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Territori e beni culturali

I nuovi Statuti autonomistici in Spagna: l'assetto delle competenze delle Comunità autonome e i "nuovi" diritti culturali

di Leonardo Sánchez-Mesa Martínez

Sommario: 1. Premessa: le riforme statutarie e la loro incidenza in ambito culturale. - 2. L'inserimento di nuovi obbiettivi e principi per l'intervento pubblico nell'ambito della cultura. - 3. I "nuovi" diritti culturali dopo le riforme statutarie. - 4. Il "nuovo" assetto delle competenze regionali in ambito culturale. - 5. Analisi critica delle novità introdotte dalle riforme: significato, portata effettiva e compatibilità con la Costituzione e l'ordinamento europeo.

1. Premessa: le riforme statutarie e la loro incidenza in ambito culturale

"Cultura" e "identità culturale" costituiscono due concetti molto ampi nel loro significato [1] e cruciali per la comprensione e configurazione del fenomeno regionale in Spagna. Non a caso l'articolo 143.1 della Costituzione spagnola del 1978 (d'ora in poi CE) dispone che la presenza di caratteristiche culturali e storiche comuni rappresenta uno tra i fondamenti da prendere in considerazione per rendere possibile a un insieme di territori insulari o di provincie limitrofe di accedere al loro autogoverno e costituire una "Comunidad Autónoma" (d'ora in poi C.A.).

Sembra, dunque, logico che il settore della Cultura - e quello più specifico dei beni culturali - sia stato un ambito generalmente previsto e regolato dagli Statuti di Autonomia di tutte le CC.AA. Da un primo approccio pare possibile identificare soluzioni molto simili tra le diverse Leggi Organiche che diedero luogo ai 17 Statuti di Autonomia, cominciando dalla dichiarazione generalizzata di una competenza regionale in materia di cultura e di tutela del Patrimonio Culturale (sempre rispettosa, però, della capacità d'intervento riconosciuta dalla CE allo Stato in questo settore) [2]. Nonostante ciò, è sempre possibile identificare alcune particolarità e sfumature nel trattamento conferito al settore da ciascuno degli Statuti di Autonomia (ad esempio, nella regolazione dei principi specifici che informano l'intervento pubblico in materia di cultura, nei riferimenti alle particolarità culturali della regione, nel trattamento della questione linguistica, ecc.).

Risulta ovvio affermare che molte cose sono cambiate dal periodo in cui furono approvati i testi originali degli Statuti: le questioni che richiedono l'intervento pubblico, l'evoluzione dello "Stato delle Autonomie", la realtà politica, sociale ed economica del Paese insomma, non sono affatto le stesse che venivano affrontate nei primi anni '80 (momento in cui furono approvati gli ultimi Statuti). Questo è il principale argomento usato da coloro che negli ultimi anni hanno difeso - e difendono - la necessità di procedere a una riforma degli Statuti di Autonomia (infatti, nei preamboli degli Statuti riformati saranno molto frequenti i riferimenti a questi cambiamenti come fondamento e giustificazione della stessa riforma). Tra le principali "motivazioni" delle riforme troveremo allora, le seguenti:

a) La necessità di acquisire nuove competenze e ridefinire quelle tradizionali.

Si sostiene che l'assetto delle competenze regionali previsto dagli Statuti di Autonomia originali sia oggi insufficente per permettere di approfittare al meglio delle potenzialità delle CC.AA.: manca il riconoscimento di competenze (e il corrispondente finanziamento) in settori che sono diventati cruciali per le CC.AA. (dove il loro intervento è già una realtà, come è il caso dell'inmigrazione) e, dall'altro lato, la formulazione delle competenze già riconosciute segue un modello spesso considerato insoddisfacente: i vecchi Statuti presentano semplici "cataloghi", spesso riassunti in un unico articolo, che enumerano in modo ampio e con scarsi dettagli le competenze delle CC.AA. ("educazione", "governo del territorio", "cultura", "beni culturali d'interesse regionale", e così via). L'eventuale riforma dovrebbe, quindi, sia dichiarare le nuove competenze richiamate che precisare i contenuti delle vecchie competenze esclusive.

b) La necessità di affrontare riforme istituzionali.

Riforme che permettano approfondire e perfezionare gli strumenti di autogoverno delle CC.AA., rendendoli adeguati alle circostanze e necessità attuali (nuovi istituti, strumenti di raccordo regione-Stato, partecipazione della C.A. alle istituzioni europee e alla creazione del diritto comunitario, ecc.)

c) La necessità di modernizzare i principi che informano l'intervento dei poteri delle CC.AA.

Tali principi sono molto generici già nei vecchi Statuti e spesso costituiscono una semplice ripetizione di quelli previsti dalla Costituzione. Considerando il grado d'importanza e intensità dell'intervento dei poteri pubblici delle CC.AA. nell'attualità, occorrerebe riformare questi principi, precisandoli e adeguando la loro formulazione alla realtà.

d) L'opportunità di precisare i diritti dei cittadini della Comunità Autonoma.

I vecchi Statuti si limitano a dichiarare il compromesso di garantire i diritti fondamentali previsti nel testo costituzionale e, proprio per ciò, la regola generale appare l'inclusione di uno o vari precetti che articolano un rinvio alla Costituzione (CE). Dopo le riforme, invece, alcuni Statuti hanno previsto una regolazione più intensa che tenta di precisare maggiormente i contenuti e la portata di alcuni diritti fondamentali per i cittadini della C.A., rispettando sempre però il "contenuto mínimo" dei diritti previsti dalla CE e prendendo anche in considerazione le convenzioni internazionali in vigore su questa materia.

Seppure si possa affermare che le suddette linee d'azione informino in termini generali le riforme statutarie affrontate fino ad ora (che riguardano un totale di 6 CC.AA.: Comunità Valenciana, Catalonia, Isole Baleari, Andalusia, Aragone e Castilla y León) [3], occorre segnalare che l'intensità con cui esse si manifestano in ciascun caso non è affatto omogenea: non tutte le riforme affrontano allo stesso modo l'intervento nei confronti di ciascuno degli ambiti accennati e la quantita di novità introdotte è molto diverso da un caso all'altro. Quindi, si possono individuare due gruppi diversi: Statuti che dispongono una riforma "intensa" (Catalonia, Andalussia e - in minore misura - Castilla y León) e Statuti che, seppure introducendo alcune novità importanti, conservano ancora in sostanza la struttura e la configurazione precedenti (Aragone, Isole Baleari e Comunità Valenciana).

