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Senato della Repubblica - VII Commissione

Indagine conoscitiva in merito ai modelli organizzativi per la tutela
e la valorizzazione dei beni culturali

Intervento della Conferenza dei Presidenti delle Regioni

(28 febbraio 2002)



Com'è noto il nuovo ordinamento costituzionale affida alla legislazione esclusiva dello Stato la materia della tutela dei beni culturali e alla legislazione concorrente la valorizzazione e la promozione dei beni culturali.

Tale previsione pone problemi d'ordine concettuale oltre che giuridici e di politica istituzionale; si rende necessario pervenire in primo luogo ad una definizione giuridica certa e istituzionalmente condivisa di tutela.

Oggi, nella definizione dell'articolo 148 del decreto legislativo n. 112/98, la tutela è definita come "ogni attività diretta a riconoscere, conservare e proteggere i beni culturali ed ambientali", ma già nella definizione di valorizzazione come "ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e conservazione dei beni culturali ed ambientali e ad incrementarne la fruizione", così come nella definizione di gestione "ogni attività diretta mediante l'organizzazione di risorse umane e materiali ad assicurare la fruizione dei beni culturali e ambientali concorrendo al perseguimento delle finalità di tutela e valorizzazione", vengono di nuovo citati il termine conservazione e l'attività di tutela, mentre nella definizione di catalogazione è evidente il richiamo a problemi di identificazione e riconoscimento di un bene come bene culturale.

Conseguentemente una definizione eccessivamente ampia del concetto di tutela porta ad occupare l'intero ambito delle funzioni connesse alla materia dei beni culturali, in ciò contraddicendo la volontà del legislatore costituzionale che ha affidato la valorizzazione alla legislazione concorrente.

Lo stesso termine di valorizzazione lascia qualche margine di incertezza interpretativa, in quanto non vi è un esplicito richiamo a quell'aspetto decisivo dei beni culturali che è la gestione del patrimonio.

Il legislatore era evidentemente consapevole della difficile determinazione di tali attribuzioni e ha risolto tale incertezza rimandando, come previsto dal terzo comma dell'art. 118 della Costituzione, a una legge statale che disciplini "forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali", nonché prevedendo la possibilità per le Regioni di attivare forme di autonomia speciale come previsto dal terzo comma dell'art. 116 Cost.

Pur auspicando una soluzione più organica, come sarebbe stato l'inserimento della tutela dei beni culturali ed ambientali tra le funzioni legislative concorrenti, le Regioni sono consapevoli delle tante resistenze che tale proposta ha incontrato e potrebbe ancora determinare.

Non resta allora alle Regioni che richiedere al Parlamento e al Governo una pronta attuazione delle disposizioni costituzionali; in particolare le priorità che si individuano sono le seguenti:

1. approvazione di una norma sui principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente;

2. approvazione di una nuova normativa che modifichi il T.U. approvato con d.lg. 490/99, partendo da una definizione certa e restrittiva del concetto di tutela, limitato all'esercizio delle funzioni autoritative connesse al regime straordinario della proprietà e disponibilità dei beni culturali;

3. approvazione della specifica normativa prevista dall'art. 118, terzo comma, coerente con il T.U. modificato come sopra indicato, che definisca le modalità di cooperazione ed intesa tra i compiti dello Stato, quelli delle Regioni e delle altre Autonomie nell'esercizio delle funzioni amministrative di tutela.

Le Regioni ritengono che tale attività legislativa abbia come presupposto essenziale, proprio a causa dell'indeterminatezza già richiamata, la condivisione dell'impianto complessivo tra Parlamento, Governo e Regioni. La mancata condivisione determinerebbe evidentemente un sistematico ricorso alla Corte Costituzionale delle Regioni avverso la legislazione nazionale e del Governo contro la legislazione regionale, rimettendo ad un organo di alta garanzia giuridica la soluzione di problemi che invece competono alle responsabilità politiche dei vari livelli istituzionali.

Diverso è il tema dell'ordinamento amministrativo, dove il titolo V della Costituzione stabilisce che non necessariamente vi debba essere coincidenza tra titolarità dell'esercizio della funzione legislativa ed esercizio delle funzioni amministrative.

L'attività di indagine avviata dalla VII Commissione del Senato sui nuovi modelli organizzativi per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali deve tener conto delle nuove disposizioni costituzionali sopra richiamate.

