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L'individuazione dei beni culturali
e il ruolo della partecipazione procedimentale

(nota a Consiglio di Stato, sez. VI, decisione 5 ottobre 2004, n. 6483)

di Marco Brocca


Sommario: 1. La vicenda giurisprudenziale. - 2. Il ruolo della partecipazione procedimentale.



1. La vicenda giurisprudenziale

La vicenda che ha provocato la decisione del Consiglio di Stato, sez. VI, 5 ottobre 2004, n. 6843, riguarda un immobile di interesse storico - artistico (villa storica con parco) originariamente appartenuto a privati, come tale oggetto di notifica dell'interesse particolarmente importante ai sensi dell'art. 3 della legge 1 giugno1939, n. 1089, quindi divenuto di proprietà di ente ecclesiastico, per poi essere nuovamente acquistato da privati.

In occasione dell'ultima alienazione, la Soprintendenza adottava un atto di declaratoria per la rettifica del vincolo già esistente, in quanto il relativo decreto non comprendeva parte del parco, una chiesetta e un'antica peschiera; il provvedimento della Soprintendenza è impugnato dall'ultimo proprietario del bene, in particolare sotto il profilo della omessa comunicazione di avvio del procedimento di estensione del vincolo e, quindi, per violazione dell'art. 7 della legge generale sul procedimento amministrativo (legge 7 agosto 1990, n. 241), nonché dell'art. 7 del Tu del 1999 in materia di beni culturali ed ambientali (decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490) [1].

Il contesto normativo di riferimento del caso in esame è, dunque, quello del d.lg. 490/1999, che all'art. 7 ha disciplinato, come è noto, un apposito "procedimento di dichiarazione dell'interesse particolarmente importante" dei beni di proprietà delle persone fisiche e giuridiche private con fini di lucro, adeguandolo ai principi introdotti dalla in tema di partecipazione procedimentale.

Alla censura mossa dal ricorrente l'amministrazione resistente ribatte sostenendo l'inutilità dell'atto di comunicazione, che non avrebbe potuto condurre ad un diverso esito procedimentale, avendo il provvedimento impugnato natura meramente ricognitiva e chiarificatoria dell'esatta delimitazione del vincolo sul bene culturale.

L'amministrazione richiama come riferimento normativo l'art. 5 del d.lg. 490/1999, che riproduce l'art. 4 della l. 1089/1939 nella previsione dell'obbligo per i soggetti pubblici e privati senza fini di lucro di compilare ed integrare l'elenco dei beni culturali di loro proprietà, con l'avvertenza che la mancata elencazione non sottrae comunque dal regime speciale di tutela le cose dotate di interesse culturale: nel caso in esame, dunque, l'immobile, nel momento in cui è stato di proprietà dell'ente ecclesiastico, era da ritenere, nella sua interezza, vincolato ope legis, anche se non iscritto negli elenchi ministeriali, e la Soprintendenza con l'atto impugnato si sarebbe limitata a confermare l'esistenza del vincolo ed acclarare la natura vincolata di tutti i beni compravenduti, anche di quelli erroneamente non compresi nell'originario decreto di vincolo.

Il Consiglio di Stato conferma la sentenza di primo grado, che aveva annullato l'atto della Soprintendenza e lo fa con un iter argomentativo, che può così tratteggiarsi:

- è ribadito, anzitutto, il carattere puramente dichiarativo degli elenchi dei beni culturali di proprietà pubblica e delle persone giuridiche private senza scopo di lucro, infatti "è ius receptum che i beni immobili di interesse storico ed artistico appartenenti alle persone giuridiche restano assoggettati alle disposizioni contenute nella legislazione dettata a tutela delle cose d'arte, anche se non compresi negli elenchi prescritti dalla legislazione medesima";

- allo stesso modo è riconosciuto che se il vincolo deriva ex lege (in quanto relativo a bene appartenente a soggetto pubblico o privato senza scopo di lucro) la specificazione della sua effettiva estensione territoriale necessita di un'apposita attività amministrativa, sia pure a carattere meramente dichiarativo e ricognitivo; infatti "solo dalla identificazione e concreta delimitazione del bene può derivare, anche se con effetto dichiarativo e ricognitivo, l'estensione effettiva del vincolo derivante ex lege se il bene è di spettanza delle persone giuridiche";

