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La tutela del patrimonio culturale (art. 3)

di Girolamo Sciullo



Nella struttura del Codice l'articolo in commento s'inserisce a pieno titolo fra le disposizioni generali, eguagliato forse solo dall'art. 6 come disposizione cardine della nuova disciplina.

Molteplici i fattori che giustificano l'affermazione: un elemento storico, esprimendo la disposizione per la prima volta, in termini di normativa sostanziale di settore, il concetto di tutela; un dato di contenuto, tentando essa di fornire un concetto rigoroso della prima funzione pubblica emersa nella legislazione sui beni culturali; un aspetto relazionale, per essere essa al centro di una fitta trama di riferimenti con altre parti del Codice.

Da quest'ultimo fattore converrà prendere le mosse al fine di tratteggiare il ruolo della disposizione sul piano sistematico. Alle attività volte a riconoscere, conservare e proteggere il bene culturale - che costituiscono in una prima, approssimativa, accezione l'oggetto della tutela - si collegano, infatti, anzitutto le altre disposizioni di carattere generale: l'art. 1, per definire le finalità generali della funzione (comma 2) e il suo rapporto con le altre funzioni e attività concernenti i beni culturali (comma 6), nonché per indicare il ruolo dei soggetti pubblici e privati in ordine alla conservazione (commi 3-5); l'art. 2, per precisare il novero dei beni culturali in senso ampio, ossia il patrimonio culturale; gli artt. 4, 5 e 8, per delineare la posizione dello stato, delle autonomie territoriali e delle confessioni religiose nell'esercizio della funzione; l'art. 6, infine, per operare (insieme allo stesso art. 3) il "regolamento" di confini fra tutela e valorizzazione.

Oltre a queste relazioni "orizzontali", all'art. 3 fanno capo relazioni "verticali" o di svolgimento che danno consistenza al riconoscere, conservare e proteggere.

Così, in primo luogo, non ne rappresenta che una specificazione l'intero Titolo I della Parte seconda. Il Capo I ("Oggetto della tutela") precisa, infatti, in quali casi e sulla base di quali procedimenti vengono "riconosciuti" i differenti beni culturali, mentre il Capo III nelle sue tre Sezioni e il Capo II, per i profili strumentali, danno corpo al "conservare e proteggere", prevalentemente in vista dell'integrità fisica del bene, e, a loro volta, i Capi dal IV al VII si preoccupano di garantirne la conservazione sotto il profilo della non dispersione giuridica e materiale.

Con i dovuti adattamenti si può dire lo stesso della Parte terza, dedicata ai beni paesaggistici, il cui unico Titolo significativamente reca la dizione di "Tutela e valorizzazione".

Infine, l'apparato sanzionatorio, amministrativo, civile e penale, disciplinato dalla Parte quarta, rinviene in larga misura il suo "precetto" nella "protezione/conservazione" come disciplinata nelle precedenti Parti.

Dunque un rilievo, sul piano sistematico, del tutto evidente per l'art. 3, che ora può essere considerato isolatamente, nei contenuti che esprime.

Come è noto, né la legge 1 giugno 1939, n. 1089, né sulla sua scia il decreto legislativo. 29 ottobre 1999, n. 490, recavano la nozione di tutela. Dalle disposizioni di entrambe risultava peraltro, come in dottrina non si era mancato di sottolineare [1] il chiaro atteggiarsi della tutela come tutela conservativa, ossia la sua finalizzazione alla salvaguardia e prim'ancora all'individuazione del bene culturale.

Il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, fornì tale nozione, sia pure in un'ottica di riparto delle competenze fra stato e autonomie territoriali, ricomprendendo nella tutela "ogni attività diretta a riconoscere, conservare e proteggere i beni culturali e ambientali" (art. 148, comma 1, lett. c)), nozione questa frutto di una "lettura estremamente ampia della tutela" [2], ma comunque sostanzialmente transitata, secondo la Corte costituzionale [3], nel nuovo art. 117 Cost.