Come ben individuato dalla Commissione, anche le Regioni condividono la necessità, in primo luogo, di distinguere le funzioni amministrative di tutela dalle funzioni amministrative di valorizzazione e promozione, scindendo, nei modelli organizzativi, le due attività.

Per quanto attiene alla tutela, il primo comma dell'art. 118 Cost. consentirebbe l'attribuzione delle funzioni autoritative connesse al patrimonio culturale, attualmente esercitate dalle Soprintendenze, alle Regioni e quindi si potrebbe prefigurare una situazione differenziata a seconda della crescita professionale, economica ed organizzativa regionale, fino a prevedere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia secondo quanto indicato dal terzo comma dell'art. 116 Cost. Si veda, ad esempio, quanto è accaduto nel caso delle soprintendenze ai beni librari e di quelle ai beni paesaggistici, già delegate con i d.p.r. n. 3/72 e n. 616/77, alle Regioni; in alcuni casi tale delega ha dato risultati eccellenti mentre non ci nascondiamo l'insufficienza di altre situazioni.

Posto il carattere di alta autorità, una sorta di magistratura che gli uffici di tutela svolgono, le Regioni ritengono che tali uffici, siano essi organi regionali dello Stato o organi delle Regioni, debbano mantenere un profilo di terzietà, rispondendo solo alla legge e alle competenze professionali.

Andrebbe inoltre previsto un agile accesso a un secondo livello di esame per i più rilevanti provvedimenti di tutela.

Diverso è il caso dell'ordinamento e dell'organizzazione della valorizzazione e della gestione del patrimonio culturale. Qui le differenti storie, la molteplice natura giuridica del patrimonio, la grande etereogeneità tra i vari territori per presenza di energie umane, di risorse finanziarie e di vicende, rende necessaria la più ampia flessibilità, a livello territoriale, dei modelli operativi di gestione.

Il ventaglio dei modelli istituzionali e organizzativi già oggi consente che tali attività possano avvenire in economia da parte degli enti pubblici, con l'istituzione di associazioni, fondazioni o società, con la concessione ai privati sia della gestione integrata, sia di particolari servizi, con la possibilità di avvalersi di forze dell'associazionismo e del volontariato.

Alcuni punti fermi devono ispirare l'organizzazione della gestione e della valorizzazione del patrimonio culturale:

1. l'autonomia scientifica, amministrativa e finanziaria degli istituti preposti alla gestione;

2. l'ampia partecipazione dei soggetti pubblici e privati interessati;

3. l'integrazione della gestione del bene e dei servizi, culturali e non, con gli altri beni in un sistema integrato territoriale.

In questo senso si può affermare che mentre il valore di un bene culturale è, per definizione, di interesse nazionale o, meglio ancora, universale, la politica della gestione e della valorizzazione non può che essere una "politica locale".

La valorizzazione di un bene, infatti, si può solo esercitare integrando la gestione del bene stesso, con programmi e relazioni che coinvolgano l'identità e l'immagine di un territorio, il sistema educativo, i trasporti e la viabilità, le infrastrutture turistiche, l'attività di ricerca e divulgazione, l'imprenditorialità e il volontariato.

In questo contesto, quindi, l'ordinamento non può che prevedere, a livello nazionale, la fissazione di standard e principi generali in armonia con quelli europei.

A questo proposito si cita il magnifico lavoro svolto congiuntamente dai tecnici dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali nell'elaborazione di linee guida per la definizione degli standard per il funzionamento dei musei e il lavoro in corso per l'individuazione degli standard per la definizione dei profili professionali degli operatori del settore.

A livello regionale compete invece una legislazione che normi la programmazione degli interventi, l'articolazione territoriale della valorizzazione e della gestione e che armonizzi le diverse funzioni e i diversi servizi, lasciando a ciascuna comunità locale la scelta delle modalità organizzative, fermo restando l'ampia possibilità di soluzioni gestionali già citate.

Particolarmente complesso è il problema della gestione del patrimonio culturale dello Stato.

La commissione di cui all'art. 150 del d.lg. n. 112/98 è in difficoltà tra le resistenze degli uffici statali al trasferimento della gestione dei beni culturali alle Regioni e alle Autonomie locali e le preoccupazioni delle Autonomie locali ad assumersi spese e responsabilità che possono diventare davvero onerose.

