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Sponsorizzazione ed interventi di restauro sui beni culturali [*]

di Giuseppe Piperata


Sommario: 1. Premessa. - 2. La diffusione del fenomeno sponsorizzatorio nella pubblica amministrazione. - 3. La sponsorizzazione nel settore dei beni culturali: le previsioni contenute nel nuovo Codice dei beni culturali. - 4. Le sponsorizzazioni di interventi sui beni culturali nella legislazione speciale. - 5. Le sponsorizzazioni e le iniziative di restauro dei beni culturali.



1. Premessa

Non è raro nel nostro Paese che le iniziative di restauro su beni culturali vengano realizzate con il contributo finanziario dei privati, i quali in alcuni casi si accollano l'intero costo degli interventi programmati [1].

Per diversi anni tale fenomeno è avvenuto al di fuori di una precisa cornice normativa di riferimento e attraverso formule di volta in volta riconducibili ad istituti giuridici differenti.

Tuttavia, si deve registrare una recente inversione di tendenza, come dimostra l'attenzione dimostrata dal legislatore da ultimo intervenuto nella disciplina dei beni culturali ai processi di sponsorizzazione privata di iniziative di matrice pubblica.

Al pieno riconoscimento della sponsorizzazione come legittimo e generale strumento utilizzabile dalle Pa per lo svolgimento di iniziative pubbliche ha fatto seguito anche una specifica disciplina dei contratti di tale natura come strumenti per la realizzazione di politiche di valorizzazione e tutela del patrimonio culturale, fino ad arrivare ad ammetterne legislativamente l'utilizzo anche rispetto a singoli interventi aventi ad oggetto un bene culturale, come è avvenuto con la recentissima previsione contenuta nell'art. 2, decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 30.

Nelle pagine che seguono si cercherà, per prima cosa, di tracciare in termini molto sommari il processo che ha visto la lenta affermazione della sponsorizzazione come legittima pratica dell'azione dei pubblici poteri e il riconoscimento legislativo che ne è seguito.

In secondo luogo, la sponsorizzazione verrà analizzata con riferimento al settore dei beni culturali alla luce delle disposizioni generali (art. 120, decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42) e speciali (art. 2, d.lg. 30/2004) che ne hanno recentemente dettato la disciplina.

Infine, l'indagine verrà circoscritta alla particolare questione della sponsorizzazione degli interventi di restauro sui beni culturali, considerato che, pur in presenza di un quadro legislativo applicabile in concreto e oggi abbastanza definito, sussistono ancora diversi problemi applicativi che richiedono l'intervento dell'interprete.

 

2. La diffusione del fenomeno sponsorizzatorio nella pubblica amministrazione

Da alcuni anni a questa parte il fenomeno delle sponsorizzazioni ha fatto il suo definitivo ingresso nell'ambito delle attività svolte dalla Pa.

Non è raro, infatti, trovare Pa le quali instaurino rapporti di sponsorizzazione con soggetti privati al fine di realizzare specifici interventi di azione pubblica.

Tuttavia la sponsorizzazione delle attività amministrative, oltre che essere un fenomeno del tutto recente, è soprattutto un fenomeno dai confini giuridici incerti: infatti, non sempre è facile ricondurre le singole esperienze sperimentative concretamente realizzate ad un modello legale preciso e ad un contesto normativo determinato.

Sotto il primo profilo, la locuzione "sponsorizzazione" è stata spesso utilizzata per definire istituti giuridici tra di loro diversi, come i contratti della pubblicità tradizionale (caratterizzati da una causa completamente differente) [2], le ipotesi di mecenatismo, alcuni casi di donazione modale ed altri atti di pura liberalità aventi come destinatari alcuni enti pubblici [3].

La qualificazione in termini di contratto di sponsorizzazione di rapporti negoziali privi di tale natura e l'applicazione del relativo regime giuridico, hanno contribuito ad alimentare una confusione che è facile immaginare [4].

Solo in un secondo momento le ipotesi ricordate sono state distinte dalla sponsorizzazione cd. "propria", che la giurisprudenza ha definito come un contratto atipico a titolo oneroso e a prestazioni corrispettive che "comprende una serie di ipotesi nelle quali si ha che un soggetto - il quale viene detto "sponsorizzato" (ovvero, secondo la terminologia anglosassone sponsee) - si obbliga a consentire, ad altri, l'uso della propria immagine pubblica e del proprio nome, per promuovere un marchio o un prodotto specificamente marcato, dietro corrispettivo" [5].

Sotto il secondo profilo, il fenomeno delle sponsorizzazioni riguardanti la Pa ha trovato una disciplina legislativa molte volte parziale, lacunosa e per lo più contenuta in fonti normative non omogenee [6].

Accanto a norme di carattere generale riguardanti i contratti di sponsorizzazione (si pensi ad esempio all'art. 43, legge 27 dicembre 1997, n. 449, sono state infatti emanate discipline speciali riguardanti singole ipotesi sponsorizzative (si pensi, ad esempio, alla disciplina fiscale del mecenatismo culturale di cui all'art. 38, legge 21 novembre 2000, n. 342 [7]), in alcuni casi introdotte persino con legge regionale.