- questa attività di tipo ricognitivo non richiede particolari accorgimenti procedurali e garanzie di integrazione del contraddittorio rispetto ai destinatari, potendo "svolgersi anche con caratteri di ampia informalità";

- questo potere di identificazione del bene non può tuttavia esercitarsi secondo le suddette modalità nel caso in cui il bene pervenga nella disponibilità di un privato, perché in siffatta ipotesi occorre rispettare le garanzie procedurali e di contraddittorio previste dall'ordinamento (art. 7 del d.lg. 490/1999); infatti, "una volta che il bene sia pervenuto in possesso di privati senza che tale definizione sia stata effettuata precedentemente in modo completo, poiché l'amministrazione ha sempre fatto riferimento a decreti di vincolo non comprensivi di una parte del bene, non può più esercitarsi tale potere dichiarativo nei confronti del nuovo proprietario ai sensi della disciplina riguardante i beni di spettanza delle persone giuridiche, o, comunque, non può esercitarsi retrospettivamente, con efficacia ora per allora, tale potere accertativo, senza la partecipazione del privato acquirente";

- per quelle parti del bene non ricomprese nella originaria identificazione non può neanche invocarsi la natura di pertinenze, per estendere automaticamente ad esse il regime giuridico del bene principale; infatti, affermano i giudici che "il rapporto pertinenziale non spiega alcun automatismo, ma deve essere oggetto di apprezzamento in sede di rettifica del vincolo, in relazione al quale ogni singolo bene deve essere specificamente valutato nel suo interesse culturale in relazione al complesso immobiliare".

Secondo il giudice amministrativo, dunque, nel caso di specie caratterizzato da una pluralità di trasferimenti del bene culturale, l'ultimo dei quali è a favore di un privato, l'organo ministeriale non avrebbe potuto intraprendere un informale procedimento di rettifica (con effetti ampliativi) del vincolo, ma avrebbe dovuto attivare un procedimento di estensione del vincolo ai sensi dell'art. 7 del d.lg. 490/1999, con le relative garanzie procedimentali, a cominciare dalla comunicazione di avvio del procedimento.

 

2. Il ruolo della partecipazione procedimentale

La sentenza rileva per la ribadita centralità degli istituti di partecipazione nell'ambito dei procedimenti di imposizione (o di estensione, come nel caso di specie) del vincolo storico-artistico: si evidenzia, infatti, che la capacità del proprietario di interloquire con l'amministrazione è essenziale anche quando si tratti di verificare la qualitas di un bene, in quanto il relativo apporto può tradursi in utili contributi conoscitivi, di tipo collaborativo od oppositivo, alle determinazioni amministrative.

Questa centralità è confermata dal dato normativo: come già detto, il d.lg. 490/1999, adeguando alla l. 241/1990 l'art. 3 della l. 1089/1939, incardinato esclusivamente sulla notifica dell'interesse culturale, ha procedimentalizzato l'attività di individuazione dei beni culturali, dotandola di quelle garanzie partecipative (comunicazione di avvio del procedimento, presentazione di osservazioni), che possono assicurare un effettivo contraddittorio tra le parti.

La definizione di un apposito procedimento di dichiarazione dell'interesse culturale riguarda, come è noto, esclusivamente i beni che siano di proprietà di persone private, fisiche o giuridiche con scopo di lucro, mentre per quelli di proprietà pubblica e di persone giuridiche private senza scopo di lucro il d.lg. 490/1999 ha confermato la soluzione adottata dal legislatore del '39 dell'obbligo di compilazione ed integrazione di appositi elenchi, peraltro a carattere meramente dichiarativo ed informativo.

Un riflesso di questa differenziazione normativa è presente anche nella sentenza in esame, nel passaggio in cui si distingue, in base alla natura del soggetto proprietario, tra attività informale ed attività procedimentalizzata diretta all'esatta identificazione dell'estensione territoriale del vincolo.

Questa differenziazione è consolidata nella giurisprudenza, che tradizionalmente fa discendere dai diversi meccanismi di individuazione dei beni culturali una differente configurazione giuridica dei relativi provvedimenti: da un lato, le dichiarazioni di interesse culturale dei beni di proprietà privata, dall'altro gli atti cd. di "declaratoria" emanati dalle soprintendenze con riferimento ai beni di proprietà pubblica (o di persone giuridiche private senza scopo di lucro), che costituiscono una soluzione adottata in via di prassi per supplire alla sostanziale in attuazione del sistema degli elenchi.

