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Promozione delle attività culturali e autonomia di spesa delle regioni:
il rilievo delle "esigenze di carattere unitario"

di Claudia Tubertini


Sommario: 1. Gli attuali vincoli finanziari delle autonomie territoriali al vaglio della Corte costituzionale. - 2. La promozione delle attività culturali nella sentenza 160/2005 della Corte costituzionale. - 3. Dalla regola all'eccezione: il peso delle "esigenze di carattere unitario" nella promozione delle attività cinematografiche nella sentenza 285/2005 della Corte costituzionale. - 4. Riforme attuate e riforme in itinere: i riflessi della sentenza 285/2005 sul progetto di riforma del Fondo unico per lo spettacolo.



1. Gli attuali vincoli finanziari delle autonomie territoriali al vaglio della Corte costituzionale

Come per tutti i settori nei quali l'intervento dei pubblici poteri è innanzitutto di tipo promozionale, anche in tema di beni ed attività culturali è la capacità finanziaria, sia di entrata che di spesa, a costituire il presupposto indispensabile per l'effettivo svolgimento di questo intervento.

E' dunque evidente come l'esercizio della potestà legislativa regionale in materia di "valorizzazione dei beni culturali" e di "promozione ed organizzazione delle attività culturali", riconosciuta dall'art. 117, comma 3 Cost., così come lo svolgimento delle relative funzioni amministrative siano condizionati dai vincoli finanziari nei quali si sono trovate ad operare le autonomie territoriali, per effetto, da un lato, della progressiva contrazione dei finanziamenti indiretti, e, dall'altro, della mancata attuazione dell'autonomia finanziaria loro riconosciuta dall'art. 119 Cost.

Sotto il primo profilo, le regioni e gli enti locali hanno subito le conseguenze del necessario rispetto degli obblighi comunitari e del faticoso recupero del deficit complessivo di spesa del paese. E' proprio di questi giorni la notizia che il disegno di legge finanziaria per il 2006, in corso di approvazione in Parlamento, propone di ridurre ulteriormente ed in maniera considerevole i trasferimenti statali di parte corrente alle regioni ed agli enti locali. Secondo le stime delle regioni, sugli 11,5 miliardi di euro previsti dalla manovra finanziaria destinati alla correzione del deficit, 5,6 miliardi (ovvero, una quota pari al 49%) dovranno provenire dal comparto regioni-enti locali, escluse le minori entrate che le regioni subiranno nel comparto sanità: si tratta, secondo le regioni, di tagli alla spesa assolutamente insostenibili nell'arco di un solo esercizio finanziario.

Sotto il secondo profilo, è ormai noto che l'art. 119 rappresenta, tra le disposizioni costituzionali innovate nel 2001, una delle più lontane dalla effettiva attuazione [1]; e nonostante questa circostanza sia stata lamentata in tutte le sedi, politiche ed istituzionali, vi è la consapevolezza condivisa che la sua realizzazione non possa essere automatica né diretta, ma al contrario richieda un generale ripensamento di tutti i meccanismi che attualmente governano il sistema della finanza pubblica. Del resto, anche la Corte costituzionale, pur avendo stigmatizzato in molte occasioni l'inerzia del Parlamento, ha ritenuto comunque indispensabile, ai fini dell'effettivo esercizio dell'autonomia impositiva da parte delle regioni e degli enti locali, la previa definizione da parte del legislatore statale dei principi di coordinamento della finanza pubblica necessari ad orientare questa transizione.

Diversa, invece, è stata invece la posizione della Corte costituzionale nei confronti del principio dell'autonomia di spesa delle regioni e degli enti locali, sancito anch'esso dal nuovo art. 119 Cost. In questo ambito, infatti, la Corte ha più volte evidenziato il carattere immediatamente precettivo dell'art. 119, censurando la riproposizione di meccanismi di finanza derivata imperniati su trasferimenti di risorse vincolate dal centro alla periferia.

Seguendo questo principio, la Corte ha così formulato la regola secondo la quale il legislatore statale non può porsi in contrasto con i criteri ed i limiti che presiedono l'attuale sistema di autonomia finanziaria regionale, che non consentono interventi diretti dello Stato in materie di competenza regionale: "in questo campo, fin d'ora lo Stato può e deve agire in conformità al nuovo riparto di competenze e alle nuove regole, disponendo i trasferimenti senza vincoli di destinazione specifica, o, se del caso, passando attraverso il filtro dei programmi regionali, coinvolgendo dunque le regioni interessate nei processi decisionali concernenti il riparto e la destinazione dei fondi, e rispettando altresì l'autonomia di spesa degli enti locali" (sent. 16/2004).

Tuttavia, l'applicazione concreta di questa regola ai numerosi giudizi di costituzionalità che hanno sinora investito norme istitutive o regolative di finanziamenti statali nelle più disparate materie ha portato la stessa Corte a formulare alcune precisazioni, delimitazioni o vere e proprie eccezioni.