In particolare, l'art. 43, l. 449/1997 ha attribuito a tutte le Pa una generale facoltà di stipulare contratti di sponsorizzazione (oltreché accordi di collaborazione) con soggetti privati al fine di favorire l'innovazione dell'organizzazione amministrativa e di realizzare maggiori economie, nonché una migliore qualità dei servizi prestati.

Sono in tal modo stati superati i precedenti dubbi sulla legittimazione da parte dei soggetti pubblici di ricorrere a tali tipologie contrattuali, dubbi che si erano tradotti in un orientamento dei giudici amministrativi contrario alla stipulazione di contratti da parte della Pa in qualità di sponsee [8].

La stessa norma, inoltre, ha vincolato il ricorso a tali tipologie contrattuali al rispetto di tre condizioni, rappresentate dal fatto che i contratti in questione devono essere diretti al perseguimento di interessi pubblici, devono escludere qualsiasi conflitto di interesse tra attività pubblica e attività privata e devono comportare risparmi di spesa per le amministrazioni coinvolte.

E' evidente che tali condizioni di legittimazione possono sussistere solo nei casi in cui il soggetto pubblico ottenga da privati beni e risorse economiche a titolo di sponsorizzazione, al fine di compiere interventi di pubblico interesse indirizzati anche alla realizzazione delle finalità indicate.

L'articolo in questione prevede quindi un regime giuridico che può trovare applicazione solo con riferimento ai contratti di sponsorizzazione c.d. passiva, nella quale, cioè, la prestazione pecuniaria viene assunta dal privato a vantaggio della Pa.

Rientrano, inoltre, nell'ambito di applicazione della norma citata solo i contratti di sponsorizzazione c.d. propria, stipulati dalle Pa e non gli altri rapporti riconducibili al fenomeno delle sponsorizzazioni, ma aventi natura giuridica differente (come ad es., il c.d. patrocinio [9]).

Successivamente la disciplina contenuta nel citato art. 43 è stata ripresa con particolare riferimento agli enti locali dall'art. 119 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Tuel), il quale ha stabilito che in applicazione del più volte richiamato art. 43, i comuni, le province e gli altri enti locali possono stipulare contratti di sponsorizzazione per migliorare la qualità dei servizi prestati.

E' da notare come tali disposizioni omettano qualsiasi riferimento ad alcuni aspetti fondamentali del fenomeno contrattuale in questione: in particolare, la definizione dei caratteri del contratto di sponsorizzazione e del procedimento che gli enti pubblici debbono seguire per addivenire alla sua stipula [10].

Eppure, se da un lato, i meccanismi di sponsorizzazione stentano a trovare dei modelli normativi di riferimento, dall'altro, si registra un sempre più intenso ricorso da parte degli enti pubblici ad avvalersi di tali meccanismi.

 

3. La sponsorizzazione nel settore dei beni culturali: le previsioni contenute nel nuovo Codice dei beni culturali

I beni e le attività culturali hanno da sempre rappresentato uno dei settori privilegiati all'interno del quale realizzare iniziative di sponsorizzazione [11].

Bisogna, infatti, rilevare che le sponsorizzazioni originariamente si sono affermate soprattutto rispetto alle iniziative culturali svolte dai soggetti pubblici [12] e solo di recente hanno acquistato un rilievo significativo anche in altri campi d'intervento pubblico.

Ciò, del resto, spiega anche la presenza di una pluralità di nome aventi ad oggetto i fenomeni in questione, alcune di carattere generale e idonee ad abbracciare qualsiasi dinamica sponsorizzatoria posta in essere nel settore in questione e altre di carattere speciale che precisano l'uso delle sponsorizzazioni in particolari tipologie di intervento sui beni culturali.

Appartiene alla prima categoria di norme l'art. 120, d.lg. 42/2004, il quale rappresenta la disposizione del nuovo Codice dei beni culturali contenente la disciplina generale applicabile alle sponsorizzazioni realizzate nel settore [13].

Con tale previsione, il legislatore ha in primo luogo inteso inquadrare la sponsorizzazione come una delle modalità con le quali può esplicarsi la partecipazione dei privati non solo alle attività di valorizzazione, bensì persino alla tutela del patrimonio culturale, ruolo che altrimenti potrebbe essere riconosciuto a soggetti privati solo se proprietari, possessori o detentori del bene da tutelare.

Onde evitare possibili confusioni, l'art. 120 circoscrive il concetto di sponsorizzazione di beni culturali, riferendolo solo ad "ogni forma di contributo in beni o servizi da parte di soggetti privati alla progettazione o all'attuazione di iniziative del ministero, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali, ovvero di soggetti privati, nel campo della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, con lo scopo di promuovere il nome, il marchio, l'immagine, l'attività o il prodotto dell'attività dei soggetti medesimi" (comma 1), e precisando, tra l'altro, che tale promozione "avviene attraverso l'associazione del nome, del marchio, dell'immagine, dell'attività o del prodotto all'iniziativa oggetto del contributo" (comma 2).

