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Beni culturali e ambiente nelle scelte della regione Sicilia [*]

di Maria Immordino


Sommario: 1. Introduzione e delimitazione del tema. - 2. La nozione costituzionale di bene culturale. - 3. La tutela dei beni paesaggistici e ambientali nel nuovo art. 117 della Costituzione. - 4. La distribuzione delle competenze legislative e amministrative tra i differenti livelli istituzionali. - 5. Forme e condizioni di autonomia più favorevoli per la Sicilia in materia di beni culturali e paesaggio. Il limite delle riforme economico-sociali. - 6. La legislazione regionale in materia di beni culturali e ambientali.



1. Introduzione e delimitazione del tema

Un discorso giuridico su beni culturali e ambiente in Sicilia, in una prospettiva di compatibilità della relativa disciplina di tutela e di valorizzazione con le esigenze di sviluppo economico-sociale della regione, non può oggi prescindere da un preventivo, e sia pure sintetico, esame di quelle disposizioni che nell'ambito del nuovo Titolo V della Costituzione hanno ad oggetto specifico la disciplina dei beni culturali e delle attività culturali, dei beni ambientali e dell'ambiente.

E ciò al fine di verificare l'incidenza che le significative innovazioni introdotte con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 nelle materie in oggetto possono esercitare sulle forme e condizioni di autonomia della nostra regione.

Esame, del resto, imposto dall'art. 10 della stessa legge di riforma costituzionale laddove, al fine di evitare che le regioni a regime differenziato si trovassero in qualche ambito materiale, nell'immediato dell'entrata in vigore della l. cost. 3/2001 e nelle more della revisione dei loro statuti, in una situazione di minore competenza rispetto alle regioni ordinarie, ha previsto l'applicazione alle regioni speciali di quelle forme e condizioni di autonomia risultanti dalla riforma, ove le stesse fossero più ampie rispetto a quelle già riconosciute dagli statuti speciali.

Il che presuppone necessariamente la preventiva individuazione di dette forme e condizioni di autonomia al fine di verificarne il grado di ampiezza rispetto alle previsioni dello Statuto siciliano nelle suddette. Individuazione che si lega, a sua volta, da un lato alla delimitazione dei confini delle nozioni costituzionali di beni culturali, attività culturali, ambiente e beni ambientali, nonché delle nozioni di tutela e di valorizzazione, e ciò per gli effetti che sulla sfera delle competenze riconosciute alle regioni possono discendere dall'accoglimento di una nozione piuttosto che di un'altra; dall'altro richiede anche un confronto fra i limiti cui soggiace la nuova potestà legislativa residuale delle regioni comuni, che è stata concordemente qualificata come competenza piena, ed i limiti che incontra la potestà esclusiva, che è quella alla quale si riconducono le materie di cui sopra, della regione siciliana. Il confronto concerne, in particolare, il limite delle norme statali sui livelli essenziali e il limite delle norme fondamentali delle riforme economico sociali.

Verifica, questa, che postula anche una preventiva delimitazione del tema della relazione stessa con riferimento, in particolare, alla nozione di ambiente.

Dell'ambiente il quale, pur costituendo un "valore ... espressione di un principio fondamentale unitario dell'ambito territoriale in cui si svolge la vita dell'uomo ..." [1], viene colto dall'ordinamento in una pluralità di manifestazioni, ciascuna delle quali può costituire oggetto di cura e di tutela specifica da parte di tutte le articolazioni della Repubblica prenderò in considerazione solo il paesaggio, cioè quella categoria di bene ambientale che si caratterizza per il riferimento estetico-culturale connesso alla "forma" del territorio. E cioè a quella parte di esso che secondo la valutazione del legislatore esprime "valore", esprime, cioè, una qualità strutturale che è appunto la qualità estetico-culturale.

Scelta, questa, dettata dall'esistenza di problematiche connesse alla materia ambiente che richiederebbero un approfondimento che in questa sede non è possibile. Si pensi, per fare un esempio, a quelle relative alla configurabilità o meno di una concezione giuridica unitaria della tutela ambientale. Problema che non sembra avere trovato una soluzione neppure a seguito della riforma costituzionale che all'art. 117, comma 2, lett. s) espressamente menziona, tra le materie di competenza esclusiva dello Stato, anche la tutela dell'ambiente [2].

Scelta, per certi versi, imposta dalla dimensione culturale dei beni paesaggistico-ambientali che ne consente, sia pure con qualche difficoltà dovuta alla differenza dei relativi regimi, una trattazione unitaria con i beni culturali. Dimensione che emersa nella relazione Franceschini costituisce ormai un dato acquisito della nostra esperienza giuridica. La legge 8 agosto 1985, n. 431, conosciuta meglio come legge Galasso ha, come si ricorderà, assoggettato a vincolo paesaggistico-ambientale, un gruppo disomogeneo di beni individuati per categorie, ai quali ha riconosciuto valore culturale, cioè attitudine a soddisfare esigenze spirituali e culturali [3].

Dimensione culturale dei beni paesaggistico-ambientali che emerge, del resto, dall'art. 9, comma 2, della Costituzione che affida alla Repubblica la tutela del paesaggio, il quale come "forma" visibile del territorio costituisce "testimonianza" delle civiltà succedutesi nel tempo e nello spazio e in questa prospettiva manifesta in senso dinamico il rapporto che storicamente si determina tra corpo sociale e territorio. Di guisa che la tutela costituzionale dei beni ambientali, in una accezione ampia e quindi non soltanto come mera conservazione o salvaguardia ma anche come valorizzazione, è funzionale a quell'obiettivo di "promozione" dello sviluppo della cultura, intesa come imprescindibile condizione evolutiva della società civile, perseguito dal comma 1 dello stesso articolo 9, alla cui luce, pertanto, deve oggi essere letto il nuovo articolo 117 della Costituzione.

Dimensione culturale, è appena il caso di sottolineare, che non è stata smentita dalla scelta del legislatore costituzionale di considerare separatamente i beni ambientali ed i beni culturali. Scelta con la quale il legislatore non sembra volere escludere la valenza culturale dei beni ambientali, e quindi esprimere una presa di posizione circa la non riconducibilità dei beni ambientali nella più generale categoria dei beni culturali, ma si limita semplicemente a prendere atto delle difficoltà inerenti ad una trattazione unitaria delle due categorie di beni, difficoltà discendenti dal fatto che le relative discipline giuridiche presentano rilevanti differenze, così come differenti sono le problematiche connesse all'una o all'altra categoria.

