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Tutela e valorizzazione degli archivi al tempo di internet:
finanziamenti e progetti sostenibili [*]

di Mariella Guercio

Sommario: 1. Tutela e valorizzazione degli archivi: un binomio da ridefinire. - 2. Tutela e valorizzazione degli archivi: i requisiti per l'integrazione e la convergenza.

1. Tutela e valorizzazione degli archivi: un binomio da ridefinire

Riflettere sull'azione delle fondazioni bancarie per la tutela, la conoscenza e la valorizzazione delle fonti archivistiche richiede una duplice e complessa analisi che solo in parte è stata affrontata dalla pur copiosa letteratura di settore. La difficoltà è soprattutto legata alla necessità di offrire un quadro coerente e convincente (per chi investe risorse finanziarie talvolta rilevanti), possibilmente integrato, di obiettivi, metodi e strumenti capaci di rispondere a una molteplicità di punti di vista e di esigenze, in particolare all'utilizzo normalizzato di strumenti informatici per la descrizione e la fruizione degli archivi e a un'adeguata considerazione delle criticità organizzative e finanziarie che gli interventi di recupero e valorizzazione degli archivi comportano per la mole dei patrimoni accumulati e per la quantità delle richieste di intervento avanzati dagli enti che li possiedono. Una riflessione sufficientemente onnicomprensiva, ma non generica, deve inoltre concentrarsi sul nodo fondamentale del rapporto tra tutela, conservazione e valorizzazione o - più specificatamente - sui modi opportuni per coniugare valorizzazione e digitalizzazione delle fonti archivistiche all'interno di un sistema coerente di politiche per la conservazione. Un interrogativo di grande impegno, su cui in questi anni molto si è scritto, ma su cui troppo incerte sono ancora le conclusioni e che a sua volta apre numerosi altri spunti di discussione, in merito ad esempio ai modi concreti con cui le tecnologie possono essere impiegate per sostenere e facilitare la fruizione, allargare il pubblico degli archivi, moltiplicarne gli usi in modalità compatibili con le esigenze della tutela.

I progetti di digitalizzazione delle fonti e gli interventi di recupero del patrimonio in termini di ordinamento e inventariazione non sono quasi mai accompagnati - ancora oggi - da una valutazione di impatto degli investimenti e di verifica della qualità e sostenibilità dei progetti medesimi, nonostante la ormai pluridecennale esperienza maturata dalle istituzioni pubbliche e private in questo ambito. Il seminario costituisce quindi una preziosa occasione per allargare la riflessione su aspetti finora ignorati e sui nodi intricati e intriganti che legano l'innovazione tecnologica allo sfruttamento del patrimonio culturale di natura documentaria anch'essi del tutto trascurati nel dibattito pur acceso che ha accompagnato i progetti di informatizzazione del patrimonio medesimo a livello nazionale.

Nel campo specifico delle fonti archivistiche, in particolare, l'assenza di un interesse diretto del mercato e, quindi, di stimoli e occasioni concrete, ma anche la prolungata penuria di risorse finanziarie (con la sola eccezione di quelle messe a disposizione, in questi anni sempre più copiosamente, proprio dalle fondazioni bancarie) sono all'origine di un ritardo ulteriore che ha finito per pesare sulla qualità (oltre che sulla quantità) degli interventi e ne ha alimentato la frammentarietà e la parzialità, con effetti tanto più gravi quanto più si è prolungata questa fase di "impoverimento" delle istituzioni culturali e di svuotamento della funzione pubblica a sostegno della conservazione stessa di quei beni.

Non è un caso quindi che la questione sia posta all'ordine del giorno oggi e a cura degli attori più presenti in questo ambito, gli unici che hanno assicurato continuità agli interventi a sostegno degli archivi in questo ultimo decennio, le citate fondazioni, a prescindere dalla specifica natura di questa presenza rispetto al patrimonio su cui investono (quello delle fondazioni medesime in quanto depositarie degli archivi degli enti promotori o quello relativo alle istituzioni del territorio di riferimento).

