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I servizi culturali degli enti locali nella finanziaria per il 2002

di Girolamo Sciullo


Sommario: Premessa. - 1. I dati di novità contenuti nell'art. 35 della legge 21 dicembre 2001, n. 448: lo "statuto" dei servizi culturali locali. - 2. Servizi culturali locali e principio di concorsualità. - 3. Servizi culturali locali e nuovo assetto delle competenze costituzionali. - 4. Servizi culturali locali e servizi culturali statali.



Premessa

Oltre che essere considerati dall'art. 33 - come servizi finalizzati a migliorare "la fruizione pubblica e la valorizzazione del patrimonio artistico" statale -, i servizi culturali sono disciplinati dall'art. 35 della legge 21 dicembre 2001, n. 448 (finanziaria per il 2002) come specie dei servizi pubblici locali (d'ora in avanti spl), nel quadro del complessivo riordino operato in ordine ad essi tramite la riscrittura dell'art. 113 e l'inserimento dell'art. 113-bis nel decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL).

Ai servizi culturali degli enti locali sono dedicate queste note, che si prefiggono il limitato scopo di segnalare i dati di novità contenuti nella disciplina introdotta, i profili problematici che essa fa emergere e le connessioni presentate con altre previsioni della stessa legge, anzitutto con quelle dell'art. 33.

 

1. I dati di novità contenuti nell'art. 35 della legge 21 dicembre 2001, n. 448: lo "statuto" dei servizi culturali locali

Diversamente dall'art. 113 TUEL e in precedenza dall'art. 22 della legge 8 giugno 1990, n. 142, che operavano una classificazione fra i spl solo sotto un profilo organizzativo (servizi con o senza "rilevanza economica e imprenditoriale") [1], l'art. 35 introduce la distinzione di base fra servizi che presentano "rilevanza industriale" e servizi che ne sono privi. Dalla distinzione discendono due regimi giuridici, veri e propri statuti, diversi.

Senza entrare nei dettagli basterà ricordare che per gli uni opera il principio della separazione fra proprietà dei beni necessari all'espletamento del servizio (reti, impianti e altre dotazioni patrimoniali), da un lato, e gestione di questi e erogazione del servizio, dall'altro - e, quando ammessa, anche fra la stessa gestione dei beni e l'erogazione del servizio (nuovo art. 113, commi 2-5, TUEL) -, l'inalienabilità di detti beni (salvo che a società di capitali a partecipazione maggioritaria dell'ente locale) e, a regime, il criterio di concorsualità con affidamento del servizio tramite gare ad evidenza pubblica (nuovo art. 113, commi 13 e 5).

Viceversa, per i spl privi di rilevanza industriale non valgono come principi ad applicazione necessaria né quello di separazione né l'inalienabilità (si pensi per i beni culturali alla disciplina dell'art. 32 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 cui ha dato attuazione il decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2000, n. 283) né quello di concorsualità (art. 113-bis, commi 1-4).

La distinzione fra spl con o senza rilevanza industriale poggia su caratteristiche intrinseche, strutturali dei servizi. Se in prima approssimazione può ritenersi che al primo tipo vadano ascritti i servizi c.d. a rete e quelli di trasporto collettivo (esplicitamente menzionato come tale dal nuovo art. 113, comma 8), è indubbio che essa presenta margini di incertezza, avvertiti dallo stesso legislatore che ha affidato ad un regolamento governativo il compito di una puntuale individuazione (art. 35, comma 16). Ad ogni modo tale problema non investe i servizi culturali (e quelli del tempo libero) espressamente annoverati fra i spl privi di rilevanza industriale (art. 113-bis, comma 3).

Giova sottolineare, prima di passare ad altro aspetto, che la distinzione esaminata non annulla quella, cui in precedenza si è fatto cenno, fra servizi a "rilevanza economica ed imprenditoriale" e servizi "sociali": appunto perché correlata al modello organizzativo di gestione, questa concorre con quella, basata sulle caratteristiche intrinseche del servizio. Per esemplificare, i servizi culturali potranno essere organizzati nella forma della società di capitali quando l'ente locale riterrà di conferire ad essi una rilevanza economica-imprenditoriale, mentre la scelta si orienterà verso la forma dell'istituzione o della fondazione quando diversa sarà la opzione seguita.

