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Comodato e deposito di beni culturali (art. 44)

di Gaetano D'Auria



La disposizione innova radicalmente l'art. 48 T.U. 490/1999, che attribuiva ai direttori degli archivi di stato il potere di concedere ad enti pubblici e soggetti privati di depositare interi archivi o singoli documenti presso gli archivi di stato.

Ora, l'ammissibilità del deposito viene, da una parte, estesa a tutti i beni culturali mobili (talché interessa anche istituti diversi dagli archivi) e, dall'altra, limitata ai beni degli enti pubblici. Per i beni dei privati è, invece, ammesso unicamente il comodato.

La disposizione sembra orientata a perseguire diversi obiettivi.

Anzitutto, l'estensione del deposito (che può, ex art. 1767 cod. civ., essere oneroso ed è, infatti, così configurato dal comma 5 della disposizione in commento) a tutti i beni mobili consente agli enti pubblici di conservare presso strutture qualificate - come i musei e gli archivi di stato - oggetti la cui custodia e conservazione richiederebbero, altrimenti, oneri di spesa superiori a quelli del deposito.

In secondo luogo, il comodato (che è "essenzialmente gratuito": art. 1803, comma 2, cod. civ.) incentiva la cessione a musei e archivi di beni privati, "al fine di consentirne la fruizione da parte della collettività". Pertanto, i musei e gli archivi assumono gli obblighi e gli oneri inerenti alla custodia dei beni, che sono, altresì, "protetti da idonea copertura assicurativa a carico del ministero".

In terzo luogo, i musei e gli archivi sono incoraggiati ad acquisire dai privati, per periodi di tempo sufficientemente ampi (non meno di cinque anni), beni "di particolare importanza" o costituenti "significative integrazioni" delle loro collezioni (comma 1). Sono queste, appunto, le condizioni alle quali è consentito il comodato, unitamente a quella per cui la custodia dei beni non deve risultare "particolarmente onerosa" (a fronte, naturalmente, del loro valore e del prestigio o di altri vantaggi - anche di natura economica - che il museo o l'archivio possono trarne). E' previsto, in ogni caso, un "assenso" del ministero al comodato, da intendere - probabilmente - come approvazione del contratto di comodato (benché questo possa, poi, essere risolto consensualmente dalle parti e, cioè, dal comodante e dal direttore del museo o dell'archivio: comma 2, secondo periodo).

Non è chiaro, peraltro, per quale motivo gli enti pubblici siano stati esclusi dalla possibilità di cedere in comodato i propri beni a musei e archivi (o, viceversa, per qual motivo sia stato precluso ai musei e agli archivi di stato di acquisire in comodato tali beni).

Da segnalare, infine, che l'incentivazione del comodato e del deposito è destinata a rimanere mera declamazione, se non verranno accresciute, nel bilancio del ministero, le risorse a ciò disponibili. L'art. 183, comma 2, del Codice ha, infatti, cura di precisare che dall'attuazione della disposizione in commento "non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica" (precisazione inutile, poiché un decreto legislativo non può, com'è noto, recare nuovi oneri di spesa, ma significativa della circostanza che altre norme del Codice non sono affatto "a costo zero").

 

 



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