Coerentemente con quanto fin qui sottolineato, le considerazioni che seguono si concentrano sulla definizione dei parametri che una politica di recupero del patrimonio archivistico deve rispettare al fine di assicurare, anche mediante l'impiego degli strumenti di innovazione tecnologica, qualità, coerenza e sostenibilità degli interventi. Meriterebbe un approfondimento ulteriore (da rinviare eventualmente a una specifica futura iniziativa seminariale di natura interdisciplinare) il tema specifico della valorizzazione del patrimonio archivistico rispetto ai compiti, agli obiettivi e alle emergenze della tutela e delle politiche conservative in senso stretto, anche alla luce del dibattito che si è acceso in questi anni sul contrasto - meno drammatico, ma comunque presente, se le risorse sono gestite correttamente - tra fruizione di mercato, produzione culturale e conservazione del bene [1].

Le riflessioni qui presentate in parte derivano dal lavoro che un gruppo di esperti ha recentemente condotto su questo tema per le fondazioni bancarie bolognesi (la Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e la Fondazione Cassa di risparmio in Bologna), in parte si sono arricchite delle indicazioni emerse nel corso del seminario grazie alla illustrazione delle numerose e proficue esperienze maturate in questi anni da parte delle fondazioni e istituzioni presenti.

Il nodo che - come si è detto - ha bisogno di un chiarimento non più rinviabile, anche alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 e delle conseguenti disposizioni presenti nel Codice dei beni culturali del 2004, riguarda il rapporto tra conservazione, tutela e valorizzazione.

Conviene quindi partire (non tanto per raggiungere in questa occasione quel grado di chiarezza e di approfondimento di cui pur si sente l'esigenza, quanto per disporre dei termini essenziali di riferimento) proprio dal Codice dei beni culturali e dalle sue indicazioni espresse negli articoli 3, 6 e 29:

- "La tutela consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un'adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione" (articolo 3),

- "La valorizzazione consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale" (articolo 6),

- "La conservazione del patrimonio culturale è assicurata mediante una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro" (articolo 29).

E' utile sottolineare che tutte le definizioni citate affermano la necessità di condurre attività di conoscenza e studio del patrimonio come requisito per l'esercizio stesso della funzione prevista, così come è esplicita la sostanziale interrelazione tra i termini in questione: la tutela garantisce la conservazione e la fruizione grazie a strumenti di conoscenza; la conservazione fondata su attività di studio è il presupposto per la fruizione, mentre la valorizzazione promuove la conoscenza ma sostiene anche gli interventi di conservazione. Sebbene i legami tra i concetti siano evidenti e innegabili, né le disposizioni né la letteratura specialistica hanno avuto la capacità di investigare con sufficiente ampiezza e soprattutto concretezza la natura specifica delle conoscenze e dei saperi che sono necessari per sviluppare e gestire con continuità tali funzioni e soprattutto integrarle con un'azione efficace e sostenibile.

Per i tecnici del settore, in particolare per quelli che lavorano nelle istituzioni di tutela, è tradizionalmente molto chiaro il significato del termine "conoscenza" se riferito a una fonte archivistica funzionale a esigenze di protezione, conservazione e fruizione; altrettanto solida è la consapevolezza (pur tuttavia ancora troppo generica e non accompagnata - anche nei processi formativi dei nuovi professionisti - da un bagaglio di strumenti operativi di sviluppo) delle implicazioni teoriche e applicative che ne derivano anche nel caso in cui ci si avvalga di tecnologie dell'informazione e della comunicazione per moltiplicare e qualificare i risultati dell'azione conoscitiva. Tale consapevolezza è condizione necessaria (ed è bene quindi che chi opera nel settore disponga di metodologie e saperi consolidati), ma non è tuttavia un requisito sufficiente a garantire oggi, nelle condizioni organizzative ed economiche date, l'efficacia delle iniziative sia di tutela che di valorizzazione per la quale si richiedono ulteriori competenze non sempre disponibili e assai poco sostenute da adeguati e tempestivi interventi di istruzione, come si avrà modo di sottolineare in seguito.