L'esemplificazione appena condotta introduce alle forme di gestione previste per i servizi culturali (art. 113-bis, commi 1-4). Sono menzionati nell'ordine l'istituzione, l'azienda speciale anche consortile, la società di capitale con partecipazione (come si desume dall'art. 116 modificato, maggioritaria o minoritaria) dell'ente locale, la gestione in economia, l'associazione e la fondazione partecipate dall'ente locale nonché l'affidamento a "terzi". Il termine "terzi" rispetto all'ente locale va inteso in senso sostanziale: in senso formale sono terzi anche l'azienda speciale, la società, l'associazione e la fondazione, in quanto entità distinte dall'ente locale. In senso sostanziale sono quei soggetti individuali o collettivi diversi dall'ente locale e ai quali questo non partecipi.

Fra le sette forme indicate l'art. 113-bis sembra introdurre una sorta di gerarchia, risultando la gestione in economia e l'affidamento a terzi subordinati a determinate condizioni ("modeste dimensioni" o "caratteristiche del servizio", nel primo caso, sussistenza di "ragioni tecniche, economiche o di utilità sociale", nel secondo). Per la loro genericità non paiono però esse costituire un significativo limite per le scelte autonome dell'ente.

Alla molteplicità delle forme gestorie corrisponde una diversità dei criteri di conferimento del servizio: nel caso di aziende speciali e di società, associazioni e fondazioni partecipate, l'ente locale (può) procede(re) mediante "affidamento diretto", in quello dei "terzi", l'affidamento deve avvenire "in base a procedure a evidenza pubblica, secondo le modalità stabilite dalle normative di settore", mentre nel caso dell'istituzione, non si può a rigore neppure parlare di affidamento, trattandosi di mera assunzione del servizio da parte dell'ente locale tramite una sua articolazione (art. 113-bis, commi 1, 3 e 4).

Il collegamento fra forme gestorie e criteri di affidamento è quanto in buona sostanza residua del principio di tipicità che ha tradizionalmente connotato i spl [2].

Con l'art. 35 il principio, infatti, si stempera fino a risultare fondamentalmente superato come criterio che definisce la forma organizzativa: per i spl a rilevanza industriale è vero che il soggetto cui può essere conferita la proprietà delle reti, impianti ecc. deve essere una società di capitali a partecipazione maggioritaria dell'ente locale, ma il soggetto erogatore del servizio è sufficiente che sia una società di capitali e quello gestore delle reti, impianti ecc. può essere un'"impresa idonea", non ulteriormente caratterizzata (nuovo art. 113, commi 13 e 4, lett. b)).

Il tratto è ancor più marcato per i spl privi di rilevanza industriale e, in particolare, per quelli culturali (e del tempo libero): ormai qualsiasi forma organizzativa, pubblica o privata, individuale o collettiva, no profit o a scopo di lucro, risulta ammessa.

La griglia tipologica conserva significato prevalentemente ai fini dei criteri di affidamento: per marcare i casi in cui questo è (o, meglio, può essere) "diretto" e quelli in cui deve avvenire in base a "procedure a evidenza pubblica".

Il superamento sostanziale del principio di tipicità se va segnalato in genere come un ampliamento dell'autonomia organizzatoria dell'ente locale, nel caso dei servizi culturali rappresenta anche un adeguamento della cornice normativa alla realtà effettuale, che negli ultimi anni aveva visto il fiorire di associazioni, fondazioni e di loro forme miste (c.d. fondazioni in partecipazione).

Compone l'ultimo tratto dello "statuto" dei servizi culturali la previsione secondo cui il rapporto fra l'ente locale e il soggetto erogatore del servizio va disciplinato da un contratto di servizio.