 

2. La nozione costituzionale di bene culturale

Incominciamo dalla nozione che di bene culturale è stata accolta nel nuovo art. 117 della Costituzione.

Sulla nozione costituzionale di bene culturale il dibattito è contrassegnato da dispute e contrapposizioni per gli effetti che sulla sfera delle competenze riconosciute alle regioni possono discendere dall'accoglimento di una nozione più o meno ampia. Dispute e contraddizioni dovute anche alla necessità di dare contenuti certi alle nozioni di tutela e di valorizzazione al fine anche di stabilirne oltre ai confini reciproci, anche i confini, se esistono, con la nozione di gestione.

L'espressione bene culturale non compare nella Costituzione del 1948, né all'art. 9, che pure dedica alla materia disposizioni sulla cui base la Corte costituzionale è poi pervenuta all'affermazione del carattere primario della tutela costituzionale del patrimonio storico e artistico della nazione; né all'art. 117, tra le materie attribuite alla potestà legislativa concorrente delle regioni. Utilizzata, a partire dai primi anni 50 in documenti pattizi di diritto internazionale, l'espressione è penetrata prima negli statuti delle regioni ordinarie e successivamente nella legislazione di settore (si pensi alla legge istitutiva del ministero dei Beni culturali e ambientali), senza che tuttavia venisse in quelle sedi data una nozione di bene culturale. Né, la generalità e l'indeterminatezza dei concetti utilizzati dalla legge 1 giugno 1939, n. 1089, per individuare gli interessi dei quali le "cose" elencate devono essere espressione ai fini della loro sottoposizione alla particolare disciplina vincolistica in essa legge prevista, consentivano di estrapolare dalla stessa una nozione compiuta di bene culturale.

Una nozione di bene culturale si ricavava, invece, da un atto non legislativo e segnatamente da una delle dichiarazioni, la I, enucleate nella relazione con la quale la Commissione Franceschini, nominata nel '64 per fare proposte sulla tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico della nazione, concluse i propri lavori. In quella sede, superando quella concezione estetica e meramente elitaria delle cose oggetto di tutela, concezione che discendeva da una lettura riduttiva della legge del '39, vennero date nozioni molto ampie sia di patrimonio culturale della nazione, al quale si ricondussero "tutti i beni aventi riferimento alla storia della civiltà", sia di bene culturale, intendendosi come tale, ai fini del suo assoggettamento alla disciplina vincolistica, oltre ai beni d'interesse storico, artistico, archeologico, storico, ambientale, paesaggistico, archivistico e librario, anche "ogni altro bene che costituisca testimonianza materiale avente valore di civiltà". Una nozione, quindi, aperta di bene culturale, che pone l'accento non sul pregio estetico o artistico del bene, ma sul fatto di costituire lo stesso "testimonianza", e quindi "entità rappresentativa di momenti di una civiltà nel suo essere storia" [4].

Nozione, questa, di bene culturale, che non si contrappone, né sembra contraddire quella ricavabile dalle definizioni contenute nella legge del 1939, e ciò in quanto, come è stato detto, la stessa "riassume in una formula unitaria e più elastica le precedenti nozioni legislative" [5]. Ed invero il contenuto "onnicomprensivo" di alcune delle espressioni contenute nella l. 1089/1939 ne ha consentito nel tempo un'interpretazione evolutiva, cosicché è stato possibile ricondurre, soprattutto a partire dagli anni '70, alle sue disposizioni anche quelle nuove categorie di beni che la coscienza civile considerava meritevoli di tutela in quanto beni culturali.

L'introduzione di una nozione normativa di bene culturale si deve al legislatore delegato, che in occasione delle deleghe di attuazione della legge 15 marzo 1997, n. 59, ha dato una nozione sintetica di bene culturale, intendendo come tali "quelli che compongono il patrimonio storico, artistico, monumentale, demo-etno-antropologico, archeologico, archivistico e librario e gli altri che costituiscono testimonianza avente valore di civiltà così individuati in base alla legge" (art. 148 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112) [6].

Manca in questa definizione qualsiasi riferimento alla datazione ed alla materialità del bene culturale che, diversamente, ricorreva nella formulazione della Commissione Franceschini, cui l'art. 148 chiaramente si ispira. Circostanza, questa, che si spiega con il fatto che mentre nella formulazione Franceschini la nozione serviva ad individuare categorie di beni assoggettate al particolare regime di tutela vincolistica, diversamente, nell'art. 148 del d.lg. 112/1998, la nozione serve ad individuare un ambito materiale di interesse pubblico, e segnatamente la sfera delle attribuzioni dei differenti soggetti istituzionali cui è imputata la cura di interessi pubblici nel settore dei beni culturali [7].

L'ampiezza della definizione di bene culturale data dal legislatore delegato del 1998 non è senza effetti. In linea infatti con quella funzione sociale che si riconosce ormai concordemente al bene culturale, come strumento di elevazione culturale per la società, essa consente l'inclusione nella nozione stessa, accanto ai beni ricavabili dalle definizioni contenute nella legge del '39 (evolutivamente interpretata) anche di ulteriori categorie di beni. E segnatamente sia di quei beni che sono privi di un supporto materiale, mi riferisco ai cosiddetti "beni culturali-attività", quali le tradizioni popolari o folkloristiche (costumi, riti, feste, cibi, attività commerciali tradizionali, artigianato, ecc.), che al pari dei beni dotati di un supporto materiale ben possono costituire testimonianza della storia e della civiltà del Paese [8], sia dei beni dell'arte e dell'architettura contemporanea [9].

Con un ulteriore effetto. L'ampliamento dello spazio di intervento regionale. E ciò in quanto entrambe le tipologie di beni, proprio perché prive del connotato della storicità o della materialità, non possono essere sottoposte alla tutela vincolistica di cui alla legge del 1939. Il che significa che esulano dall'ambito di operatività della funzione di tutela riservata allo Stato per essere attratte in quello della valorizzazione di competenza concorrente.