In questo ambito, notevole sconcerto ha determinato la costituzione di cinque Soprintendenze speciali del Ministero, analoghe a quella di Pompei, per la gestione di musei e grandi complessi archeologici e monumentali a Napoli, Roma, Firenze e Venezia e i contradditori segnali di voler estendere tale modello anche ad altri territori. Ciò è in evidente contrasto, non solo con quanto si sta qui discutendo, ma anche con le indicazioni politiche del Parlamento e del Governo, in particolare del Ministro, che hanno più volte prefigurato, per la gestione dei musei, un processo di autonomizzazione se non di privatizzazione.

E' per altro necessario sottolineare come il settore dei beni culturali necessiti, per la conservazione, la conoscenza, il restauro, la valorizzazione e la gestione, di risorse umane e finanziarie ingenti che provengono dalle amministrazioni pubbliche, ma anche dalle fondazioni ex bancarie, dall'imprenditoria privata, ecc.

Per tale ragione è necessario strutturare a tutti i livelli, nazionale, regionale e locale, senza determinare una eccessiva burocratizzazione dei processi, attività organiche di programmazione negoziata e concertazione interistituzionale che armonizzino gli interventi, razionalizzino la spesa, effettuino economie di scala e, soprattutto, facciano sentire tutti gli interessati protagonisti della conservazione e della valorizzazione del loro patrimonio.

Infine voglio spendere qualche parola sulla riforma più efficace sul lungo periodo, quella dei processi formativi.

Vi è una proliferazione di corsi di laurea, scuole professionali, master, ecc., che, mentre segnala un positivo interesse ed una grande attenzione per il settore, rischia di preparare persone non adeguate ai compiti da svolgere, con conseguenti difficoltà ad inserirsi nel mercato del lavoro e rischi di una delusione delle aspettative.

E' necessaria invece una intesa per la definizione dei profili degli operatori del settore, la predisposizione di adeguati curricula formativi, la definizione dei requisiti che le "Agenzie formative" devono possedere per il rilascio dei titoli legali.

La formazione di una generazione preparata a conoscere, conservare e valorizzare il patrimonio culturale del nostro Paese, prescindendo dal luogo in cui essa sarà chiamata ad operare, sia esso lo Stato, le Regioni, le Autonomie locali o l'impresa, è la più grande garanzia per la salvaguardia del nostro patrimonio e, in ultima istanza, il cuore della trasformazione dell'ordinamento in corso.

Consegno inoltre il documento predisposto dal Coordinamento interregionale per i Beni Culturali con ulteriori specificazioni tecnico-giuridiche ed operative.

 

 

DOCUMENTO TECNICO IN MERITO ALL'INDAGINE CONOSCITIVA
SUI MODELLI ORGANIZZATIVI PER LA TUTELA E LA VALORIZZAZIONE
DEI BENI CULTURALI, DELIBERATA DALLA SETTIMA COMMISSIONE
DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

 

La Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome rileva con grande interesse l'azione di studio e ricerca che il Senato ha avviato su una tematica estremamente delicata, tanto per il suo riferimento ad uno dei principi fondamentali della Costituzione, quale la promozione dello sviluppo della cultura e la tutela del patrimonio storico-artistico della Nazione (articolo 9 Cost.), quanto per la pluralità degli attori istituzionali che coinvolge sul tema delle identità culturali.

La riforma costituzionale realizzata con la Legge costituzionale n. 3/2001 ha modificato, anche nel settore dei beni culturali, il riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni.

In questo settore, la potestà legislativa esclusiva in materia di "tutela dei beni culturali e ambientali" spetta allo Stato; alle Regioni compete in regime di potere concorrente la valorizzazione degli stessi. Ma la grande novità che la riforma costituzionale, approvata dal referendum del 7 ottobre 2001, ha introdotto nel nostro ordinamento attiene per lo più a due disposizioni che, si ritiene, saranno la vera chiave di volta per l'attuazione del nuovo assetto delle competenze: il terzo comma dell'articolo 116 riformato che prevede la possibilità per le Regioni di richiedere in materia di tutela dei beni culturali una forma speciale di autonomia (federalismo a geometria variabile), e il quarto comma dell'articolo 118 laddove si stabiliscono forme di intesa e di coordinamento permanenti tra Stato e Regioni in materia di tutela, rimandando ad una specifica disposizione legislativa statale.

