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La verifica dell'interesse culturale (art. 12)

di Girolamo Sciullo



L'art. 5 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 riprendendo sostanzialmente quanto stabilito dagli artt. 4 e 58 della legge 1 giugno 1939, n. 1089 prevedeva che gli enti pubblici diversi dallo stato e le persone giuridiche private senza scopo di lucro presentassero al ministero (se del caso anche con successive integrazioni) l'elenco descrittivo delle cose di loro appartenenza aventi (presumibilmente) interesse artistico, storico, ecc. Così facendo tali soggetti concorrevano all'individuazione, ossia all'identificazione, dei beni culturali, compito questo al quale, nel caso di cose di proprietà di altri soggetti privati (singoli o persone giuridiche con scopo di lucro), provvedeva il solo ministero, mediante la "dichiarazione" ex art. 6 del decreto legislativo (in precedenza nota anche come "notifica"). Gli elenchi, la cui trasmissione costituiva una mera segnalazione, anche quando validati dal ministero, avevano un carattere meramente dichiarativo, tant'è che la non inclusione in essi o nei loro aggiornamenti non era di ostacolo all'applicazione della disciplina di tutela, sempre che le cose presentassero interesse culturale e, di autore non più vivente, risalissero a oltre cinquant'anni (cfr. art. 5, comma 5, e art. 2, comma 6, d.lg. 490).

Questo sistema era fonte di non poche incertezze sul piano effettuale, sia per la sottrazione al vincolo dell'inserimento in elenchi delle cose mobili e immobili dello stato - per i quali non si prevedeva nessun meccanismo di individuazione -, sia per la generale inosservanza del vincolo nei casi previsti. Pertanto, riprendendo quanto afferma la relazione di accompagnamento al Codice, si può dire che per i beni culturali ad appartenenza pubblica operasse "una presunzione generale di culturalità" (p. IV), solo in parte eliminata dagli atti c.d. di "declaratoria", ossia recanti la dichiarazione di interesse storico, artistico ecc., talora emessi dal ministero [1].

Elementi di novità furono portati dal d.p.r. 27 settembre 2000, n. 283. Da un lato, come stimolo alla compilazione degli elenchi, esso sancì, a regime, l'inalienabilità degli immobili culturali, non inseriti, appartenenti al demanio degli enti minori (art. 6, comma 2). Per altro verso, estese il vincolo della compilazione degli elenchi, con il corredo dei "dati identificativi degli immobili interessati", alle amministrazioni statali coinvolte in processi di dismissione o valorizzazione di beni. Per altro verso, infine, stabilì che il ministero, ricevuti gli elenchi, provvedesse ad "individua(re) gli immobili che manifestamente non rivest(issero) interesse storico e artistico e quelli la cui alienazione e conferimento in concessione o in convenzione (erano) soggetti ad autorizzazione", in quest'ultimo caso evidentemente sulla base della riconosciuta presenza dell'interesse artistico e storico (art. 19, commi 1, 2 e 4).

L'art. 12 dello schema di Codice oggetto della delibera preliminare del 29 settembre 2003 riprende e perfeziona le previsioni del d.p.r. 283/2000. Detto in termini schematici, le cose mobili e immobili appartenenti ad enti pubblici e a persone giuridiche private senza scopo di lucro, che rivestano interesse artistico, storico, ecc., risalgano ad oltre cinquant'anni e siano di autore non più vivente, vengono sottoposte ad un apposito procedimento di verifica, volto ad accertare la sussistenza o meno di detto interesse. In attesa della verifica, tali cose sono in via provvisoria soggette alla disciplina di tutela prevista dal Codice. In più sono in ogni caso inalienabili (art. 54, comma 2, lett. a), e art. 55, comma 1). L'esito della verifica - che è promossa d'ufficio o su richiesta dell'ente proprietario - se positivo, comporta la definitiva sottoposizione del bene alla disciplina di tutela, se negativo, la fuoruscita da detta disciplina, la sdemanializzazione, nel caso di bene demaniale, e la libera alienabilità (le due ultime conseguenze peraltro si producono sempre che non vi ostino ragioni di regime giuridico diverso da quello inerente i beni culturali).

