "oggetti entrati con licenza di esportazione rilasciata da un altro Stato membro". Si tratta di casi che corrispondono alle fattispecie contemplate dall'art. 72 (si veda il punto 2).
Nei commenti alle precedenti versioni del Codice, è stato segnalato che il Codice conteneva tre disposizioni la cui ambiguità faceva dubitare che si fosse completamente preso atto della sua posizione subordinata rispetto ai regolamenti comunitari [29]. La prima (il comma 1 dell'art. 74 che recitava in modo erroneo che il "presente articolo" disciplinava, insieme al regolamento n. 3911/92, "l'esportazione al di fuori del territorio dell'Unione europea dei beni culturali indicati nell'allegato A") è sfortunatamente rimasta. Non permette di rendersi conto che "il presente articolo" disciplina soltanto quello che il regolamento n. 3911/92 (ora n. 116/2009) le lascia disciplinare e sicuramente non la materia "esportazione al di fuori del territorio dell'Unione europea dei beni culturali".
La seconda ambiguità è stata tolta. L'art. 74.1 non indica più ormai che l'allegato A è quello "del presente Codice", e ciò giustamente perché l'allegato proviene della legislazione comunitaria e non italiana.
La terza ambiguità, che riguarda anch'essa l'allegato A, è rimasta. Sia il regolamento n. 118/2009 in seguito al regolamento n. 3911/92 che la direttiva 93/7/CEE del 15 marzo 1993 relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro sono corredati da un allegato che contiene, per il regolamento, le categorie di beni culturali di cui l'esportazione è subordinata alla presentazione di una licenza di esportazione e, per la direttiva, le categorie di beni culturali che possono essere restituiti in caso di uscita illecita dal territorio di uno Stato membro. I due allegati sono sostanzialmente uguali. Ci sono comunque due differenze: la categoria 14 è diversa, l'allegato del regolamento fa riferimento alle voce della nomenclatura combinata e invece quello delle direttiva no. Nel Codice, si è scelto di riprodurre in allegato soltanto uno di questi allegati, quello della direttiva. Questa scelta è doppiamente criticabile. In primo luogo, il riferimento che l'articolo 74 fa a questo allegato è erroneo perché, trattandosi della disciplina dell'esportazione, l'articolo dovrebbe fare riferimento all'allegato del regolamento e non a quello della direttiva. In secondo luogo, il legislatore italiano ha introdotto tre modifiche all'allegato [30]. A se stante queste modificazioni, veri e propri tagli illeciti, sono di natura a costituire un inadempimento caratterizzato da parte del giudice comunitario di legittimità.
1.3. La restituzione in ambito europeo
La Sezione IV del Capitolo V contiene le disposizioni di trasposizione nel diritto italiano della direttiva 93/7/CEE, del 15 marzo 1993, relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro [31]. Il titolo della Sezione IV è stato modificato da "Restituzione di beni culturali illecitamente usciti dal territorio di uno stato membri dell'Unione europea" a "Disciplina in materia di restituzione, nell'ambito dell'Unione europea, di beni culturali illecitamente usciti dal territorio di uno Stato membro". Tra i suoi 12 articoli, soltanto uno è stato modificato, l'articolo 75. Come nel caso dell'articolo 74 della Sezione precedente lo stile è stato migliorato.
Il comma uno precisa che "nell'ambito dell'Unione europea, la restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro dopo il 31 dicembre 1992 è regolata dalle disposizioni della presente sezione, che recepiscono la direttiva CEE", cioè pone senza più nessuna ambiguità, rispetto a formulazioni precedenti, che ha per scopo di recepire la direttiva 93/7/CEE. In tal modo è chiaramente indicato che si tratta della trasposizione di disposizioni di origine comunitaria che il legislatore deve trattare come tale, ossia nel rispetto degli scopi della direttiva e dei cambiamenti formali o sostanziali che il legislatore comunitario può introdurre ad ogni momento. Deve essere notato che il meccanismo della restituzione previsto dalla direttiva non è l'unico strumento vigente nel ordine comunitario con il quale si possa rimediare all'uscita illecita di un bene culturale dal territorio di uno Stato membro. Altri meccanismi esistono e possono essere messi in atto, tra i quali la convenzione sull'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea del 29 maggio 2000.