La sottoposizione a vincolo dei beni culturali contemporanei sarebbe, infatti, in contrasto oltre che con la garanzia di diritti costituzionalmente garantiti, quali la libertà di lavoro (art. 4) e la libertà dell'arte (art. 33), anche con l'interesse pubblico di settore che nel caso di specie è costituito dalla più ampia diffusione e valorizzazione della creatività artistica nel nostro Paese. Obiettivo perseguibile solo attraverso interventi volti a favorire la circolazione e la commercializzazione degli stessi [10].

Quanto poi ai beni culturali-attività, dei quali esempio sono gli esercizi commerciali ed artigianali aperti al pubblico che hanno valore storico, artistico, ambientale e la cui attività costituisce testimonianza storica, culturale, tradizionale, non c'è dubbio che nei loro confronti più che una politica vincolistica occorre una politica di finanziamenti per la loro valorizzazione e per il sostegno delle spese connesse all'aumento dei canoni di locazione. In questa direzione incomincia a muoversi, del resto, la legislazione regionale, con l'autorevole avallo dalla Corte costituzionale [11].

Quanto detto spiega anche la scelta successivamente compiuta dal legislatore in sede di redazione del Testo unico in materia di beni culturali e ambientali (decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 di non accogliere l'ampia definizione di bene culturale contenuta nell'art. 148 del d.lg. 112/1998, ma di configurare come beni culturali tutte le "cose" che già costituivano oggetto della tutela ai sensi della legislazione precedente (l. 1089/1939; decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, n. 1409), sottolineandone anzi l'esigenza della materialità del relativo supporto, e la storicità [12]. Solo in base ad una apposita disposizione di legge (art. 4) beni costituenti "testimonianza avente valore di civiltà", diversi, pertanto, da quelli individuabili in applicazione delle definizioni tradizionali di cui agli artt. 2 e 3, possono essere ricondotti alla disciplina del Testo unico. Con l'avvertenza che per tali categorie di beni culturali, privi cioè del carattere della realità, la disciplina di protezione non può essere quella tipica delle limitazioni autoritative al diritto di proprietà, ma deve basarsi, come si è prima detto, su interventi di valorizzazione.

A fronte di queste due differenti nozioni di bene culturale accolte dall'art. 148 del d.lg. 112/1998, e dal Testo unico, qual è la nozione accolta agli artt. 117 e 118 del nuovo testo della parte V della Costituzione?

Poiché canone di ermeneutica fondamentale è che l'interpretazione di una norma avvenga alla luce del sistema in cui vive ed opera, e non di quello nel cui contesto è stata emanata, detta nozione non può che essere quella ampia che emerge dall'art. 148 del d.lg. 112/1998, dal decreto istitutivo del nuovo ministero (decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, nonché dal Testo unico dove, a livello sia pure solo definitorio, la nozione ampia di bene culturale, come "testimonianza avente valore di civiltà" sembra comunque essere stata accolta.

Detta interpretazione, che consente la riconduzione alla nozione di bene culturale anche dei beni culturali-attività e dei beni dell'arte contemporanea, non conduce, comunque, ad una compressione delle sfere delle competenze sia regionali sia degli enti locali. E ciò in quanto, come si è prima detto, per questi beni gli interventi pubblici con essi compatibili più che interventi di tipo vincolistico (che costituiscono il nucleo centrale della funzione di tutela riservata allo Stato) sono interventi di valorizzazione, interventi riservati alla competenza legislativa concorrente delle regioni stesse, ed alla competenza amministrativa dei livelli istituzionali più decentrati, in forza del principio di sussidiarietà che regge la materia.

Né, va ancora sottolineato, questa nozione di bene culturale si pone in contrasto con quella di patrimonio storico e artistico della nazione di cui all'art. 9, comma 2, della Costituzione. Se e nella misura in cui si assegna alla suddetta disposizione una portata evolutiva, portata che discende da una interpretazione della stessa alla luce dei principi che informano la legislazione attualmente vigente [13].

 

3. La tutela dei beni paesaggistici e ambientali nel nuovo art. 117 della Costituzione

Al riguardo occorre subito precisare che l'art. 117 della Costituzione riformata mentre riserva alla competenza esclusiva dello Stato la "tutela dell'ambiente e dell'ecosistema" (comma 2, lett. s) e attribuisce alla competenza concorrente delle regioni la "valorizzazione dei beni ambientali" e il "governo del territorio" (comma 3), non menziona né la "tutela dei beni ambientali", né la "tutela del paesaggio". Sicché si pone il problema di verificare se i "beni paesaggistico-ambientali" possano farsi rientrare o meno nella nozione di "tutela dell'ambiente".

La risposta sembra dovere essere affermativa. Considerato infatti che non sembra possibile ricondurre la "tutela dei beni paesaggistico-ambientali" né alla materia "valorizzazione dei beni ambientali", né alla materia "tutela dei beni culturali", nonostante la valenza culturale dei beni paesaggistico-ambientali. E ciò per il fatto che il legislatore, da un lato, ha avuto ben chiara la differenza, non solo semantica, ma anche di contenuti, tra le funzioni di tutela e quelle di valorizzazione, dall'altro ha considerato separatamente i beni ambientali ed i beni culturali [14].

Né, d'altra parte, sembra possibile considerare, come pure si è suggerito, la materia della tutela dei beni paesaggistico-ambientali riservata, in quanto non menzionata, alla esclusiva competenza regionale.

Questa interpretazione, al di la di ogni altra considerazione, sarebbe infatti anche palesemente in contrasto con un altro articolo della stessa Costituzione, l'art. 9, alla cui luce va interpretato il successivo art. 117, il quale impegna la Repubblica, e quindi tutti i soggetti dell'ordinamento, alla tutela del paesaggio.

Se così è, allora, la tutela dei beni paesaggistico-ambientali non può che ricondursi alla più generale materia "tutela dell'ambiente", inclusa, come detto prima, tra le materie riservate alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. A conferma del sistema precedente dove la tutela del paesaggio - nell'accezione di "forma e aspetto" dell'ambiente, e quindi come espressione della struttura geografica del territorio nazionale con una connotazione storicistica - era stata accolta oltre che dalla dottrina prevalente, anche dalla giurisprudenza costituzionale e dal legislatore, sia statale che regionale. Ed a conferma di un sistema in cui, a fronte di un quadro costituzionale per molti versi incerto, la Corte costituzionale, sul presupposto della primarietà dell'interesse paesaggistico-ambientale, aveva avallato interventi legislativi (si pensi, in particolare, alla l. 431/1985) che, derogando alla rigidità della ripartizione tra competenze statali e competenze regionali, si muovevano su una linea di riassorbimento in capo allo Stato di funzioni in precedenza delegate o attribuite alle regioni.