In altri termini, l'art. 120 del Codice legittima nel settore delle iniziative connesse alla valorizzazione e tutela dei beni culturali il ricorso delle Pa al c.d. contratto di sponsorizzazione propria.

Ai sensi dell'art. 120, quindi, non può essere considerata legittima un'ipotesi di sponsorizzazione di un bene culturale fine a se stessa, dovendosi sempre giustificare il contributo alla luce della sua strumentalità alla progettazione o realizzazione di una iniziativa istituzionale di tutela o di valorizzazione riguardante il bene in questione.

Infatti, a ben vedere e a dispetto di quanto affermato in rubrica, l'articolo in questione non disciplina le sponsorizzazioni dei beni culturali, bensì le ipotesi di sponsorizzazione delle iniziative riguardanti i beni ricompresi nel patrimonio culturale e, in particolare, quelle finalizzate a favorire la tutela o la valorizzazione del patrimonio culturale (comma 1).

Ma l'art. 120 del Codice non si limita a disciplinare la sponsorizzazione di beni culturali nei termini del contratto di sponsorizzazione c.d. propria così come individuati dalla giurisprudenza. L'articolo citato, infatti, va oltre al dato di mera qualificazione giuridica arrivando a specificare alcuni contenuti che il contratto in questione deve necessariamente avere.

Pertanto, viene per prima cosa attribuito a tale contratto un ruolo regolativo in chiave di ulteriore protezione del bene culturale coinvolto dalla iniziativa sponsorizzata, come è evidente dal fatto che l'obiettivo promozionale perseguito dallo sponsor privato deve avvenire secondo forme compatibili con il carattere artistico o storico, l'aspetto e il decoro del bene culturale da tutelare o valorizzare, forme che ai sensi del comma 2 dell'articolo in commento devono essere definite dal contratto di sponsorizzazione.

Sotto tale aspetto, inoltre, può essere utile ricordare che nel definire contrattualmente tali forme di promozione le parti dovranno tenere in debito conto, da un lato, la disciplina in materia di interventi vietati e soggetti ad autorizzazione prevista dagli artt. 20 e 21 e, dall'altro, la particolare disciplina contenuta nell'art. 49 nel caso in cui la promozione preveda anche l'uso di manifesti o cartelloni pubblicitari.

Ancora: spetta al contratto in questione non solo specificare il quantum del contributo, ma anche le modalità di erogazione dello stesso e, perfino, le forme attraverso le quali lo sponsor privato può esercitare un controllo sulla realizzazione dell'iniziativa cui il contributo si riferisce (comma 3).

La disposizione ha suscitato alcuni problemi interpretativi, legati al suo limitato ambito di applicazione, sia soggettivo che oggettivo.

Non si spiega, infatti, come mai per espressa previsione legislativa, lo sponsor debba necessariamente essere un soggetto privato, ben potendosi verificare nella pratica, invece, che vi sia anche un'altra Pa interessata alla sponsorizzazione dell'iniziativa connessa al bene culturale.

In secondo luogo, le iniziative suscettibili di essere sponsorizzate sembrano essere solo quelle progettate dal ministero, dalle regioni, dagli altri enti pubblici territoriali, e persino dai soggetti privati, ma non da altri enti pubblici, i quali, invece, potrebbero concretamente essere interessati a far sponsorizzare una iniziativa di tutela o di valorizzazione di un bene culturale di loro appartenenza.

Con riferimento al primo dei problemi interpretativi segnalati, sembra corretto ammettere la possibilità per altre amministrazioni a partecipare alla iniziativa sponsorizzata attraverso accordi tra amministrazioni o mediante il ricorso ad altri strumenti di sponsorizzazione in senso ampio come, ad esempio, il patrocinio.

Inoltre, con riferimento al secondo problema, all'esclusione degli enti pubblici non territoriali dal novero dei soggetti legittimati a stipulare contratti di sponsorizzazione di beni culturali ai sensi dell'art. 120 del Codice si può far fronte ricordando la possibilità per tali enti di ricorrere comunque al cit. art. 43, l. 449/1997, il quale in termini molto ampi legittima le Pa alla stipula di contratti di c.d. sponsorizzazione propria.

 

4. Le sponsorizzazioni di interventi sui beni culturali nella legislazione speciale

Tra le nome di carattere speciale finalizzate a definire il ricorso alle sponsorizzazioni con riferimento alla realizzazione di particolari interventi sui beni culturali rientra l'art. 2 del d.lg. 30/2004 [14].

Tale articolo, infatti, ha ad oggetto la disciplina delle ipotesi di lavori pubblici concernenti i beni mobili ed immobili e degli interventi sugli elementi architettonici e sulle superfici decorate di beni del patrimonio culturale realizzati mediante contratti di sponsorizzazione.

In tale evenienza, infatti, l'art. 2, cit. esclude l'applicazione delle disposizioni nazionali e regionali in materia di appalti di lavori pubblici, ritenendo sufficiente il rispetto dei principi e dei limiti comunitari in materia e delle norme interne sulla qualificazione dei progettisti e dei soggetti esecutori delle opere (comma 1).

