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Corte costituzionale

Ordinanza 12-20 dicembre 2007, n. 439

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Franco Bile (Presidente); Giovanni Maria Flick; Francesco Amirante; Ugo De Siervo; Paolo Maddalena; Alfio Finocchiaro; Alfonso Quaranta; Franco Gallo; Luigi Mazzella; Gaetano Silvestri; Sabino Cassese; Maria Rita Saulle; Giuseppe Tesauro; Paolo Maria Napolitano,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), comma aggiunto dall'art. 1, comma 36, lettera c), della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), promosso con ordinanza del 26 giugno 2006 dal Tribunale di Grosseto nel procedimento penale a carico di Ricci Graziana ed altri, iscritta al n. 676 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 2007.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2007 il Giudice relatore Paolo Maddalena.

Ritenuto che, con ordinanza del 26 giugno 2006, il Tribunale di Grosseto, in composizione monocratica ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), comma aggiunto dall'art. 1, comma 36, lettera c), della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), nella parte in cui non prevede l'estinzione anche del reato edilizio di cui all'art. 44, comma 1, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), "in caso di demolizione dell'opera abusiva ad opera del trasgressore prima che venga disposta d'ufficio dall'autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna";

che, in punto di fatto, il Tribunale di Grosseto riferisce di stare giudicando tre soggetti imputati del reato di cui all'art. 44, comma 1, lettera b), del d.p.r. n. 380 del 2001, per avere realizzato opere in totale difformità dalla concessione edilizia;

che, in ordine alla rilevanza della questione, il giudice a quo sviluppa, in due distinte parti dell'ordinanza, articolate argomentazioni ed, in particolare, osserva:

che dall'istruttoria da esso svolta risulta provata l'avvenuta completa riduzione in pristino dell'immobile oggetto dell'intervento edilizio in conformità alla concessione edilizia;

che tale rimessione in pristino sarebbe idonea a determinare l'estinzione del reato paesistico-ambientale previsto dall'art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo n. 42 del 2004 (applicabile retroattivamente, quale norma di maggiore favore), "mentre analoga fattispecie estintiva non è contemplata per il reato edilizio oggetto di contestazione";

che tale effetto estintivo del reato paesistico-ambientale si verificherebbe anche ove fosse da seguire l'orientamento (che peraltro il rimettente contesta come eccessivamente restrittivo) espresso dalla Corte di cassazione (sentenza n. 3945 del 2006), secondo cui la riduzione in pristino deve avvenire prima dell'ingiunzione in tal senso dell'autorità amministrativa, non essendo sufficiente, ai fini dell'estinzione del reato, che essa avvenga dopo tale ingiunzione, ma prima della demolizione d'ufficio;

che la riduzione in pristino da parte degli imputati è, infatti, intervenuta prima della condanna giudiziale e prima della stessa ingiunzione alla demolizione da parte dell'autorità comunale;

che dall'eventuale accoglimento della sollevata questione di legittimità costituzionale deriverebbe l'estinzione anche del reato edilizio contestato agli imputati, con conseguente declaratoria di non procedibilità dell'azione penale;

che, d'altra parte, l'intervenuta rimessione in pristino non gioverebbe altrimenti agli imputati, né, in particolare, potrebbe determinarne l'assoluzione, posto che la condotta ripristinatoria, per la giurisprudenza di legittimità, non fa venire meno la oggettività giuridica del contestato reato edilizio, ma potrebbe incidere unicamente al fine di escludere il danno o di comprovare la buona fede degli imputati, circostanze entrambe tuttavia da escludere nel caso di specie;

che, in ordine alla non manifesta infondatezza, il Tribunale di Grosseto richiama, anzitutto, la giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale (sezione III penale, sentenze n. 9749 del 1994 e n. 10557 del 1995) esclude l'assorbimento del reato edilizio di cui all'art. 20 della legge n. 47 del 1985 (ora art. 44 del d.p.r. n. 380 del 2001) nel reato ambientale di cui all'art. 163 del decreto legislativo n. 490 del 1999 (ora art. 181, comma 1, del decreto legislativo n. 42 del 2004), sull'assunto della diversa obiettività giuridica delle due fattispecie criminose, e parimenti esclude, per le stesse ragioni, che l'estinzione del reato edilizio a seguito della concessione (ora permesso) in sanatoria determini l'estinzione di quello ambientale (sezione III penale, sentenza n. 7541 del 1994);