In relazione al valore giuridico dei suddetti provvedimenti, mentre quelli impositivi del vincolo su beni privati sono tradizionalmente ricondotti nel novero degli accertamenti costitutivi, gli atti di declaratoria sono qualificati come meri atti ricognitivi, non costitutivi degli effetti di tutela, in quanto i beni che li riguardano - di proprietà pubblica e di persone giuridiche senza scopo di lucro - sarebbero vincolati ope legis, in considerazione delle loro qualità intrinseche e della natura del soggetto proprietario [2]: quest'ultima ricostruzione viene in genere fatta derivare dall'autonomia della tutela vincolistica rispetto all'inclusione negli elenchi e dalla considerazione che la notifica dell'interesse culturale sia prevista dall'ordinamento esclusivamente per i beni privati.

Questa qualificazione giuridica si riversa sul piano, che qui interessa, delle modalità procedurali e delle connesse garanzie partecipative: infatti, la giurisprudenza tende ad escludere che gli atti di declaratoria necessitino dell'apprestamento di una fase istruttoria e di determinate forme di partecipazione dei soggetti proprietari [3].

E' vero che le suesposte posizioni sono state, nel tempo, oggetto di rinnovata riflessione giurisprudenziale e gli esiti sono stati, in taluni casi, differenti rispetto a quelli tradizionali: sul piano degli effetti, il Consiglio di Stato in alcune recenti pronunce [4] ha qualificato di accertamento costitutivo l'atto che rileva l'interesse culturale dei beni di proprietà pubblica.

In un'altra occasione [5] ha avuto modo di affermare che l'atto di declaratoria integri ad ogni effetto un provvedimento amministrativo, per la cui formazione deve svolgersi una fase istruttoria ed è essenziale la partecipazione dell'ente pubblico proprietario: tale posizione è prospettata dal giudice amministrativo come la più coerente con i criteri di generale procedimentalizzazione e collaborazione degli interessi sanciti dalla l. 241/1990.

Alla luce di questa giurisprudenza più recente può osservarsi come riceva legittimità e maggiore consistenza il processo di avvicinamento dei meccanismi ricognitivi dei beni culturali [6], avviato de facto dall'amministrazione di settore con gli atti di declaratoria.

Questa opzione trova attualmente conferma anche a livello normativo [7]: il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio, abrogativo del Tu del 1999, ha riaffermato il procedimento di dichiarazione dell'interesse culturale per i beni di proprietà di persone fisiche e giuridiche con scopo di lucro (art. 14) ed ha introdotto un apposito procedimento di verifica dell'interesse culturale per i beni di proprietà pubblica e delle persone giuridiche senza scopo di lucro (art. 12).

Come si legge nella relazione illustrativa al Codice, "le cose appartenenti ai descritti soggetti (enti pubblici e persone giuridiche senza fine di lucro) sono qualificabili beni culturali e assoggettati a tutela solo se presentino, in maniera analoga a quanto previsto per i beni di proprietà privata, un interesse culturale (senza aggettivazioni, a differenza dei beni privati) e tale interesse sia stato formalmente accertato".

In relazione alla soluzione procedimentale adottata dal legislatore con l'art. 12 del Codice, può osservarsi che l'opzione di prevedere anche per i beni di proprietà pubblica e assimilati l'accertamento dell'interesse culturale da parte degli organi ministeriali [8], vale a dire degli organi tecnicamente qualificati ed istituzionalmente deputati alle azioni di tutela dei beni culturali, si integra con quella di garantire la partecipazione collaborativa degli enti interessati, quantomeno nella fase introduttiva: infatti, l'art. 12, comma 2, prevede, accanto all'iniziativa procedimentale d'ufficio, quella su richiesta degli enti proprietari, corredata dai dati conoscitivi in loro possesso.

Trattandosi di attività procedimentalizzata, è da ritenere, inoltre, che la relativa disciplina vada integrata con le disposizioni previste dalla l. 241/1990, comprese quelle in tema di partecipazione e contraddittorio.

La l. 241/1990, infatti, ha una portata istituzionalmente generale ed integrativa, di estesa applicazione ad ogni procedimento amministrativo con esclusione, con riferimento alle regole partecipative, di taluni procedimenti espressamente previsti dalla legge medesima (quelli diretti all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione e quelli tributari: art. 13, comma 1) e salva l'esigenza di esonerare talune ipotesi dalla comunicazione di avvio del procedimento (senza esclusione, peraltro, della partecipazione volontaria), ove esistano particolari esigenze di celerità (art. 7, comma 1).