Il comma due della nuova versione migliora sensibilmente la redazione della definizione dei beni culturali in generale. Riprende, non letteralmente ma molto da vicino, quella della direttiva (art. 1.1) [32].
La nuova versione del comma tre prosegue il lavoro di chiarimento a proposito della definizione dei beni culturali restituibili. Riprende la sostanza di quella della direttiva (art. 1.1).
Lo stesso vale per il comma quattro, che riguarda la definizione dell'uscita illecita. Sono stati ripresi i termini stessi della direttiva (art. 1.2).
Nel comma cinque, dedicato alle altre condizione di uscita illecita, è stata finalmente sostituita la parola esportazione con quella corretta di spedizione, per quello che riguarda la circolazione intraeuropea. Sono inoltre portate mere modifiche stilistiche.
Il comma sei rimane senza cambiamento.
1.4. La restituzione in ambito internazionale
La Sezione V era precedentemente intitolata "Convenzione Unidroit" e comportava un singolo articolo dedicato alla convenzione dell'Unidroit del 1995, l'art. 87. Era criticabile perché non faceva riferimento a un'altra convenzione internazionale avente lo stesso oggetto e anche essa vigente per l'Italia: la convenzione dell'Unesco del 1970 sulle misure da adottare per vietare e impedire l'importazione, l'esportazione e il trasferimento di proprietà illecita dei beni culturali. Nella versione 2008, il titolo della sezione è diventato "Disciplina in materia di interdizione della illecita circolazione internazionale dei beni culturali" e le è stato aggiunto un nuovo articolo, l'articolo 87-bis dedicato alla "Convenzione Unesco". E' la prima volta che questa convenzione viene citata nella legislazione italiana di settore, sebbene questa fosse stata ratificata dall'Italia fin dal lontano 1978. La Sezione serve dunque ormai da "ponte" verso due importanti convenzioni che hanno, circa la illecita circolazione dei beni culturali, lo scopo di prevenirla e quello di stabilirne i rimedi [33]. Queste convenzioni hanno un ambito internazionale e non più soltanto europeo, come la direttiva n. 7 del 1993 di cui alla precedente Sezione IV.
La modifica è dunque benvenuta. Ma è ancora criticabile perché rende più conto degli aspetti preventivi che degli aspetti repressivi (ossia della restituzione) delle convenzioni [34]. Inoltre, il titolo della Sezione che associa l'interdizione alla illecita circolazione internazionale dei beni culturali è poco convincente. Infatti c'è da auspicare che se la circolazione internazionale dei beni culturali è illecita sia anche vietata.
La convenzione dell'Unidroit ha ripreso, ampliandolo, lo stesso oggetto della convenzione dell'Unesco, ossia rimediare alla circolazione illecita dei beni culturali. Ne ha ripreso anche la stessa definizione dei beni culturali, cioè "i beni che, a titolo religioso o profano, sono importanti per l'archeologia, la preistoria, la storia, la letteratura l'arte o la scienza in particolare quelli che appartengono ad una delle categorie enumerate nell'annesso alla presente convenzione" (art. 2), togliendo la condizione della previa individuazione del bene da parte delle autorità competente. Gli annessi alle due convenzioni sono gli stessi. I progressi della convenzione Unidroit rispettivamente alla convenzione Unesco sono stati studiati altrove [35]. Ma dal punto di vista delle fonti del diritto, la convenzione dell'Unidroit, seppure più recente di 25 anni rispettivamente alla convenzione dell'Unesco, non si sostituisce a quest'ultima. Il comma 1 dell'art. 13 precisa che "non deroga agli strumenti internazionali da cui uno Stato contraente è giuridicamente vincolato e che contengono disposizioni sulle materie regolate dalla presente Convenzione, a meno che una diversa dichiarazione non sia resa dagli Stati vincolati da tali strumenti". Dichiarazione che l'Italia non ha reso.