che il rimettente ricorda, poi, la giurisprudenza della Corte costituzionale (sono citate le ordinanze n. 46 del 2001 e n. 327 del 2000), la quale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 13 e 22 della legge n. 47 del 1985, nella parte in cui non prevedono che il rilascio della concessione edilizia in sanatoria estingua, oltre alle violazioni di natura strettamente urbanistica, anche il reato ambientale;

che, in particolare, il Tribunale di Grosseto richiama il passo della citata ordinanza n. 46 del 2001, nel quale si afferma che il diverso trattamento normativo trova giustificazione nella peculiare esigenza di tutela dei beni paesaggistico-ambientali "considerata tra i principi fondamentali della Costituzione come forma di tutela della persona umana nella sua vita, sicurezza e sanità, con riferimento anche alle generazioni future, in relazione al valore estetico-culturale assunto dall'ordinamento quale valore primario ed assoluto insuscettibile di essere subordinato a qualsiasi altro";

che, in ordine alla questione specifica della riduzione in pristino dell'opera abusiva, il rimettente ricorda come, prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 42 del 2004, fosse principio consolidato in giurisprudenza che l'eliminazione delle opere abusive non comporta l'estinzione del reato commesso con la loro costruzione, in quanto nei reati urbanistici ha rilevanza penale anche l'elusione del controllo che l'autorità amministrativa è chiamata ad esercitare, in via preventiva e generale, sull'attività edilizia assoggettata al regime concessorio, ed in quanto l'eliminazione spontanea del manufatto abusivo non vale ad eliminare l'antigiuridicità sostanziale del fatto reato, avendo il territorio comunque subito un vulnus;

che il rimettente ricorda, inoltre, la vicenda normativa dell'art. 8-quater del decreto-legge 23 aprile 1985, n. 146 (Proroga di taluni termini di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, concernente norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive), convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1985, n. 298, il quale esclude la punibilità nei confronti di coloro che abbiano demolito o eliminato le opere abusive entro il 7 luglio 1985;

che, al riguardo, il rimettente richiama la giurisprudenza della Corte di cassazione (sezione III penale, sentenza n. 10199 del 1998), che ha ritenuto tale disposizione testualmente riferita e limitata sotto il profilo temporale alle demolizioni di opere eseguite entro detta data;

che il Tribunale di Grosseto ricorda, altresì, la sentenza n. 167 del 1989 della Corte costituzionale, la quale ha escluso che tale interpretazione limitativa data dalla giurisprudenza penale a questa disposizione contrasti con la Costituzione, in quanto la demolizione dell'opera abusiva non elimina l'antigiuridicità del fatto e la configurazione e la disciplina di cause speciali di estinzione del reato o della pena rientrano nella discrezionalità del legislatore;

che, anche alla luce dei riferiti orientamenti giurisprudenziali ed in particolare dell'esigenza di tutela dell'ambiente, il giudice rimettente ritiene che sia irragionevole la mancata estensione al reato edilizio dell'effetto estintivo del reato ambientale, estensione non possibile in via ermeneutica, stante il carattere tassativo e di stretta interpretazione delle previsioni estintive dei reati;

che il rimettente ritiene, in particolare, "francamente sprovvista di ogni ragionevole giustificazione" la previsione dell'estinzione del reato ambientale a seguito della riduzione in pristino e non di quello edilizio, stante la maggiore rilevanza del bene giuridico protetto dal reato ambientale;