Il principio della concertazione tra Stato e Regioni, in questo delicato settore, si pone, quindi, si ritiene in maniera indiscutibile al centro di tutte le prossime iniziative legislative che il Parlamento sarà chiamato ad intraprendere per rendere operativa la Riforma costituzionale del titolo V.

 

Considerazioni generali

I problemi aperti a seguito della modifica della Carta costituzionale sono numerosi e per affrontarli nel miglior modo è bene distinguere tra problemi immediati di applicazione e questioni strategiche di fondo.

E dunque indispensabile tentare innanzi tutto di individuare i principi informatori della Riforma che possono rappresentare i parametri guida per ricostruire un quadro organico del nuovo modello di pubbliche amministrazioni introdotto in forte "strappo" con il passato.

Il primo principio che è stato introdotto e che segna sicuramente un'importante cesura con il passato è rappresentato dalla scelta, compiuta con la nuova formulazione dell'articolo 114, di un pluralismo istituzionale paritario: tra le articolazioni di un sistema che era già di tipo pluralistico non è più possibile individuare alcuna posizione di preminenza.

La generalità delle competenze legislative è ora attribuita al livello regionale. La generalità delle competenze amministrative spetta al livello locale. Lo Stato e i livelli centrali sono contrassegnati dalla tassatività delle competenze legislative e dalla limitatezza delle funzioni amministrative.

In secondo luogo poiché è venuto meno il binomio unità amministrativa- unità politica, devono ritenersi superati gli strumenti amministrativi fino ad ora utilizzati per garantirla e il problema dell'unità va rivisto in termini di capacità di collaborazione, coordinamento e concertazione tra i diversi livelli e di "diversità accettabile"(vedi la previsione di cui alla lettera m) dell'art. 117).

L'unità politica dunque non è più legata all'unità amministrativa che è venuta meno. L'amministrazione italiana deve ormai ritenersi in gran parte amministrazione autonoma.

Il terzo principio generale consiste nell'allocazione a livello locale (comunale) delle funzioni amministrative per cui deve ritenersi residuale e derogatoria l'allocazione di funzioni presso altri livelli di governo in base ai criteri di sussidiarietà e differenziazione.

Tutta la pubblica amministrazione è dunque differenziata e ulteriormente differenziabile. Questo è il quarto principio generale posto con la riforma.

In primo luogo infatti una generale differenziazione conseguirà agli "scorpori"che la legislazione statale e quella regionale opereranno rispetto alla generalità delle funzioni amministrative riconosciute al comune.

Se davvero tali "scorpori" saranno guidati dai principi di sussidiarietà e adeguatezza, i risultati saranno inevitabilmente diversi in ragione dei diversi contesti considerati. Il mantenimento di una autonoma organizzazione periferica di settore potrà essere giustificato in alcuni casi, ma non in altri. Certo è che tale giustificazione non potrà mai mancare pena l'illegittimità della scelta effettuata.

Bisogna poi sottolineare come la competenza legislativa regionale abbia oggi una diversa profondità che consente di effettuare scelte organizzative e ordinamentali diverse.

In questo quadro si inseriscono, come ulteriore elemento di variabilità del sistema amministrativo, le ipotesi di accordi o intese tra enti e livelli di governo diversi e le forme particolari di autonomia previste dall'art. 116 ultimo comma Cost.

E' allora necessario concludere che la differenziazione in quanto discende direttamente dai principi di sussidiarietà (verticale e orizzontale) e di adeguatezza, in quanto informa la potestà legislativa e le funzioni amministrative e in quanto riguarda non solo l'allocazione delle funzioni ma anche il loro svolgimento, rappresenta un elemento chiave del sistema.

Anche per la materia dei beni culturali è dunque necessario procedere alla ricostruzione di un quadro complessivo partendo dai principi ora delineati e dalle statuizioni del nuovo titolo V.

Occorre operare una doppia distinzione. Tra funzione legislativa e funzioni amministrative e tra tutela da un lato e valorizzazione, promozione e gestione dall'altro.

 

La funzione legislativa in materia di beni culturali

L'art. 117 co. 2 lett. s) attribuisce allo Stato la legislazione esclusiva e la potestà regolamentare (salvo delega alle Regioni (art.117 co. 6) in materia di tutela dei beni culturali.