La questione degli ambiti rispettivi di applicazione delle due convenzioni si è complicata dall'entrata in vigore della direttiva 93/7/CEE, relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro, intervenuta dopo l'entrata in vigore della convenzione Unesco ma prima di quella dell'Unidroit. La situazione può brevemente essere riassunta nel modo seguente [36]. La direttiva ha avuto per effetto di impedire l'applicazione della convenzione dell'Unidroit tra gli Stati membri dell'Unione europea (vedere l'articolo 13 comma 3 della convenzione e l'art. 7 della legge italiana n. 213/1999 di ratifica ed esecuzione della convenzione dell'Unidroit). Ugualmente, l'applicazione della convenzione Unesco è probabilmente venuta meno nelle stesse condizioni tra gli Stati membri. Ma l'applicazione delle convenzioni fuori dell'Unione, e dunque gli impegni assunti tra Stati membri e Stati terzi, non sono stati messi in discussione (e non potevano esserlo).
La ragione di tale meccanismo (chiamato "deconnessione") risiede nel primato del diritto comunitario. La direttiva, misura di armonizzazione delle legislazioni nazionali (art. 95 TCE), vieta agli Stati membri di adottare nel suo campo di applicazione qualsiasi misura diversa da una misura di trasposizione nel diritto interno. Considerato l'oggetto della direttiva, cioè la restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro, qualsiasi altra misura non potrebbe essere che la partecipazione a una convenzione internazionale nell'ambito geografico europeo di applicazione della direttiva.
2. I cambiamenti nella fase nazionale del procedimento di uscita/esportazione
La Sezione
II "Uscita dal territorio nazionale e ingresso nel territorio nazionale"
(titolo invariato) comprende gli articoli da 65 a 72. Disciplina il procedimento
e l'inquadramento del potere decisionale delle autorità italiane competenti
circa alle decisioni di merito sull'uscita o meno dei beni culturali
fuori dal territorio nazionale (con il rilascio o meno dell'attestato di libera
circolazione). Costituisce la prima fase, "nazionale" e disciplinata
dal diritto italiano, del procedimento relativo all'uscita/esportazione dei
beni culturali sulla quale si innesca dal 1992 una seconda fase di origine
comunitaria di cui alla Sezione III (si veda il punto 1.2). La versione 2008
del Codice ha portato tre modifiche a questa prima fase.
La prima modifica riguarda i criteri secondo i quali può essere rilasciato l'attestato di libera circolazione (art. 68). L'attestato di libera circolazione è il documento italiano di merito riguardante l'uscita definitiva dal territorio italiano di una cosa ascrivibile a una della tre categorie dell'art. 65. Nella versione 2006 del Codice, circa la valutazione del suo rilascio, l'articolo 68.4 rimandava ad "indirizzi di carattere generale stabiliti dal ministero, sentito il competente organo consultivo". Previsti quando la legge 1089/1939 era ancora vigente, probabilmente per fissare una politica nazionale omogenea o addirittura uniforme di esportazione e per evitare "l'attestato shopping" presso i diversi uffici di esportazione, tali indirizzi non sono ancora, a conoscenza di chi scrive, stati rilasciati (tranne una circolare nel 1974). La versione 2008 del Codice non specifica quali sono gli indirizzi in questione ma inquadra la loro futura emanazione da parte del ministero sentito il competente organo consultivo, indicando i criteri di massima secondo i quali gli uffici di esportazione procedono. L'accertamento nelle cose presentate, "dell'interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico" (a termini dell'articolo 10) deve essere fatto "in relazione alla loro natura o al contesto storico-culturale di cui fanno parte".