Si tratta di un aspetto di regime comune ormai a tutti i spl, che l'art. 35 ha mutuato da talune discipline di settore [3], generalizzandolo (nuovo art. 113, comma 11 e art. 113-bis, comma 5). Il contratto di servizio è destinato a disciplinare, in particolare, i livelli di qualità, le condizioni economiche e di prestazione del servizio, gli investimenti e i contenuti di innovazione gestionale (nuovo art. 113, comma 7). In generale si può dire che esso è chiamato a regolare tutti quei diritti e obblighi reciproci che non si prestano a costituire oggetto di un atto unilaterale dell'amministrazione [4]. Anche per i servizi culturali va segnalata con favore la sua introduzione. Esso rappresenta ad un tempo uno strumento utile per la "programmazione strategica" del servizio da parte dell'ente locale, specie nell'ottica di un miglioramento delle prestazioni all'utenza, e una misura di possibile verifica della gestione in concreto condotta.

 

2. Servizi culturali locali e principio di concorsualità

La disciplina dei servizi culturali contenuta nell'art. 35 merita di essere saggiata con riguardo a due profili che rivestono sicuro interesse per il settore dei spl. Si intende alludere al principio di concorsualità e al nuovo quadro dei rapporti fra Stato e autonomie territoriali risultante dalla modifica del Titolo V della Parte II della Costituzione.

Cominciamo dal primo. Si è accennato che solo nel caso di conferimento a "terzi" del servizio è prescritto l'impiego di procedure ad evidenza pubblica. E' da osservare però che il criterio dell'affidamento diretto, che risulta del tutto prevalente, cala in un contesto diversamente orientato, sia pur con aspetti che attendono una precisa messa a fuoco.

Preliminarmente c'è da chiedersi se l'ente locale, nel costituire o nel partecipare a società, associazioni o fondazioni, cioè a soggetti collettivi costituiti in vista della (o che comunque si candidano alla) gestione di un servizio culturale, sia o meno vincolato al principio di concorsualità (ossia quanto meno tenuto a dare notizia del suo intendimento e a valutare comparativamente le possibilità collaborative raccolte).

L'art. 116 TUEL - ormai applicantesi ai soli servizi privi di rilevanza industriale ex art. 35, comma 12, lett. e) - prende in considerazione il solo caso di società di capitali e impone che la scelta del socio avvenga mediante una procedura ad evidenza pubblica nella sola ipotesi di partecipazione minoritaria dell'ente locale. E', però, da rilevare che il giudice amministrativo si è ormai orientato nel senso di ritenere necessario un confronto concorrenziale anche per la scelta del socio di una società con capitale pubblico maggioritario [5]. E sorge l'interrogativo se il presupposto da cui muove tale orientamento (l'essere quello di concorsualità un principio "ormai immanente nell'ordinamento, tutte le volte in cui debba effettuarsi la scelta di un operatore privato chiamato a svolgere attività per conto e nell'interesse della P.A.") non porti ad estenderne l'applicazione anche al caso dell'associazione e della fondazione partecipate dall'ente locale, quale che sia il grado di impegno di questo in quelle.

In secondo luogo è lo stesso affidamento diretto del servizio che a sua volta suscita dubbi alla luce della disciplina comunitaria. Se risulta ormai certo che la direttiva 92/50/CEE, in materia di appalti pubblici di servizi, non si applica alla differente fattispecie delle concessioni (o, in genere, degli affidamenti) di servizi pubblici [6], è altrettanto indubbio che la Commissione ha in tempi recenti espresso l'opinione per la quale dette concessioni risulterebbero soggette alle norme e ai principi del Trattato, in particolare alle norme in tema di libera circolazione dei servizi e ai principi di trasparenza e di non discriminazione [7].

E' ben vero che la Commissione ha avuto cura di porre due requisiti a base del suo convincimento: che si tratti di "attività economiche" e che non si configuri tra concedente e concessionario (ovvero tra ente locale e affidatario) una delega interorganica riconducibile al fenomeno dell'"in-house" [8], che ricorre quando l'ente "eserciti [sull'affidatario] un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi" e l'affidatario "realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o con gli enti locali che lo controllano" [9].

