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Lo "spettacolo dal vivo":
le scelte e le difficoltà dell'esperienza francese

di Marco Brocca



La scelta di riflettere sulle figure professionali operanti nel campo dello spettacolo in Francia e sul relativo regime autorizzatorio è stata occasionata dalle recenti vicende (festival nazionali annullati, manifestazioni di piazza di artisti e tecnici, ecc.) che hanno interessato questo settore, che del resto è in gran "fermento" anche in Italia (si pensi allo sciopero di metà luglio dei doppiatori cinematografici per rivendicazioni simili a quelle francesi; ovvero sul piano strettamente normativo alla legge 17 aprile 2003, n. 82 di conversione del decreto legge 18 febbraio 2003, n. 24 sul riparto delle quote del Fus, nonché alla legge delega per il riassetto in materia di "teatro, musica, danza e altre forme di spettacolo dal vivo" ex art. 10, c. 1, lett. c) legge 6 luglio 2002, n. 137 - in attuazione della quale in data 28 agosto 2003 il governo ha adottato uno schema di decreto legislativo di riordino e coordinamento delle disposizioni in materia di spettacolo cinematografico - e ai numerosi disegni di legge per una disciplina organica di cui il settore lamenta ancora l'assenza).

In un settore, infatti, a forte mobilità professionale, dove il numero dei lavoratori con contratto a termine, impiegati per singoli spettacoli, è di gran lunga superiore a quello dei titolari di contratti a tempo indeterminato e dove al contempo è sensibile l'esigenza di elevati standard di capacità professionale, il tema delle "modalità di accesso" e quello delle "tutele sociali" e, più in generale delle forme di sostegno e promozione pubblica (e del raccordo di queste con le iniziative private) sono fortemente avvertiti.

Come si vedrà, in Francia l'intervento pubblico assume forme molteplici: dall'"ingerenza" autorizzatoria per l'esercizio delle attività di spettacolo ad un regime speciale di "sussidi di disoccupazione" per i lavoratori precari.

Nell'ordinamento francese la materia dello spettacolo è disciplinata da un testo normativo testo normativo (ordonnance n. 45-2339 del 13 ottobre 1945), che per oltre cinquanta anni, nonostante la vivacità di un settore culturale in costante evoluzione, non ha conosciuto significative modifiche e che per questo è apparso ben presto inadeguato in diverse sue parti, finché il legislatore è intervenuto, apportandovi profonde innovazioni nel 1999 (loi n. 99-119 del 18 marzo 1999); questa legge di riforma rappresenta l'esito di una volontà politica diffusa e ben consolidata, uscita indenne dai cambiamenti di maggioranza parlamentare e riflette le sollecitazioni degli operatori del settore, espresse in seno al consiglio nazionale delle professioni dello spettacolo, interessato da una concertazione approfondita in fase di elaborazione delle norme.

Si ritiene utile far precedere all'esame della disciplina attuale un sintetico inquadramento dell'impianto normativo originario, con particolare attenzione all'assetto dei titoli autorizzatori per l'esercizio di attività professionali nel settore.

L'ordinanza distingueva sei categorie di attività di spettacolo: 1) i teatri nazionali; 2) gli altri teatri stabili; 3) le tournée teatrali; 4) i concerti; 5) altre forme di spettacolo (marionette, cabaret artistici, caffè-concerti, music-halls, circo); 6) gli spettacoli da fiera, le esibizioni di canto e danza in luoghi pubblici e gli "spettacoli di curiosità".

Come si vede, non è rinvenibile un criterio identificatore univoco, come il genere artistico, la natura dell'attività o le modalità esecutive. Alcune categorie si basano infatti sul genere artistico (es. i concerti), ricomprendendovi sia la gestione dei luoghi di rappresentazione che la produzione degli spettacoli; altre fanno riferimento ai luoghi di spettacolo, a prescindere dal genere artistico praticato (es. teatri di marionette, cabaret, ecc.), mentre l'ultima categoria riunisce attività alquanto eterogenee, difficilmente accomunabili.

L'esercizio di tali attività è subordinata al rilascio di un'autorizzazione amministrativa (licence) specifica per ogni categoria di attività, di competenza del ministro della cultura, previa consultazione di una commissione nazionale ad hoc, per le attività di cui alla seconda e quarta categoria, e del prefetto dipartimentale, previa consultazione di apposita commissione regionale, negli altri casi.

Il connesso controllo amministrativo verteva sulla verifica di determinate condizioni, in particolare, di buona moralità e competenza professionale.

L'ingerenza pubblica in un settore tradizionalmente "libero", in cui, per principio, "la libertà è la regola", si giustificava con molteplici motivazioni: dall'esigenza di esercitare funzioni di polizia a difesa dell'ordine pubblico e della moralità, a quella di garantire un riconoscimento formale "di categoria" e dunque una visibilità maggiore dei professionisti rispetto agli organizzatori occasionali di spettacoli, dalla volontà di favorire la professionalizzazione degli operatori del settore, a quella di controllare il rispetto della legislazione sociale, a quella velata di protezionismo, dimostrata dalla condizione della nazionalità francese tra i requisiti abilitanti.