La seconda modifica riguarda il meccanismo dell'acquisto coattivo. Si ricorda che il Codice ha, rispetto alla legge 1089/1939, distinto la prelazione all'esportazione dalla prelazione tout court (che si applica a scambi interni) e le ha attribuito il nuovo nome di acquisto coattivo. Secondo quest'istituto, il ministero ha la facoltà, su proposta dell'ufficio di esportazione, di acquistare una cosa presentata per l'uscita definitiva del territorio italiano, sostituendosi all'acquirente (art. 70). L'acquisto si fa al valore venale indicato nella denuncia (art. 68, comma 1). La versione 2008 del Codice precisa che la proposta che l'ufficio può fare al ministero circa l'acquisto coattivo della cosa non può avere luogo finché la decisione di merito (rilascio o diniego dell'attestato di libera circolazione) non è stata resa (articolo 70, comma 1). Questo chiarimento procedimentale è particolarmente benvenuto dal momento in cui la compatibilità dell'istituto stesso dell'acquisto coattivo con il diritto comunitario è oggetto di discussione in dottrina. Ma la Corte di giustizia non si è pronunciata al riguardo. Per il diritto che proviene dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, la Corte di Strasburgo ha sanzionato un uso abusivo della prelazione - sanzione (art. 61.2) da parte della pubblica amministrazione italiana [37] [38].
La terza modifica riguarda la documentazione che può essere allegata a una domanda di attestato di avvenuta importazione o spedizione (art. 72). Il diritto italiano ha previsto che chi spedisce (da un altro Stato membro) o importa (da un Stato terzo) in Italia una cosa indicata all'articolo 65.3 possa (non è obbligatorio) chiedere un certificato di avvenuta spedizione o importazione. L'utilità di questo certificato è doppia. In primo luogo, costituisce un documento ufficiale in caso di dubbi o disputa ulteriore sulla provenienza, lecita o meno, di una cosa [39]. In secondo luogo, impedisce che venga applicato il dispositivo di controllo relativo all'uscita definitiva previsto dagli articoli 65 a 71 di una cosa che si trova sul territorio italiano in modo non definitivo. Chi chiede il certificato deve fornire una documentazione "idonea a identificare la cosa e a comprovarne la provenienza dal territorio dello Stato membro o del paese terzo dai quali è stata, rispettivamente, spedita o importata". Al riguardo, la modifica introdotta dalla versione 2008 del Codice esclude espressamente, "la produzione, da parte degli interessati, di atti di notorietà o di dichiarazioni sostitutive dei medesimi, rese ai sensi delle vigenti disposizioni legislative e regolamenta in materia di documentazione amministrativa" [40]. Ci sono forse due motivi che spiegano questa modifica. Il primo potrebbe essere di contrastare l'aumento della presentazione da parte delle persone interessate di una quantità elevata di documentazione che rendono l'istituto poco gestibile dal lato dell'amministrazione competente. Il secondo potrebbe essere di evitare i delicati problemi di traduzione e di validità di atti di notorietà o equivalenti, se esistono, rilasciati da Stati diversi dallo Stato italiano.
Note
[1] Già evidenziata nei commenti alle precedenti versioni del Capitolo V del Codice. Si veda, da ultimo, M. Cammelli (a cura di), Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, Commento a cura di Marco Cammelli con il coordinamento di Carla Barbati e Girolamo Sciullo, il Mulino, 2007, p. 319 ss.
[2] Passi evidenziati nei stessi commenti di cui sopra.
[3] In particolare, il primo protocollo alla Convenzione internazionale per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato adottato all'Aja, il 14 maggio 1954, al quale l'Italia è parte (legge 7 febbraio 1958, n. 279 di ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, firmata all'Aja il 14 maggio 1954, con annesso regolamento di esecuzione e del relativo Protocollo di pari data, GURI, SO, 11 aprile 1958, n. 87) contiene, tra altre, disposizioni di grande rilievo sul sequestro di beni culturali importati sul territorio di uno Stato contraente o che provengono direttamente o indirettamente da un territorio occupato durante un conflitto armato (artt. 1 a 5). Invece, l'Italia non è parte del secondo protocollo alla stessa Convenzione, adottato all'Aia il 26 marzo 1999 (di cui in part. l'articolo 9).