Così, in primo luogo, l'applicazione del principio di continuità è in grado di condizionare l'esito finale di questo giudizio, qualora la caducazione di un sistema di finanziamento possa portare a conseguenze negative per i destinatari finali, tenuto conto della perdurante mancata attuazione dell'art. 119 Cost. e, con esso, dell'autonomia finanziaria delle regioni in materia di entrate. Questa eccezione, in particolare, è stata applicata nelle sentenze 255 e 256/2004, nelle quali la Corte è stata chiamata, tra l'altro, ad esaminare la compatibilità con l'art. 119 della disciplina del Fondo unico dello spettacolo [2].

In un'altra serie di pronunce, la Corte ha invece ritenuto di poter giustificare l'intervento statale individuandone il fondamento in una delle materie elencate dall'art. 117 comma 2 Cost.: il caso più eclatante è quello degli interventi finanziari diretti dello Stato che, pur incidendo di fatto su ambiti di attività rilevanti per le regioni, siano stati ricondotti a finalità di carattere macroeconomico, da ricondursi, secondo la Corte costituzionale, alla materia della "tutela della concorrenza", intesa in una accezione dinamica e non meramente conservativa (cfr. sentenze 14/2004, 77/2005).

Vi sono poi casi nei quali, come si vedrà, la Corte ha giustificato la permanenza di una gestione accentrata di risorse finanziarie in applicazione del principio di sussidiarietà cd. ascendente, ovvero, in ragione della presenza di esigenze di carattere unitario e/o della inadeguatezza del livello regionale e infraregionale a realizzare le finalità sottese all'intervento.

Anche nella materia cruciale del finanziamento delle attività culturali si sono avuti interventi recenti della Corte costituzionale: è quindi interessante verificare se l'indirizzo applicato nelle pronunce 255 e 256 del 2004 abbia trovato conferma, correzione o smentita.

 

2. La promozione delle attività culturali nella sentenza 160/2005 della Corte costituzionale

Nella sentenza 160 del 2005, la Corte è stata chiamata ad esaminare la legittimità dell'art. 2, comma 38, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria 2004), che, al dichiarato scopo di "promuovere la diffusione della cultura italiana e di sostenere lo sviluppo dell'attività di ricerca e studio", aveva disposto uno stanziamento di 100.000 euro destinato prioritariamente all'erogazione di contributi, anche in forma di crediti di imposta, a favore degli istituti di cultura di cui alla legge 17 ottobre 1996, n. 534, per la costruzione della propria sede principale. La stessa disposizione rinviava altresì ad un successivo d.p.c.m. l'adozione delle disposizioni di attuazione.

Con una motivazione sintetica ma lineare, la Corte ha dichiarato illegittima l'intera norma accogliendo entrambe le obiezioni sollevate della regione ricorrente, che aveva lamentato il suo contrasto sia con il riparto delle competenze legislative e regolamentari dettato dall'art. 117 Cost., sia con la disciplina dell'autonomia finanziaria regionale ex art. 119 Cost.. Quest'ultimo articolo, in particolare, non legittima lo Stato a provvedere direttamente al finanziamento degli istituti di cultura, ma, al contrario, lo vincola a finanziare integralmente le funzioni regionali, nell'esercizio delle quali, poi, le regioni dovranno eventualmente disciplinare contributi agli istituti stessi.

Per giungere a questa conclusione, la Corte ha analizzato in primo luogo la compatibilità della norma impugnata con l'art. 119 Cost., ribadendo il principio generale, sopra ricordato e più volte affermato, secondo il quale non sono consentiti finanziamenti a destinazione vincolata disposti con legge statale per finalità non riconducibili a materie di competenza esclusiva dello Stato (cfr. sentenze 370/2003, 16/2004, 51/2005). E' evidente, quindi, che l'istituzione di contributi disciplinati e gestiti a livello statale determina uno svuotamento da parte dello Stato delle funzioni amministrative regionali di tipo promozionale ed una lesione della sfera di autonomia delle regioni.

Molto importante - per gli evidenti riflessi in materia di promozione delle attività culturali - è la precisazione, già contenuta in precedenti pronunce e qui ribadita, ai sensi della quale la natura pubblica o privata dei destinatari finali dei finanziamenti non può incidere sulla validità del suddetto principio, in quanto in numerose materie di competenza regionale, "le politiche consistono appunto nella determinazione di incentivi economici ai diversi soggetti che vi operano e nella disciplina delle modalità per la loro erogazione" (cfr. sentenze 320/2004, 423/2004, 424/2004 e 51/2005). L'enunciazione di questo principio ha permesso, tra l'altro, alla Corte di considerare irrilevante il tema della natura giuridica delle istituzioni di cultura, non essendo necessario differenziare la soluzione in base alla loro natura pubblica o privata, e quindi, anche di non prendere in considerazione l'argomento prospettato dall'Avvocatura dello Stato, volto a giustificare l'intervento statale sugli istituti di cultura in ragione della loro presunta natura "strumentale" (o "integrata") rispetto alle finalità del ministero per i Beni e le Attività culturali [3].