Inoltre, viene anche stabilito che spetta all'amministrazione preposta alla tutela del bene oggetto dell'intervento sponsorizzato il compito di impartire le prescrizioni opportune con riferimento alla progettazione, all'esecuzione delle opere e alla direzione dei lavori (comma 2).

Le due norme non presentano una portata innovativa particolare, in quanto entrambe hanno lo scopo di registrare legislativamente alcune regole d'azione già introdotte in sede di prassi amministrativa negli ultimi tempi.

Così è utile ricordare che [15] il potere di imporre condizioni realizzative in occasione della definizione del procedimento di approvazione dell'intervento era un potere già esercitato dalle Soprintendenze pur in assenza di una apposita norma legittimante.

Ma soprattutto è la prima disposizione ricordata a riprendere una particolare vicenda di sponsorizzazione di interventi su beni culturali che ha di recente interessato anche l'Autorità di vigilanza sui lavori pubblici.

Prima, però, di approfondire la vicenda nei dettagli sembra utile ricordare che le novità più importanti che negli ultimi tempi sono state registrate con riferimento alle pratiche sponsorizzatorie riguardanti la Pa hanno interessato il complesso fenomeno degli appalti pubblici [16].

La ragione di tale vicenda può essere individuata nella necessità per l'amministrazione di reperire nuove fonti di finanziamento delle attività istituzionali dell'ente aggiuntive o alternative rispetto alle risorse finanziarie ottenute attraverso i tradizionali meccanismi previsti dalla contabilità di Stato e degli enti pubblici.

Ad esempio, per questo motivo, in occasione della modifica alla legge 11 febbraio 1994, n. 109, operata dalla legge 18 novembre 1998, n. 415, è stato disciplinato il c.d. project financing (artt. 37-bis ss.), istituto attraverso il quale è possibile ottenere dai privati, parzialmente o totalmente, le risorse economiche per finanziare l'opera.

Considerata l'identità di ratio tra questo istituto e la sponsorizzazione, ammessa in linea generale dal già citato art. 43, l. 449/1997, è sorto il problema se le Pa potessero ricorrere anche al contratto di sponsorizzazione con lo scopo di acquisire finanziamenti privati per lo svolgimento di attività soggette alla applicazione della normativa in materia di lavori pubblici.

A tale quesito ha dato risposta positiva l'Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, la quale con la det. 5 dicembre 2001, n. 24 [17], ha affermato che "gli interventi ricompresi nell'ambito di applicazione della normativa sui lavori pubblici possono formare oggetto di un contratto di sponsorizzazione ai sensi degli articoli 119 Tuel, e 43 della l. 449/1997.

La decisione dell'Autorità trovava fondamento in un quesito posto da un comune e riguardante la possibilità per il comune medesimo di procedere all'affidamento diretto ad una associazione appositamente costituita degli interventi di manutenzione su di un immobile comunale adibito a teatro per un importo di 18 miliardi, spesa che l'associazione si impegnava a sostenere in cambio della sponsorizzazione del proprio nome da parte dell'amministrazione.

In particolare, l'Autorità ha precisato che, tenuto conto della natura atipica del contratto di sponsorizzazione e anche della varietà delle prestazioni che in esso possono essere dedotte, l'individuazione del regime giuridico cui sottoporre tale contratto deve essere determinata alla luce di quelle prestazioni cui lo sponsor si obbliga che nel regolamento contrattuale spiccano per la loro rilevanza rispetto a tutte le altre.

Ne discende, allora, che il regime giuridico dei contratti di sponsorizzazione delle Pa può risultare dal concorso delle disposizioni contenute nell'art. 43, l. 449/1997, con altre disposizioni normative imposte al rapporto contrattuale dalla natura delle prestazioni che in esso presentano carattere prevalente.

Tuttavia, dalla considerazione secondo la quale la disciplina applicabile al contratto di sponsorizzazione stipulato dalle Pa deve essere individuata sulla base della prestazione prevalente, l'Autorità non ha tratto la conseguenza dell'applicabilità al caso di specie della normativa in materia di appalti pubblici di lavori.

Anzi, nella determinazione del 2001 viene espressamente affermato che il contratto di sponsorizzazione "resta fuori dall'ambito della disciplina comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici in quanto non è catalogabile come contratto passivo, bensì comporta un vantaggio economico e patrimoniale direttamente quantificabile per la pubblica amministrazione mediante un risparmio di spesa".

Pertanto, la citata determinazione esclude specificatamente la necessità che lo sponsor privato venga individuato attraverso le procedure ad evidenza pubblica di scelta del contraente previste dalla l. 109/1994.

E', invece, stato ritenuto imprescindibile il requisito di impresa qualificata che esso deve possedere ai sensi della legge cit. e del decreto del Presidente della Repubblica 25 gennaio 2000, n. 34: pertanto, ad avviso dell'Autorità, lo sponsor privato può essere liberamente scelto, a condizione però che possieda il requisito di impresa qualificata, requisito che con riferimento all'esecuzione dei lavori pubblici deve sempre sussistere "a prescindere dal titolo sulla base del quale dette lavorazioni vengano eseguite".