Se consideriamo ora lo specifico settore della cultura, il primo aspetto da constatare è che lo stesso non costituisce una eccezione rispetto ai mutamenti che derivano del nuovo panorama politico, economico e sociale. Molte cose sono cambiate riguardo al modo di concepire l'intervento pubblico in questo ambito (come anche lo stesso modo di concepire il termine e l'idea di "cultura"), come molti sono i fattori che incidono su tali cambiamenti (il progresivo consolidarsi della cultura come rilevante indicatore dello "Stato del benessere", gli effetti del fenomeno della globalizzazione sul piano culturale, l'inserimento delle politiche relative allo sfruttamento economico della cultura e del Patrimonio culturale nell'ambito d'applicazione dei principi della dottrina dello svilupo sostenibile, ecc. [4]). A questi cambiamenti si deve aggiungere la progressiva evoluzione del sistema spagnolo verso il consolidamento di un ruolo fondamentale delle CC.AA., particolarmente intenso per quanto riguarda il settore analizzato [5]. Infatti, le stesse CC.AA. identificano in esso un ambito cruciale dove il loro intervento dovrebbe manifestarsi e il protagonismo richiamato si rileva nel considerabile aumento dei riferimenti alla cultura e al Patrimonio culturale negli Statuti risultanti delle recenti riforme (un dato che può essere chiaramente identificato già da una prima lettura dei rispettivi preamboli) [6].

Occorre segnalare fin dall'inizio, però, che i nuovi contenuti risultanti dalle riforme non rappresentano in realtà una alterazione sostanziale delle norme statutarie precedenti in materia di cultura, ma piuttosto lo sviluppo di principi e competenze che potevano considerarsi già incluse in esse. A dire il vero, la novità principale dei testi riformati si può identificare nella proclamazione esplicita di concreti diritti relativi al settore della cultura, superando così il tradizionale rinvio operato dai vecchi Statuti al testo costituzionale in materia dei diritti fondamentali (alcuni tra i nuovi Statuti proclamano veri cataloghi di diritti, compresi anche i "diritti culturali"). D'altro canto, come accennavamo prima, occorre ricordare che le riforme statutarie operate non presentano lo stesso rigore e intensità nell'accennata attività di sviluppo normativo, dando luogo a risultati diversi [7].

Analizziamo di seguito, molto brevemente, le principali novità introdotte, strutturando la loro descrizione in tre sezioni corrispondenti ai principi ed obbiettivi, ai diritti e alle competenze in materia di cultura, per analizzare poi la loro coerenza con la Costituzione e col Diritto comunitario, offrendo, alla fine, alcune considerazioni critiche rispetto alla loro portata effettiva.

2. L'inserimento di nuovi obbiettivi e principi per l'intervento pubblico nell'ambito della cultura

Un primo riflesso delle ripercussioni dei cambiamenti subiti dal settore della cultura (e dalla specifica configurazione dell'intervento pubblico sviluppato nei suoi confronti) si può trovare nell'importanza conferita a due obbiettivi-valori la cui materializzazione contemporanea va stimata imprescindibile per riuscire ad ottenere una maggiore coesione sociale e un maggiore livello di benessere all'interno dello scenario socio-culturale odierno: la protezione e lo sviluppo della propria identità culturale e il contemporaneo rispetto della diversità culturale [8].

Alla stregua di tale valore, gli Statuti di Autonomia incorporano una serie di principi e obbiettivi specifici che potrebbero considerarsi coincidenti, in linee generali, con quelli già riconosciuti per l'ambito della cultura nelle regolazioni statutarie precedenti, conservando sempre una posizione centrale la garanzia dell'accesso alla cultura e la partecipazione dei cittadini alla vita culturale della Comunità [9]. Tuttavia, in alcuni casi si pone maggiore attenzione all'obbiettivo di definire la portata dei mandati rivolti ai poteri pubblici a seguito della proclamazione di detti principi, superando ampiamente la mancanza di effettività dei vecchi Statuti di Autonomia. Così accade nei nuovi Statuti della Catalonia, Andaluzia e Castilla-León (particolarmente nel primo).

Tra i nuovi principi e obbiettivi introdotti, spunta in modo particolare l'inclusione, nel nuovo Statuto catalano, di un ampio elenco di principi che devono informare l'intervento dei poteri pubblici nell'ambito specifico della questione lingúística: si dichiara l'obbligo di garantire la protezione, la conoscenza e lo sviluppo dell'uso della lingua catalana, tradotta poi in una serie di doveri (previsti dall'articolo 50 EC) [10] imposti ai poteri pubblici e che riguardano l'uso del catalano in diversi settori (educazione, commercio, rapporti interni delle imprese, rapporti con le amministrazioni, ecc.).

Insieme a questo principio/obbiettivo, possiamo citare altri, tra cui:

- lo sviluppo della creatività artistica (art. 44 EC);

- favorire l'integrazione culturale degli immigrati (articoli 10.3.17° e 37.1.9° EA e art. 10.2 ECL), obbiettivo legato al fenomeno sociale dell'immigrazione, d'indiscutibile attualità (e di speciale rilievo per Comunità come quella andalusa);

- favorire lo sviluppo della partecipazione e l'accesso alla cultura di fasce determinate di popolazione (quelle che hanno trovato tradizionalmente più ostacoli a in tal senso: i giovani [11] e gli anziani [12], le donne - a partire anche dell'intensificazione delle politiche sull'uguaglianza - [13] o le minoranze etniche e culturali [14]);

- lo sviluppo della conservazione, recupero, arricchimento, conoscenza e diffusione del patrimonio culturale, storico e artistico delle CC.AA. [15].

- l'adozione delle misure necessarie per favorire il ritorno dei beni che, essendo parte del patrimonio culturale delle Comunità, si trovano al di fuori del loro territorio (art. 22.2 EAr e art. 16.17 ECL) [16].

3. I "nuovi" diritti culturali dopo le riforme statutarie

Come si accennava nella premessa, in materia di diritti fondamentali le novità introdotte nei testi statutari (con una intensità diversa a seconda del caso) rappresentano forse uno degli aspetti più appariscenti delle riforme poste in essere. L'inclusione di questi diritti ha significato un superamento delle vecchie formule di semplice rinvio al testo costituzionale presenti nei vecchi statuti (mantenute negli Statuti non riformati). Seppure questi rinvii non scompaiano, da un lato aumentano ora le norme di rinvio, comprendendo anche norme internazionali in materia di diritti fondamentali (tra cui vi sono quelle in vigore in ambito europeo) [17], mentre dall'altro detto rinvio alla disciplina costituzionale non preclude agli Statuti di regolare aspetti relativi a questi diritti o di proclamarne di nuovi (almeno nella loro denominazione), che ne concretizzano altri già esistenti. In ogni caso, la maggior parte delle novità introdotte riguardano contenuti che potevano considerarsi già compresi nelle clausole costituzionali e che spesso sono stati trattati dalla giurisprudenza costituzionale. Sembra poi che il legislatore delle autonomie abbia tentato di rendere concreta la portata del generico "diritto alla cultura" proclamato dalla Costituzione.