Ma la riconduzione della tutela dei beni paesaggistico-ambientali nell'alveo della "tutela dell'ambiente" non esclude, va sottolineato, una competenza regionale in punto di tutela del paesaggio. Interpretazione, questa che, ove accolta, riproporrebbe, invero, quel contrasto, di cui si è prima detto, con l'art. 9 Cost., questa volta a favore delle regioni.

Interpretazione, comunque, ormai definitivamente esclusa dalla Corte costituzionale, per la quale la "tutela dell'ambiente" costituisce una delle voci riconducibili alla categoria delle "materie-scopo", materie che si caratterizzano per la "trasversalità" degli interventi su oggetti diversi, con l'obiettivo di raggiungere un "fine" costituzionalmente garantito [15]. Come "valore", pertanto, la tutela dell'ambiente, e di conseguenza del paesaggio, non spetta alla competenza esclusiva dello Stato, ma anche a soggetti istituzionali diversi. Il che, sempre secondo la Corte, troverebbe conferma sia nei lavori preparatori relativi alla lett. s) comma 2 del nuovo art. 117, dai quali emerge l'intenzione del legislatore di riservare allo Stato il potere di fissare standards di tutela uniformi per l'intero territorio nazionale, mantenendo in capo alle regioni il potere di intervento per la soddisfazione di esigenze ulteriori, individuate in alcune voci di competenza concorrente (tutela della salute, governo del territorio, ecc.) rispetto a quelle di carattere unitario di competenza statale; sia dalla stessa giurisprudenza della Corte che già prima della riforma costituzionale configurava l'ambiente-paesaggio come "valore" alla cui tutela la Costituzione impegna tutte le articolazioni della Repubblica, nell'ambito delle loro rispettive competenze [16].

 

4. La distribuzione delle competenze legislative e amministrative tra i differenti livelli istituzionali

La materia dei beni culturali così come quella dei beni ambientali, con riferimento alla potestà legislativa, a conferma della "vocazione alla specialità" che le contraddistingue [17], sono state suddivise in due sottomaterie delle quali l'una, quella concernente la "tutela", è stata riservata alla legislazione esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2), sia pure con possibilità per le regioni ordinarie di ottenere, ai sensi del nuovo art. 116, "ulteriori forme e condizioni di autonomia"; l'altra, quella relativa alla "valorizzazione", è stata attribuita alla potestà legislativa concorrente delle regioni, nell'ambito, cioè, dei principi fondamentali posti dalla legislazione statale. Con possibilità, anche in questo caso, di una attenuazione del vincolo dei principi fondamentali.

Per quanto concerne le funzioni regolamentare ed amministrativa, valgono sia nell'uno che nell'altro caso i criteri allocativi posti in via generale per quella regolamentare dall'art. 117, comma 6, il quale pone una sorta di parallelismo tra potestà legislativa e potestà regolamentare; e dall'art. 118, per la funzione amministrativa.

In particolare per l'allocazione delle funzioni amministrative, venuto meno il principio del parallelismo tra funzioni legislative e funzioni amministrative, valgono anche nelle nostre materie, le regole generali fondate sul principio di sussidiarietà, nella sua declinazione verticale ed orizzontale. Con riferimento specifico alla "tutela dei beni culturali", e solo per questa materia, l'art. 118, comma 3, prevede la possibilità per la legge statale di disciplinare "forme di intesa e coordinamento" tra lo Stato, le regioni e gli altri enti territoriali minori.

Ma qual è il significato dell'attribuzione in via esclusiva allo Stato delle funzioni di tutela dei beni culturali ed ambientali? Riserva che, se può, forse, trovare una spiegazione oltre che nei precedenti normativi del nostro ordinamento, nella sfiducia per le concrete capacità degli enti territoriali, da un lato, di garantirne la tutela effettiva, considerato che la stessa impone interventi limitativi della proprietà e del loro godimento, i quali più che consenso suscitano dissensi; dall'altro di contemperare gli interventi di tutela del patrimonio paesaggistico e culturale con gli interessi locali con i quali possono essere spesso in contrasto, determinando pesanti conflitti di interessi. Ma che non può, in ogni caso, avere il significato, come ci diceva prima Salvia, di una esclusione delle regioni dal suo raggio di operatività.

Ciò sarebbe infatti in contrasto, in primo luogo, con la natura stessa del bene culturale ed ambientale, che in quanto "testimonianza" di civiltà è quasi sempre radicato in un certo territorio, in un certo ambiente socio-culturale, sicché la sua tutela spetta innanzi tutto all'ente esponenziale della popolazione che vive in quel territorio. Ma sarebbe in contrasto anche con l'art. 9 della Costituzione, alla cui luce deve essere letto il nuovo art. 117, sotto un duplice profilo.

Quanto al primo, particolarmente significativa è la giurisprudenza costituzionale, anche più recente, dove è stata affermata la trasversalità della materia tutela dell'ambiente con conseguente coinvolgimento nell'attività di tutela anche di soggetti istituzionali diversi dallo Stato [18]. Trasversalità che può ben affermarsi anche per la materia dei beni culturali, come emerge anche da una sentenza della stessa Corte costituzionale, dove, si afferma che la tutela dei beni culturali è nel testo costituzionale contemplata insieme a quella del paesaggio e dell'ambiente come espressione di un principio fondamentale unitario dell'ambito territoriale in cui si svolge la vita dell'uomo con la conseguenza che tali forme di tutela costituiscono una un'endiadi unitaria che coinvolge la Repubblica in tutte le sue articolazioni [19].

Quanto al secondo, perché sarebbe in contrasto anche con l'evoluzione che ha caratterizzato le relative discipline di tutela che da obiettivi di mera conservazione si sono venuti arricchendo nel tempo di obiettivi di valorizzazione in vista del raggiungimento di quel fine di promozione culturale e sociale dei cittadini, indicato dallo stesso art. 9, Cost..