che d'altra parte, per il rimettente, la denunciata differenziazione non sarebbe giustificabile in ragione di una diversa natura del reato, trattandosi in entrambi i casi di reati di pericolo e non essendo necessario, per giurisprudenza costante del giudice di legittimità (sezione III penale, sentenze n. 12863 del 2003, n. 14461 del 2003 e n. 19761 del 2003), un effettivo pregiudizio per l'ambiente ai fini della configurabilità del reato;

che il rimettente sostiene, poi, che l'autonomia delle due fattispecie di reato non impedisce di ravvisare lo schema "ternario" necessariamente presupposto dal giudizio di ragionevolezza ai sensi dell'art. 3 della Costituzione;

che, per il rimettente, il principio di uguaglianza può ritenersi violato non solo nell'ipotesi di trattamento differenziato di situazioni identiche, bensì pure in quella di trattamento identico di fattispecie dotate di offensività diversa e quindi, a maggior ragione, anche nel caso di specie, dove un trattamento più sfavorevole viene riservato alla fattispecie penale oggettivamente meno grave;

che il carattere derogatorio della disposizione di cui all'articolo 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo n. 42 del 2004 non renderebbe la stessa inidonea alla funzione di tertium comparationis;

che il rimettente ricorda, al riguardo, le ordinanze n. 185 del 1995 e n. 484 del 1994, con le quali la Corte costituzionale ha ritenuto possibile estendere l'ambito di una previsione eccezionale o derogatoria quando tra il caso ricompreso e quello escluso ricorra l'eadem ratio derogandi, non potendo ritenersi che la salvaguardia della discrezionalità legislativa esima il giudice delle leggi dal valutare se non vi siano manifesti motivi di irrazionalità;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per l'infondatezza della questione;

che, secondo la difesa erariale, proprio la notevole rilevanza, anche costituzionale, del bene giuridico tutelato dalla disposizione censurata, rende del tutto ragionevole che la potestà punitiva dello Stato receda dinanzi all'esigenza di celere tutela del bene stesso;

che la ratio del denunciato art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo n. 42 del 2004 sarebbe da ravvisare, secondo l'Avvocatura generale, proprio nella incentivazione del ripristino immediato dello status quo ante, ratio che troverebbe conferma anche nei commi 1-ter ed 1-quater dello stesso articolo, per i quali la sanzione prevista non si applica quando l'autorità amministrativa competente accerti successivamente la compatibilità paesaggistica dell'opera realizzata in assenza di autorizzazione od in difformità da quanto disposto;

che parimenti ragionevole sarebbe, secondo l'Avvocatura generale, la scelta legislativa di non estendere il medesimo effetto estintivo al reato di cui all'art. 44, comma 1, lettera b), del d.p.r. n. 380 del 2001, stante la diversità dei beni giuridici tutelati dalle due norme incriminatrici;

che la difesa erariale rileva, oltretutto, che tale ipotetica estensione avrebbe determinato il paradossale effetto di consentire l'estinzione del reato edilizio ove commesso su area sottoposta a vincolo paesaggistico e di negarla in caso di assenza del vincolo stesso;

che la scelta legislativa di non estendere l'effetto estintivo sarebbe, invece, ragionevole, dacché eviterebbe che l'art. 181, comma 1-quinquies, del d.lg. n. 42 del 2004 possa risolversi in una incentivazione alla commissione di violazioni paesaggistiche, in quanto anche in caso di riduzione in pristino residua comunque la punibilità del soggetto attivo in relazione al reato di cui all'art. 44, comma 1, lettera b), del d.p.r. n. 380 del 2001.

Considerato che il Tribunale di Grosseto ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), comma aggiunto dall'art. 1, comma 36, lettera c), della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), nella parte in cui non prevede l'estinzione anche del reato edilizio di cui all'art. 44, comma 1, lettera b), del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia - Testo A), "in caso di demolizione dell'opera abusiva ad opera del trasgressore prima che venga disposta d'ufficio dall'autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna";

che, per il rimettente, sarebbe irragionevole la mancata estensione al reato edilizio dell'effetto estintivo previsto per il reato paesaggistico, stante la maggiore rilevanza, anche costituzionale, del bene giuridico paesaggistico rispetto a quello tutelato dalla normativa penale in materia edilizia;