Accanto al tipico riferimento generico alla dimensione culturale effetuato nei precetti statutari che impongono ai poteri pubblici l'obbligo di mantenere le condizioni che garantiscano l'eguaglianza e l'esercizio effettivo dei diritti e delle libertà [18], i nuovi Statuti di Autonomia hanno previsto un diritto specifico dei cittadini alla cultura, regolandone portata e contenuti con maggiore o minore dettaglio a seconda dei singoli Statuti. Si può affermare allora che quello che nei vecchi Statuti si presentava come un mandato ai poteri pubblici regionali di garantire la partecipazione dei cittadini alla vita culturale della C.A. viene enunciato adesso sotto la veste di un diritto. Così, la totalità degli Statuti recentemente riformati hanno incluso un riconoscimento esplicito del diritto individuale (e, in alcune occasioni, anche nella sua dimensione collettiva) dei cittadini all'accesso alla cultura e alla partecipazione alla vita culturale della Comunità [19].

Il riconoscimento di questo diritto, che a volte si riferisce anche a determinati gruppi di cittadini [20], è accompagnato in alcuni casi dalla proclamazione contestuale di altri diritti più specifici che determinano oppure completano il contenuto di esso: in questo senso si possono riferire il diritto allo sviluppo delle capacità creative [21] o il diritto all'accesso al Patrimonio culturale e al suo godimento effettivo [22].

Meno circostanziati si manifesterano, invece, i contenuti degli Statuti nel regolare i doveri relativi ai diritti proclamati in ambito culturale: tranne gli Statuti della C.A. Valenciana e delle Baleari - i quali non prevedono nessun dovere esplicito -, i restanti nuovi statuti si limitano a stabilire, con formulazioni diverse, un dovere generale per tutti i cittadini di rispettare e preservare il Patrimonio culturale [23].

Nella regolazione dei diritti e doveri relativi alla cultura, la questione della conoscenza e dell'uso delle lingue ufficiali in quanto parte integrante del patrimonio culturale delle CC.AA., rappresenta di nuovo un nucleo importante (anche in termini di novità) all'interno delle riforme, specialmente per quanto riguarda il caso catalano. Nonostante i puntuali riferimenti che possono trovarsi in altri Statuti riformati [24], la regolazione dei "diritti e doveri linguistici" relativi alle lingue ufficiali nella Catalonia (castigliano e catalano) è la più dettagliata tra tutte quelle che riguardano i nuovi diritti regionali (v. articoli 6.2 e 32-36 EC), dando luogo alla configurazione di diritti più concreti ("diritto alla opzione linguistica"; dovere della "disponibilità linguistica", ecc.) che trovano manifestazioni ed effetti diversi in funzione nei diversi settori delle attività pubbliche e private (nei rapporti tra i cittadini e le Amministrazioni Pubbliche regionali e statali, nell'ambito dei consumatori e degli utenti dei servizi pubblici o nell'ambito dell'istruzione) [25].

4. Il "nuovo" assetto delle competenze regionali in ambito culturale

Considerando ora il piano dell'assetto delle competenze tra Stato e CC.AA., possiamo subito rilevare che le novità più risalenti si presentano in larga misura come adattamenti necessari sia dei nuovi principi regolatori dell'intervento pubblico in materia di cultura inseriti dopo le riforme, sia dei diritti e doveri culturali appena richiamati [26] (nonostante occorra segnalare fin dall'inizio che dalla presente affermazione non si può automaticamente dedurre che l'inclusione dei nuovi principi e diritti abbia dato luogo a "nuove competenze" regionali) [27]. In questo senso, le novità sono più abbondanti negli Statuti più innovativi in materia di principi e diritti. In ogni caso, si può affermare senza polemiche che la totalità di quelle "nuove competenze" regionali potevano considerarsi già comprese negli Statuti precedenti, considerando la configurazione ampia e generica che essi offrivano. Di conseguenza, gli sforzi realizzati e i risultati ottenuti dopo le riforme nella definizione dell'assetto delle competenze Stato-regioni si orientano piuttosto su compiti di rendere effettive e di allocare le competenze regionali, aspetti in cui spiccano sopratutto le regolazioni proposte dagli Statuti della Catalonia e dell'Andaluzia.

Negli elenchi delle competenze esclusive [28] presenti in entrambi Statuti, quelle che riguardano l'ambito della cultura non si trovano più disseminate in diversi commi ma raccolte in un articolo unico dedicato alla materia (articolo 127 EC "Cultura" e 68 EA "Cultura e patrimonio"), che descrive molto più dettagliatamente il loro contenuto mediante riferimenti alle possibili applicazioni (conservazione, restauro, catalogazione, investimenti, misure d'organizzazione, regime giuridico dello staff, ecc.) e ai concreti poteri (controllo, ispezione, agevolazioni, sovvenzioni e altre misure di siluppo, ecc.) ivi compresi. Il risultato che offrono i precetti descritti comporta, in definitiva, una regolazione più dettagliata e una miglior allocazione delle competenze, una soluzione che ha permesso di superare il tradizionale sistema di elenchi di competenze generiche che compariva negli statuti derogati (sistema mantenuto nel caso degli Statuti non riformati).

Il resto delle novità introdotte nell'assetto delle competenze possono raggrupparsi nelle seguenti categorie:

- Novità che riguardano competenze "vicine" al settore della cultura: la trasversalità propria dell'ambito della cultura è confermata, trovando la sua proiezione nella configurazione conferita ad altre competenze, come nel caso dei settori dell'educazione [29], della "comunicazione sociale e i suoi mezzi" [30], della politica d'immigrazione [31], ecc.

- Novità relative all'esercizio delle competenze delle autonomie nell'ambito dei rapporti istituzionali delle CC.AA. con altre CC.AA., con lo Stato e con altri Stati, che presentano adesso più riferimenti al piano culturale [32].

- In ultimo, novità relative al riconoscimento esplicito di competenze specifiche in materia di cultura a favore degli enti territoriali minori  [33].

5. Analisi critica delle novità introdotte dalle riforme: significato, portata effettiva e compatibilità con la Costituzione e l'ordinamento europeo

Alla luce dei contenuti descritti, si può rilevare come nei precetti degli Statuti riformati sulla materia cultura convivano da un lato aspetti comuni facilmente identificabili (tra gli altri, la centralità dell'idea dell'identità culturale regionale, la garanzia della partecipazione dei cittadini alla vita culturale della CC.AA. o la proclamazione di competenze di base relative alla tutela e valorizzazione del Patrimonio culturale) e dall'altro una considerevole eterogeneità nei risultati, percepibile soltando dopo una analisi più dettagliata, in cui i signoli principi, obbiettivi e diritti raccolti in ciascun Statuto costituiscono il riflesso di scelte e sensibilità diverse e singolari.

Tra i fattori che favoriscono questa eterogeneità troviamo non soltando la varietà delle peculiarità culturali d'ogni regione, ma altri aspetti come la trasversalità del settore (che determina frequentemente la presenza di riferimenti all'ambitio della cultura operati da altri settori come l'educazione, la regolazione dei mass media, il turismo, le politiche d'integrazione sociale, i rapporti con le altre CC.AA. e con l'estero, ecc.) o l'ampiezza con cui sono state concepite le competenze regionali in materia di cultura e patrimonio culturale, prendendo le mosse da un intenso rispetto dello Stato per il modo in cui ciascuna C.A. decide regolare il settore (sempre sotto l'influsso, come accennavamo prima, del principio del rispetto per la diversità culturale).