In questa prospettiva la riserva allo Stato della funzione di tutela va letta nel senso dell'attribuzione allo stesso del compito di intervenire in via generale, al fine di garantire attraverso una disciplina unitaria della proprietà, del godimento da parte dei rispettivi proprietari e della fruizione da parte della collettività, e, in definitiva, attraverso criteri unitari di tutela, la primarietà dell'interesse alla tutela dei beni culturali e dei beni paesaggistico-ambientali. Con possibilità, va ribadito, per le regioni, di intervenire nell'ambito delle materie e competenze loro attribuite.

Strettamente collegata alla funzione di tutela è quella di valorizzazione. Ove per valorizzazione si intentano non soltanto interventi volti ad assicurare agevolazioni ed esenzioni fiscali ai proprietari di beni culturali ed ambientali ed alle cosiddette forme di mecenatismo culturale; ma anche interventi, e quindi misure contributive, finalizzate al restauro al recupero degli stessi, ed alla promozione di una più razionale e partecipata fruizione sociali, attraverso misure volte alla predisposizione di servizi ed altre utilità per la collettività. Interventi di tal genere costituiscono momento qualificante di una corretta e razionale funzione di tutela e conservazione.

Una nozione, quindi, ampia quella di valorizzazione che comprende anche quelle funzioni di gestione, volte ad assicurare la fruizione collettiva dei beni culturali ed ambientali, e per ciò stesso prive di un autonomia concettuale rispetto a quella di valorizzazione. Funzione di gestione che, come si ricorderà, il d.lg. 112/1998 considerava separatamente da quelle di tutela e valorizzazione, con ciò determinando confusioni e sovrapposizioni.

Con l'attribuzione alle regioni delle funzioni di valorizzazione si è data una risposta positiva alle istanze di maggiore autonomia regionale nella materia. Coerentemente, del resto, al rapporto di necessaria integrazione che intercorre la tra funzione di valorizzazione dei beni culturali ed ambientali e le politiche locali relative all'assetto del territorio, alla disciplina del turismo, del commercio, dell'istruzione, della tutela delle minoranze linguistiche, ecc.

La funzione di valorizzazione costituisce, infatti, il veicolo perché i beni culturali ed ambientali diventino risorsa per il territorio nel quale insistono e come tale capaci di generare risorse in termini economico-sociali.

Tra tutela del patrimonio culturale-paesaggistico-ambientale e sviluppo socio-economico di un territorio esiste, a ben vedere, una connessione profonda: una razionale politica culturale-paesistico-ambientale consente infatti uno sviluppo economico-sociale più equilibrato, così come il raggiungimento di quest'ultimo postula necessariamente una "gestione sostenibile" delle risorse naturali e culturali, la cui limitatezza ed esauribilità è un dato ormai acquisito alla moderna coscienza sociale che le concepisce non più alla stregua di res nullius, bensì come beni economici.

La configurazione economica dei beni culturali ed ambientali se da un lato ha comportato il coinvolgimento dei privati, al fine di introdurre elementi di imprenditorialità e di elasticità gestionale in questo campo [20], dall'altro ha fatto emergere il rischio che la funzione di valorizzazione vada intesa dalle regioni come promozione, con ogni mezzo, di flussi turistici, con conseguente incremento degli insediamenti turistici, ed ulteriore cementificazione delle aree di rilievo paesaggistico-ambientale.

Tale rischio potrebbe essere evitato, da un lato, applicando alle attività turistiche il principio della gestione sostenibile, con conseguente pianificazione dei flussi turistici, al fine di evitare che il turismo di massa possa essere anche occasione di degrado del patrimonio culturale e paesaggistico-ambientale. Allo specifico fine di conciliare esigenze di sviluppo economico-sociale e limitatezza delle risorse naturali e culturali, è stata prevista la "Borsa dei beni culturali e del turismo sostenibile" [21]. Dall'altro dall'esistenza di quei limiti che la potestà legislativa concorrente incontra sul suo cammino: limite dei principi fondamentali ricavabili dalla legislazione statale, che in materia di valorizzazione, è divenuta negli ultimi tempi molto vitale; il limite dalla materia, che comporta il divieto per il legislatore regionale di invadere o di interferire, nell'esercizio della potestà legislativa in materia di valorizzazione, il campo della tutela riservata allo Stato.

 

5. Forme e condizioni di autonomia più favorevoli per la Sicilia in materia di beni culturali e paesaggio. Il limite delle riforme economico-sociali

Da quanto fin qui detto emergono le forme e le condizioni di autonomia riconosciute alle regioni ordinarie dalla legge di riforma costituzionale nelle materie che ci interessano. Forme e condizioni sicuramente più pregnanti rispetto al passato, essendo ormai alle regioni consentito, quanto ai beni culturali, di legiferare oltre la materia dei musei e delle biblioteche, che il vecchio art. 117 attribuiva alla loro competenza concorrente. La nozione ampia di beni culturali assunta nella legge di riforma costituzionale consente infatti ormai interventi di valorizzazione in ordine alla generalità dei beni culturali presenti nel territorio.

Quanto ai beni ambientali, è venuta ormai meno quella situazione di incertezza che caratterizzava in precedenza il quadro costituzionale. Dove la tutela del paesaggio, contemplata nell'art. 9 della Costituzione, non figurava nell'elenco (art. 117) delle materie di competenza delle regioni. Sicché solo attraverso l'esercizio della competenza legislativa in quelle materie che variamente interferivano con la tutela del paesaggio (urbanistica, turismo, agricoltura, caccia, ecc.) le regioni hanno potuto, con l'autorevole avallo dalla Corte costituzionale, assicurare la tutela e la valorizzazione dell'interesse paesaggistico-ambientale.

Ma quale incidenza tali forme e condizioni di autonomia hanno nella regione siciliana?

Orbene, non c'è dubbio, che per verificarne il tipo di incidenza sull'autonomia siciliana occorre vedere quali sono al riguardo le previsioni statutarie, nonché il tipo di limiti che queste potestà incontrano.

La regione, com'è noto, ha, quanto ai beni culturali, competenza legislativa esclusiva in materia di "conservazione delle antichità e delle opere artistiche", in materia di "musei e biblioteche di interesse locale" e di "accademie e istituzioni culturali" (art. 14, lett. r). Quanto ai beni ambientali ha competenza esclusiva (art. 14, lett. n) in materia di "di tutela del paesaggio". Inoltre ha potestà legislativa esclusiva e concorrente in quasi tutte le materie sulle quali incide la tutela ambientale.