Al di fuori di queste fattispecie, la l. 241/1990 non tollera eccezioni al principio di partecipazione: in questo senso e riportando l'attenzione al tema dell'individuazione dei beni culturali, la differente natura del soggetto proprietario del bene (pubblico-privato; privato no profit-privato profit) non può rappresentare un ragionevole elemento di discrimine neppure da parte di un'altra legge ancorché successiva alla l. 241/1990.

Infatti, nel nuovo procedimento di verifica dell'interesse culturale il soggetto proprietario potrebbe far constatare circostanze ed elementi utili per un'esatta valutazione della rilevanza del bene, alla stessa stregua del contributo che il proprietario privato può apportare nel procedimento di dichiarazione dell'interesse culturale ex art. 14.

Inoltre, l'affermazione delle garanzie partecipative nel nuovo procedimento non potrebbe essere esclusa o attenuata neanche invocando un intento di tutela immediata dei beni, in quanto l'art. 12, comma 1, riconduce ad un regime di provvisorio assoggettamento alla disciplina di tutela del Codice tutte le cose da sottoporre a verifica dell'interesse culturale e questo regime vige ancor prima dell'inizio del procedimento e cessa solo al termine del procedimento stesso (un'applicazione anticipata di alcuni effetti conservativi propri del vincolo è prevista anche per i beni privati sottoposti al procedimento di dichiarazione dell'interesse culturale, quale conseguenza della comunicazione di avvio del procedimento).

Il contributo della pronuncia qui esaminata, che si basa sul sistema normativo anteriore al d.lg. 42/2004 e si riferisce ad un questione relativa all'identificazione dell'esatta consistenza del bene culturale, è rilevabile soprattutto nella conferma dell'essenzialità della comunicazione di avvio del procedimento e con essa dell'indefettibilità ed utilità della partecipazione procedimentale ai fini della dichiarazione dell'interesse culturale, se non altro nel caso di beni di proprietà di privati profit.

 



Note

[1] Si precisa, sin da ora, che il d.lg. 490/1999 non è più in vigore, a seguito di abrogazione ad opera del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il "Codice dei beni culturali e del paesaggio": con questa avvertenza nel prosieguo della nota si farà comunque riferimento al Tu del 1999, che rappresenta la normativa disciplinante la fattispecie oggetto della sentenza, per poi esporre brevemente i profili innovativi introdotti dal Codice del 2004.

[2] Deve trattarsi inoltre di beni di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni (art. 1, comma 3 l. 1089/1939; art. 2, comma 6 d.lg. 490/99). Tra le varie decisioni che seguono questa impostazione v. Cons. Stato, sez. VI, 13 maggio 2002, n. 2564, in Foro amm., CdS, 2002, 1304; Cons. Stato, sez. VI, 20 febbraio 1998, n. 176, in Riv. giur. edil., 1998, I, 705; Cons. Stato, sez. VI, 13 ottobre 1996, n. 1354, in Cons. St., 1996, I, 1559; Cons. Stato, sez. VI, 25 ottobre 1996, n. 1400, in Foro it., 1997, III, 81; Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 1995, n. 1362, in Foro amm., 1995, 2711; Cons. Stato, sez. VI, 22 marzo 1993, n. 255, in Riv. giur. edil., 1993, I, 899. In senso analogo anche i giudici di primo grado: ad es., Tar Calabria, Catanzaro, 11 febbraio 2000, n. 141, in Foro amm., 2000, 2883; Tar Sicilia, Catania, sez. III, 5 maggio 1993, n. 317, in T.A.R., 1993, I, 2882; Tar Abruzzo, Pescara, 1° marzo 1985, n. 68, in Foro amm., 1985, 1215. Un medesimo orientamento è espresso anche dalla Corte di Cassazione: Cass. civ., sez. I, 20 aprile 2003, n. 6522, in Foro amm., CdS, 2003, 1256; Cass. pen., sez. VI, 17 febbraio 1999, n. 556, in Cass. pen., 2000, 2395; Cass. pen., sez. III, 9 ottobre 1998, n. 12003, in Cass. pen., 1999, 3218; Cass. civ., sez. I, 26 giugno 1990, n. 6496, in Riv. giur. edil., 1990, I, 864.