Dopo l'analisi dei contenuti delle riforme ci troviamo, quindi, di fronte a soluzioni diverse: mentre un gruppo di Statuti (tra cui quelli della Catalonia, Andalusia e Castilla-León) offrono una regolazione più intensa, precisa e sistematica dei principi, obbiettivi, competenze e diritti relativi alla cultura, gli altri fondamentalmente conservano, con qualche novità specifica, la struttura e le modalità presenti nei testi statutari precedenti alle riforme, caratterizzati dalla presenza di principi e competenze piuttosto generali, scarsamente dettagliate nel loro contenuto.

Procediamo adesso a valutare la portata effettiva delle novità richiamate, cogliendo l'occasione per analizzare le principali critiche formulate dalla dottrina in alcuni casi.

Per quanto riguarda i principi e obbiettivi introdotti negli Statuti riformati con riguardo alla cultura e ai beni culturali, è fuori discussione la loro compatibilità col testo della Costituzione. Essi rappresentano un riflesso e, allo stesso tempo, una attuazione dei mandati generali che la CE indirizza a tutti i poteri pubblici (statali e non statali: cfr. articoli 44.1 e 46 CE).

L'inclusione di principi ed obbiettivi più specifici merita una valutazione positiva, nella misura in cui servono a precisare la portata dei doveri esistenti in capo ai poteri pubblici in questo ambito. Essi impongono concreti obblighi di contenuto positivo (obbligazioni di facere) e, allo stesso tempo, costituiscono un ostacolo per qualunque scelta politica formulata in senso opposto ai loro dettati. Insomma: più precisi sono i principi ed obbiettivi che informano l'intervento pubblico nel settore, più semplice sarà sia l'identificazione degli obblighi in capo ai poteri pubblici che la possibilità di esigere il loro adempimento.

Per quanto riguarda i diritti e doveri riconosciuti dai nuovi Statuti il settore della cultura, occorre ricordare quanto detto precedentemente: la loro regolazione rappresenta più che altro uno sforzo di attuazione e precisazione per definire, nell'ambito delle autonomie, il contenuto e la portata di quel diritto astratto alla cultura (previsto anche dalla CE nel suo articolo 44). La CE non impedisce agli Statuti di riconoscere o garantire nuovi diritti e doveri legati agli ambiti propri della competenza regionale, e non si trovano ostacoli neanche per la regolazione di aspetti specifici dei diritti costituzionali quando essi rispettino il contenuto di base di questi ultimi. Infatti, le CC.AA., attraverso la normativa regionale approvata nell'esercizio delle loro competenze legislative esclusive (specialmente intense nell'ambito delle politiche sociali) regolavano già l'esercizio di diritti in materie come l'educazione, l'assistenza sanitaria, ecc., sempre nell'ambito delle loro competenze. Ciò costituisce un argomento in più per quelli che sostengono che l'inclusione di diritti negli Statuti di Autonomia non dovrebbe generare critiche: dall'esercizio di una competenza - quindi, di un "potere" - deriva naturalmente l'esigenza di un parallelo riconoscimento di diritti e di una loro protezione effettiva [34]. D'altra parte, occorre ricordare che la coerenza della regolazione statutaria con i contenuti della CE in materia di diritti è rinforzata dalla presenza generalizzata di clausole statutarie che impongono ai poteri pubblici autonomistici l'obbligo di garantire il rispetto e l'esercizio effettivo di tutti i diritti fondamentali riconosciuti nel testo costituzionale [35].

Ritornando un attimo al piano dei principi e obbiettivi occorre mettere in rillievo, tra gli aspetti comuni a tutte le riforme statutarie, il riconoscimento generalizzato del principio che impone ai poteri pubblici di garantire la partecipazione dei cittadini alla vita culturale delle CC.AA. e il loro accesso alla cultura e al patrimonio culturale. Si tratta di un principio spesso accompagnato dalla proclamazione di un vero "diritto" dei cittadini, già previsto nella CE, ma che è adesso rivalutato e potenziato da alcune riforme statutarie. Infatti, gli Statuti che, nella loro riforma, hanno scelto di attuare i contenuti e le conseguenze della proclamazione di questo principio-diritto riguardante l'accesso alla cultura attraverso la definizione di diritti ancora più specifici (relativi, ad esempio, allo sviluppo delle capacità creative, al godimento effettivo del Patrimonio culturale o all'uso e conoscenza delle lingue, ecc.) appaiono un passo avanti agli altri. In questo modo si contribuisce a chiarire alcuni dei dubbi generati quanto alla portata effettiva di un diritto che, pur essendo proclamato spesso, restava sempre poco definito dalla legislazione. Ad esempio, nelle principali Leggi in materia di beni culturali, sia a livello statale che regionale, gli strumenti e disposizioni dedicate a concretizzare misure che rendano possibile l'accesso dei cittadini al Patrimonio culturale si trovano ancora molto indietro - sia come numero che come precisione - rispetto a quelle dedicate a stabilire il regime della cosìdetta "tutela negativa" (consistente in divieti, autorizzazioni, controlli, ecc). Tuttavia, l'accesso dei cittadini alla cultura e il loro effettivo godimento dei beni culturali continuano ad essere proclamati nei preamboli dei testi normativi come l'autentico obbietivo finale di ogni intervento legislativo. In questo senso, l'inclusione esplicita nei nuovi Statuti di alcuni specifici diritti (diritti linguistici, diritto allo sviluppo delle capacità creative, diritti di partecipazione riconosciuti a settori sociali determinati, ecc.), che confermano quello più generale dell'accesso alla cultura, contribuisce a chiarire la portata di quest'ultimo e predispone una base più solida per garantire la sua eventuale rivendicazione da parte dei cittadini.

Infine, la questione delle novità introdotte dalle riforme statutarie all'assetto delle competenze esclusive merita anche alcune riflessioni.

In linee generale, si può affermare che la questione dell'assetto delle competenze si presentava pacifica negli ultimi tempi, specialmente da quando la Sentenza 17/1991 del Tribunale Costituzionale risolse il principale conflitto Stato-CC.AA. relativo ai limiti delle competenze statali in materia di tutela e gestione dei beni culturali. Sia detta Sentenza, sia la realtà amministrativa e politica del settore (specialmente dagli anni '90 in poi) rendono evidente il ruolo fondamentale acquisito dalle CC.AA. sul piano della politica culturale, specialmente per quanto riguarda l'ambito della tutela e gestione dei beni culturali [36]. Detto protagonismo è percepibile non solo nei contenuti delle leggi regionali in materia di beni culturali, ma anche nei singoli Statuti di Autonomia, ancor di più dopo le riforme, considerando la particolare intensità (assente nei vecchi testi) con cui è regolato adesso il settore.

