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I beni culturali (art. 10)

di Giorgio Pastori


Sommario: 1. Il nuovo assetto delle norme di individuazione dei beni oggetto di tutela. - 2. La tipologia dei beni oggetto di tutela. - 3. Il tipo di interesse inerente ai beni.



1. Il nuovo assetto delle norme di individuazione dei beni oggetto di tutela

L'attuale Codice, diversamente dal Testo unico del 1999, prevede nella sua parte prima alcune disposizioni generali fra cui in particolare l'art. 2 che intende determinare in modo comprensivo e sintetico quali siano i beni costituenti nel loro insieme il patrimonio culturale. Con ciò l'art. 2 unifica quanto indicato analiticamente negli artt. 2, 3 e 4 del precedente T.U. per i beni culturali e negli artt. 138 e 139 per i beni ambientali, ora paesaggistici.

L'indicazione particolareggiata dei beni culturali contenuta nei precedenti artt. 2 e 3 è stata quindi spostata nell'art. 10 in esame e nell'art. 11 in apertura della Parte seconda al fine di determinare l'oggetto e le modalità di tutela previste sui beni stessi.

Con ciò si è eliminato del tutto il previgente art. 10 (intitolato all'"ambito di applicazione") che rappresentava nel T.U. la norma di raccordo fra le norme dedicate alla tipologia e all'individuazione dei beni oggetto di tutela e le norme dedicate a regolare forme e limiti della tutela.

Di per sé l'eliminazione del precedente art. 10 e la fusione in unica norma delle disposizioni sulla tipologia e l'individuazione dei beni e sulle forme e i limiti della tutela non può che essere salutata con favore, per i vantaggi che in termini di semplicità e di immediatezza di dettato essa offre. Ciò consente ora di considerare solo l'attuale art. 10 per individuare i beni oggetto di tutela generale e l'art. 11 per individuare i beni oggetto di forme di tutela specifiche. D'altronde, il nuovo art. 2 rinvia espressamente ai predetti artt. 10 e 11 per l'individuazione dei beni oggetto di tutela e delle forme di tutela relative.

Ciò premesso, occorre rilevare che l'art. 10, come il successivo art. 11, non sembra innovare in modo significativo rispetto al precedente art. 2, quanto meno con riguardo alla tipologia dei beni, mentre, come risulta dal contesto degli articoli successivi, sono maggiormente significative le previsioni circa le modalità di individuazione dei beni stessi. Né d'altronde il nuovo art. 10 sembra sciogliere tutti i nodi interpretativi che il previgente art. 10 del T.U. presentava.

 

2. La tipologia dei beni oggetto di tutela

Come già nella normativa precedente, il dato preliminare da mettere in luce è la distinzione, che emerge dalla stessa struttura dell'art. 10, fra beni culturali di appartenenza pubblica (commi 1 e 2) e beni di appartenenza privata (comma 3): distinzione che sembra anticipata dalle previsioni generali dei commi 2 e 3 dell'art. 1 e si riflette poi sulle modalità di individuazione e di tutela di cui agli articoli successivi.

Il comma 1 tuttavia, nell'individuare in generale quali siano da considerarsi beni culturali ex lege, fa riferimento alle cose mobili e immobili appartenenti allo stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali, ad ogni altro ente ed istituto pubblico nonché a persone giuridiche private senza fine di lucro, che presentano, come già diceva la normativa previgente, interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico (l'art. 2 del T.U. usava per vero il termine demoetnoantropologico, ma non sembra che il termine più ristretto abbia un significato diverso dal precedente).

Il comma 2, nell'aggiungere alla definizione generale del comma 1, come beni culturali ex lege, alla lett. a) le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi (di cui già all'art. 822 cod. civ.), alla lett. b) gli archivi e i singoli documenti e alla lett. c) le raccolte librarie, fa invece riferimento solo all'appartenenza pubblica dei beni omettendo di richiamare al riguardo anche l'appartenenza a persone giuridiche private senza fine di lucro.

A sua volta, il comma 3 dell'articolo, elencando i beni che sono tali in forza dell'apposito provvedimento di dichiarazione, riproduce di massima l'elencazione dei beni di cui ai primi due commi facendo riferimento peraltro nella lett. a) all'appartenenza a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1, alle lett. b) e c) ai soggetti privati, alle lett. d) ed e) a beni a chiunque appartenenti.