Come si vede, quindi, le conclusioni cui è giunta l'Autorità di vigilanza sui lavori pubblici sono state quasi testualmente riversate nel primo comma dell'art. 2, d.lg. 30/2004.

 

5. Le sponsorizzazioni e le iniziative di restauro dei beni culturali

A questo punto dell'analisi appare opportuno verificare la legittimità e le caratteristiche peculiari che presenta il ricorso alle pratiche di sponsorizzazione con riferimento agli interventi di restauro sui beni culturali.

Infatti, la ricordata evoluzione del diritto positivo italiano in materia di pratiche sponsorizzative e di beni culturali permette adesso di inquadrare sotto una veste giuridica nuova e dai contorni definiti fenomeni che in passato venivano affidati a prassi non sempre consolidate o alla definizione negoziale tra le parti.

Pertanto, in primo luogo, è necessario chiedersi se il nostro ordinamento consenta di procedere alla realizzazione di un intervento di restauro attraverso la sponsorizzazione da parte di un privato.

Se già in passato la risposta non poteva che essere positiva, a maggior ragione lo stesso dicasi oggi, anche se nessuna norma espressamente fa riferimento al fenomeno specifico della sponsorizzazione degli interventi di restauro sugli enti locali.

In ogni caso, una legittimità dell'iniziativa trova conferma sia nelle previsioni generali in materia di sponsorizzazione (come ad esempio, i ricordati artt. 43 l. 449/1997, e 120, d.lg. 42/2004), sia nelle previsioni specifiche, come quella contenuta nell'art. 2, d.lg. 30/2004, la quale, più di ogni altra, sembra essere pensata proprio per regolare tali ipotesi di intervento.

Tra l'altro, il riferimento fatto in primo luogo dall'art. 120 del Codice dei beni culturali all'istituto della sponsorizzazione è così ampio da far rientrare un numero consistente di ipotesi applicative, anche di quelle che altrimenti alla luce dei distinguo interpretativi formulati in dottrina e di cui si è detto sopra sarebbero rimaste escluse.

Infatti, l'articolo cit. legittima come sponsorizzazione qualsiasi forma di contributo fatto da un privato alla progettazione o all'attuazione di iniziative nel campo della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, con lo scopo di promuovere il nome, il marchio, l'immagine, l'attività o il prodotto dell'attività del privato stesso.

In secondo luogo, è opportuno soffermarsi sulle caratteristiche che in concreto potrebbe assumere la sponsorizzazione di un intervento di restauro.

Al riguardo, le modalità ipotizzabili sembrano essere due: la scelta del privato finanziatore di sponsorizzare un intervento di restauro attraverso un contributo in danaro ovvero la scelta del privato avente i requisiti del restauratore di offrire direttamente e gratuitamente il restauro del bene culturale.

Del resto, una tale osservazione sembra trovare riscontro anche nell'art. 120, comma 1, d.lg. 42/2004, nella parte in cui chiarisce che per sponsorizzazione può essere considerata qualsiasi forma di contributo effettuato sia in beni ma anche in servizi.

Non è la prima delle forme indicate che presenta particolare interesse per l'interprete: in questi casi, infatti, il ruolo del privato si esaurisce di fatto al momento della erogazione del contributo, potendo al massimo negoziare al momento dell'accordo l'esercizio di un potere di controllo sull'iniziativa di restauro finanziata.

Diverso, invece, il discorso con riferimento alla sponsorizzazione di una iniziativa di restauro attraverso la prestazione a titolo gratuito da parte del privato dell'opera necessaria a poter realizzare l'iniziativa medesima.

In questi casi, infatti, l'art. 120, d.lg. 42/2004 concorre con altre disposizioni a regolare il contesto giuridico dell'iniziativa e l'interprete è chiamato a risolvere possibili conflitti tra norme ispirate da una ratio non sempre comune.

E' proprio in tale contesto, del resto, che si verificano quegli intrecci tra fonti di disciplina generale e fonti di disciplina speciale più volte indicati dalla dottrina come causa di rilevanti problemi applicativi con riferimento al settore del restauro dei beni culturali [18].

Un primo possibile intreccio riguarda la necessità di applicare alle ipotesi in questione l'art. 120 del Codice integrato dalle disposizioni contenute nell'art. 2, d.lg. 30/2004.

Basti pensare, infatti, che ai sensi dell'art. 120, d.lg. 42/2004, il privato potrà offrire direttamente la progettazione e la realizzazione a titolo gratuito di una iniziativa di restauro su di un bene culturale, tuttavia in tale ipotesi lo sponsor non potrà certo negoziare in sede di stipula del contratto di sponsorizzazione - poiché non avrebbe senso logico - l'esercizio di un potere di controllo sull'esecuzione dell'iniziativa secondo quanto previsto dal comma 3 dell'articolo citato, potere che al massimo potrebbe essere disciplinato "a valle" a beneficio dell'autorità di tutela ad integrazione di un altro potere riconosciuto "a monte" alla stessa autorità dall'art. 2, d.lg. 30/2004, di impartire qualsiasi prescrizione - purché opportuna - con riferimento alla progettazione, all'esecuzione delle opere e alla direzione dei lavori.