Nella bozza di Codice oggetto della deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri del 29 settembre 2003 veniva detto che la tutela "concerne la disciplina delle attività e le funzioni dirette a garantire l'individuazione, la conoscenza, la protezione e la conservazione del patrimonio (culturale), nonché a conformare e regolare i diritti ed i comportamenti ad esso inerenti".

Nel testo definitivo dell'art. 3 - come risultante dal parere della Conferenza unificata del 10 dicembre 2003 - la formulazione subisce affinamenti sul piano tecnico, perché la tutela "consiste (e non più "concerne") nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività (con una sottolineatura del profilo amministrativo rispetto a quello normativo della funzione) dirette, sulla base di un'adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale e a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione (con la precisazione quindi dell'ambito della tutela, trasferendo il fatto conoscitivo a momento dello svolgimento della funzione)". Inoltre si precisa che "l'esercizio delle funzioni di tutela si esplica anche attraverso provvedimenti volti a conformare e regolare diritti e comportamenti inerenti il patrimonio culturale (di nuovo viene sottolineato il profilo amministrativo della funzione con il riferimento ad un suo possibile cara ttere precettivo/conformativo)".

Al di là della diversa formulazione, le due stesure dell'art. 3 segnano un dato di novità non indifferente rispetto alla dizione dell'art. 148, comma 1, lett. c), del d.lg. 112/1998. Non deve invero trarre in inganno il comune richiamo al riconoscere/individuare, conservare e proteggere: nell'art. 148 "ogni attività" rivolta a tali obiettivi costituiva tutela, nell'art. 3 solo "l'esercizio delle funzioni e la disciplina delle attività" a tali fini dirette. Il mutamento è di rilievo perché con i termini "funzioni" e "disciplina" si rinvia necessariamente ad un momento normativo in cui la disciplina è dettata e le funzioni vengono definite, ossia si postula un concetto di tutela non perimetrato dal mero collegamento a fini generali (appunto individuare, conservare e proteggere il bene culturale), ma definito e precisato, sia pure in rapporto a detti fini, dal legislatore. In buona sostanza emerge un concetto di tutela - al pari di quello di bene culturale - "normativo" e perciò tipizzato. Detto in altre parole, tutela non è più ogni attività volta a riconoscere, conservare e proteggere il bene culturale, ma diventa solo ciò che il legislatore, fra le attività astrattamente rivolte a tali fini, ha ritenuto di disciplinare, in particolare affidandone la cura alla P.A.

Scendendo più in dettaglio, e sulla base della fin troppo ovvia considerazione che anche le funzioni vengono disciplinate e le attività esercitate, può dirsi che la tutela comprende la disciplina e l'esercizio di attività (non necessariamente della sola P.A.) e di funzioni (attività tipicamente contrassegnate dal carattere giuridico e unilaterale, e dalla spettanza alla P.A.) volte a individuare, conservare e proteggere i beni che compongono il patrimonio culturale. Le funzioni possono esplicarsi anche in provvedimenti (quando rivolti a soggetti esterni, privati in particolare) e assumere altresì natura precettiva (ad es. stabilendo le misure necessarie perché il bene non subisca danno nel trasporto o in vista della sua conservazione, cfr. artt. 21, comma 2, e 32, comma 1).

L'individuazione, conservazione e protezione a loro volta rappresentano le finalità della tutela e ad un tempo il titolo che legittima la disciplina normativa in nome della funzione. Il patrimonio culturale, infine, va inteso secondo le previsioni dell'art. 2, e quindi è costituito dai beni culturali e da quelli paesaggistici.

Da quanto appena indicato discende una serie di corollari.

La disposizione dell'art. 3 offre sì la nozione di tutela, ma solo in termini sintetici o riassuntivi, che vanno riempiti dalle norme di altre disposizioni, in primo luogo, da quelle poste in altre parti del Codice. Come si è in precedenza accennato, le attività/funzioni rivolte all'individuazione, conservazione e protezione, ovvero ciò che è da intendersi per tutela, risulta precisato, per i beni culturali, nei vari Capi del Titolo I della Parte seconda. Restano peraltro salvi altri interventi del legislatore sul Codice o al di fuori di esso.