Detta potestà esclusiva ha per limiti solo quelli cosiddetti generali, e in particolare, il limite del rispetto degli obblighi internazionali, il limite delle riforme economico-sociali, e il limite dell'osservanza dei principi dell'ordinamento giuridico, non espressamente previsto, ma ritenuto applicabile per ragioni di coerenza sistematica.

Detto questo, non c'è dubbio che la regione mantiene intatte tutte le competenze riconosciutele dallo Statuto, ancorché le stesse ricadano, in tutto o in parte, nell'area riservata allo Stato. Il che significa che la regione esercita in queste materie anche quelle funzioni di "tutela" oggi riservate dal nuovo art. 117 allo Stato. E ancora. Poiché nello statuto non è espressamente indicata la materia beni culturali, ed avendo la legge di riforma accolto, come detto prima, una nozione ampia di bene culturale nell'accezione di bene avente valore di civiltà, comprensivo, quindi, anche dei beni dell'arte contemporanea e dei beni culturali-attività, le disposizioni statutarie vanno interpretate evolutivamente, alla luce, cioè di quei concetti e nozioni formatesi successivamente alla redazione dello Statuto, e quindi, alla luce della nozione costituzionale di bene culturale.

Con quali limiti? Il problema concerne l'applicabilità o meno del limite delle norme statali sui "livelli essenziali" che è il limite che incontra la nuova potestà residuale riconosciuta dalla legge di riforma alle regioni ordinarie, e che è considerata come competenza piena, in luogo del limite delle norme fondamentali delle riforme economico sociali, che è limite proprio della potestà esclusiva.

Orbene una volta che si è ritenuto più favorevole per la regione il mantenimento delle forme e condizioni di autonomia delle quali la stessa già gode in materia di beni culturali e di paesaggio in base al suo statuto, questa competenza materiale continuerà a portare con se i limiti per essa stabiliti nello statuto stesso, e segnatamente il limite delle norme fondamentali delle grandi riforme. Oltre naturalmente agli altri limiti propri della potestà esclusiva. E quindi il limite dei principi fondamentali dell'ordinamento e tra questi, del principio di sussidiarietà, verticale ed orizzontale, posto dall'art. 118 per le funzioni amministrative. E ciò in quanto, come si è opportunamente rilevato, materie e limiti vanno considerati in blocco e non separatamente, con la conseguenza che non può farsi una contaminazione tra il regime previsto in uno statuto speciale e quello previsto nel nuovo testo costituzionale [22].

 

6. La legislazione regionale in materia di beni culturali e ambientali

Queste competenze che lo statuto all'art. 14 attribuisce alla regione, competenze, vale la pena ribadire, di ampiezza tale che non è dato riscontrare nelle altre regioni, la Sicilia ha potuto esercitare solo a partire dal 1975, con l'emanazione delle norme di attuazione dello statuto in materia di "biblioteche e accademie" (decreto n. 635) e in materia di "paesaggio, antichità, musei, e belle arti" (decreto n. 637). Norme di attuazione con le quali sono state trasferite alla regione, con alcune eccezioni) [23] tutti i poteri che le leggi del '39, la 1089 e la 1497, attribuivano all'amministrazione dello Stato.

Sulla scia delle regioni di diritto comune i cui statuti, in forza di una lettura generosa delle scarne indicazioni costituzionali, diedero loro la possibilità di legiferare al di là della materia dei musei e delle biblioteche, in settori quali la promozione culturale, la tutela delle tradizioni popolari, il sostegno delle attività riconducibili allo spettacolo (musica, danza, cinema, teatro), il finanziamento delle fondazioni e delle associazioni culturali, anche la regione siciliana, una volta intervenute le norme di attuazione, si è di fatto impadronita di competenze che solo in base ad una interpretazione evolutiva delle disposizioni statutarie potevano ricondursi alla sua potestà legislativa.

Valga al riguardo l'esempio della legge n. 80 del 1978 che ha dettato una disciplina organica in materia di tutela, valorizzazione ed uso sociale dei beni culturali ed ambientali, muovendosi lungo le linee tracciate dalla relazione Franceschini.

La legge infatti rileva sotto un duplice profilo: la considerazione unitaria del patrimonio culturale e paesaggistico dell'Isola; l'accoglimento di una nozione ampia di bene culturale, come "bene avente valore di civiltà", con la conseguenza di considerare beni culturali assoggettati alla normativa di tutela e di valorizzazione dalla stessa dettata anche i beni-attività e i beni dell'arte contemporanea. Da questo punto di vista la legge regionale anticipa, quindi, i contenuti della riforma costituzionale. Ma anche sotto il profilo organizzativo la legge presenta elementi innovativi rispetto alla legislazione statale, avendo previsto, quali strutture periferiche dell'assessorato competente, le soprintendenze uniche.

Ma come è stata esercitata in concreto dalla regione questa competenza? Competenza molto ampia comprendendo sia gli interventi di tutela che gli interventi di valorizzazione.

Quanto alla funzione di tutela, i relativi interventi hanno avuto ad oggetto soprattutto il patrimonio paesaggistico-archeologico e i centri storici. Ma sia nell'uno che nell'altro caso la normativa relativa si caratterizza per il fatto di essere conseguenza di eventi calamitosi e di rispondere, pertanto, ad esigenze particolari e contingenti, o di essere stata emanata a seguito del dibattito sul recepimento nella regione delle leggi statali di sanatoria del 1985 e del 1994, finalizzate alla repressione dell'abusivismo edilizio, abusivismo che in Sicilia è particolarmente grave anche per il fatto di colpire soprattutto aree di particolare interesse paesaggistico-culturale. Si pensi all'abusivismo nella Valle dei Templi di Agrigento, o lungo le coste isolane.

La legge 3 novembre 2000, n. 20 che ha istituito, a distanza di circa 15 anni dalla legge che ne prevedeva la istituzione, il parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento e contestualmente ha previsto un sistema dei parchi archeologici in Sicilia, sembra, per la verità, rispondere più all'esigenza di dare una risposta ai problemi di ordine pubblico creati dalle annunciate demolizioni degli immobili abusivi che dall'esigenza di istituire il parco archeologico.