Il mantenimento del regime autorizzatorio nella legge di riforma del 1999 conferma la ratio di ravvisare nella licenza uno strumento di riconoscimento di una specifica categoria professionale e quindi un fattore di unità e identità in un settore che ha conosciuto una notevole evoluzione.

Depurato dalle implicazioni ideologiche più stantie (polizia degli spettacoli e protezionismo), il testo che risulta dalla riforma del 1999 dimostra di perseguire l'obiettivo di attualizzare le disposizioni del '45, razionalizzando il quadro delle figure professionali, semplificando le procedure amministrative, rafforzando i controlli e l'apparato sanzionatorio.

Le precedenti sei categorie di attività sottoposte a regime autorizzatorio sono ridotte, infatti, a tre, corrispondenti alle principali occupazioni che concorrono all'organizzazione di uno spettacolo, dalla sua produzione alla presentazione al pubblico: 1) gestori di luoghi di spettacolo adibiti a rappresentazione pubblica (gestori di teatro); 2) produttori di spettacoli e organizzatori di tournée che provvedono ad assumere gli artisti (produttori di spettacolo); 3) distributori di spettacoli che non hanno l'obbligo di assumere gli artisti, trattandosi di pacchetti già confezionati (distributori).

Rispetto alla normativa precedente risalta, in particolare, la predisposizione di un regime giuridico uniforme applicabile a tutti gli operatori del settore, siano essi pubblici o privati (ivi compresi dunque i teatri nazionali, esclusi per espressa previsione normativa dal campo di applicazione dell'ordinanza del 1945 e gli enti pubblici territoriali che gestiscono direttamente luoghi di spettacolo, esclusi anch'essi secondo la lettura giurisprudenziale).

Inoltre la legge del 1999 esordisce con la definizione dell'oggetto di disciplina, ossia gli "spectacles vivants", non definiti invece dall'ordinanza del 1945 se non in negativo, escludendo dall'ambito di applicazione gli spettacoli cinematografici e audiovisivi. La definizione si basa su due criteri: la rappresentazione in pubblico di un'"oeuvre de l'esprit" (definita dall'art. l.112-2 del codice della proprietà intellettuale) e la presenza di almeno un artista di spettacolo (definito dall'art. l.762-1 del codice del lavoro) retribuito.

Rileva, inoltre, l'emersione della figura del distributore, spesso trait d'union tra produttore e gestore di teatro, ignorato dall'ordinanza del 1945 e perciò de facto escluso dal suo ambito di applicazione: si tratta di colui che fornisce al produttore un luogo per spettacoli unitamente al personale tecnico necessario per i servizi di biglietteria, accoglienza e sicurezza, assicurando eventualmente anche la promozione pubblicitaria dello spettacolo; posto che spesso il produttore assume anche il personale tecnico, non è questo il criterio discretivo tra distributore e produttore, ma essenzialmente l'assunzione degli artisti di spettacolo.

Importante è anche la definizione di produttore di spettacoli, come datore di lavoro (employeur) degli attori di spettacolo, in relazione alla questione della responsabilità in ordine al pagamento dei salari e all'assolvimento degli oneri sociali degli artisti.

Quanto poi ai gestori di luoghi di spettacolo non c'è alcuna specificazione su tali luoghi e pertanto il riferimento è da ritenere in senso ampio, non limitato dunque alle sale da spettacolo tradizionali (teatri, sale per concerti, ecc.), ma esteso a strutture non predisposte a rappresentazione di spettacoli, come campi sportivi, luoghi sacri, aree archeologiche.

Ulteriori interventi in chiave semplificatrice riguardano l'abrogazione della distinzione tra licenze temporanee e definitive e di quella tra licenza valevole per Parigi e per la provincia, nonché della limitazione dell'autorizzazione ad una sola attività: la nuova licenza può riguardare infatti più categorie di attività, ha una durata triennale, è conseguibile e rinnovabile anche per silenzio assenso, il suo rilascio, di competenza prefettizia, è subordinato ad una valutazione di condizioni relative alla competenza e esperienza professionale (scompare la condizione di moralità, a contenuto altamente opinabile, "rimpiazzata" dalla previsione di diniego della licenza in caso di sentenza che importa l'interdizione da un'attività commerciale) ed è prevista la sua revoca in caso di violazione delle disposizioni dell'ordinanza o di diritto del lavoro, della sicurezza sociale o di protezione della proprietà intellettuale e artistica.

Per quanto concerne le condizioni personali e professionali per l'esercizio delle attività di spettacolo e le modalità del procedimento autorizzatorio, la legge rinvia ad un apposito decreto del governo, previa consultazione del Consiglio di Stato, che è stato adottato il 29 giugno 2000 (décret n. 2000-609).

La riforma del 1999 ha riguardato anche la disciplina degli spettacoli occasionali, per la cui organizzazione non occorre alcun atto di assenso amministrativo: dalla differenziazione del 1945 in due categorie - spettacoli occasionali e teatri d'essai - si passa ad un regime unificato di esenzione dall'autorizzazione delle attività di spettacolo, quando di esse la principale non ha per oggetto la produzione, l'organizzazione o la distribuzione di spettacoli, non superino il limite di sei rappresentazioni annue e siano precedute da una dichiarazione all'autorità prefettizia.