[4] Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico del 6 maggio 1969, della quale l'Italia è parte (legge 12 aprile 1973, n. 202, Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico, firmata a Londra il 6 maggio 1969, GURI, 17 maggio 1973, n. 127) di cui gli articoli 5 a 8.
[5] La versione 2008 del Codice ha, nel suo nuovo articolo 7-bis, introdotto riferimenti alla Convenzione dell'Unesco del 3 novembre 2003 per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e alla Convenzione dell'Unesco del 20 ottobre 2005 sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali.
[6] Per esempio, la Convenzione europea per la salvaguardia del patrimonio architettonico in Europa del 3 ottobre 1985 (legge 15 febbraio 1989, n. 93 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la salvaguardia dei patrimonio architettonico in Europa, firmata a Granada il 3 ottobre 1985, GURI, SO, 15 marzo 1985, n. 62).
[7] In particolare, la legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione Unidroit sul ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente esportati, con annesso, fatto a Roma il 24 giugno 1995 (legge 7 giugno 1999, n. 213 ratifica ed esecuzione dell'atto finale della conferenza diplomatica per l'adozione del progetto di Convenzione dell'Unidroit) contiene delle disposizione indispensabili per attuare la Convenzione stessa.
[8] L'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137, Delega per la riforma dell'organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei ministri, nonché di enti pubblici, delega al Governo la competenza per la "codificazione delle disposizioni legislative in materia di: a) beni culturali e ambientali [...]" (corsivo nostro).
[9] Va notato che l'adeguamento del diritto francese (Code du patrimoine) è ancora meno soddisfacente: sia consentito a proposito il rinvio a F. Lafarge, Il Codice francese del patrimonio del 2004. Breve presentazione, in M.L. Catoni (a cura di), Il patrimonio culturale in Francia, Electa, 2007, p. 141 ss.
[10] C. Chippindale and D.W.J. Gill, Material Consequences of Contemporary Classical Collecting, in American Journal of Archaeology, vol. 104, n. 3, July 2000, pp. 463 ss.; N.J. Brodie and K.W. Tubb (eds), Illicit Antiquities: the Theft of Culture and the Extinction of Archaeology, London, Routledge, 2002.
[11] Corte di giustizia, sent. 10 dicembre 1968, Commissione delle comunità europee contro Repubblica italiana, causa 7/68: "A norma dell'articolo 9 del Trattato, la Comunità si fonda su un'unione doganale 'che si estende al complesso degli scambi di merci'. Per merci ai sensi di detta disposizione si devono intendere i prodotti pecuniariamente valutabili e come tali atti a costituire oggetto di negozi commerciali. I prodotti contemplati dalla legge italiana [n. 1089/1939], indipendentemente dalle caratteristiche che li distinguono dagli altri beni commerciabili, hanno in comune con questi ultimi la caratteristica di essere pecuniariamente valutabili e di poter quindi costituire oggetto di negozi commerciali. [...] Risulta dalle considerazioni che precedono che detti beni sono soggetti alle norme comunitarie, salvo le deroghe espressamente previste dal Trattato".
[12] Di cui l'articolo 1.1 stabilisce: "E' instaurata una nomenclatura delle merci, denominata in appresso 'nomenclatura combinata' [...] che risponde nel contempo alle esigenze della tariffa doganale comune ed a quelle delle statistiche del commercio estero della Comunità" (corsivo nostro).
[13] Allegato "Categorie di beni culturali contemplate dall'articolo 1" del regolamento n. 3911/92 del 9 dicembre 1992 relativo all'esportazione di beni culturali poi del regolamento n. 116/2009 del 18 dicembre 2008 relativo all'esportazione di beni culturali - versione codificata.
[14] Allegato "Categorie che sono contemplate dall'articolo 1, punto 1, secondo trattino ed a cui devono appartenere, per poter essere restituiti, conformemente alla presente direttiva, i beni classificati come beni del 'patrimonio nazionale' ai sensi dell'articolo 36 del Trattato CEE" alla direttiva n. 93/7 del 15 marzo 1993, relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro.