In secondo luogo, la Corte ha proceduto alla ricerca del titolo di competenza in grado di giustificare la norma impugnata, scegliendo di ricondurla, in applicazione del criterio teleologico, alla materia "organizzazione delle attività culturali", preferita rispetto alle materie, anch'esse concorrenti, della "valorizzazione dei beni culturali" e della "ricerca scientifica", a cui aveva invece fatto riferimento la regione ricorrente tenendo conto degli ambiti di intervento degli istituti di cultura. Secondo la Corte, ciò che conta è infatti che la finalità perseguita dal finanziamento (ovvero, la costruzione della sede principale degli istituti di cultura) sia "strumentale alla organizzazione di attività culturali".

La Corte ha scelto dunque di consolidare quella concezione estensiva della materia "promozione ed organizzazione delle attività culturali" enunciata nella sentenza 255/2004, in base alla quale le "attività culturali" a cui allude l'art. 117 comma 3 non possono che comprendere "tutte le attività riconducibili alla elaborazione e diffusione della cultura". Se si tiene conto dell'eterogeneità degli istituti di cultura e dell'ampiezza dei settori nei quali operano, è facile dedurre come questa opzione interpretativa non fosse del tutto scontata, soprattutto considerando che in una precedente occasione (invocata, non a caso, dall'Avvocatura generale dello Stato) la stessa Corte aveva ricondotto alla finalità di "promozione della cultura" - che, ai sensi dell'art. 9 Cost., coinvolge tutti i livelli di governo - la previsione di finanziamenti erogati dallo Stato, in favore di soggetti individuati in base al reddito o all'età e finalizzati all'acquisto di personal computer abilitati alla connessione ad Internet, respingendo le censure di costituzionalità della norma impugnata (sent. 307/2004).

Infine, la Corte ha ritenuto opportuno verificare se la norma impugnata non potesse essere giustificata alla luce del principio di sussidiarietà ascendente ai sensi dell'art. 118, primo comma, della Costituzione, concludendo, tuttavia, nel senso che l'esiguità della somma stanziata escludeva la necessità di una sua gestione unitaria a livello statale [4].

E' importante sottolineare come anche l'esito di questa verifica non era del tutto scontato, in quanto in altri casi l'esiguità delle somme stanziate non ha impedito alla Corte costituzionale - pur in assenza di un espresso titolo di competenza statale - di giustificare l'assunzione diretta di una funzione amministrativa da parte dello Stato (cfr. sentt. 272/2004 e 77/2005) [5], anche nella forma dell'erogazione di un contributo economico, quando la finalità sottesa era tale da giustificare una sua uniforme applicazione sull'intero territorio nazionale: così, ad esempio, è avvenuto per il contributo statale destinato all'agevolazione dell'acquisto o del noleggio di decoder per la ricezione in chiaro di segnali televisivi in tecnica digitale terrestre (sentenza 151/2005), giudicato legittimo alla luce della finalità di tutela del pluralismo dell'informazione insita nell'art. 21 Cost.

In quest'ultimo caso, la Corte è giunta a giustificare anche l'esercizio di un potere regolamentare statale per l'emanazione di disposizioni di attuazione: il principio di sussidiarietà (nella sua direzione "ascendente") è stato quindi invocato per respingere la censura di presunta violazione dell'art. 117 comma 6 Cost [6].

Alla luce di questi elementi, non resta che apprezzare la coerenza delle argomentazioni della Corte nella sentenza 160/2005, senz'altro facilitata dalla circostanza che oggetto della sentenza fosse un fondo di nuova creazione (che non poneva, quindi, problemi di continuità né esigenze di tutela di diritti quesiti) e di entità così modesta da indurre la stessa amministrazione statale a lasciare la disposizione del tutto inattuata (come si legge nelle argomentazioni dell'Avvocatura dello Stato).

Eppure, leggendo la sentenza non si riesce a sfuggire all'impressione che per le regioni sia stata una vittoria ... di Pirro: basti pensare al fatto che essa non incide in alcun modo sul regime ordinario di finanziamento delle istituzioni culturali, che resta disciplinato dalla l. 534/1996. Tale legge costruisce un sistema di finanziamento completamente organizzato e gestito a livello statale, che passa dalla selezione ministeriale dei soggetti ammessi ai contributi all'erogazione delle somme da parte del medesimo ministero, ed infine, al controllo ministeriale sulla loro destinazione.

Certo, su questo profilo ben poco poteva fare la Corte costituzionale, il cui compito è quello di giudicare le norme per come sono state scritte, e non per quello che avrebbero potuto disporre: ma nulla impediva alla Corte di inserire anche solo un fugace accenno alla necessità di una verifica della perdurante validità del regime ordinario dei contributi agli istituti di cultura. Forse, questo silenzio è più significativo di qualsiasi affermazione, ed è spia del fatto che, secondo il Giudice delle leggi, in questa fase di mancata attuazione dell'autonomia finanziaria regionale, ciò che va primariamente salvaguardata è l'aspettativa dei destinatari, anche a costo di conservare un sistema di finanziamento in contrasto con il riparto costituzionale delle competenze.