[3] Cons. Stato, sez. VI, 30 novembre 1995, n. 1362, in Foro it., 1996, III, 397; Cons. Stato, sez. VI, 22 marzo 1993, n. 255, in Riv. giur. edil., 1993, I, 899; Cons. Stato, sez. VI, 30 gennaio 1991, n. 46, in Cons. St., 1991, I, 113; Cons. Stato, sez. VI, 31 maggio 1990, n. 558, in Foro it., Rep., 1990, voce Antichità, n. 33.

[4] Cons. Stato, sez. VI, 8 gennaio 2003, n. 20, in Foro amm., CdS, 2003, 187; Cons. Stato, sez. VI, 8 febbraio 2000, n. 678, in Riv. giur. edil., 2000, I, 447; Cons. Stato, sez. VI, 2 novembre 1998, n. 1479, in Riv. giur. edil., 1999, I, 323. Il mutato indirizzo giurisprudenziale si fonda su una rilettura della norma (art. 4 l. 1089/1939; art. 5 Tu 490/1999) che sancisce l'obbligo di compilazione degli elenchi: questa disposizione, se è vero che sancisce la funzione puramente dichiarativa assolta dagli elenchi, non contiene però alcuna statuizione che possa escludere la necessità di un provvedimento costitutivo volto alla verifica dell'interesse storico-artistico del bene ed alla conseguente imposizione del regime vincolistico; anzi, la previsione per cui "le disposizioni della presente legge" trovano applicazione anche in caso di mancata inserzione dei beni negli elenchi descrittivi va riferita anche alle norme che prescrivono di accertare l'interesse culturale del bene. La circostanza, poi, che la l. 1089/1939 imponga la "notifica" solo per i beni di proprietà privata non assume rilievo, perché riguarda il momento della comunicazione dell'atto e non quello prodromico dell'accertamento dell'interesse culturale, che non conoscerebbe neanche sotto questo profilo una distinzione tra beni pubblici e privati. Una conferma sul piano normativo viene ricavata, inoltre, dagli articoli del codice civile relativi ai beni demaniali (artt. 822-824), cui rientrano anche quelli del cd. demanio culturale, vale a dire gli immobili di enti pubblici territoriali "riconosciuti di interesse storico-artistico ed archeologico": il riferimento al "riconoscimento dell'interesse" farebbe intendere la necessità di accertare, in chiave costitutiva, l'interesse culturale.

[5] Cons. Stato, sez. VI, 29 settembre 1999, n. 1295, in Riv. giur. edil., 2000, I, 109.

[6] Un contributo alla questione della variabilità del regime giuridico dei beni culturali in base alla natura dei loro proprietari è stato offerto recentemente dalla Corte costituzionale, che con sentenza del 28 novembre 2003, n. 345 (in Giur. cost., 2003, 3605, con nota di C. Barbati, Il bene culturale come "bene unitario" ai fini della fiscalità fiscale e in Aedon, 3/2004, con nota di S. Falcone, Immobili di interesse storico o artistico: estensioni soggettive delle agevolazioni ICI), ha dichiarato costituzionalmente illegittima la norma che limita l'agevolazione fiscale ai fini Ici agli immobili di interesse culturale appartenenti a soggetti privati: secondo la Corte, in relazione a questo profilo fiscale, l'elemento di discrimine rappresentato dalla natura, pubblica o privata, dei proprietari del bene culturale è manifestamente irragionevole, anche perché "l'esigenza di certezza nei rapporti tributari, cui assolve il provvedimento formale previsto dall'art. 3 citato [legge 1089/39], può essere soddisfatta, per i beni appartenenti agli enti pubblici (o alle persone giuridiche private senza fini di lucro), dalla loro inclusione negli elenchi di cui allo stesso art. 4 della legge ovvero da un atto dell'amministrazione dei beni culturali ricognitivo dell'interesse storico o artistico del bene".

[7] In questi termini C. Barbati, Il bene culturale come "bene unitario", cit., 3617.

[8] Secondo il recente decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2004, n. 173, recante il regolamento di organizzazione del ministero per i Beni e le Attività Culturali, gli organi titolari di questa funzione sono i direttori generali, salva delega ai direttori regionali per i beni culturali e paesaggistici, già esercitata dal direttore generale per i beni architettonici e paesaggistici con decreto 5 agosto 2004.

 



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