Si è già descritto, infatti, come l'intenso lavoro di implementazione svolto ha portato alcuni Statuti (specialmente quelli della Catalonia e l'Andalusia) ad abbandonare il vecchio modello di elenchi di competenze generiche, elaborando nuovi precetti che definiscono adesso dettagliatamente la portata effettiva delle competenze regionali. Tuttavia, qui d'obbligo soffermarsi un attimo per chiarire alcune questioni che sono state oggetto di polemica: molti hanno identificato in questo intervento legislativo di attuazione e sviluppo un tentativo di attivare una sorta di "blindaggio delle competenze regionali" mirato a ridurre le capacità d'intervento dello Stato (che è confermata, fondata sulle competenze "aperte" degli articoli 149.2 e 149.1.28 CE), nella convinzione che, quanto più specifica e definita sia la competenza delle autonomie, minore sarà l'incidenza di quella competenza generale e aperta dello Stato [37]. Una tale interpretazione non può essere accolta: non si può ritenere che il passaggio dai vecchi elenchi di competenze "generiche" (che appena menzionavano la materia senza ulteriori detagli: "cultura", "beni culturali d'interesse regionale", ecc.) ad altri molto più ricchi e dettagliati possa servire a bloccare le capacità d'intervento dello Stato attraverso la sua competenza generica prevista dall'articolo 149.2 CE. Il cosìdetto "blindaggio" delle competenze regionali non è possibile tramite questa via per varie ragioni: 1) In primo luogo, gli Statuti di Autonomia non sono lo strumento adatto per interpretare la portata delle competenze che la CE riconosce alle CC.AA. nel suo articolo 148: dette competenze restano quelle stabilite nella CE, così come interpretate dal Tribunale Costituzionale; 2) Non si può ritenere che tramite la via dell'effettività delle competenze regionali derivante dai nuovi Statuti venga operata una sorte di decentramento delle competenze statali: non sono gli Statuti di Autonomia ma le "Leggi Organiche di Decentramento e Delega" (art. 150.2 CE) lo strumento previsto dall'ordinamento a tale scopo; e 3) non bisogna dimenticare la frequente presenza nei nuovi testi statutari di allusioni esplicite al necessario rispetto dei contenuti dell'articolo 149 CE che definisce la portata della competenza statale in materia di cultura (2° comma) e patrimonio culturale (1° comma, competenza 28ª), spesso accompagnate dall'inclusione di specifici strumenti di cooperazione tra CC.AA. e Stato, in accordo con lo spirito di quanto dispone l'articolo 149.2 CE.

Le ragioni che hanno portato a precisare con più detaglio i contenuti delle competenze regionali devono, quindi, rispondere a un fine diverso dal così detto "blindaggio" contro la competenza generica dello Stato. Infatti, occorre ricordare che le CC.AA. erano già arrivate praticamente ai loro "massimi livelli di competenze" prima di queste ultime riforme: il principale motivo di esse non poteva essere dunque la semplice acquisizione di nuove competenze [38]. Sembra poi più logico pensare che la giustificazione risieda in motivi molto più semplici. In questo senso l'interpretazione (da noi condivisa) di F. Balaguer, che rileva i veri motivi che giustificano l'abbandono del vecchio sistema di elenchi di competenze generiche: "Dopo venticinque anni di sviluppo del modello autonomistico non ha più senso riferirsi a competenze generali ("agricultura", "ganadería") quando è possibile precisare di più le attività pubbliche che rientrano nella competenza delle autonomie". A giudizio dell'autore, non esiste - e non potrebbe esistere mai - nessun blindaggio dietro la scelta della tecnica dello scompaginamento ("desglose") delle competenze: "Lo Statuto semplicemente dettaglia lo spazio di competenze ma non può modificarlo. Se il Tribunale Costituzionale ha sostenuto che una determinata attività pubblica è competenza dello Stato, la stessa non può essere inclusa nello Statuto, ma quando è stato riconosciuto il suo carattere autonomistico diventa importante che la stessa venga spiegata nella maniera più esplicta possibile descrivendo con dettaglio il suo contenuto" [39]. In sintesi, come dicevamo prima, non ci troviamo, quindi, davanti a vere "nuove" competenze, ma davanti a una redazione più dettagliata che richiama esplicitamente competenze già esistenti, esercitate e consolidate a partire dell'attività svolta dalle CC.AA. conforme alle competenze generiche riconosciute loro dai vecchi Statuti di Autonomia.

Per concludere, non vogliamo finire l'analisi senza un breve riferimento alla compatibilità dei contenuti delle riforme statutarie in materia di cultura con le previsioni comunitarie relative a questo settore, una compatibilità che, in confronto con quanto visto finora, appare chiara e scevra da polemiche. Alcuni punti sono stati già menzionati: da una parte, in materia di diritti fondamentali è stata riferita la presenza di espliciti rinvii alle norme internazionali in vigore, includendo riferimenti alle principali convenzioni dell'ambito regionale europeo [40]. Tuttavia, l'influsso dell'ordinamento europeo non resta limitato a questi rinvii, manifestandosi anche in maniera evidente nella ricezione e incorporazione dei suoi principi più caratteristici [41] - come nel caso di quello che proclama il necessario rispetto della diversità culturale, il vero asse centrale della politica culturale europea  [42] -, oppure nel riconoscimento di principi e diritti specifici previsti dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea [43].

Può affermarsi, insomma, che i progressi provati dalla regolazione del settore della cultura dopo le riforme operate, seppure possano sembrare diseguali nella loro portata e intensità da un Statuto all'altro, si presentano tutti coerenti in linee generali sia con la realtà di questo settore, sia con i postulati preposti dall'ordinamento costituzionale e da quello europeo. Tuttavia, conviene tenere presente che il riconoscimento di alti livelli d'autonomia alle CC.AA. (e, perché no, agli enti locali) sulla base di quel "rispetto per la diversità culturale" dovrebbe trovare alcuni limiti. La centralità che questo principio acquisisce nel Diritto europeo ha comportato un forte contenimento della capacità d'intervento delle istituzioni euroepe nell'ambito della cultura, in conformità a una stretta applicazione del principio di sussidiarietà [44]. Un panorama simile sembra prendere forma nell'ordinamento spagnolo, dove sia la configurazione dell'assetto delle competenze, sia l'effettivo grado di esercizio reale di queste ultime rivelano la presenza di un grande rispetto dello Stato per il ruolo e le iniziative delle CC.AA. nella regolazione e gestione delle proprie singolarità culturali e del proprio Patrimonio culturale.