La tipizzazione della tutela, conseguente alla normativizzazione della funzione, - che, sia detto per inciso, richiama la prospettiva seguita dalla "Commissione Cammelli", operante in occasione della stesura del d.lg. 112/98 [4] - consente di spiegare perché non ogni attività astrattamente rivolta ad una delle finalità che connotano la tutela rientri nel suo ambito. Ad es. la conservazione, una delle finalità della tutela ex art. 3, comma 1, è al tempo stesso considerata, come la fruizione e la valorizzazione, attività che deve essere svolta "in conformità alla normativa di tutela" e quindi, al pari delle altre due, presupposta come un aliud rispetto alla tutela. L'apparente anomalia si scioglie ove si consideri che ciò che dell'attività di conservazione non è normativizzato come tutela, risulta estraneo alla disciplina e all'esercizio della funzione, ma incontra un limite nell'assetto della tutela, in particolare per quei profili ispirati da finalità di conservazione.

La tipizzazione della tutela consente, infine, di ritenere ampliata la sfera della valorizzazione. Ciò non perché quanto non appartiene alla tutela debba necessariamente rientrare nella valorizzazione. Tale tesi, che sicuramente ha acquistato peso nella nuova normativa, andrebbe però verificata alla luce degli artt. 6 e 111 del Codice, che sembrano tipizzare anche questa funzione, e saggiata alla luce di una complessiva riconsiderazione della disciplina dei beni culturali. Il fatto è, comunque, che tra le finalità richiamate per definire le attività e funzioni di valorizzazione sono indicate alcune che toccano o sono connesse a finalità della tutela ("promuovere la conoscenza del patrimonio culturale", "promozione ed (...) sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale"). Pertanto aspetti che non vengono coperti dalla legislazione e dalla amministrazione statale "come tutela" risultano suscettibili di essere disciplinati e portati ad attuazione dalla legge e dalla amministrazione non statale "come valorizzazione", sia pure, come recita l'art. 6, comma 2, "in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze". Esito questo apparentemente inedito, ma conseguente appunto alla tipizzazione della tutela ed alla contiguità delle due funzioni, chiamate dall'art. 2, comma 1, a realizzare comuni finalità generali dell'ordinamento.

In chiusura una questione, non certamente secondaria, meriterebbe di essere affrontata, ma alla quale, per motivi del tutto evidenti, può dedicarsi solo un accenno: alla precisazione/specificazione del concetto di tutela, cui ci si è più volte richiamati, fa riscontro una riduzione degli istituti e, quindi, del "livello" di tutela, accordato al patrimonio culturale? Ovvero, in altre parole, la disciplina della tutela, nel passaggio dal d.lg. 490/1999 al Codice, registra un saldo passivo? Una risposta corretta a tale questione presuppone una verifica delle singole disposizioni del nuovo testo e un raffronto con quelle preesistenti. Pertanto essa parrebbe trovare la sua collocazione più idonea in occasione di un "bilancio" della disciplina e non in sede di "apertura" ad una serie di commenti. Peraltro, se contano le impressioni sommarie sui contenuti del Titolo I della Parte seconda, se hanno significato approfondimenti parziali (cfr. il commento all'art. 12), se, infine, è attendibile pensare che il legislatore delegato non abbia disatteso il criterio della delega ("né l'abrogazione degli strumenti attuali", art. 10, comma 2, lett. d), della legge 6 luglio 2002, n. 137), la risposta si orienterebbe in senso negativo, almeno per i beni culturali.

 



Note

[1] Ad es., P.G. Ferri, Beni culturali e ambientali nel diritto amministrativo, in Dig. Disc. Pubbl., Torino, 1987, vol. II, 233; G. Sciullo, Le funzioni, in Il diritto dei beni culturali, a cura di C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo, Bologna, 2003, 59.

[2] G. Pitruzzella, Art. 149, in Lo Stato autonomista, a cura di G. Falcon, Bologna, 1998, 499.

[3] Sent. Corte cost. 18 dicembre-13 gennaio 2004, n. 9 ed, in particolare, sent. Corte cost. 19 dicembre-20 gennaio 2004, n. 26.

[4] G. Pitruzzella, Art. 149, cit., 498.

 



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