Le funzioni di tutela comportano interventi restrittivi della proprietà privata, e comunque incidono quasi sempre negativamente sull'uso e sulle facoltà di disposizione dei beni, generano, pertanto, più dissenso che consenso. Questo spiega lo scarso entusiasmo della regione nel loro esercizio. In questo senso forse sarebbe stato più auspicabile il mantenimento in capo allo Stato della funzione di tutela, come del resto è avvenuto nei confronti delle regioni ordinarie con il nuovo art. 117 della Costituzione. Sia pure alla luce di quanto disposto dall'art. 9 della Costituzione medesima.

Più consistenti sono stati infatti gli interventi di valorizzazione e promozione dei beni culturali e delle attività culturali. Interventi attraverso i quali si assicurano vantaggi ai proprietari dei beni ed ai fruitori degli stessi. Interventi, quindi, che generano soprattutto consenso.

Tale competenza è stata esercitata a partire dal 1975, anno in cui è stata varata una legge organica in materia di promozione culturale e di educazione permanente (la n. 66) seguita nel 1979 da due leggi sempre dirette a favorire lo sviluppo culturale in Sicilia, una (n. 15) in favore dell'associazionismo culturale, l'altra (n. 16) a tutela delle tradizioni popolari siciliane; una legge del 1981 (n. 85) sulla valorizzazione del dialetto siciliano; una legge del 1985 (n. 44) per lo sviluppo della musica in Sicilia; due leggi, una legge del 1991 (n. 17) ed una del 1996 (n. 19) in materia teatrale; una legge del 1998 (n. 26) in favore della cultura albanese e di altre minoranze etniche stanziate nel territorio regionale; alcune leggi del 1997 (n. 7), del 1999 (n. 9) e del 2000 (n. 22) per il censimento e la catalogazione dei beni culturali, anche con sistemi informatici, nel rispetto della normativa comunitaria e statale; oltre ad un numero indeterminato di leggi e leggine volte a finanziare manifestazioni di ogni genere.

La regione ha legiferato anche sul recupero ed il risanamento dei centri storici. Con leggi speciali dettate per fronteggiare casi particolari (l. 38 del 1977; e prima del 75, alcune leggi regionali hanno avuto ad oggetto il recupero ed il risanamento del Rione di San Berillo di Catania (due leggine del 1954) e del centro storico di Palermo (due leggi del 1962), rimaste sostanzialmente inattuate).

Con la legge n. 70 del 1976 la regione ha poi dettato una normativa di carattere generale sul recupero dei centri storici, e segnatamente per il recupero del patrimonio edilizio, degli spazi urbani, del sistema viario, del tessuto sociale esistente, nonché dei valori culturali presenti nel territorio. Il limite principale di questa legislazione è quasi sempre quello della modestia degli stanziamenti.

Nell'ambito dell'esercizio della funzione di gestione è stato previsto il coinvolgimento dei privati al fine di introdurre elementi di imprenditorialità e di elasticità gestionale. Sull'esempio della legge Ronchey, legge 14 gennaio 1993, n. 4, con la quale è stato disciplinato a livello statale il coinvolgimento dei privati nella gestione dei servizi collaterali, la Sicilia con una norme contenuta nella legge finanziaria 2000 (l. 10 del 1999) ha previsto la concessione a privati dei servizi di assistenza culturale e di ospitalità, di biglietteria e di pulizia. Disposizione che è stata attuata da un decreto assessoriale del marzo 2001.

Il principio di sussidiarietà è stato accolto oltre che nella sua declinazione orizzontale, anche nella sua declinazione verticale. In particolare il principio è stato accolto nella legge n. 10 del 2000, che tra le altre contiene anche disposizioni relative alla distribuzione delle competenze tra regione ed enti locali. Detta legge, comunque, riserva alla regione, in vista del loro esercizio unitario, le funzioni in materia di tutela e valorizzazione dell'ambiente, dei beni culturali e delle iniziative turistiche di interesse regionale. Dei problemi, anche interpretativi che detta legge suscita, ne ha già parlato, con dovizia di particolari, Francesco Trimarchi, per cui rinvio alla sua relazione.

La normativa sopra sintetizzata delinea anche la struttura organizzativa della materia, che fa capo all'assessorato dei beni culturali, e che si articola in organismi di natura tecnica, tecnico-specialistica, di natura consultiva, per la quale rinvio alla relazione di Ignazio Marino.

Quanto alle politiche di programmazione, queste sono appena abbozzate nei testi normativi citati, per i beni culturali, quanto ai beni ambientali, solo nel 1999 sono state approvate, con un decreto assessoriale, le "Linee guida del piano territoriale paesistico regionale".

Sulla base di questo quadro normativo, solamente sintetizzato, sono possibili alcune considerazioni conclusive.

I guasti, in alcuni casi ormai irrimediabili, e il degrado del patrimonio paesaggistico-culturale, un patrimonio forse unico non solo in Italia ma anche nell'intera Europa, dimostrano come la regione, pur in possesso di competenze che non hanno avuto, né hanno, eguali in nessuna altra regione, abbia male esercitato le sue attribuzioni, sia sotto il profilo della tutela, che sotto il profilo della valorizzazione. O meglio. Se sul piano delle affermazioni di principio la legislazione regionale, anche per l'influenza della normativa comunitaria, è perfettamente in linea con quella degli ordinamenti contemporanei, sul piano della prassi amministrativa tali affermazioni sono contraddette non solo dalla mancanza di quegli stanziamenti necessari soprattutto per attività di recupero, ripristino o restauro, ma anche dall'inerzia, che testimonia l'assenza di una effettiva volontà politica, dei competenti organi istituzionali nell'attuazione degli strumenti previsti per la repressione delle violazioni di quella disciplina di tutela posta dalla regione stessa. Indicativo è al riguardo il fenomeno, nelle sue attuali dimensioni, dell'abusivismo in Sicilia.

Né minor peso hanno l'assenza, da un lato, di adeguati strumenti di pianificazione collegati ad una organica politica culturale, dall'altro, di precise e rigorose politiche di programmazione dello sviluppo economico sociale.

Certo il rapporto tra tutela e valorizzazione dei beni culturali e ambientali e sviluppo economico-sociale sostenibile è sicuramente un rapporto difficile. Perché se è vero che lo sviluppo è sostenibile quando non produce degrado dei beni culturali e dell'ambiente sul quale insistono, è altrettanto vero che la tutela dei beni culturali e ambientali non deve impedire lo sviluppo economico sociale delle collettività interessate.

