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Pensieri sotto l'albero

di Marco Cammelli


Si chiude in questi giorni ormai prossimi al Natale un anno importante per i beni culturali del nostro Paese. Lo è stato per importanti provvedimenti statali che hanno visto la luce in questo periodo, basti pensare al Codice o alla riorganizzazione del ministero dei Beni e delle Attività culturali, così come lo è stato per l'intenso dibattito che, con diversità di accenti e di posizioni, ne è seguito; lo è stato per significative iniziative assunte su settori cruciali delle politiche culturali (come l'arte contemporanea o il cinema) così come per i ripetuti tentativi, alcuni ahimè andati a segno, di abbassare la soglia delle essenziali garanzie di tutela, come sul terreno della alienazione di beni culturali di appartenenza statale o come le sanatorie in materia paesaggistica.

Un quadro dunque ricco ed insieme problematico, peraltro incompleto perché ne fanno parte a pieno diritto, ed andrebbero perciò altrettanto seriamente considerate, le esperienze positive o discutibili (non mancano né le une né le altre) di regioni, enti e sistemi locali, privati del terzo settore e fondazioni o imprese.

Ce n'è abbastanza per augurarsi che questa complessità di temi e varietà di esiti sia prima riconosciuta e poi rispettata perché non c'è nulla di meno "culturale" in senso proprio della militanza pro o contro, della posizione preconcetta, dell'assunto pregiudiziale. In questa luce poco importa la posizione di volta in volta assunta: millenaristica o trionfante, per il centro o le autonomie, pro stato o pro mercato, per il primato della politica o per l'autonomia del tecnici. L'unilateralismo, quale che esso sia, ha infatti come scomodo ma obbligato compagno di strada il senso di accerchiamento, inevitabile prezzo del confinare tutto il resto, e tutti gli altri, nell'unificante cono d'ombra dell'errore e del nemico.

Per tutto questo non vale scandalizzarsi ed anzi è giusto riconoscere che vi sono molte ragioni, per lo più oggettive, che spiegano un tale stato di cose: troppo ampia e prolungata è l'oscillazione in atto delle soluzioni alle quali potrà credibilmente affidarsi la nostra forma di stato e il relativo assetto istituzionale; troppo lungo è l'elenco di questioni di metodo e di merito che investono oggi più di ieri questo settore senza trovare il modo di confrontarsi, di misurarsi e dunque anche di cambiare; troppo evidente è il dato di un sistema politico bipolare introdotto di recente ma ancora lontano dall'essersi assestato e, comunque, privo delle regole e più ancora della cultura del bipolarismo.

Ma così si rischia di rimanere tutti più soli e la solitudine, come dice il saggio, raramente ha migliorato l'uomo. E, si può aggiungere, le cose. Soprattutto quelle "cose" che, come i beni culturali, per la miracolosa scheggia di eternità e di universalità ricevuta in dono dagli Dei, sanno esprimere ciò che continuamente rischia di sfuggirci e che, invece, più ci appartiene.

L'auspicio che ci sentiamo di formulare non è quello di trovarci (più) d'accordo, ma semmai di imparare a utilizzare la straordinaria ricchezza, non comune rispetto agli altri paesi, di opinioni, di studi, di soggetti pubblici, di centri di ricerca, di istituzioni culturali, di operatori, pubblici e privati, spesso competenti e appassionati malgrado tutto. Insomma, di riconoscere ciò che di fondato c'è nell'esperienza che non ci appartiene o che non avevamo considerato e, soprattutto, di comprendere che il vero rischio è che mai come oggi questo settore appare pericolosamente stretto tra la morsa di chi pensa solo alla cassa e chi ragiona solo in termini di schieramento politico. Oggi come ieri e, molto probabilmente, anche domani.

L'auspicio, dunque, di discutere dei problemi prima invece che dopo, del merito e delle regole (queste non meno necessarie che quello) e non del merito o delle regole, di ascoltare le critiche e i dissensi senza ridurle per ciò solo ad attacco proditorio, a cannoneggiamento, a "fuoco amico". Per evitare il quale, tra l'altro, chi più di ogni altro se ne intende, come i corpi combattenti, ha da sempre praticato il linguaggio dei segni e dei suoni per il reciproco riconoscimento.

In breve, una forma pur semplificata e crittata, di comunicazione e di dialogo.

 



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