In altri termini, si potrebbe immaginare che nell'ipotesi in questione al momento della stipula del contratto di sponsorizzazione le parti rafforzino i poteri di controllo dell'autorità di tutela, arrivando persino a disporre un regolamento negoziale - ad integrazione di quanto previsto nell'art. 2, comma 2, d.lg. 30/2004 - del potere di recesso dell'amministrazione stessa nel caso di mancato rispetto da parte dello sponsor delle prescrizioni impartite.

Ma esiste un altro aspetto per il quale l'art. 2, d.lg. 30/2004, integra nel contesto delle sponsorizzazioni delle iniziative di restauro dei beni culturali l'art. 120 del nuovo Codice, precisandone il campo d applicazione.

Si tratta, in particolare, dei requisiti che lo sponsor deve avere per poter realizzare una sponsorizzazione di un intervento di restauro su beni culturali attraverso la realizzazione diretta e gratuita dell'intervento.

In questi casi, infatti, è necessario soddisfare le condizioni richieste dall'art. 2, d.lg. 30/2004, ai sensi del quale è consentito derogare all'applicazione delle disposizioni nazionali e regionali in materia di appalti di lavori pubblici, purché vengano rispettati i principi e i limiti comunitari in materia e soprattutto le norme interne sulla qualificazione dei progettisti e dei soggetti esecutori delle opere.

Da un lato, quest'ultima disposizione richiamata presenta l'indubbio vantaggio di sottrarre all'applicazione delle rigide regole di evidenza pubblica contenute nella legislazione nazionale in materia di appalti pubblici di lavori le ipotesi di realizzazione di interventi di restauro su beni culturali da parte di un privato sponsor, in quanto il fenomeno sponsorizzatorio e la particolare natura dell'attività di restauro mal si prestano ad essere governati dagli automatismi contenuti nella l. 109/1994 e nella normativa di attuazione.

Tra l'altro, già l'equiparazione degli interventi non sponsorizzati di restauro sui beni culturali ai lavori pubblici ai fini dell'applicazione dei meccanismi contenuti nella l. 109/1994 ha suscitato forti critiche nella dottrina, considerato che una tale equiparazione non tiene conto dell'evidente natura di servizio da riconoscere alle attività di restauro [19].

Dall'altro lato, sempre il comma 1 dell'art. 2, d.lg. 30/2004 determina un ulteriore intreccio tra possibili fonti di disciplina del medesimo fenomeno di intervento di restauro di beni culturali attraverso la sponsorizzazione operata da un privato.

Infatti, l'articolo citato considera applicabile al fenomeno in questione i principi e i limiti comunitari in materia, mentre esclude l'applicazione delle "disposizioni nazionali e regionali in materia di appalti di lavori pubblici, ad eccezione di quelle sulla qualificazione dei progettisti e dei soggetti esecutori".

Capire quali possano essere i principi e i limiti comunitari in materia è impresa molto difficile considerato che non esiste una disciplina di matrice europea avente ad oggetto i lavori nel settore dei beni culturali e soprattutto perché i principi e i limiti comunitari in materia sono ricavabili delle disposizioni nazionali e regionali in materia di appalti di lavori pubblici, che invece l'art. 2, d.lg. 30/2004, non considera applicabili alle sponsorizzazioni di lavori su beni culturali.

Neanche tanto semplice è individuare le disposizioni sulla qualificazione dei progettisti e dei soggetti esecutori il cui rispetto rappresenta il vero requisito richiesto allo sponsor per poter aspirare a svolgere iniziative di restauro su di un bene culturale.

L'art. 2, d.lg. 30/2004, sembrerebbe far riferimento al d.p.r. 34/2000, attuativo della legge Merloni con riferimento alla qualificazione dei soggetti esecutori di lavori pubblici.

Tuttavia, bisogna far notare che esistono anche alcune discipline speciali contenenti la definizione degli aspetti legati alla qualificazione dei soggetti esecutori proprio con riferimento al particolare settore del restauro e dei lavori sui beni culturali. E' il caso, ad esempio, del decreto ministeriale 3 agosto 2000, n. 294 (come modificato dal decreto ministeriale 24 ottobre 2001, n. 420), con il quale in attuazione dell'art. 8, comma 11-sexies, l. 109/1994, si è provveduto alla disciplina della qualificazione con riferimento alle ipotesi di restauro su beni mobili.

Il rapporto di specialità tra il d.m. 294/2000 e il d.p.r. 34/2000 con riferimento alla qualificazione dei soggetti esecutori di interventi di lavori di restauro su beni culturali è stato già affrontato dalla dottrina e risolto riconoscendo prevalente l'applicazione del primo regolamento rispetto all'applicazione della disciplina generale della qualificazione, stante la specialità della disciplina del restauro dei beni culturali [20].