che il rimettente, in definitiva, utilizza l'argomento logico a fortiori, ritenendo "francamente sprovvista di ogni ragionevole giustificazione" la circostanza che un trattamento più sfavorevole venga riservato alla fattispecie penale oggettivamente meno grave;

che analoga questione è stata già scrutinata da questa Corte e decisa nel senso della manifesta infondatezza con l'ordinanza n. 144 del 2007;

che, anche in quel caso, il rimettente chiedeva l'estensione di una previsione, quella dell'art. 181, comma 1-quinquies del decreto legislativo n. 42 del 2004, avente, per sua stessa ammissione, natura derogatoria;

che, per giurisprudenza costante di questa Corte, non è possibile una pronuncia additiva tesa ad estendere una disposizione derogatoria ed eccezionale, a meno che non sussista piena identità di funzione tra le discipline poste a raffronto (v., ex multis, sentenza n. 149 del 2005);

che, nella specie, tale estensione non è possibile, trattandosi di fattispecie criminose analoghe, ma non identiche, tanto è vero che possono essere in concorso tra di loro (v. Cassazione, sezione III, 10 gennaio 2007, n. 231)

che infatti, come chiarito dalla costante giurisprudenza di questa Corte (v. ordinanze n. 46 del 2001 e n. 327 del 2000) e dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (v. Cassazione, sezione V, 31 marzo 1999, n. 10514), e come riconosciuto dallo stesso rimettente, il reato edilizio previsto dall'articolo 44 del d.p.r. n. 380 del 2001 ed il reato paesaggistico previsto dall'art. 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004, hanno oggetti giuridici diversi;

che i reati paesistici ed ambientali tutelano il paesaggio e l'ambiente e cioè dei beni materiali (cfr. sentenze numeri 367 e 378 del 2007), mentre i reati edilizi tutelano il rispetto di un bene astratto, e cioè la disciplina amministrativa dell'uso del territorio;

che, pertanto, pur avendo entrambi i reati la natura di reati di pericolo (avendo il legislatore in ambo i casi ritenuto necessario anticipare al massimo livello possibile la soglia di tutela degli interessi), la diversità degli oggetti "finali" protetti dai due reati giustifica discipline sanzionatorie e fattispecie estintive differenziate;

che, in particolare, la materialità del bene paesaggistico-ambientale conferisce un valore essenziale alla rimessione in pristino del paesaggio e dell'ambiente, alla quale, in definitiva, tende l'intero sistema sanzionatorio in questa materia;

che, proprio in considerazione della straordinaria importanza della tutela "reale" dei beni paesaggistici ed ambientali, il legislatore, nell'ambito delle sue scelte di politica legislativa, ha deciso di incentivarla in varie forme: sia riconoscendo attenuanti speciali a favore di chi volontariamente ripari le conseguenze dannose dei reati previsti a tutela delle acque (art. 140 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante "Norme in materia ambientale"), sia subordinando alla riduzione in pristino il beneficio della sospensione condizionale della pena nei reati collegati alla gestione del ciclo dei rifiuti (artt. 139, 255, 257 e 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006), sia, infine, riconoscendo, come nel caso in esame, valore prevalente al ripristino del bene paesaggistico rispetto alla stessa pretesa punitiva dello Stato;

che, invece, nell'ambito della repressione degli illeciti edilizi, la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, con demolizione delle opere abusivamente realizzate, rappresenta solo uno dei possibili esiti sanzionatori dell'illecito, essendo prevista, in alternativa ad essa, (art. 31, comma 5, del d.p.r. n. 380 del 2001) la possibilità per il comune di mantenere, a determinate condizioni, l'opera coattivamente acquisita;

che, pertanto, non sussistendo tra le ipotesi criminose poste a raffronto la piena identità ritenuta dal giudice rimettente, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 181, comma 1-quinquies, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), comma aggiunto dall'art. 1, comma 36, lettera c), della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Grosseto, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

 

 



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