Si tratta, come si vede, di formule peraltro tra loro parzialmente diverse che paiono avere una portata corrispondentemente in parte diversa. Nella lett. a) del comma 3 vengono ad essere escluse le persone giuridiche private senza fine di lucro, nelle lett. b) e c) queste paiono invece essere incluse, nelle lett. d) ed e) sembrano essere inclusi anche gli enti pubblici. Il che parrebbe giustificato sul presupposto che le cose di cui alla lett. d) siano qualcosa di diverso dai beni aventi interesse storico come tale e che le collezioni di cui alla lett. e) siano qualcosa di diverso dalle raccolte di cui alla lett. a) del comma 2 (come risulta anche dal fatto che le lett. d) ed e) riproducono le corrispondenti lett. b) e c) dell'art. 2, comma 1, del T.U. del 1999, pur con q ualche significativa variante: la nuova lettera d) fa riferimento infatti anche ai beni mobili e vi ricomprende anche i beni che siano "testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose", mentre la lett. e) riproduce testualmente la predetta lett. c), a sua volta derivata dall'art. 5 della legge 1 giugno 1939, n. 1089 facendo riferimento alle collezioni che per il loro eccezionale interesse sono sottoposte allo speciale vincolo di inscindibilità delle stesse).

La distinzione di fondo basata sull'appartenenza dei beni a cui si ispira la struttura dell'art. 10 sfuma quindi in contorni incerti che sarebbe stato utile meglio precisare, mentre paiono in parte ripetersi i nodi interpretativi delle corrispondenti norme del T.U.

Allo stato della normativa si dovrebbe ritenere che i beni delle persone giuridiche private senza fine di lucro siano equiparati ai beni di appartenenza pubblica solo per quel che concerne le cose aventi interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, e rientrino invece nei beni di appartenenza privata per quel che concerne tutti i restanti beni (elencati alle lett. b) e c) del comma 2 e alle lett. b) e c) del comma 3).

Per contro le cose di cui alle lett. d) ed e) del comma 3, ove considerate diverse da quelle aventi interesse storico o artistico diretto, dovrebbero comprendere anche i beni di appartenenza pubblica.

I commi 4 e 5 infine riproducono con qualche integrazione e modifica le precedenti norme dell'art. 2 del T.U.: il primo specifica meglio quali altre cose siano da considerarsi rientranti fra le cose aventi interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, con l'aggiunta in particolare dei beni elencati dalla lett. g) alla lett. h). Il comma 5 limita la qualità di bene culturale a quelli che non siano opera di autore vivente o la cui esecuzione risalga ad oltre cinquant'anni, salve le forme di tutela di cui agli artt. 64 e 178 cui si rinvia. La stessa limitazione è ripresa poi all'art. 12, comma 1.

 

3. Il tipo di interesse inerente ai beni

La distinzione fra categorie di beni secondo la loro appartenenza soggettiva si rispecchia poi anche se non del tutto perfettamente sulle modalità di tutela relative.

Quanto ai beni di appartenenza pubblica (ed equiparata), la qualità di bene culturale è disposta ex lege, salvo che attraverso l'apposito procedimento di verifica dell'interesse culturale disciplinato dall'art. 12 (e già anticipato dagli artt. 26-27 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 conv. in legge 24 novembre 2003, n. 326) non si riconosca l'inesistenza dell'interesse culturale inerente al bene (limitatamente peraltro, si noti come si desume dal comma 1 del cit. art. 12, soltanto ai beni indicati al comma 1, mentre i beni di appartenenza pubblica di cui al comma 2 restano sottratti alla verifica ivi prevista). Viene fatto cadere invece, come si sottolinea più volte nella relazione accompagnatoria, il meccanismo degli elenchi dichiarativi.

Inversamente, per i beni di appartenenza privata (con le avvertenze già richiamate) si conferma che la qualità di bene culturale è acquisita con la dichiarazione già disciplinata dagli artt. 6 ss. del T.U. e oggi dall'art. 13 del Codice.

La distinzione dei beni secondo l'appartenenza si riflette anche sul piano sostanziale secondo un criterio di discriminazione già presente nella legislazione previgente. Mentre per i beni di appartenenza pubblica si deve "verificare" solo la presenza di un semplice interesse culturale sotto i diversi profili indicati, nel caso dei beni di appartenenza privata si fa riferimento sempre a un interesse di grado maggiormente elevato, indicato con varie denominazione come "particolarmente importante" o come "eccezionale", sebbene poi il comma 4 nel riferirsi anche ai beni di appartenenza privata di cui al comma 3 lett. a) si limiti a parlare di interesse non qualificato o al più a caratteri di rarità e di pregio dei singoli beni.

Ne emerge in ogni caso una notevole differenziazione a seconda dell'appartenenza del bene nell'intensità dell'interesse richiesto per farne oggetto di tutela.

Il che sembra impedire una considerazione unitaria dei beni culturali da un punto di vista oggettivo, dal punto vista della loro inerenza a un interesse culturale sussistente in misura eguale a prescindere dall'appartenenza soggettiva, e sembra riflettere invece la diversa intensità delle modalità di tutela e di valorizzazione che lo stesso art. 1 sembra evocare distinguendo il diverso ruolo dei soggetti pubblici e privati al riguardo.

 

 



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