In prima istanza, è infatti necessario ricordare che il sistema della tutela e della conservazione - quindi anche della conoscenza e della fruizione che ne derivano - è profondamente mutato e quel che si poteva dare per acquisito fino a un decennio fa richiede ora una nuova, più complessa e impegnativa, valutazione. Si sono infatti profondamente trasformati e soprattutto complicati gli assetti che caratterizzano oggi la tenuta e la gestione del patrimonio culturale, in campo archivistico con effetti ancor più significativi che in altri ambiti per la ricchezza delle fonti, la loro pervasività, il crescente allargamento degli interessi che talvolta si traduce in una vera e propria diversificazione dei processi e degli strumenti di gestione. Si tratta di un fenomeno tutt'altro che lineare, positivamente connotato dalla moltiplicazione degli operatori, ma anche contraddittoriamente caratterizzato da spinte alla frammentazione, dall'indebolimento crescente dei controlli, dalla carenza di personale e, molto spesso, dalla caduta di interesse da parte degli stessi responsabili delle politiche culturali degli enti di conservazione e tutela.

Si è, ad esempio, determinato un nuovo rapporto centro-periferia grazie allo sviluppo di un reticolo di istituzioni e soggetti operativi nelle attività dirette di conservazione (si pensi alla presenza crescente e concreta di centri nati in ragione dell'acquisizione e tenuta dei patrimoni documentari delle stesse fondazioni bancarie, o di grandi imprese - quali la Fondazione Iri, la Fondazione Ansaldo -, ma anche degli istituti storici per la resistenza e delle associazioni costituite per la valorizzazione delle fonti archivistiche dei partiti politici e delle categorie sociali, di personalità della cultura e della ricerca). Questo nuovo reticolo presenta livelli diversi di integrazione e cooperazione con l'amministrazione archivistica che fa capo al ministero per i Beni e le Attività culturali, che comunque è sempre presente e opera costantemente, sia pure a ranghi ridotti e senza risorse, al fine di assicurare qualità e coerenza dei processi conservativi, ma anche a livello territoriale in rapporto alle regioni che hanno - almeno in parte e con gradi diversi di impegno - avviato programmi di sostegno e coordinamento.

Hanno altresì preso vita nuove forme di investimento culturale non più solo circoscritto territorialmente, ma sempre più spesso di dimensione globale come nel caso degli interventi finanziari di alcune fondazioni bancarie o dei programmi della Commissione europea, ma anche - grazie a un uso sostenuto di Ict - attraverso la diffusione di archivi digitalizzati destinati presto a trasformarsi in veri e propri depositi digitali fisicamente delocalizzati ma non per questo meno rilevanti per la storia di una comunità e di un territorio.

Questo processo, che ha ormai una storia rilevante alle spalle, ha contribuito a produrre trasformazioni significative - peraltro originate anche da altri fattori che qui non è possibile esaminare [2], quali il mutamento degli interessi della ricerca storica, il cambiamento progressivo dell'utenza tradizionale degli archivi, le nuove valenze in termini di trasparenza e di accesso che la produzione documentaria di uno Stato democratico ha ormai assunto - nelle stesse strutture di base della conservazione del patrimonio archivistico misurabili in termini di:

- perdita di centralità della funzione statale rispetto agli sviluppi reticolari ora ricordati e alle nuove forme di collaborazione solo in parte evocate dal termine (ormai già abusato e spesso mal impiegato) di sussidiarietà,

- crescente policentrismo della conservazione che nelle sue forme più esasperate rischia di produrre quella frammentazione eccessiva prima ricordata e il pericolo concreto di dispersione, oltre a sprechi di risorse allorché queste non siano più finalizzate agli obiettivi primari della "difesa degli archivi", alla loro salvaguardia e conoscenza, bensì alla sopravvivenza o alla rivalutazione delle istituzioni e dei centri medesimi che per quei fini sono nati o ad essi fanno riferimento principale nei documenti fondativi [3].

