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Funzioni e compiti in materia di valorizzazione del patrimonio culturale (art. 7)

di Carla Barbati



La norma in esame, nel suo primo comma, si limita a ribadire quanto enunciato nell'art. 117, comma 3, della Costituzione che, ascrivendo la valorizzazione dei beni culturali alle materie di competenza legislativa concorrente, la assoggetta alla potestà legislativa delle regioni, "salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservati alla legislazione dello Stato".

Essa vale, pertanto, ad introdurre le disposizioni successive (dall'art. 111 all'art. 121), collocate nel Capo II, intitolato ai "principi della valorizzazione dei beni culturali", da intendersi, perciò, come principi fondamentali ai quali le regioni dovranno attenersi nell'esercizio della propria potestà legislativa.

In questo modo, il Codice intende precisare che le norme in materia di valorizzazione, in esso contenute, non costituiscono un'ingerenza statale in un ambito assegnato alla competenza legislativa concorrente, in quanto non devono essere intese come "la disciplina" della valorizzazione, ma soltanto come l'espressione dei principi fondamentali che lo stato è legittimato a porre.

Quanto, poi, le disposizioni successive con le quali il Codice interviene in materia di valorizzazione possano considerarsi "principi fondamentali", anche alla stregua del ruolo più limitato che questi dovrebbero avere, nel nuovo contesto costituzionale di riparto delle competenze legislative, è "altra questione", per la quale non si può che rinviare ai commenti degli articoli in cui essi vengono enunciati.

Circa il ruolo che spetta alla legislazione regionale, questo, come si è ricordato anche nel commento alla norma precedente, viene meglio definito da altre disposizioni. L'art. 112, comma 2, del Codice precisa infatti che la legislazione regionale "disciplina la valorizzazione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi della cultura non appartenenti allo Stato o dei quali lo Stato abbia trasferito la disponibilità sulla base della normativa vigente", configur andola perciò come legislazione condizionata non solo dal rispetto dei principi fondamentali posti dalla legge dello stato, ma anche limitata in relazione ai beni. La valorizzazione dei beni che siano di spettanza statale non rientra, infatti, nella competenza legislativa regionale ma in quella dello stato.

Una scelta che, si può prevedere, reagirà anche sugli assetti della potestà regolamentare. In base ai principi che informano il riparto delle competenze normative, la valorizzazione, in quanto materia di competenza concorrente, dovrebbe ritenersi sottratta agli interventi regolamentari dello stato, per essere consegnata alle sole disposizioni che, a questo livello, verranno adottate dalle regioni. Tuttavia, la circostanza che il Codice abbia assegnato alla potestà legislativa delle regioni la valorizzazione dei soli beni che non si trovino nella disponibilità dello stato, ed insieme la flessibilità con la quale la Corte costituzionale ha ritenuto di interpretare i principi di riparto delle competenze (anche normative), con la sentenza 25 settembre-1 ottobre 2003, n. 303, sembra aprire a scenari differenti in cui il centro statale conserva la legittimazione ad intervenire anche con propri atti di natura regolamentare (in questo senso, vale sempre il rinvio a quanto affermato nella sentenza 19 dicembre-20 gennaio 2004, n. 26 della Corte costituzionale, in cui la considerazione del regime di appartenenza del bene definisce la competenza ad intervenire anche con atti regolamentari).

Il comma 2 della norma in esame si occupa, invece, di quello che deve intendersi come il modello privilegiato di esercizio delle attività di valorizzazione, che si vuole informato ai principi del coordinamento, dell'armonizzazione e dell'integrazione degli interventi, per individuare, poi, nel successivo art. 112 le modalità e gli strumenti tramite i quali i diversi livelli di governo sono tenuti ad assicurare la valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica.

In questo modo, il Codice ribadisce le scelte che già erano state effettuate con il d.lg. 112/1998, il cui art. 152 stabiliva, nel primo comma, che la valorizzazione dovesse essere "di norma attuata mediante forme di cooperazione strutturali e funzionali tra Stato, regioni ed enti locali", cercando di dare risposta alle esigenze di coordinamento e di collaborazione insite nell'esercizio delle attività in materia di beni culturali, siano quelle di valorizzazione o anche quelle di tutela.

Tuttavia, proprio l'esperienza che sin qui se ne è avuta segnala anche le difficoltà di questi modelli cooperativi e la necessità, per assicurarne un funzionamento effettivo, che non può essere virtuosamente presupposto, di definire soluzioni non soltanto procedimentali, ma anche organizzative che non sono attualmente riconoscibili neppure negli altri provvedimenti di riforma del settore, segnatamente in quelli, come il decreto legislativo 8 gennaio 2004, n. 3, che hanno interessato l'apparato ministeriale [1].

In mancanza di questi interventi, il reiterato richiamo alle ragioni e alle istanze della collaborazione rischia di apparire come una clausola per assorbire i potenziali conflitti in merito al ruolo riconosciuto (o non riconosciuto) alle autonomie oppure rischia di ridursi ad una clausola che autorizza azioni e decisioni unilaterali del centro, secondo le logiche che hanno a lungo governato l'esperienza della cooperazione intergovernativa.

 



Note

[1] M. Cammelli, La riorganizzazione del ministero per i Beni e le Attività culturali, in Aedon, 2003, n. 3.

 



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