 

3. Dalla regola all'eccezione: il peso delle "esigenze di carattere unitario" nella promozione delle attività cinematografiche nella sentenza 285/2005 della Corte costituzionale

Ben altro impatto hanno avuto le esigenze di gestione unitaria e la necessità di tutela sostanziale delle attività culturali nella sentenza n. 285/2005, nella quale la Corte si è trovata ad esaminare i rilievi mossi dalle regioni Emilia-Romagna e Toscana a numerose disposizioni del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28, avente ad oggetto la "Riforma della disciplina in materia di attività cinematografiche, a norma dell'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137".

La sentenza in questione contiene numerose affermazioni di grande rilievo, e si presta ad essere esaminata sotto molti e diversi profili, come, del resto, la disciplina oggetto di impugnazione, che opera una profonda revisione dei meccanismi di sostegno pubblico alla produzione ed alla distribuzione delle opere cinematografiche nonché al regime di finanziamento e autorizzazione dell'attività delle sale cinematografiche.

L'ampiezza della prospettiva accolta dal legislatore si coglie già dalla lettura dell'art. 1, comma 3 del decreto, dove si afferma che "la Repubblica, nelle sue articolazioni e secondo le rispettive competenze, favorisce lo sviluppo dell'industria cinematografica nei suoi diversi settori; incoraggia ed aiuta le iniziative volte a valorizzare e diffondere con qualsiasi mezzo il cinema nazionale, con particolare riguardo ai film di interesse culturale; tutela la proprietà intellettuale e il diritto d'autore contro ogni forma di sfruttamento illegale; assicura, per fini culturali ed educativi, la conservazione del patrimonio filmico nazionale e la sua diffusione in Italia ed all'estero; promuove attività di studio e ricerca nel settore cinematografico".

Di centrale rilevanza nell'economia del d.lg. 28/2004 è senz'altro l'istituzione, presso il ministero per i Beni e le Attività culturali, del "Fondo per la produzione, la distribuzione, l'esercizio e le industrie tecniche" (art. 12), destinato all'erogazione di contributi a favore di tutte le attività che concorrono alla messa a disposizione del pubblico del prodotto cinematografico [7] e da cui discendono, a cascata, un complesso insieme di disposizioni sulle modalità di ripartizione ed erogazione da parte del ministero dei predetti contributi e numerosi rinvii a decreti ministeriali di attuazione.

E' su questa parte del decreto che si concentreranno le nostre osservazioni, al fine di ricostruire il percorso argomentativo svolto dalla Corte per verificare la compatibilità con gli artt. 117, 118 e 119 Cost. del nuovo sistema di finanziamento delineato dal d.lg. 28/2004.

Per quanto concerne il fondamento della competenza legislativa statale, è apprezzabile la coerenza con la quale la Corte colloca le attività cinematografiche (e dunque l'intervento pubblico a loro sostegno) nell'ambito della materia "promozione delle attività culturali"; con tale argomentazione, infatti, la Corte ha potuto facilmente respingere, da un lato, il tentativo delle regioni di collocare la cinematografia nell'ambito delle proprie competenze esclusivo/residuali, ai sensi dell'art. 117, comma 4 Cost., dall'altro, la prospettiva suggerita dall'Avvocatura dello Stato di riconoscere in capo alle regioni soltanto una potestà normativa su attività culturali o connesse alla materia dello spettacolo "aventi mero rilievo regionale e locale".

E' da sottolineare inoltre, come l'accoglimento di questa nozione estensiva di "attività culturali" abbia portato la Corte a respingere a priori la possibilità di ricondurre anche solo alcune delle norme impugnate ad altre materie di competenza esclusiva regionale, come l'industria e il commercio (pure evocate dalle ricorrenti), stante la prevalenza della natura culturale delle attività regolamentate dal d.lg. 28/2004.

In coerenza con questa ricostruzione della materia oggetto del decreto, la Corte ha anche bocciato le tesi del governo volte a ricondurre le disposizioni impugnate alla competenza statale esclusiva, sia con riferimento alla "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali" - considerato dalla Consulta titolo di legittimazione legislativa solo se rapportato a specifiche prestazioni per le quali risulti necessario definire a livello nazionale lo standard essenziale di erogazione [8] -, sia in relazione alla "tutela della concorrenza".

Sotto questo secondo profilo, la Corte ha dato rilievo alla circostanza che i finanziamenti non appaiono finalizzati a garantire la concorrenza fra i diversi soggetti interessati, quanto invece a sostenere selettivamente opere cinematografiche con particolari qualità culturali ed artistiche, ed ha comunque giudicato non plausibile giustificare la prevalenza della competenza statale in tema di tutela della concorrenza su qualunque tipo e forma di finanziamento di attività riconducibili a materie di competenza regionale.