In questa situazione la ricordata penuria di risorse rischia di rendere definitivamente ingovernabile una situazione già grave, anche se la crescita di interesse e di nuovi spazi istituzionali per la memoria archivistica potrebbe invece creare - grazie ad adeguate e sistematiche politiche di valorizzazione - nuovi strumenti e significative occasioni di sostenibilità di quel policentrismo istituzionale che pur ha costituito nei decenni passati un vanto della nostra ricca tradizione storica e archivistica.

2. Tutela e valorizzazione degli archivi: i requisiti per l'integrazione e la convergenza

Garantire che la tutela sia parte implicita o se necessario addirittura esplicita di qualunque processo di valorizzazione delle fonti documentarie non è un obiettivo scontato, innanzi tutto perché il legislatore ha voluto distinguere i due compiti, affidando il primo allo Stato e rinunciando a definire regole e direttive per l'esercizio del secondo, ma anche perché mancano competenze ed esperienze qualificate, linee guida interne alle strutture e strumenti di analisi e monitoraggio. La carenza non riguarda solo il patrimonio archivistico, come ha ricordato Salvatore Settis in alcuni recenti interventi su importanti quotidiani nazionali e come emerge anche da alcune proposte di riforma del ministero per i Beni e le Attività culturali che prevedono la creazione di una task force (alcuni vorrebbero addirittura dar vita a una direzione generale) che supporti le tradizionali istituzioni di tutela e conservazione negli interventi di valorizzazione riconoscendola ormai una componente necessaria di qualunque investimento conservativo, ma anche confermando il ritardo accumulato.

E' evidente quindi - ed è da tutti sostanzialmente riconosciuto - che tutela e valorizzazione devono potersi e sapersi coniugare in forme ancora da definire ma che alcuni progetti hanno già cominciato a prefigurare in modo innovativo: ad esempio nel caso della gestione dei diritti di immagine un progetto di promozione dovrebbe essere capace di gestire le scelte di riuso condividendo le responsabilità con chi esercita la tutela e/o la conservazione del bene e assicurando forme adeguate di re-investimento delle risorse recuperate.

Pur non approfondendo le specifiche e molteplici criticità gestionali che tali problematiche presentano, si ritiene utile in questa sede richiamare l'attenzione su quegli aspetti tecnici che - peraltro non da oggi - implicano un approfondimento tecnico e organizzativo e che, se ben affrontati, potrebbero facilitare l'avvio di una rigorosa e non episodica politica di valorizzazione del patrimonio culturale di natura archivistica, capace di richiamare risorse nuove anche a fini di mantenimento dei beni:

- la definizione di parametri di selezione e criteri di priorità degli interventi di valorizzazione in termini di qualità e rappresentatività,

- l'individuazione di una metodologia scientifica rigorosa per una descrizione del patrimonio coerente con obiettivi di divulgazione, ancorché naturalmente con le esigenze conoscitive che la tutela richiede,

- la risoluzione (idonea a salvaguardare la memoria storica delle comunità nazionali e locali) del rapporto pubblico-privato in riferimento sia alla "liquidità" e alla "dinamicità" dei processi di privatizzazione che alla gestione del diritto pubblico alla conoscenza e al riuso.

Sul primo punto (parametri di selezione e priorità) è evidente che il successo di una politica generale di valorizzazione richiede l'adozione di una visione strategica che assicuri:

- rilevanza e continuità degli investimenti,

- sistemi in grado di produrre massa critica e modelli di cooperazione,

- superamento della frammentazione e degli interventi a pioggia (senza escludere del tutto iniziative circoscritte e di qualità),

- sostegno continuativo delle esigenze conservative, ad esempio privilegiando il patrimonio a rischio (non necessariamente il patrimonio più antico, ormai largamente censito e conosciuto e ben conservato in depositi idonei e con strumenti descrittivi sufficientemente analitici), tra cui in particolare le fonti documentarie del Novecento, gli archivi economici (con specifico riferimento alla documentazione delle piccole e medie imprese, degli archivi di impresa nei casi di privatizzazione e fusione, più a rischio perché conservati dalle nuove entità soprattutto per esigenze finalizzate al sostegno delle nuove identità), la documentazione degli individui e delle famiglie, il patrimonio audiovisivo e fotografico, la documentazione della ricerca scientifica, paradossalmente la documentazione di amministrazioni pubbliche, soprattutto nei casi in cui la proliferazione documentaria ha assunto la dimensione di un'emergenza nazionale (ad esempio gli archivi della giustizia).