Questa tendenza non dovrebbe, però, arrivare fino al punto di implicare l'affermazione di una sorte di relativismo nella pianificazione e disegno sia della normativa che delle politiche relative alla cultura (relativismo che sarebbe difficile da giustificare in molti casi) [45]. Il rispetto della diversità culturale non può neanche rappresentare un ostacolo al necessario coordinamento tra i diversi soggetti pubblici competenti sul settore. In questo senso, il rispetto dei principi e delle disposizioni costituzionali di base applicabili al settore della cultura e l'effettivo avvio degli strumenti di coordinamento e collaborazione previsti nei diversi Statuti (alcuni provvisti anche di una proiezione internazionale) costituiscono fattori di vitale importanza per garantire sia la coerenza del sistema in questo campo che il sucesso delle politiche culturali svolte alla loro luce.

 

 

Note

[1] Con le parole del prof. Hþberle, "actualmente casi todo se hace pasar como cultura, se aplica inflaccionariamente la palabra" (Cfr. P. Hþberle, "Soberanía cultural en el Estado Federal: desarrollos y perspectivas", Patrimonio Cultural y Derecho, n. 9, 2005, p. 45). Alla stessa stregua si veda anche R. Barranco Vela, "El régimen jurídico-administrativo de la cultura", in F. Balaguer Callejón (Dir.), Derecho Constitucional y Cultura, Madrid, Tecnos, 2003, pp. 197 e ss.

[2] Cfr. articoli 149.2 e 149.1.28 CE.

[3] Le riforme operate fino ad ora, ordiante cronologicamente, corrispondono alle seguenti Leggi: Ley Orgánica 1/2006, de 10 de abril, de Reforma de la Ley Orgánica 5/1982, de 1 de Julio, de Estatuto de Autonomía de la Comunidad Valenciana (EV); Ley Orgánica 6/2006, de 19 de Julio, de Reforma del Estatuto de Autonomía de Cataluña (EC); Ley Orgánica 1/2007, de 28 de febrero, de Reforma del Estatuto de Autonomía de las Illes Balears (EB); Ley Orgánica 2/2007, de 19 de marzo, de Reforma del Estatuto de Autonomía para Andalucía (EA); Ley Orgánica 5/2007, de 20 de abril, de Reforma del Estatuto de Autonomía de Aragón (Ear); e Ley Orgánica 14/2007, de 30 de noviembre, de Reforma del Estatuto de Autonomía de Castilla y León (ECL).

[4] Per una analisi più dettagliata delle conseguenze di questi ed altri fattori sul regime giuridico del settore, si permetta il rinvio a quanto detto in L.J. Sánchez-Mesa Martínez, La restauración inmobiliaria en la regulación del Patrimonio Histórico, Cizur Menor, Aranzadi, 2004, pp. 35-70.

[5] Insieme ad alcune considerazioni che verrano affrontate nel presente lavoro, si permetta il rinvio a quanto era già stato analizzato in un numero precedente della Rivista: L. Sánchez-Mesa Martínez, L'assetto delle competenze in materia di beni culturali in Spagna: la centralità della Regione, in Aedon, n. 3/2003.

[6] In effetti, i riferimenti all'identità culturale e storica delle CC.AA. e al loro ruolo nella costruzione della storia e identità dello Stato spagnolo sono molto frequenti nei preamboli dei nuovi Statuti. Questi riferimenti sono particolarmente ricchi nei casi degli Statuti della Andalusia, Comunità Valenciana e, sopratutto, in quello di Castilla y León. L'incorporazione di queste "dichiariazioni identitarie" (così denominate da Sanz Pérez) non può ritenersi un dato aneddotico se teniamo in conto che molto spesso introducono elementi ideologici d'una importanza considerevole, a volte discussi o dibattuti, come è sucesso con l'inclusione della parola "nazione" nel preambolo dello Statuto catalano (Cfr. A. L. Sanz Pérez, La Reforma de los Estatutos de Autonomía, Cizur Menor, Thomson-Aranzadi, 2006, pp. 61-65, e F. Balaguer Callejón, "La reforma del Estatuto de Andalucía", nell'opera da lui curata Modelo de Estado y Reformas de los Estatutos, Valencia, Fundación Profesor Manuel Broseta, 2007, pp. 334-336).

[7] Mentre gli Statuti della Catalonia e l'Andalusia hanno portato a termine una regolazione più dettagliata e intensa nella definizione di principi, obbiettivi, diritti e competenze, gli altri invece, almeno per quanto riguarda il settore della cultura, sono rimasti fedeli ai modelli dei vecchi Statuti, segnati da un approccio più generale sulla materia [Cfr. J. A. Montilla Martos, "Cultura y Patrimonio", in F. Balaguer Callejón (Dir.), Reformas estatutarias y distribución de competencias, cit., p. 744].

[8] In tal senso si muovono i contenuti di alcuni precetti come è il caso dell'articolo 12 EV, l'articolo 42.7 EC, l'articolo 18.3 EB o l'articolo 21.8 EA.

[9] Cfr. articolo 10.3 EV; articoli 4.2, 43.1 e 44.5 EC; articoli 12.3 e 16.3 EB; articoli 15.3 e 20 a) e c) EAr.

[10] Si veda la declinazione di questo principio in obblighi specifici nell'articolo 6 EC, commi 3° e 4°, tenendo anche conto delle ripercussioni nell'ambito della educazione (Cfr. articolo 44.2 EC). Per quanto riguarda il resto degli Statuti riformati, lo Statuto Aragonese stabilisce anche, al suo articolo 7, alcuni principi relativi all'uso della lingua castigliana, seppure non sono raggiunti i livelli di dettaglio presenti nel EC. Alla stessa stregua si presentano i contenuti dell'articolo 5 ECL, dove si trovano riferimenti al castigliano, al leonese (in quanto variante del primo) e al gallego.

[11] Cfr. articoli 10.3 EV, 40.4 EC, 16.3 EB.

[12] Cfr. articolo 40.6 EC, e articolo 37.1.3° EA.

[13] Cfr. articolo 41.3 EC; articoli 10.2 e 21.8 EA.

[14] Cfr. articolo 42.7 EC, articoli 9.2 e 37.1.23° EA e articolo 16.23 ECL, con allusione esplicita al popolo gitano e alla sua cultura nel caso dei precetti degli Statuti della Catalonia e di Castilla-León.

[15] Cfr. articoli 12 EV, 44.4 EC, 18.3 EB, 37.1.18° EA (con riferimento esplicito al "flamenco" in quanto parte integrante del Patrimonio culturale andaluso), 22.1 EAr e 16.17 ECL.

[16] Cfr., rispettivamente, articoli 22.2 EAr e 16.17 ECL.

[17] Tranne lo Statuto riformato dell'Aragone, troveremo riferimento esplicito alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ai Patti Internazionali sui Diritti Civili e Politici e sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e Libertà Fondamentali o alla Carta Sociale Europea, dichiarando il carattere vincolante dei diritti e delle libertà riconosciuti da quei testi nei confronti dei poteri pubblici autonomici (Cfr. articoli 8 EV, 4.1 EC, 13 EB, 9 EA, 8 ECL).