[15] Allegato IX "Oggetti d'arte, di collezione o di antichità di cui all'articolo 331, §1, punti 2), 3) e 4" alla direttiva n. 2006/112 del 28 novembre 2006 relativa al sistema comune di TVA.
[16] Da ultimo, la Commissione ha dichiarato che "le opere d'arte in generale, comprese le monete antiche, sono merci che rientrano nel campo di applicazione degli articoli 28 e 29 del trattato CE [...] che sanciscono il principio di libera circolazione delle merci. Tuttavia, in assenza di norme di armonizzazione, il trattato intende preservare il diritto degli Stati membri di proteggere il proprio patrimonio artistico, storico o archeologico. Per questo motivo, l'articolo 30 prevede un'eccezione alla libera circolazione delle merci motivata dalla protezione dei tesori nazionali e pertanto riconosce il diritto degli Stati membri di fissare limiti o divieti all'uscita dal territorio nazionale dei beni che lo Stato membro ha deciso di includere nel proprio patrimonio culturale protetto", Interrogazione scritta E-2474/03 di Ingo Friedrich (PPE-DE) alla Commissione, GUUE, n. 51 E, 26 febbraio 2004 p. 251.
[17] Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio, concluso a Ginevra il 30 ottobre 1947.
[18] Article XI General Elimination of Quantitative Restrictions
"1. No prohibitions or restrictions other than duties, taxes or other charges, whether made effective through quotas, import or export licences or other measures, shall be instituted or maintained by any contracting party on the importation of any product of the territory of any other contracting party or on the exportation or sale for export of any product destined for the territory of any other contracting party [...]".
[19] Article XX General Exceptions
"Subject to the requirement that such measures are not applied in a manner which would constitute a means of arbitrary or unjustifiable discrimination between countries where the same conditions prevail, or a disguised restriction on international trade, nothing in this Agreement shall be construed to prevent the adoption or enforcement by any contracting party of measures: [...] (f) imposed for the protection of national treasures of artistic, historic or archaeological value [...]".
[20] Ma è vero che il sistema OMC di risoluzione dei conflitti non ha ancora avuto modo di pronunciarsi al riguardo. Si veda L. Mayer-Robitaille, Le statut juridique des biens et services culturels dans les accords commerciaux internationaux, L'Harmattan, 2008.
[21] Convention sur le Système harmonisé de désignation et de codification des marchandises / Convention on the Harmonized Commodity Description and Coding System, adottata a Bruxelles, il 14 giugno 1983.
[22] Decisione del Consiglio, 2006/515/CE del 18 maggio 2006, relativa alla conclusione della Convenzione sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali.
[23] Tra i suoi obiettivi (art. 1), la Convenzioni ha per scopo di "g) riconoscere la natura specifica delle attività, dei beni e dei servizi culturali in quanto portatori di identità, di valori e di senso". Considera inoltre i beni culturali come beni che "dal punto di vista della loro qualità, utilizzazione e finalità specifica, incarnano o trasmettono espressioni culturali, indipendentemente dal loro eventuale valore commerciale" (art. 3.4.).
[24] La stessa impostazione si avverte nella Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore del patrimonio culturale per la società del 27 ottobre 2005 ma in modo molto più attenuato. Inoltre, la Convenzione non è stata ratificata dall'Italia, ne approvata dal Consiglio.
[25] Anche se è vero che sia la Commissione che il Consiglio mostrano di volere impegnarsi molto per l'attuazione di questa Convenzione, cfr. per la prima, Commissione, Comunicazione su un'agenda europea per la cultura in un mondo in via di globalizzazione, 10 maggio 2007, COM(2007) 242 e per il secondo Risoluzione del Consiglio, del 16 novembre 2007, su un'agenda europea per la cultura, GUUE, n. C 287 del 29 novembre 2007.
[26] Ormai, ex regolamento, visto che è entrato in vigore il regolamento (CE) n. 116/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, relativo all'esportazione di beni culturali - versione codificata -, GUUE, L 39, 10 febbraio 2009.