Ma in tale intreccio di normative è destinato ad inserirsi anche un ulteriore regolamento di qualificazione dei progettisti e dei soggetti esecutori al quale il d.lg. 30/2004 affida la definizione di alcuni profili applicativi.

L'art. 5 del d.lg. cit., infatti, riserva ad un decreto del ministro per i Beni e le Attività culturali, la specificazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori sui beni culturali ad integrazione di quelli definiti dal d.p.r. 34/2000, anche al fine di consentire la partecipazione delle imprese artigiane.

Considerato che anche in questa ipotesi appare evidente il nesso di specialità che lega l'emanando d.m. al d.p.r. 34/2000, e che comunque il primo integrerà il secondo, non sembra scorretto avanzare l'idea secondo la quale nei casi di sponsorizzazione di interventi di restauro su beni culturali realizzati attraverso la diretta esecuzione dei lavori lo sponsor dovrà avere tutti i requisiti di qualificazione richiesti dal regolamento ex art. 5, d.lg. 30/2004.

 



Note

[*] Relazione al Seminario Restauración del patrimonio y los bienes culturales tenutosi presso Universidad de Granata, 24 maggio 2004.

[1] Numerosi spunti sul regime giuridico del restauro di beni culturali vigente in Spagna e un utile quadro di comparazione con il regime vigente nel nostro ordinamento si trovano in L.J. Sánchez - Mesa Martinéz, Concetto e regime giuridico del restauro di beni culturali in Italia e in Spagna, in corso di pubbl.

[2] Secondo la Corte d'appello di Bologna, 27 marzo 1997, in Dir. autore, 1997, p. 482 "caratteristica peculiare della sponsorizzazione è la stretta connessione tra la promozione dello sponsor e lo spettacolo; mentre l'ordinario contratto di pubblicità, di cui la sponsorizzazione costituisce fattispecie atipica, trova nello spettacolo una mera occasione, con la sponsorizzazione si realizza un abbinamento costante con il soggetto sponsorizzato per cui lo sponsor trae direttamente dallo spettacolo dei vantaggi di autopromozione che ne fanno un fruitore, vale a dire un utilizzatore, anche se in un senso differente dallo spettatore".

[3] La dottrina giuscivilistica per molto tempo si è dedicata all'individuazione dei caratteri discretivi del contratto di sponsorizzazione rispetto agli altri istituti giuridici appena ricordati. Tra i contributi più significativi, cfr. M.V. De Giorgi, Sponsorizzazione e mecenatismo. I. Le sponsorizzazioni, Padova, 1988, spec. p. 48 ss.; M. Bianca, I contratti di sponsorizzazione, Rimini, 1990, spec. p. 23 ss.; Id., Sponsorizzazione, in Dig. disc. priv. - comm., XV, Torino, 1998, p. 134 ss.; S. Gatti, Sponsorizzazione, in EdD, XLIII, Milano, 1990, p. 509 ss.; V. Amato, Sponsorizzazione, in Enc. giur., XXX, Roma, 1993; La sponsorizzazione, a cura di E. V. Napoli, Milano, 1998; G. Vidiri, Il contratto di sponsorizzazione: natura e disciplina, in Giust. civ., 2001, p. 3 ss.

[4] D. Bezzi - G. Sanviti, Accordi di collaborazione e contratti di sponsorizzazione, Milano, 1998, p. 20 ss., evidenziano che nella prassi delle amministrazioni pubbliche italiane quasi sempre le ipotesi di mecenatismo sono state considerate contratti di sponsorizzazione e non donazioni ob causam o donazioni modali, come la loro reale natura giuridica imponeva. La considerazione che gli Autori traggono da tale tendenza appare molto severa: "si dovrebbe però prendere atto di una sostanziale e generale illegittimità della prassi sponsorizzativa sino ad oggi maturata in seno alle Pubbliche Amministrazioni, sia per il mancato rispetto della forma della donazione (art. 782 c.c.) - dacché nella gran parte dei casi il mecenatismo si è consumato nella forma della scrittura privata e non certo in un atto pubblico sottoscritto dal notaio (...) -, sia per la necessità dell'autorizzazione governativa per l'accettazione di donazioni da parte di persone giuridiche quali sono le Pubbliche Amministrazioni (art. 17 cod. civ.) che non risulta mai essere stata richiesta dalla Pubblica Amministrazione nelle ipotesi di mecenatismo" (p. 21).

[5] Così Corte di Cassazione, civ., sez. I, 11 ottobre 1997, n. 9880, in NGCC, 1998, I, p. 625.

[6] Per un'analisi generale dei contratti di sponsorizzazione utilizzati nell'ambito dell'azione pubblica, v. R. Caranta, I contratti pubblici, Torino, 2004, spec. p. 83 ss. Sia consentito rinviare anche al mio Sponsorizzazioni e appalti pubblici degli enti locali, in Riv. trim. app., 2002, p. 67 ss.

[7] Per un commento dell'articolo in questione, v. L. Zanetti, Gli strumenti di sostegno alla cultura tra pubblico e privato: il nuovo assetto delle agevolazioni fiscali al mecenatismo culturale, in Aedon, 2/2001.