[18] L'articolo 4.2 EC impone ai poteri pubblici della C.A. "il diritto dei popoli a conservare e sviluppare la loro identità", al pari di quanto prevede l'articolo 12.3 EB in relazione al diritto alla cultura. L'articolo 10.1 EV impone alla Generalitat la difesa e sviluppo dei diritti sociali dei valenciani (compreso il diritto alla cultura) affermando che essi costituiscono uno tra i fondamenti del progresso culturale della Comunità (nella stessa linea si trova l'articolo 16.1 EB).

[19] In questa linea si manifestano i contenuti dei precetti seguenti: articolo 9.4 EV; articolo 22.1 EC; articolo 15.1 EB; articolo 33 EA; articolo 13.1 EAr; e articolo 13.10 ECL.

[20] Così succede, ad esempio, nel caso dello Statuto valenciano per quanto riguarda le comunità di valenciani localizzate al di fuori della Comunità Valenciana (articolo 3.3 EV), nello Statuto di Castilla-León per quanto riguarda gli anziani (articolo 13.5 ECL) e, implicitamente e nei limiti imposti dalle leggi, gli stranieri (Cfr. articolo 10.1 ECL).

[21] Cfr. articoli 22.1 EC (diritto "allo sviluppo delle loro capacità creative individuali e collettive"), 18.1 EB (diritto "alla protezione e alla difessa della creatività artistica, scientifica e tecnica, sia individuale che collettiva"), 33 EA e 13.10 ECL (che si riferiscono sia alle capacità creative individuali che a quelle collettive). L'articolo 3.1 EAr cita anche lo stesso diritto, ma omettendo il riferimento esplicito alla sua dimensione collettiva.

[22] Cfr. articoli 33 EA (diritto "al godimento dei beni patrimoniali, artistici e paesaggistici dell'Andalusia") e 13.1 EAr (diritto "al godimento del patrimonio culturale"). L'articolo 13.10 ECL presenta il titolo "Diritti alla cultura e al patrimonio". Nel caso specifico dello Statuto delle Baleari viene operato un rafforzamento di quel diritto generale alla cultura mediante la proclamazione esplicita di un diritto individuale alla promozione dell'integrazione culturale di tutte le persone da parte dei poteri pubblici (Cfr. articolo 18.2 EB).

[23] Gli articoli 22.2 EC e 33 EA si limitano a prevedere il dovere di tutte le persone "di rispettare e preservare il patrimonio culturale", mentre l'articolo 15 b) ECL impone ai cittadini il dovere di "rispettare, curare e proteggere il patrimonio culturale". Unicamente lo Statuto dell'Aragone completa in qualche maniera il suddetto dovere, imponendo contemporaneamente ai cittadini e ai poteri pubblici l'obbligo di "collaborare alla sua conservazione e in vista del suo godimento" (art. 13.2 EAr).

[24] Lo Statuto valenciano, ad esempio, riconosce, nell'ambito dei principi previsti per il corretto funzionamento delle Amministrazioni autonomiche, il diritto dei valenciani "a rivolgersi all'Amministrazione della Comunità Valenciana usando indifferentemente una delle due lingue ufficiali e ad avere una risposta nella lingua utilizzata" (articolo 9.2 EV).

[25] Seppure possa sembrare inizialmente possibile dedurre, alla luce della lettera del Titolo I del EC, che l'Amministrazione statale non sia vincolata dal contenuto dei nuovi diritti ivi compresi, occore segnalare che il caso specifico dei diritti linguistici rappresenta una eccezione di coniformità col contenuto esplicito dell'articolo 37.1 EC: "I diritti riconosciuti presso gli articoli 32 e 33 vincolano anche l'Amministrazione Generale dello Stato in Catalonia". Ci troviamo, quindi, davanti a un diritto che vincola la totalità dei poteri pubblici dello Stato (Cfr. J. Tornos Mas, Los Estatutos de Autonomía de Cataluña, Madrid, Iustel, 2007, p. 133).

[26] Così succede, ad esempio, nel caso della competenza stabilita dall'articolo 71.45 EAr con riguardo alle "politiche necessarie mirate a recuperare il patrimonio aragonese localizzato al di fuori del territorio dell'Aragone". Questa specifica competenza è direttamente correlata col principio previsto dall'articolo 22.2 EAr.

[27] Infatti, gli Statuti tentano di chiarire subito la questione: lo Statuto catalano, ad esempio, proclama che i principi e diritti dallo stesso riconosciuti "non comportano una alterazione dell'assetto delle competenze e neppure la creazione di competenze nuove o la modificazione di quelle già esistenti" (articolo 37.4 EC). Nello stesso senso troviamo gli articoli 13 EA, 13.3 EB, 6.3 EAr e 8.3 ECL. Sostiene Tornos Mas: "in questo modo si tenta di assicurare che i nuovi diritti e principi trovino la loro giustificazione nelle proprie competenze [...], senza allargare con la loro incorporazione l'ambito materiale delle competenze delle autonomie" (J. Tornos Mas, Los Estatutos de Autonomía..., cit., p. 134; traduzione a carico dell'autore del presente lavoro).

[28] Occorre segnalare qui che la qualificazione di una competenza come "esclusiva" può provocare una certa confusione a causa dell'uso equivoco del termine sia nella Costituzione che negli Statuti. Nell'ordinamento spagnolo troviamo un doppio concetto della "esclusività" nell'assetto delle competenze: da un lato, l'esclusività intesa come pienezza delle facoltà e potestà (legislativa, regolamentare e amministrativa) su una materia; dall'altro, l'esclusività a causa della materia, con indipendenza delle facoltà riconosciute. Nel secondo caso, quindi, non ci troviamo davanti a vere competenze esclusive (infatti, troviamo in questi casi clausole apposite che impongono il rispetto delle competenze che spettano ad altri enti pubblici). La giurisprudenza costituzionale avverte allora che la considerazione della portata effettiva delle competenze statali e regionali non si deve fondare sulla denominazione prevista dalle norme statutarie ma su una interpretazione sistematica che tenga anche in conto quanto disposto dalla Costituzione [Cfr. F. Balaguer Callejón (Dir.), Reformas estatuarias..., cit., pp. 23-30].

[29] La competenza riconosciuta alla C.A. andalusa in materia d'educazione non universitaria include quella che riguarda le "materie relative alla conoscenza della cultura andalusa" (articolo 52.1 EA). Un contenuto simile si trova nell'articolo 73.2 ECL con riguardo all'istruzione non universitaria della cultura castigliano-leonesa.

[30] Nell'esercizio delle proprie competenze all'interno di questo settore troviamo riferimenti a aspetti come il rispetto per il pluralismo culturale, lo sviluppo del pluralismo linguistico e la promozione della cultura regionale attraverso i mezzi di comunicazione (Cfr. articolo 146.3 EC, articolo 90 commi 3° e 4° EB o gli articoli 211 e 212 EA).