Passando all'esame dei caratteri principali e di impianto del sistema di sostegno pubblico delineato dalla riforma, il giudizio complessivo della Corte è ben esplicitato laddove si dice che la disciplina di cui al d.lg. 28/2004 denota, sul piano legislativo, un carattere "completo e autoapplicativo", e propone, sul piano amministrativo, "un modello di gestione accentuatamente statalistico ed essenzialmente fondato su poteri ministeriali, con una presenza del tutto marginale di rappresentanti delle autonomie territoriali" (punto 8 diritto).

Ma a questa ricostruzione del modello non segue, come sarebbe logico attendersi, la censura del provvedimento. La Corte ha infatti reputato il livello di governo regionale "strutturalmente inadeguato" a soddisfare lo svolgimento di tutte le complesse attività di regolazione e sostegno del settore cinematografico, tanto da legittimare un intervento dello Stato non solo in relazione alla determinazione dei principi fondamentali, ma anche teso ad avocare in sussidiarietà sia funzioni amministrative, sia l'esercizio di poteri di normazione secondaria per l'organizzazione e la disciplina delle stesse. Tale argomento, secondo la Corte, è in grado di assorbire qualsiasi altra censura, ivi compresa la violazione dell'art. 119 Cost., che presuppone la riconduzione della disciplina impugnata al modello di riparto di competenze ordinariamente ricavabile dagli artt. 117 e 118 Cost.: modello che, al contrario, subisce in questo caso una deroga in applicazione del principio di sussidiarietà.

Va sottolineata la definitività del giudizio operato circa la possibilità di decentrare a livello regionale non solo l'individuazione dei criteri o la selezione dei beneficiari, ma anche le procedure amministrative di erogazione dei finanziamenti: un giudizio che, a differenza di altri casi, non appare legato ad una situazione di carattere transitorio, ma ad una valutazione della dimensione dell'interesse da tutelare e dell'inadeguatezza non organizzativa, ma "strutturale" delle regioni a realizzare gli interessi sottesi al d.lg. 28/2004 [9].

Di fronte a questo quadro, come era possibile recuperare uno spazio di intervento per le regioni mantenendo intatto il sistema di finanziamento unitario statale e la gestione accentrata del Fondo per il cinema? La Corte ha scelto di ricorrere al principio di leale collaborazione, come in molte, e sempre più frequenti, occasioni - a partire dalla "capostipite" sentenza n. 303/2003, in materia di opere strategiche e di interesse nazionale - nelle quali ha deciso di conservare in capo allo Stato l'esercizio di funzioni amministrative e normative in materie di competenza regionale.

Così, la Corte ha precisato che la compatibilità costituzionale delle disposizioni impugnate è garantita solo se l'attrazione a livello statale delle funzioni amministrative nel settore delle attività cinematografiche rispetta modalità caratterizzate dalla leale collaborazione con le regioni. Concretamente, ciò presuppone il coinvolgimento delle regioni mediante ricorso a strumenti di concertazione ineludibile e paritaria fra organi statali e Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.

In applicazione di questo principio, la Corte ha quindi passato al vaglio ciascuna delle norme impugnate, al fine di valutare la loro differente portata e di "graduare" l'applicazione del principio di leale collaborazione, seguendo un metodo già sperimentato in altri casi.

Applicando la tecnica cd. additiva, la Corte ha così dichiarato illegittime tutte le norme del decreto che contengono il rinvio ad atti attuativi o a provvedimenti di natura programmatoria, nella parte in cui non prevedono per la loro adozione la previa intesa con la Conferenza Stato-regioni [10]; in altri casi, caratterizzati dalla natura tecnica della potestà normativa prevista o dall'esercizio di poteri di nomina di particolare delicatezza, la Corte ha invece ritenuto che il coinvolgimento della Conferenza Stato-regioni potesse limitarsi all'espressione di un parere [11].

Scorrendo le argomentazioni della sentenza alla ricerca dei motivi che hanno indotto la Corte a sposare questa soluzione, appare evidente che il timore principale era quello di esporre al rischio di eccessivi condizionamenti localistici la gestione dei finanziamenti, a fronte, invece, della necessità di sostenere anche iniziative di grande rilevanza culturale. Sono infatti ripetuti i richiami alla presenza di "forti e sicuri elementi che esigono una gestione unitaria a livello nazionale", dimostrati, secondo la Corte, anche dalla preesistenza, rispetto alla riforma di cui al decreto impugnato, di un'organizzazione operante, almeno in larga parte, a livello nazionale.

Una volta avvallato il modello della "chiamata in sussidiarietà", alla Corte non restava che porre in essere i correttivi volti ad adeguare le disposizioni impugnate a questo modello: di qui, l'inserimento nel corpo della riforma delle intese e dei pareri della Conferenza Stato-regioni, alla ricerca di un faticoso quanto opinabile bilanciamento tra esigenze di collaborazione istituzionale e speditezza delle procedure di erogazione [12].

La preoccupazione della Corte di salvaguardare l'impianto complessivo del decreto non ha comunque impedito che il parziale accoglimento dei ricorsi producesse un effetto a cascata sui provvedimenti attuativi nel frattempo emanati. Proprio per evitare contraccolpi per i destinatari dei finanziamenti, le regioni hanno accettato di dare il proprio assenso "ora per allora" a numerosi decreti adottati in forza delle disposizioni censurate dalla Corte per mancata previsione della necessaria preventiva intesa o parere delle regioni [13].