Tale meccanismo, semplice nelle sue linee portanti e senz'altro condivisibile per l'intento di superare la descritta situazione di incertezza dei beni pubblici con possibile valenza culturale è contenuto, come si è detto, nell'art. 12 dello schema di Codice deliberato dal Consiglio dei ministri il 29 settembre 2003. Il giorno successivo, il decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 (il c.d. "maxi-decreto finanziario") lo riprende pressoché integralmente. Vi introduce, peraltro, una tempistica per lo svolgimento del procedimento di verifica relativa a immobili, tempistica che nel corso dei lavori parlamentari di conversione in legge del decreto viene perfezionata con l'introduzione del silenzio significativo (il c.d. "silenzio-assenso"): "La mancata comunicazione (dell'esito della verifica da parte della soprintendenza regionale all'agenzia del Demanio) nel termine complessivo di centoventi giorni dalla ricezione della scheda (descrittiva contenente i dati conoscitivi relativi ai singoli immobili inseriti negli elenchi) equivale ad esito negativo della verifica" (art. 27, comma 10, d.l. 269 conv. con mod. nella legge 24 novembre 2003, n. 326).

La versione definitiva dell'art. 12 conferma molte previsioni della precedente versione (commi 1, 2, 4-7), mutua alcune previsioni di carattere procedurale dall'art. 27 del d.l. 269 convertito in legge (commi 3 e 8), mantiene fermi altri disposti (relativi al silenzio-assenso) dello stesso decreto (comma 10). Con una certa approssimazione, ma badando alla sostanza, può affermarsi che l'art. 12 del Codice è entrato in vigore anticipatamente, insieme cioè alla l. 326/2003 di conversione del decreto legge.

Passiamo ad una sintetica analisi dei contenuti dell'art. 12 nella versione finale.

E' possibile anzitutto rilevare che è rimasto invariato l'impianto complessivo di cui si è fatta sopra indicazione. Permangono fermi l'ambito oggettivo (le cose mobili e immobili ultracinquantennali e di autore non più vivente, indicate all'art. 10, comma 1, ossia che presentano interesse artistico, storico, ecc.) e soggettivo (di proprietà dello stato, degli altri enti pubblici e delle persone giuridiche private senza fini di lucro) (comma 1), nonché il regime delle cose prima della verifica (soggezione provvisoria al regime di tutela e comunque inalienabilità) (comma 1; art. 54, comma 2, lett. a), e art. 55, comma 1 e successivamente ad essa. In particolare, qualora sia stato riscontrato l'interesse artistico, storico, ecc. - da rilevare, come esattamente sottolinea la relazione di accompagnamento (p. IV ss.), "senza aggettivazioni" -, si applica in via definitiva la disciplina di tutela, trattandosi di accertati beni culturali, con possibilità di alienazione nei limiti stabiliti dagli artt. 54 ss.; nel caso opposto, la cosa fuoriesce dal regime di tutela e, almeno ai sensi del Codice, va sdemanializzato se demaniale e diventa liberamente alienabile (commi 4-7).

Quanto alle modalità procedurali, merita di essere ricordato che i criteri per la predisposizione degli elenchi e le modalità di redazione delle schede descrittive e di trasmissione di entrambi vanno fissati, per gli immobili dello stato, con decreto del ministero di concerto con l'agenzia del Demanio e, se essi sono in uso al ministero della Difesa, con la competente struttura di questo (comma 3). Sulla base del comma 9 dell'art. 27 del d.l. 269, in larga misura coincidente con tale previsione, è stato assunto un primo decreto in data 6 febbraio 2004. Esso rileva inoltre perché dalla sua pubblicazione sulla G.U. decorre il termine di trenta giorni per la trasmissione, in via di iniziale applicazione dell'art. 27 del d.l. 269, di un primo elenco di immobili dello stato da parte dell'agenzia del Demanio alle soprintendenze regionali (art. 12, comma 10, Codice; art. 27, comma 8, d.l. 269; art. 3, comma 1, d.m. cit.). Onde consentire che gli adempimenti richiesti dalle operazioni di verifica risultino compatibili con le risorse organizzative del ministero, il decreto stabilisce inoltre che "i tempi di trasmissione e la consistenza numerica dei successivi elenchi (...) saranno concordati tra le Amministrazioni firmatarie" (art. 3, comma 2).