[31] Tra altri esempi puntuali d'interesse possono citarsi, nel caso dell'Andalusia, l'articolo 62.1 a) EA che riconosce la competenza per sviluppare politiche d'integrazione e partecipazione culturale nell'esercizio della competenza autonomistica in materia d'immigrazione (in diretto rapporto con l'obbiettivo previsto dall'articolo 10.3.17° EA e col principio dell'articolo 37.1.9° EA, entrambi riferiti all'integrazione sociale e culturale degli immigrati). Una competenza simile la troviamo nell'articolo 70.1.12° ECL (in connessione con l'obbiettivo previsto dall'articolo 10.2 ECL).

[32] Alla stregua di disposizioni già vigenti nei vecchi Statuti, acquisiscono un ruolo speciale i rapporti stabiliti con altre nazioni a partire dalla presenza nel loro terrirtorio d'immigrati provenienti dalla Comunità Autonoma (Cfr. articolo 245.3 EA) così come con la UE (Cfr., ad esempio, l'articolo 66 ECL). Si aggiungono in più altre novità, come la definizione di determinate aree geografiche per le quali si istituisce uno speciale vincolo culturale (Cfr. articolo 245.2 EA.) o il riferimento alla capacità della C.A. di partecipare alle organizzazioni internazionali che, come l'UNESCO, svolgono importanti azioni sul piano culturale (Cfr. articolo 198 EC). In linee generali, per quanto riguardai riferimenti alla cultura nell'ambito di tali rapporti internazionali delle CC.AA. occorre rifarsi ai contenuti degli articoli 12, 13, 197, 198 e 200 EC; articoli 5, 11, 103, 119 e disposizione aggiuntiva 2ª EB; articoli 227, 243 e 245 EA; articoli 8 e 98 EAr; e articoli 9, 60, 66 e 67 ECL.

[33] I vecchi Statuti della Comunità Valenciana e delle Isole Baleari includevano già previsioni di questo genere (mantenute tra la riforma nel primo caso e implementate nel secondo alla luce dell'articolo 70 EB, commi 6, 18 e 19. Adesso si aggiungono anche quelle incorporate dal nuovo Statuto andaluso con riguardo alle competenze che spettano ai comuni (articolo 92 EA).

[34]"La cuestión no consiste, en definitiva, en determinar con carácter general si se pueden regular o no derechos en un el Estatuto, sino en precisar el título competencial que así lo habilita y permite en cada caso" (Cfr. F. Balaguer Callejón (Coord.), Estatuto de Andalucía..., cit., pp. 26-27).

[35] Cfr., ad esempio, gli articoli 8 EV, 4 EC, 12 e 13 EB e articolo 8 ECL. Nel caso dello Statuto andaluso, preme riferire che la regolazione relativa ai diritti e doveri dei cittadini dell'Andalusia (Capo II, Titulo I) offre, a ciascuno dei settori previsti, un riferimento esplicito al concreto "diritto costituzionale" riconosciuto nello Stato spagnolo dalla CE.

[36] Per l'analisi di dette questioni sia permesso ancora il rinvio a L. Sánchez-Mesa Martínez, L'assetto delle competenze in materia di beni culturali in Spagna... , cit.

[37] Cfr. J. B. Cano Bueso, "Consideraciones sobre la reforma del Estatuto de Autonomía para Andalucía", en V. Garrido Mallol (Dir.), Modelo de Estado y Reformas de los Estatutos, cit., p. 322.

[38] Cfr., in questo senso, R. TUR AUSINA, "El sistema competencial valenciano tras la reforma estatutaria de 2006: análisis al hilo de la reciente oleada de reformas estatutarias", in V. Garrido Mallol (Dir.), Modelo de Estado..., cit., pp. 230 ss.

[39] Cfr. F. Balaguer Callejón (Coord.), Estatuto de Andalucía..., cit., pp. 58-59 (traduzione a carico dell'autore del presente lavoro).

[40] Lo Statuto delle Isole Baleari è l'unico che fa riferimento alla Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Eurpoea (articolo 12.2 EB). Con riguardo al resto delle Convenzioni accennate (la Convenzione Euroepa per la Tutela dei Diritti Umani, la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali, La Carta Sociale Europea), emergono i riferimenti degli articoli 4.1 EC e 8.1 EV (che includono anche un riferimento generale ai diritti riconosciuti dall'Unione Europea).

[41] Nel nuovo Statuto di Castilla-León (articolo 1.2 ECL) si definisce la Comunità Autonoma come una regione dell'Europa che "assume i valori dell'Unione Europea e garantisce l'adempimento dei suoi obbiettivi e la difessa dei diritti riconsociuti nell'ordinamento giuridico europeo" (alla stessa stregua si pronuncia il Preambolo del nuovo Statuto catalano, quando afferma che "Catalonia, attraverso lo Stato, partecipa alla costruzione del progetto politico dell'Unione Europea, i cui valori e obbietivi condivide"). In questo senso interessa mettere in rilievo la regolazione conferita ai "Rapporti con l'Unione europea e la partecipazione nella politica europea dello Stato" prevista nel Capo II del Titolo IV dello Statuto.

[42] Cfr. articolo 151.1 TCE. Inoltre, il preambolo della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea dispone anche che "L'Unione contribuisce alla preservazione e allo sviluppo di questi valori comuni nel rispetto per la diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli dell'Europa, così come dell'identità culturale degli Stati membri" per aggiungere poi, all'articolo 22, che "l'Unione Europea rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica".

[43] E' il caso, ad esempio, del diritto degli anziani alla partecipazione alla vita culturale, previsto dall'articolo 25 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea. L'enunciato di tale precetto è recepito da alcuni precetti statutari, come accade con gli articoli 40.6 EC, 16.3 EB, 37.1.3° EA e 13.5 ECL.

[44] Il comma 5° dell'articolo 151 TCE proibisce l'adozione di ogni tipo di misura che ostacoli l'armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri in materia (con riguardo a queste e altre questioni relative al ruolo dell'intervento dell'UE nell'ambito della cultura e dei beni culturali, ci sia permmesso rinviare a L.J. Sánchez-Mesa Martínez, "Reflexiones en torno a la evolución de la intervención comunitaria en el Derecho de la Cultura", Cuadernos de Derecho Público, n. 24, 2005, pp. 71-108).

[45] Nell'analisi della normativa sulla conservazione dei beni culturali, abbiamo avuto occasione di manifestare la difficoltà presente nel tentativo di giustificare la presenza di trattamenti diversi nella regolazione di questioni tecniche tra una C.A. ed un'altra. Tale è il caso delle diverse norme delle autonomie in vigore relative ai criteri e metodologie che devono presiedere a ogni intervento praticato sui beni che costituiscono il Patrimonio culturale d'ogni regione (Cfr. L. J. Sánchez-Mesa Martínez, "Los criterios de intervención en el Patrimonio cultural inmueble en la legislación internacional, estatal y autonómica", Patrimonio Cultural y Derecho, n. 10, 2006, espec. p. 173). In questi casi e in altri, manca la previsione di strumenti che rendano più semplice la convergenza tra le regolazioni in vigore nelle diverse CC.AA.

 

 

 



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