In termini di "priorità", in questa fase caratterizzata da carenze concettuali e quindi bisognosa di ricerca e sperimentazione, è essenziale che i progetti da sostenere implichino:

- l'uso innovativo delle tecnologie e nuovi modelli di gestione (ad esempio depositi digitali regionali, depositi intersettoriali, creazione di centri polivalenti e specializzati di conservazione, documentazione, valorizzazione), in grado di far crescere e maturare idee e competenze, veri e propri "cantieri di lavoro" per una nuova forma di amministrazione del patrimonio culturale nazionale [4],

- iniziative di formazione avanzata destinate a riqualificare il personale che già opera nelle strutture di tutela e nella professione e a creare nuovi profili di operatori che dispongano di conoscenze tecniche e organizzative coerenti con gli attuali continui processi di trasformazione dei modelli e di evoluzione delle conoscenze,

- servizi duraturi di consultazione (depositi archivistici, sistemi descrittivi condivisi, portali di facile navigazione).

E' altrettanto rilevante in questo nuovo contesto garantire la modularità e la sostenibilità dei progetti, favorire la digitalizzazione di archivi sulla base di valutazioni tecniche idonee, ad esempio - nel caso di fonti rilevanti sul piano culturale e storico destinate a un pubblico ampio e diversificato ma spesso prive delle condizioni minime di accesso e/o ad alto rischio conservativo - integrando la semplice riproduzione digitale dei documenti con servizi innovativi di guida e supporto alla consultazione e sostenendo iniziative di ricerca storica coordinate sul territorio.

La qualità degli interventi in termini di metodologia e di gestione archivistica rinvia peraltro a una definizione articolata di regole che potrebbero utilmente tradursi in linee direttive di riferimento generale per chi intenda sostenere seriamente un sistema di interventi sul territorio in alternativa alla tradizionale politica dei finanziamenti a pioggia. Un buon esempio è quanto hanno proposto in questi mesi, nel progetto ricordato in precedenza, le fondazioni bancarie bolognesi affidando a un gruppo di esperti [5] la stesura di un documento programmatico e di indirizzo generale finalizzato a guidare le iniziative future dei due enti a sostegno degli archivi della città. Il documento in questione ha in particolare sottolineato la necessità di:

- sviluppare adeguatamente progetti di riuso,

- sostenere la cooperazione tra istituti dello stesso ambito settoriale o geografico e tra istituti di tutela, enti di valorizzazione e finanziatori,

- affrontare per tempo e con sistematicità e competenza gli investimenti e i nodi relativi alla digitalizzazione che già è in atto (assicurando la conservazione e la fruizione dei progetti già realizzati) e a quella prevista per il futuro (sia dei nuovi progetti di digitalizzazione da sviluppare secondo standard di qualità sia delle fonti born digital per le quali devono prevedersi sistemi idonei di conservazione),

- definire modalità di intervento archivistico differenziate sulla base di criteri coerenti con le condizioni di conservazione e con la natura del patrimonio distinguendo tra "ordinamento e inventariazione sommaria" per fondi del tutto privi di strumenti di consultazione, "inventariazione analitica" solo per fondi di particolare significato o per serie la cui natura richieda una descrizione di dettaglio, "digitalizzazione" di serie archivistiche di particolare rilevanza o di uso frequente, "lavori di indicizzazione e valorizzazione" dei contenuti specifici (ad esempio gli authority file dei soggetti produttori) con l'obiettivo di assicurare una fruizione arricchita e facilitata.