[27] Con indicazione dei loro relativi termini di validità.
[28] Se l'attestato non è stato previamente rilasciato, la questione del rilascio della licenza non si pone nemmeno.
[29] Come qualsiasi regolamento comunitario, il regolamento n. 116/2009 in seguito al regolamento n. 3911/92 insieme al suo regolamento d'applicazione n. 752/93 creava nel campo che disciplinava, l'esportazione dei beni culturali, una riserva di regolamento. Ogni norma o disposizione di diritto interno che entra in questo campo non può più essere presa in considerazione tranne se si tratta di norme o disposizioni di esecuzione del regolamento espressamente previste dal regolamento.
[30] Prima modifica: nella direttiva, la categoria 3 bis dell'allegato "Acquarelli, guazzi e pastelli eseguiti interamente a mano su qualsiasi supporto" è limitata ai beni aventi più di cinquanta anni e non appartenenti all'autore. Questa limitazione è sparita nel Codice (categoria A4).
Seconda modifica: tutti i beni rientrando nella categoria A4 dell'allegato della direttiva "Mosaici diversi da quelli delle categorie 1 e 2 e disegni fatti interamente a mano su qualsiasi supporto e con qualsiasi materia" sono limitati a quelli aventi più di cinquanta anni e non appartenenti all'autore. Il Codice (categoria A5) ha escluso di questa limitazione i disegni fatti interamente a mano su qualsiasi supporto e con qualsiasi materia.
Terza modifica: le categorie 12 a e 12 b dell'allegato alla direttiva contemplano delle collezioni. E' indicato, con nota in qualche, che il termine collezione va interpretato secondo la posizione della Corte di giustizia emessa nel 1985: "Gli oggetti da collezione ai sensi della voce 97.05 della tariffa doganale commune sono quelli che possiedono le qualità richieste per far parte di una collezione, cioè gli oggetti relativamente rari, che non sono normalmente usati secondo la loro destinazione originaria, che formano oggetto di transazioni speciali al di fuori del mercato abituale degli analoghi oggetti di uso comune ed hanno un valore elevato" (sent. Corte di Giustizia CE, Collector Guns / Hauptzollamt Koblenz, 10.10.1985, causa 252/84). Il Codice non ha ripreso questa precisazione, la nota in calce è sparita.
[31] In corso di codificazione con integrazione delle modifiche successive.
[32] Il riferimento al Trattato di Amsterdam e a quello di Nizza significa probabilmente che l'art. 36 TCE al quale fa riferimento la direttiva è stato rinumerato 30.
[33] Si consenta il rinvio a F. Lafarge, Commento all'articolo 87, in M. Cammelli (a cura di), Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., pp. 361-365.
[34] Sulle ultime e clamorose restituzioni a favore dell'Italia, D.W.J. Gill and C. Chippindale, From Boston to Rome: reflections on returning antiquities, International Journal of Cultural Property, 13, 2006, p. 311; D.W.J. Gill and C. Chippindale, From Malibu to Rome: further developments on the return of antiquities, International Journal of Cultural Property, 14, 2007, p. 205.
[35] Per esempio, G. Carducci, Complémentarité entre les conventions de l'Unesco de 1970 e de l'Unidroit de 1995 sur les biens culturels, Revue de droit uniforme, 2006, p. 93.
[36] Per una più ampia trattazione, sia consentito il rinvio a F. Lafarge, Beni culturali, in Trattato di diritto amministrativo europeo, cit., p. 699 ss.
[37] CEDU, 5 gennaio 2000, Beyeler c. Italia, (au principal) n. 33202/96.
[38] La modifica introdotta dalla versione 2008 del Codice all'articolo 71, comma 3 (attestato di circolazione temporanea) riguarda soltanto un miglioramento stilistico della redazione del comma.
[39] Anche se il certificato non ha per scopo di accertare il carattere lecito dello spostamento che ha portato la cosa sul territorio italiano.
[40] Articolo 47 del d.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445.