Quello che più preme sottolineare sono però taluni aspetti del c.d. silenzio-assenso. Tale meccanismo costituisce una novità in materia di individuazione dei beni culturali. Il d.p.r. 283/2000, pur prevedendo dei termini per la conclusione del procedimento volto ad accertare la presenza o meno dell'interesse culturale (art. 4, commi 2 e 3; art. 19, comma 2), non qualificava il silenzio prestato dall'amministrazione, che pertanto, in base a noti principi, non poteva che valere che come silenzio-inadempimento. In secondo luogo, il meccanismo opera non solo in via di prima applicazione del d.l. 269, ma anche a regime, con l'entrata in vigore del Codice. Nessuna indicazione in senso diverso emerge, infatti, né dall'art. 27 del decreto legge né dall'art. 12 del Codice. In terzo luogo, esso coinvolge (ai sensi del comma 12 dell'art. 27 del d.l. 269 richiamato dall'art. 12, comma 10, in esame) gli immobili non solo dello stato, ma anche degli altri enti pubblici, territoriali e non [2].

Altre due indicazioni richiede la disciplina dell'art. 12. Va ribadito che il suo ambito di applicazione oggettivo si riferisce solo ad alcune categorie di cose di proprietà pubblica (oppure appartenenti a enti privati senza scopo di lucro), ossia a quelle indicate all'art. 10, comma 1. Per altre categorie sempre di proprietà pubblica, menzionate all'art. 10, comma 2 (raccolte di musei, archivi, raccolte librarie, ecc.), non è prevista né la "verifica" ex art. 12 né la "dichiarazione" ex art. 13, comma 1 (così dispone l'art. 13, comma 2, al cui commento si rinvia).

Sempre per le cose indicate all'art. 10, comma 1, le disposizioni dell'art. 12 si applicano "anche qualora i soggetti cui esse appartengono mutino in qualunque modo la loro natura giuridica" (comma 9). La disposizione fa riferimento in particolare ai casi di privatizzazione di enti pubblici, ma può riguardare anche la trasformazione di enti privati non profit in soggetti con finalità di lucro. Essa offre una risposta ad un tema non affrontato dal d.lg. 490/1999 [3].

Per concludere una considerazione. Raramente come nel caso dell'art. 12 si è indotti a temere o all'opposto a sperare - a seconda delle personali opzioni di valore - che non abbia termine l'"incontrollata frenesia con cui l'odierno legislatore (...) ossessivamente disfa e rifà leggi appena fatte, senza dar loro tempo di mettersi a regime né la chance di una ragionevole sperimentazione" [4].

 



Note

[1] Su questi aspetti sia consentito rinviare a G. Sciullo, Commento all'art. 5, a cura di M. Cammelli, in La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali, 2000, 40 ss.; G. Sciullo, I beni, in Il diritto dei beni culturali, a cura di C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo, Bologna, 2003, 34 ss.

[2] Contra su tutti e tre gli aspetti, ma con singolare lettura del dato normativo, M. Torsello, Silenzio-assenso? No problem, in Il Sole 24 ore, 8 febbraio 2004, 37.

[3] G. Sciullo, Commento all'art. 5, cit., 42.

[4] V. Roppo, Il diritto privato regionale: fra nuova legislazione, giurisprudenza vecchia e nuova, e dottrina prossima ventura, in Corr. Giur., 2003, 6.

 



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