Per regolare gli effetti della sentenza ed assicurare l'erogazione immediata dei finanziamenti, è stato anche emanato il d.l. 17 agosto 2005, n. 164 ("Disposizioni urgenti in materia di attività cinematografiche") [14] che tuttavia non è stato convertito in legge [15]: di fronte a queste circostanze gli operatori del settore non hanno mancato di manifestare tutta la loro preoccupazione per la possibilità di un ulteriore slittamento, o, peggio ancora, di un "congelamento" dei contributi già concessi.

 

4. Riforme attuate e riforme in itinere: i riflessi della sentenza 285/2005 sul progetto di riforma del Fondo unico per lo spettacolo

Il settore del sostegno pubblico alle attività culturali si caratterizza, allo stato attuale, per la presenza di una riforma già approvata (il finanziamento del cinema), ma parzialmente corretta dalla Corte costituzionale ed ancora in attesa di un definitivo assestamento; e per un'altra riforma (quella del finanziamento dello spettacolo dal vivo), avviata proprio sulla spinta dei moniti della Corte costituzionale, ma dall'esito tuttora incerto.

In questo quadro, è inevitabile che l'approccio seguito dalla Corte nella valutazione della prima sia destinato a riverberare i propri effetti sulla seconda: i due modelli devono essere quanto meno coerenti, anche se non necessariamente identici, tenendo conto del diverso radicamento nel territorio che generalmente presentano, rispetto alle opere cinematografiche, le attività teatrali, coreutiche, musicali.

Non è un caso, pertanto, che proprio a seguito della pronuncia della Corte sulla disciplina dei finanziamenti al cinema, il progetto di legge "Disciplina dello spettacolo dal vivo" (AC 587 e abbinati), sul quale era stata svolta una complessa mediazione tra le parti interessate, sia stato oggetto di emendamenti da parte del governo in merito al ruolo delle regioni.

L'art. 6 del progetto, nella versione finale contenuta nel testo unificato approvato dalla VII Commissione cultura della Camera ed attualmente in corso di esame in assemblea, prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2006 e "fino alla piena attuazione dell'art. 119 Cost." il Fus sia ripartito tra i settori (ad eccezione della quota destinata alle attività cinematografiche, cui continua ad applicarsi il d.lg. 28/2004) attraverso decreti ministeriali non aventi natura regolamentare, e che con la stessa fonte vengano definiti i criteri e le modalità di erogazione dei contributi in favore dello spettacolo dal vivo, previa intesa con la Conferenza unificata. Il testo precisa però che qualora l'intesa non sia raggiunta entro sessanta giorni, i decreti possono comunque essere adottati: il modello di concertazione prescelto è quindi quello dell'intesa cd. "debole", ovvero, superabile dal livello statale in caso di mancato accordo, senza neppure la necessità di una deliberazione motivata del Consiglio dei ministri, come previsto dalla regola generale [16].

A parere di chi scrive, non sembra che questo modello sia del tutto in linea con le prescrizioni della Corte, che nella sentenza 285/2005 ha invocato, come si è visto, la necessità di recuperare a favore delle regioni "un potere di codecisione nelle fasi delle specificazioni normative o programmatorie", attraverso forme di concertazione paritaria e, soprattutto, ineludibile; anche se, evidentemente, l'applicazione del meccanismo dell'intesa cd. "forte" dovrebbe comunque essere accompagnata da correttivi volti ad evitare lo slittamento sine die nell'erogazione dei fondi [17].

La vicenda che sta interessando la riforma della disciplina dello spettacolo è un chiaro segnale di come gli strumenti della leale collaborazione, per quanto assolutamente indispensabili in questa fase di transizione, possano essere modulati con intensità diverse ed assumere, nella sostanza, un grado di vincolatività assai variabile: senza tener conto del rilievo decisivo che sulla loro efficacia può svolgere il complessivo clima nelle relazioni tra i livelli istituzionali.

In ogni caso, va rilevato come il ricorso alla collaborazione paritaria in sede di ripartizione dei finanziamenti non incide in alcun modo sulla piena discrezionalità del legislatore statale in ordine alla determinazione dell'entità complessiva dell'intervento pubblico a sostegno delle attività culturali.

Mentre si scrive, il Parlamento sta discutendo la proposta, contenuta nel disegno di legge finanziaria per il 2006, di ridurre l'entità del Fondo unico per lo spettacolo del 35% rispetto all'esercizio in corso (da 464 a 300 milioni di euro). Il taglio di risorse sarebbe particolarmente rilevante per il cinema, la cui quota del Fus passerebbe da 84 milioni a 54 milioni, cui si aggiungerebbero altri 7,5 milioni in meno sui fondi provenienti dal gioco del Lotto, che nel 2005 avevano messo a disposizione del cinema 8 milioni di euro e che sarebbero ridotti a soli 500 mila euro. La reazione del modo della cultura è stata così negativa da giungere ad organizzare, per la prima volta, una giornata di "sciopero" dei cinema e di tutte le altre attività culturali.