Il documento in questione ha voluto affrontare in modo specifico le garanzie di qualità che gli interventi di automazione degli archivi devono garantire anche in termini di servizi aggiuntivi. Si tratta peraltro di considerazioni presenti in molti delle esperienze illustrate nel corso del seminario. Nel caso del progetto bolognese si è ritenuta di grande rilevanza la costruzione di un portale per gli archivi. Lo sviluppo di ambienti web dedicati alla valorizzazione del patrimonio archivistico - se condotto con coerenza e continuità - costituisce infatti un'occasione di raccordo e snodo fra sistemi informativi diversi con riferimento a un'area geografica, a un settore di intervento, a gruppi di istituzioni. Contribuisce inoltre a diversificare l'utilizzo delle fonti (anche mediante una larga diffusione dei risultati e lo sviluppo di funzioni innovative di ricerca e orientamento), alla crescita culturale degli operatori e all'ampliamento di un'utenza che nel caso degli archivi ha sicuramente bisogno di forme di assistenza e mediazione complesse, ancora più impegnative se condotte in modalità telematica.

In particolare il portale bolognese intende presentarsi come una vera e propria "interfaccia" comune fra l'insieme degli archivi del territorio e il loro pubblico "o meglio i loro diversi pubblici, effettivi o potenziali", assicurando:

- informazioni essenziali relative ai soggetti conservatori degli archivi, alla descrizione dei fondi e dei soggetti produttori,

- componenti informative integrative, ad esempio sui contesti politico-istituzionali e amministrativi, sui contesti organizzativi e associativi, sulle fasi storiche rilevanti per la ricerca,

- servizi multimediali avanzati e di approfondimento per specifiche aree informative e di servizio (attività didattiche, divulgative-espositive, celebrative, ecc.),

- collegamenti interattivi a siti di interesse nazionali e internazionali (aggiornati e verificati periodicamente.

E' inutile sottolineare che obiettivi così ambiziosi, che il progetto bolognese condivide con gran parte delle esperienze più innovative presentate nel seminario, richiedono, oltre alle condizioni già ricordate, nuove capacità di produzione della conoscenza, tra cui la definizione di una vera e propria strategia di comunicazione che sappia coniugare:

- efficacia e semplicità in relazione alle diverse tipologie di utenti,

- modalità di interazione differenziate per le diverse componenti del pubblico (studiosi e ricercatori di professione, pubblico amatoriale, insegnanti e studenti delle scuole, specifiche categorie di ricercatori, quali studiosi di architettura, di genealogia, ecc.),

- sviluppo di servizi specifici coerenti con la natura dell'archivio e le caratteristiche del territorio e del dominio settoriale di riferimento,

- chiarezza espositiva nella indicazione delle fonti, nella eventuale esemplificazione dei servizi offerti e nei percorsi di ricerca.

Ancora una volta, insomma, emerge con chiarezza che l'informatizzazione, modificando la possibilità stessa di trasmissione e di riproduzione dei beni, ovvero del loro consumo [6], offre incredibili e ancora in parte inesplorate potenzialità (in alcuni casi anche in termini di qualità), ma richiede altrettanti investimenti soprattutto in termini di personale altamente qualificato (operatori sul territorio preparati a utilizzare strumenti descrittivi normalizzati, gruppi di lavoro redazionali professionalizzati, sia per quanto riguarda le capacità di controllo, coordinamento e valutazione della qualità dei contenuti, sia con riferimento alla elaborazione di materiali didattici e di divulgazione). Anzi, a parere di chi scrive, è proprio su questo aspetto, la presenza "continuativa" di figure professionali competenti, aggiornate e quindi potenzialmente "creative", che si gioca la vera scommessa per la salvaguardia delle memorie documentarie e, in generale, del patrimonio culturale del Paese intesa non solo come protezione passiva, ma anche come occasione di crescita e di sviluppo grazie alla presenza di strumenti e modalità nuovi di fruizione in grado di esplicitare il valore sociale della memoria storica attraverso la sua frequentazione consapevole.