Si evidenzia anche la previsione di un regime specifico per gli operatori stranieri; in particolare per quelli provenienti da Paesi dell'Ue, non occorre ottenere la licenza, ma è sufficiente produrre un titolo autorizzatorio rilasciato da autorità del Paese di provenienza, sulla cui equivalenza deciderà comunque il ministro della cultura francese.

E' riconfermata anche la possibilità per gli enti pubblici, territoriali e non, di sovvenzionare le attività di spettacolo, quale che sia la forma giuridica dell'operatore, dunque anche le società commerciali, costituendo questo un esempio di applicazione della disposizione del code général des collectivités territoriales, che ammette sovvenzioni pubbliche a società commerciali solo in ipotesi tassative. Il provvedimento con il quale l'amministrazione pubblica accorda la sovvenzione è accompagnato da un atto convenzionale che contiene la disciplina dei rapporti tra l'ente stesso e il privato.

Un successivo decreto governativo (décret n. 2000-1 del 4 gennaio 2000) ha introdotto, a partire dal 2000 e sino al 2004, uno specifico tributo sugli spettacoli pubblici per finanziare azioni di sostegno a favore delle rappresentazioni distinte in due categorie: arte drammatica, lirica e coreografica da un lato e varietà dall'altro.

Quello dei finanziamenti pubblici e più in generale delle politiche di sostegno al settore dello spettacolo dal vivo è tornato ad essere negli ultimi tempi un tema di stretta attualità, destinato a divenire oggetto di un dibattito nazionale, aperto alle diverse voci del settore, come è nelle intenzioni del governo francese (si veda al riguardo la comunicazione presentata dal ministro della cultura e dell'informazione Aillagon al consiglio dei ministri del 31 luglio 2003).

Questo rinnovato impegno governativo è anche una risposta alle recenti vicende che hanno interessato il settore in questione, sfociate nell'annullamento della maggior parte dei festival pubblici (come quelli di Avignon, La Rochelle, Aix-en-Provence), in scioperi e dimostrazioni di piazza da parte dei lavoratori dello spettacolo, in particolare degli intermittents du spectacle, attori, registi, tecnici, musicisti senza contratti fissi.

Motivo della protesta è il protocollo d'intesa firmato il 26 giugno scorso da diverse associazioni sindacali, di riforma del regime speciale dei sussidi di disoccupazione di cui godono oggi i lavoratori dello spettacolo.

Creato nel 1969 per rimediare alla scarsa stabilità economica inevitabilmente connessa con le professioni dello spettacolo, spesso a carattere stagionale e precario, e per sostenere in questo modo le iniziative artistiche, questo regime speciale prevede un'indennità per gli artisti e i tecnici che abbiano lavorato almeno 507 ore all'anno.

L'accordo raggiunto in senso all'Unedic, il comitato paritetico nazionale delle confederazioni nazionali dei datori di lavoro e lavoratori che gestisce il sistema di assicurazione contro la disoccupazione, prevede la riduzione della durata del sussidio (da 12 a 8 mesi) e regole più restrittive per l'attribuzione di esso (la quota di 507 ore non cambia, ma il periodo di riferimento non è più di un anno, ma di 10,5 mesi per gli artisti e 10 mesi per i tecnici).

Lo stato di deficit finanziario in cui versa il regime degli intermittents du spectacle, attestato dalla Corte dei conti su una somma pari a 828 milioni di euro per il 2002 (in un contesto congiunturale, del resto, negativo, di forte contrazione dei finanziamenti pubblici anche per lo spettacolo) e la constatazione che esso si presta ad un utilizzo distorto (nella pratica esteso per i suoi vantaggi anche ad attività solo indirettamente connesse con lo spettacolo ovvero ad impieghi stabili) ne avevano anche suggerito la soppressione.

E' importante pertanto che l'accordo del 26 giugno abbia mantenuto e consolidato tale regime speciale, nel quadro di un sistema di solidarietà sociale che nel settore dello spettacolo rimane significativo.

A fronte delle modifiche in senso restrittivo delle condizioni di accesso e applicative del regime speciale, si segnala l'impegno del governo su un triplice versante (si veda il resoconto del consiglio dei ministri del 31 luglio); oltre alla già citata promozione per l'autunno di un dibattito nazionale sulle politiche pubbliche inerenti allo spettacolo, è previsto l'obiettivo di contrastare gli abusi nell'utilizzo dell'intermittance (mediante, tra le misure previste, il rafforzamento del sistema di ispezione del lavoro e di riscossione dei contributi sociali, la creazione di uno sportello unico anche per i lavoratori occasionali, l'istituzione di una commissione consultiva in seno al consiglio nazionale delle professioni dello spettacolo) e il varo di un piano di azione per lo sviluppo del settore, che prevede, tra l'altro, il coinvolgimento concertativo degli enti territoriali.

Nuovi provvedimenti normativi si intravedono quindi all'orizzonte.

 


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