Pur tuttavia va ricordato che in tempi ancor più recenti la Commissione ha dato avvio [10] nei confronti dello Stato italiano ad una procedura di infrazione, ai sensi dell'art. 226 del Trattato CE, con riferimento all'art. 22 della legge 142, nella misura in cui questo si presta ad affidamenti di servizi pubblici senza il rispetto dei principi comunitari. Di tale disposizione sono state considerate non solo le lett. b), c) ed e), ma anche la lett. d) relativa all'istituzione, figura, come si sa, vocata (almeno nella legge 142 e al pari ora dell'associazione e della fondazione) a servizi "senza rilevanza imprenditoriale" e costituente una mera articolazione dell'ente locale. Per tacere poi del fatto che il servizio culturale potrebbe essere organizzato in forma economico-imprenditoriale e acquisire i tratti dell'attività economica.

In breve, si delineano non pochi elementi che fanno dubitare che alla chiarezza delle scelte compiute dalla finanziaria in tema di affidamento dei servizi culturali corrisponda una riduzione degli spazi di possibile contenzioso.

 

3. Servizi culturali locali e nuovo assetto delle competenze costituzionali

Il tema della coerenza o meno della disciplina dettata dall'art. 35 della finanziaria con il quadro dei rapporti fra lo Stato e le autonomie territoriali, previsto dal nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione, presenta, a proposito dei servizi culturali, aspetti di incertezza senz'altro minori rispetto a quelli offerti dagli altri spl.

Infatti, nel caso di questi, solo l'assegnazione alla legislazione esclusiva dello Stato delle materie "funzioni fondamentali" degli enti locali e, soprattutto, "tutela della concorrenza" (art. 117, comma 1, lett. e) e p)) sembra fornire una copertura costituzionale all'intervento del legislatore statale. Viceversa, nel caso dei servizi culturali, più puntuale è l'indicazione del nuovo art. 117 Cost. Il suo comma 3 affida, infatti, la "valorizzazione dei beni culturali" e la "promozione e organizzazione di attività culturali" -compiti questi nei quali in definitiva si risolvono i servizi culturali- alla potestà legislativa regionale concorrente, potestà questa rispetto alla quale come in passato la determinazione dei principi fondamentali è riservata alla legislazione statale.

Si tratta allora di valutare se, relativamente a detti servizi, la formulazione dell'art. 113-bis sia coerente con tale assetto delle competenze. La risposta pare poter essere affermativa. La "sobrietà" delle disposizioni dell'art. 113-bis lascia, invero, spazi congrui alla legislazione regionale per la definizione di presupposti e requisiti delle diverse forme di gestione previste. D'altro canto, alla luce delle posizioni del giudice amministrativo e della Commissione sopra richiamate, parrebbe difficilmente censurabile una disciplina regionale che valorizzasse il principio di concorsualità.

 

4. Servizi culturali locali e servizi culturali statali

Benché frutto di percorsi di elaborazione differenti, la disciplina prevista per i servizi culturali degli enti locali e quella risultante dall'art. 10, comma 1, del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, come integrato dall'art. 33 della legge finanziaria, mostrano, al netto dei diversi assetti istituzionali in cui si calano, aspetti di significativa convergenza.

Per un verso, le forme gestorie previste dall'art. 113-bis, comma 1, lett. c), e comma 3 (società di capitali, associazioni e fondazioni partecipate) rieccheggiano quelle indicate dall'art. 10, comma 1, lett. b), del decreto legislativo 368. Da questo punto di vista, ben può dirsi che il regime dei servizi culturali degli enti locali si allinea a quello esistente per i servizi statali e rilevarsi inoltre che l'allineamento avviene, salva diversa indicazione del regolamento governativo previsto dalla disposizione da ultimo citata, anche in termini di affidamento in via diretta del servizio. Per altro verso, la legge finanziaria prevede per entrambi i tipi di servizi culturali la possibilità di conferire a "terzi" il servizio, tramite gara.