Note

[*] Testo della relazione discussa nel seminario Acri su Archivi e biblioteche, tenutosi a Roma il 7 giugno 2007. Il titolo si ispira a una interessante analisi condotta alcuni anni fa dall'Istituto beni culturali della regione Emilia-Romagna e pubblicata nella forma di una raccolta di saggi, La storia a(l) tempo di Internet. Indagine sui siti italiani di storia contemporanea 2001-2003, a cura di A. Criscione, S. Noiret, C. Spagnolo, S. Vitali, Bologna, 2004.

[1] Si veda su questo tema le considerazioni di W. Santagata, La fabbrica della cultura. Ritrovare la creatività per aiutare lo sviluppo del Paese, Bologna, 2007. L'autore distingue due modelli di valorizzazione: l'uno orientato alla conservazione, l'altro alla produzione e alle fasi che ne contraddistinguono la catena di gestione, La riflessione, di grande interesse, è dedicata soprattutto al patrimonio storico-artistico, anche se gran parte delle considerazioni presenti nel volume potrebbero trovare sviluppi analoghi negli altri settori della tutela e della valorizzazione dei beni culturali. Nel caso delle fonti documentarie il rapporto tra interventi di conservazione e processi di valorizzazione finalizzati alla produzione di cultura è, peraltro, più critico per la specifica natura di un patrimonio il cui utilizzo da parte degli utenti implica sempre una notevole e costosa attività di mediazione e investimenti dedicati, a fronte di una fruizione che fatica a raggiungere un pubblico non di élite.

[2] Si veda in proposito il volume di L. Giuva, S. Vitali, I. Zanni Rosiello, Il potere degli archivi, Milano, 2007, nel quale si toccano alcuni degli aspetti specifici, qui solo evocati, che sono all'origine di trasformazioni cruciali della funzione documentaria nel mondo occidentale.

[3] I casi da citare sono numerosi, purtroppo. Esemplare sul fronte pubblico è quello della presidenza del Consiglio dei ministri che con un colpo di mano di alcuni parlamentari nell'agosto 2005 è riuscita a sottrarsi alla tutela dell'amministrazione archivistica - unico caso al mondo - non solo in termini di conservazione dei documenti storici ma anche per quanto riguarda la sorveglianza su di essi, per ragioni che nulla hanno a che fare con le esigenze di salvaguardia delle fonti. Si veda in proposito L. Giuva, M. Guercio, Politiche per gli archivi, in I beni di tutti e di ciascuno. Il difficile equilibrio tra pubblico e privato nella politica per i beni culturali, a cura di Rita Borioni, Roma, 2006, 27-38. In campo privato, purtroppo, gli esempi sono ancora più frequenti e, talvolta, più gravi per i rischi di dispersione del patrimonio: ultimo quello della Fondazione Iri - nata per sostenere e valorizzare il patrimonio archivistico - che ha cercato di dismettere una delle condizioni stesse della sua esistenza (la conservazione del patrimonio storico) inviando una parte rilevante dei materiali in depositi di stoccaggio senza assicurare la continuità e la qualità della sua consultazione.

[4] A. Manupelli, Cantieri di lavoro: il recupero degli archivi degli apparati della Pubblica Amministrazione soppressi, riformati e controriformati, in Riforme in corsa... Archivi pubblici e archivi d'impresa tra trasformazioni, privatizzazioni e fusioni, a cura di D. Porcaro Massacra, M. Messina e G. Tatò, Bari, 2006, 125-131.

[5] Il gruppo di esperti, costituito da Linda Giuva, Mariella Guercio, Guido Melis, Stefano Vitali e Isabella Zanni Rosiello, ha discusso il documento programmatico e di indirizzo oltre ai rappresentanti delle fondazioni anche con le istituzioni che operano sul territorio in ambito archivistico, la Soprintendenza archivistica di Bologna e l'Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della regione Emilia-Romagna.

[6] W. Santagata, La fabbrica della cultura, cit., 32.



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