La funzione di valorizzazione può costituire, come dicevo prima, il veicolo perché i beni culturali ed ambientali diventino risorsa per il territorio e come tale siano capaci di generare risorse in termini economico-sociali. Basti pensare al rapporto tra beni culturali e ambientali ed attività turistiche.

Ma ciò postula una necessaria ed equilibrata integrazione dei beni culturali e ambientali con il contesto territoriale nel quale si inseriscono, e con le relative politiche, alla luce del principio di sostenibilità [24]. E richiede, soprattutto, un assetto politico autorevole sino al punto di adottare e sostenere misure di tutela del patrimonio paesaggistico-culturale, anche impopolari, quali ad esempio la demolizione degli edifici abusivi.

 

 



Note

[*] Questo scritto, destinato agli studi in onore di F. Ledda, costituisce una rielaborazione della relazione al convegno su Beni culturali e politiche di sviluppo in Sicilia, Messina - Savoca, 21/22 marzo 2003.

[1] Corte cost. sent. 27 luglio 2000, n. 378, in Giurisprudenza costituzionale, 2000, 2075.

[2] V. nota 16.

[3] A. Crosetti, La tutela ambientale dei bei culturali, Padova 2001.

[4] M.S. Giannini, I beni culturali, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1976, 14.

[5] V. Cerulli Irelli, I beni culturali nell'ordinamento italiano vigente, in M.P. Chiti (a cura di), Beni culturali e comunità europea, Milano 1994, 2.

[6] La stessa nozione viene successivamente utilizzata per individuare i compiti del neonato ministero per i Beni e le Attività culturali (decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368).

[7] N. Aicardi, L'ordinamento amministrativo dei beni culturali, Torino 2002.

[8] M. Ainis, Cultura e politica. Il modello costituzionale, Padova 1991, 90; G. Severini, La nozione di bene culturale e le tipologie di beni culturali, in G. Caia (a cura di), Il testo unico sui beni culturali e ambientali, Milano, 2000, 12, che parla di "beni immateriali o volatili".

[9] Significativo al riguardo è anche il già cit. d.lg. 368/1998, nonché il d.p.r. 29 dicembre 2000, n. 441, istitutivo della Direzione generale per l'architettura e l'arte contemporanea. In dottrina, C. Barbati, Decentramento e beni culturali tra tutela e valorizzazione, in Istituzioni, federalismo. Regioni e governo locale, 1997, 389.

[10] S. Cassese, I beni culturali da Bottai a Spadolini, in S. Cassese, L'amministrazione dello Stato. Saggi, Milano 1976, 178, e N. Aicardi, op. cit., 56 ss..

[11] Il riferimento è alla legge della regione Lazio 6 dicembre 2001, n. 31 recante "Tutela e valorizzazione dei locali storici", che ha recentemente superato il giudizio di legittimità costituzionale (sent. 26/28 marzo 2003, n. 94).

[12] Si v., al riguardo, anche il parere del Consiglio di Stato sullo schema di decreto legislativo, 11 febbraio 1999, n. 33/99.

[13] Dalla nozione costituzionale di bene culturale esulano le attività culturali che costituiscono strumento di sviluppo culturale della collettività e di intrattenimento colto, attività la cui valorizzazione e promozione spetta alle regioni.

[14] Per queste considerazioni, S. Civitarese Matteucci, Ambiente e paesaggio nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Aedon, n. 1/2002.

[15] Corte cost. sent. n. 407 del 2002, in Giurisprudenza costituzionale, 2002, 2940, ss.

[16] Secondo S. Marini, La Corte costituzionale nel labirinto delle materie "trasversali": dalla sent. n. 282 alla n. 407 del 2002, in Giurisprudenza costituzionale, 2002, 2951, ss.) l'avere limitato la competenza esclusiva dello Stato alla fissazione di standards di tutela uniformi per l'intero territorio nazionale nelle suindicate materie di competenza concorrente, come fa la Corte, comporta da un lato, una dissoluzione della materia in differenti istituti, con ciò negandosi alla stessa quel carattere giuridico autonomo che discenderebbe invece dall'espressa previsione normativa, diversamente assente in passato. Dall'altro, una inutile duplicazione di quel potere di fissare i principi fondamentali che già spetta allo Stato nelle materie di competenza concorrente.

[17] M. Cammelli, Il nuovo titolo V della Costituzione e la finanziaria 2002: note, in Aedon, n. 1/2002, 1; A. Poggi, Dopo la revisione costituzionale: i beni culturali e gli scogli del decentramento possibile, in Aedon, n. 1/2002.

[18] Corte cost. sent. n. 407 del 2002, cit.

[19] Corte cost. sent. 27 luglio 2000, n. 378, in Giurisprudenza costituzionale, 2000, 2075.

[20] Basti ricordare la legge Ronchey, legge 14 gennaio 1993, n. 4, che ha previsto il coinvolgimento dei privati nella gestione dei servizi collaterali; o la legge 28 dicembre 2001, n. 448, con la quale sono stati individuati moduli di gestione dei servizi pubblici relativi alla gestione-fruizione dei beni culturali in forma mista, pubblico-privato, ovvero in affidamento ai privati.

[21] P. Piras, La borsa dei beni culturali e del turismo sostenibile: il bene culturale quale risorsa, in Aedon, n. 3/2002, 2.

[22] A. Ruggeri, L'autonomia legislativa della regione siciliana, dopo la riforma del titolo V, e le prospettive della specialità, in Nuove Autonomie, 2002, 535 ss.

[23] Salvo la competenza per il rilascio del nulla osta in materia di licenze di esportazione, rimasta in capo all'amministrazione statale, ed i poteri sostitutivi del ministero nell'esercizio del diritto di prelazione o nella facoltà di acquisto, in caso di rinuncia all'esercizio di detti diritti da parte dell'amministrazione regionale. La regione è inoltre vincolata all'osservanza delle disposizioni statali concernenti il catalogo unico delle biblioteche e le informazioni bibliografiche.

[24] In questa direzione mi sembra che si muova il Programma di interventi "Agenda 2000" finanziato con fondi europei.

 


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