E' ben vero che nel caso di quelli statali si impiega il termine di "concessione" (art. 10, comma 1, lett. b-bis, decreto legislativo 368), mentre per quelli locali si utilizza quello, anodino, di "affidamento" (art. 113-bis, comma 4). Ma la diversità formale (o sarebbe meglio dire "di mano" che ha provveduto alla scrittura) - rivelantesi anche nel ricorso alla "convenzione(-contratto)" piuttosto che alla più moderna formula del "contratto di servizio" - non deve far velo sulla contiguità delle soluzioni accolte, se non addirittura sulla loro identità sostanziale.

Dunque un parallelismo di "statuti" dei servizi culturali, che forse sul piano operativo potrà facilitare (perché ispirantesi a comuni modelli operativi) forme di collaborazione fra enti territoriali nella cura dei servizi di rispettiva competenza.

Come nota di chiusura va osservato che la possibilità di ricorrere, per lo svolgimento di servizi, a soggetti di diritto privato (società, associazioni, fondazioni) costituiti o partecipati dall'ente pubblico oppure a "terzi", rappresenta ormai un dato che, alla luce del disposto dell'art. 29, comma 1, lett. b) e c), della finanziaria, concerne - "anche in deroga alle vigenti disposizioni" - la generalità delle pubbliche amministrazioni.

La "esternalizzazione dei servizi", con o senza gara pubblica, a seconda che essa sia riconducibile o meno al fenomeno dell'"in-house", è divenuta un vero e proprio dato sistemico, rispetto al quale il settore dei beni culturali dello Stato, tramite la ormai lontana disciplina dei "servizi aggiuntivi" ha svolto, nonostante i molti ritardi, il ruolo di utile fattore di contaminazione.



Note

[1] Su questa distinzione cfr., per tutti, M. Cammelli, I servizi pubblici nell'amministrazione locale, in le Regioni, 1992, 25.

[2] Cfr. G. Caia, L'organizzazione dei servizi pubblici, in Diritto amministrativo, a cura di L. Mazzarolli e A., Bologna 2001, 997 ss., M. Cammelli e A. Ziroldi, Le società a partecipazione pubblica nel sistema locale, Rimini 1999, 88 ss. Sul tema ha svolto di recente un'approfondita riflessione, G. Piperata, Tipicità e funzionalizzazione nell'organizzazione pubblica: il caso dei servizi pubblici locali (tesi di dottorato), Trento 2001.

[3] Cfr. artt. 18 e 19 del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, e art. 14 del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164.

[4] Da questo punto di vista il suo inquadramento giuridico più convincente pare, almeno in termini generali, quello dell'accordo sostitutivo di provvedimento ex art. 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241, da intendersi peraltro in termini relativi, nel senso che esso non sostituisce in toto il provvedimento, ma solo disciplina aspetti che l'atto unilatarale (l'affidamento) non regola. Sul contratto di servizio cfr., ad es., A. Romano Tassone, Il contratto di servizio, in Dir. trasp., 1998, 613 ss. e M. Dugato, Le società per la gestione dei servizi pubblici locali, Milano 2001, 109 ss.

[5] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 3 settembre 2001, n. 4586, 19 settembre 2000, n. 4850, e 19 febbraio 1998, n. 192, in Cons. Stato, 2001, I, 1975; 2000, I, 2011; e 1998, I, 249.

[6] Cfr., in particolare M. Cammelli e A. Ziroldi, Le società, cit., 41, 118 s. e 319 s., e G. Greco, Gli appalti pubblici di servizi e le concessioni di pubblico servizio, in F. Mastragostino, Appalti pubblici di servizi e concessioni di servizio pubblico, Padova 1998, 8, 13 ss.

[7] Cfr. Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario (2000/C 121/02), in GUCE del 29 aprile 2000 C121/2, p.ti 2.4 e 3.

[8] P.to 2.4.

[9] Sentenza 18 novembre 1999 nella causa C-107/98 Teckal Srl contro Comune di Viano e AGAC di Reggio Emilia, p.to 50.

[10] Atto dell'8 novembre 2000, SG (2000) D/1082243. Ad esso fa riferimento la circolare del ministro per le politiche comunitarie Buttiglione del 19 ottobre 2001, n. 12727, in G.U. 13 novembre 2001, n. 264.



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