Da quanto detto - ed in mancanza di una rappresentanza del livello regionale in Parlamento - è evidente che qualsiasi coinvolgimento "a valle" delle regioni non è in grado di compensare l'assenza di strumenti di controllo sulla congruenza delle somme complessivamente stanziate; se a ciò si unisce la difficoltà per le regioni di realizzare una propria politica promozionale anche di carattere aggiuntivo, per la mancata attuazione dell'autonomia finanziaria di entrata e la forte riduzione dei trasferimenti di parte statale, ci si rende conto degli angusti limiti entro i quali può svolgersi, in questa fase, la promozione delle attività culturali da parte delle regioni.

 



Note

[1] L'attività dell'Alta Commissione per la definizione dei meccanismi strutturali del federalismo fiscale, istituita dall'articolo 3, lettera b), della legge n. 289/2002 (Legge finanziaria 2003) con il compito di indicare al Governo i principi generali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, ai sensi degli articoli 117, terzo comma, 118 e 119 Cost., era stata, da ultimo, prorogata sino al 30 settembre 2005. Anche questo ulteriore differimento, tuttavia - come si legge nell'articolata relazione conclusiva della Commissione - non si è dimostrato sufficiente a giungere alla definitiva individuazione dei predetti meccanismi strutturali mediante accordo tra governo, regioni ed enti locali in sede di Conferenza unificata.

[2] Su questo punto mi sia consentito rinviare al mio La disciplina dello spettacolo dal vivo tra continuità e nuovo statuto delle autonomie, in Aedon, 3/2004. Sulla stessa sentenza cfr. anche S. Foà, Continuità costituzionale, costituzionalità "provvisoria" e monito al legislatore statale; la disciplina dello spettacolo, in Federalismi.it, e M. Belletti, Necessità e temporaneità irrompono nel riparto di competenze Stato-regioni sotto forma di continuità e sostanziale ultrattività, in Regioni, 2005, 241 ss.

[3] In effetti, la l. 534/1996 (Nuove norme per l'erogazione di contributi statali alle istituzioni culturali) che disciplina, per l'appunto, l'erogazione da parte dello Stato di contributi ordinari annuali alle istituzioni culturali che presentino i requisiti ivi indicati e che siano inseriti in una apposita tabella ministeriale (art. 1), prevede, da un lato, che le istituzioni finanziate siano sottoposte al controllo del ministero dei Beni e delle Attività culturali per quanto riguarda la destinazione dei fondi a loro assegnati (art. 4); dall'altro, che non possono essere inserite nella predetta tabella le istituzioni culturali che operino sotto la diretta competenza e vigilanza di amministrazioni statali diverse dal ministero per i Beni culturali ed ambientali (art. 5). Tuttavia, la medesima legge consente l'erogazione di contributi annuali anche alle istituzioni culturali non inserite in tabella, che presentino le condizioni indicate dall'art. 8; e la norma oggetto di impugnazione dinanzi alla Corte non operava alcuna distinzione tra gli istituti di cultura inseriti in tabella ed altri istituti culturali, permettendo quindi, in linea di principio, l'estensione dei contributi anche agli istituti non "integrati" o comunque soggetti a controllo del ministero.

[4] Allo stesso principio si ispirano anche la sentenza 162/2005, in materia di finanziamenti statali alle imprese artigiane, e la sentenza 222/2005, a proposito del finanziamento statale del trasporto pubblico locale.

[5] Che l'esiguità della somma stanziata non escluda a priori la necessità di una gestione unitaria statale è stato successivamente giustificato dalla stessa Corte costituzionale, che ha precisato come tale elemento sia di per sé "insufficiente a trarre deduzioni certe sul titolo di competenza, anche se potenzialmente rilevante come indizio di ragionevolezza dell'intervento, ma in concorso con altri" (cfr. sent. 175/2005).

[6] A proposito di questa pronuncia G. Scaccia, Presupposti per l'attrazione in via sussidiaria della funzione legislativa ed esercizio della funzione regolamentare, su www.associazionedeicostituzionalisti.it stigmatizza l'allentamento delle condizioni che giustificano l'attrazione in sussidiarietà di funzioni (legislative, amministrative, regolamentari) da parte dello Stato. Nello stesso senso anche M. Abrescia, Ex facto oritur ius: decoder digitali e sussidiarietà risolvono l'emergenza del pluralismo televisivo (Nota a C. Cost. n. 2151/2005), in Forum di Quaderni costituzionali

[7] Il fondo è desinato al finanziamento degli investimenti promossi dalle imprese cinematografiche per la produzione di opere filmiche (art. 12, comma 3, lett. a) ed alla corresponsione di contributi alle imprese di distribuzione ed esportazione (lett. b), agli esercenti ed ai proprietari di sale cinematografiche (lett. c), alle industrie tecniche cinematografiche per la realizzazione, la ristrutturazione, la trasformazione o l'adeguamento strutturale o tecnologico di teatri di posa, stabilimenti di sviluppo e stampa, sincronizzazione, post-produzione (lett. d), ed infine, al finanziamento di "ulteriori esigenze" del settore (comma 3, lett. e). Nel fondo confluiscono le risorse esistenti in fondi previsti da precedenti leggi, nonché la percentuale del Fondo unico dello spettacolo di cui alla l. 163/1985 riservata al cinema.