[8] Cfr. le sentenze della Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 4 novembre 1995, n. 336, in Foro It., 1996, III, c. 466 ss., 28 aprile 1997, n. 35, in Cons. Stato, 1997, I, p. 592 ss., 16 settembre 1998, n. 495, in Cons. Stato, 1998, I, p. 1408 ss. Contra, dal Tar Sicilia, Palermo, sez. I, 15 settembre 1994, n. 580, in Giur. amm. sic., 1994, p. 777 ss., e Id., 23 giugno 1997, n. 1003, ivi, 1997, p. 918 ss.

[9] Il patrocinio si distingue dalla sponsorizzazione per il fatto che il soggetto, pubblico o privato, il quale consente che l'attività di altri si svolga sotto il suo patrocinio, non è un imprenditore commerciale, sicché quand'anche egli si impegni a finanziare in qualche misura l'attività, tale obbligazione non trova corrispettivo nel vantaggio atteso dalla pubblicizzazione della sua figura di patrocinatore; il contratto, dunque, si atteggia piuttosto come una donazione modale, che come un contratto a prestazioni corrispettive.

[10] La dottrina giuspubblicistica non ha avuto dubbi nel considerare le peculiari caratteristiche del contratto di sponsorizzazione non ostative alla applicazione delle regole dell'evidenza pubblica nella scelta dello sponsor, con la possibilità di derogarvi "solo nei casi in cui sia in generale accessibile da parte delle Pubbliche Amministrazioni il ricorso alla trattativa privata: così D. Bezzi - G. Sanviti, Accordi di collaborazione e contratti di sponsorizzazione, cit., p. 34, ma anche p. 9, 33, 39, 43 ss.

[11] Sulle sponsorizzazioni nel settore dei beni culturali cfr. M. Ainis, M. Fiorillo, I beni culturali, in Trattato di diritto amministrativo a cura di S. Cassese, Diritto amministrativo speciale, t. II, 2ª ed., Milano, 2003, spec. p. 1485 ss., e L. Casini, La valorizzazione dei beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 2001, spec. p. 678 ss.

[12] Si v. al riguardo l'ampio saggio di S. Mastropasqua, Le sponsorizzazioni culturali nel diritto pubblico, in Riv. giur. scuola, 1993, p. 209 ss., e lo studio curato da Assolombarda e dalla Regione Lombardia, Dalla sponsorizzazione all'investimento nella cultura, Milano, 1998.

[13] Sia consentito in questa sede riprendere alcune considerazioni svolte a commento del presente articolo e contenute nel Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M. Cammelli, Bologna, 2004.

Per un primo commento al nuovo Codice dei beni culturali si v. G. Sciullo, Il Codice dei beni culturali e del paesaggio: principi dispositivi ed elementi di novità, in Urb. appal., p. 763 ss.

[14] Per un primo commento a tale decreto si v. S. De Felice, Relazione al Corso su La nuova disciplina in tema di gestione e appalti di lavori relativi a beni culturali, Roma, 20 e 21 maggio 2004, in www.giustizia-amministrativa.it; G. Santi, Verso la istituzione di un sistema autonomo degli affidamenti dei "lavori" nel settore dei beni culturali (Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 30), in Aedon, 2/2004, L. Tarantino, La nuova disciplina degli appalti dei beni culturali, in Urb. appl., 2004, p. 533 ss., C. Vitale, La realizzazione dei lavori di restauro dei beni culturali nel decreto legislativo n. 30 del 22 gennaio 2004: qualche novità, molte conferme, in questo volume.

[15] Come del resto ricorda anche G. Santi, Verso la istituzione di un sistema autonomo degli affidamenti dei "lavori" nel settore dei beni culturali (Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 30), cit., sulla base di quanto richiamato nella Relazione illustrativa del d.lg. 30/2004.

[16] Per un approfondimento di tale fenomeno sia consentito rinviare al mio Sponsorizzazioni e appalti pubblici degli enti locali, cit., p. 67 ss.

[17] In G.U., 10 gennaio 2002, n. 8.

[18] Al riguardo si v. le considerazioni svolte da M. Cammelli, Restauro dei beni culturali mobili e lavori pubblici: principi comuni e necessaria diversità (a proposito del d.m. 3 agosto 2000, n. 294), in Aedon, 2, 2001.

[19] Sul punto v. M. Cammelli, Restauro dei beni culturali mobili e lavori pubblici: principi comuni e necessaria diversità (a proposito del d.m. 3 agosto 2000, n. 294), cit., e C. Vitale, La realizzazione dei lavori di restauro dei beni culturali nel decreto legislativo n. 30 del 22 gennaio 2004: qualche novità, molte conferme, cit.

[20] V. M. Cammelli, Restauro dei beni culturali mobili e lavori pubblici: principi comuni e necessaria diversità (a proposito del d.m. 3 agosto 2000, n. 294), cit., e G. Santi, Attività di restauro di beni culturali e legge Merloni-quater: il recupero della specialità nella disciplina dell'evidenza pubblica, in Aedon, 2, 2002.

 



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