[8] Molto chiara sul punto era già stata la Corte nella sentenza 320/2004, dove, nel giudicare illegittima l'istituzione di un fondo statale per il finanziamento degli asili nido, aveva reputato del tutto estranea all'impianto dell'art. 117 Cost. la trasformazione del potere statale di predeterminazione normativa dei livelli essenziali delle prestazioni in una loro "diretta realizzazione", a correzione di ipotetiche discipline sbilanciate poste in essere dalle singole regioni.

[9] L'unica funzione amministrativa per la quale la Corte non ha giustificato l'attrazione in sussidiarietà a livello statale è quella (da ricondurre peraltro alla materia "governo del territorio") relativa all'autorizzazione all'apertura di multisale cinematografiche con un numero di posti superiori a milleottocento: ha così censurato l'art. 22, comma 5, e l'art. 4, comma 5, che rispettivamente riservavano al direttore generale competente del ministero il potere autorizzatorio ed alla Consulta territoriale per le attività cinematografiche (organo amministrativo statale, seppure caratterizzato dalla presenza di rappresentanti delle autonomie) il potere consultivo in materia.

[10] Si tratta degli articoli 3, comma 2; 4, comma 3; 8, comma 4; 10, comma 4; 12, comma 4; 17, comma 4; 19, commi 3 e 5.

[11] Si tratta degli artt. 8, comma 3; 9, comma 3; 12, comma 5; 13, comma. 9; 19, comma 2.

[12] Sul metodo applicato dalla Corte costituzionale è emblematico quanto recentemente affermato dal giudice Valerio Onida, per il quale "il merito della questione spesso influenza l'esito delle controversie riguardanti l'allocazione dei poteri. Le norme costituzionali sull'allocazione dei poteri tra lo Stato e le regioni sono più "morbide" o "deboli" rispetto ad altre norme contenute nel medesimo testo costituzionale" (Do constitutional judges make federalism?, relazione alla riunione annuale dell'International Association of centres for federal studies, in Federalismi.it).

[13] Nella seduta del 28 luglio 2005, la Conferenza Stato-regioni ha formulato, rispettivamente, parere favorevole su 7 decreti ministeriali già emanati in attuazione del d.lg. 28/2004 e intesa su altri 7 decreti, chiedendo, contestualmente, che per il futuro si procedesse ad acquisire l'assenso preventivo delle regioni, in osservanza della sentenza della Corte.

[14] L'art. 1 del d.l. inseriva all'interno del d.lg. 28/2004 un nuova comma 8-bis all'art. 27, contenente l'elencazione dei decreti ministeriali rispettivamente sottoposti a intesa e a parere della Conferenza Stato-regioni. Prevedeva altresì che i decreti ministeriali e gli altri atti già adottati alla data del 28 luglio 2005 (data della sentenza della Corte) fossero trasmessi nel termine di trenta giorni, ai fini della validità degli atti adottati e dei procedimenti pendenti alla stessa data, alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano per le intese ed i pareri richiesti dal medesimo comma 8-bis. In realtà, come si è visto, questa procedura è stata quella effettivamente seguita dalle regioni anche prima che venisse adottato il decreto legge. In seguito all'emanazione del decreto, comunque, le regioni hanno espresso il proprio assenso su altri dieci decreti attuativi (cfr. seduta del 22/9/2005 della Conferenza Stato-regioni).

[15] Per porre rimedio alla mancata conversione del decreto, è stato presentato il disegno di legge "Disposizioni in materia di spettacolo" (già approvato in sede deliberante dalla Commissione cultura del Senato ed ora annunciato alla Camera con il numero 6147), che l'art. 1, commi 1 e 2 fa espressamente salvi gli effetti del d.l. 164/2005 e di tutti i procedimenti connessi.

[16] Ai sensi dell'art. 3, comma 3 del d.lg. 281/1997, quando un'intesa espressamente prevista dalla legge non è raggiunta entro trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza Stato-regioni in cui l'oggetto è posto all'ordine del giorno, il Consiglio dei ministri provvede con deliberazione motivata.

[17] In realtà questo modello procedimentale sembra essere destinato a trasformarsi ben presto in norma di legge: lo dimostra l'inserimento di una disposizione assai simile all'art. 6 del d.d.l. AC 587 e abbinati all'interno del nuovo disegno di legge sopra ricordato ("Disposizioni in materia di spettacolo"). Si noti che in questo secondo e più recente disegno di legge il meccanismo perde il carattere transitorio che, al contrario, nel primo era dato dal riferimento al termine finale della "piena attuazione dell'art. 119 Cost.".



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