Spetta allo Stato anche la disciplina delle forme di intesa e coordinamento sempre in materia di tutela dei beni culturali ex art. 118 co. 3. Tale esplicita riserva a livello costituzionale scaturisce dalla separazione tra tutela e valorizzazione. Le due funzioni amministrative sono infatti strettamente collegate e necessitano di coordinamento.

La valorizzazione dei beni culturali e la promozione e organizzazione di attività culturali sono materie di legislazione concorrente ex art. 117 co. 3 e la potestà regolamentare spetta dunque alle Regioni (art. 117 co. 6).

 

Le funzioni amministrative in materia di beni culturali

Bisogna distinguere tra le funzioni amministrative legate alla tutela e quelle di valorizzazione, promozione e gestione.

Le funzioni amministrative legate alla tutela non necessariamente devono essere svolte dallo Stato poiché è venuto meno il principio del parallelismo tra funzioni legislative e funzioni amministrative. Spetterà però alla legislazione statale normare l'allocazione di tali funzioni partendo da quanto stabilito dall'art. 118 Cost. secondo il quale " le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza".

Le funzioni di tutela possono suddividersi in due livelli: un livello della tutela intesa in senso stretto che riguarda le funzioni afferenti l'alterazione del regime ordinario del bene che passa ad un regime speciale; un livello della tutela intesa in senso più ampio e che riguarda funzioni quali l'uso, la circolazione, la fruizione ecc.

Si possono allora ipotizzare due sistemi.

Un primo sistema potrebbe attribuire entrambi i livelli di funzioni amministrative a enti locali e regioni conservando solo la funzione legislativa allo Stato.

Un'ipotesi differente potrebbe consistere nell'attribuire le funzioni amministrative dei due livelli in modo diverso conservando allo Stato le funzioni amministrative del primo livello (tutela in senso stretto) e attribuendo a enti locali e regioni il secondo livello (tutela in senso ampio).

Per quanto riguarda invece le funzioni amministrative legate a valorizzazione promozione e gestione il loro esercizio deve ritenersi di competenza di enti locali e regioni.

In tale contesto interpretativo bisogna senz'altro ritenere che i modelli gestionali vadano disegnati dalla legislazione regionale così come l'allocazione di tutte le competenze non afferenti alla tutela.

 

Prospettive e obiettivi

La realizzazione del nuovo sistema dei Beni culturali impegnerà nei prossimi mesi il Parlamento. Le Regioni ritengono indispensabile, alla luce delle considerazioni svolte sinora e della necessità di valorizzare il principio della concertazione, che la costruzione di questo nuovo sistema non potrà che vedere le Regioni come protagoniste principali accanto al Parlamento e al Governo.

La definizione di principi di riferimento, premessa ineludibile per l'individuazione di soluzioni normative ed organizzative specifiche, presuppone la necessità di adottare una nuova legge di tutela che definisca l'area di competenza dello Stato, limitandola esclusivamente all'apposizione del vincolo riferendosi, quindi, al solo regime proprietario del bene culturale.

Le Regioni sono del resto impegnate in più sedi nella messa a fuoco di tali principi di riferimento, che si auspica possano emergere in un clima di fattiva cooperazione inter-istituzionale e, comunque, nel rispetto delle prerogative proprie della "Cabina di regia" cui è demandato il monitoraggio e la messa a punto progressiva dei processi di attuazione della Legge costituzionale 3/2001.

Può essere comunque utile, in questa sede, evidenziare gli obiettivi fondamentali delle Regioni, ai quali si guarderà per il lavoro dei prossimi mesi.

Non c'è dubbio che, a fronte della eterogeneità e della pluralità di espressioni che caratterizza il patrimonio storico, artistico, ambientale e paesaggistico in Italia - con articolazioni territoriali di ambito spesso infraregionale, come ben evidente in tutta la storiografia fin dal secolo XVIII - sussiste un'esigenza di organico approccio alla salvaguardia e messa in valore non solo delle emergenze culturali più significative, bensì di tutta la complessa trama di relazioni storico-culturali e naturali del cosiddetto "museo Italia". Ciò richiede senza dubbio la messa a punto di metodologie unitarie di approccio alle funzioni di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale; nella logica che fu affermata dall'art. 149 del d.lg. 112/98 per il restauro e la catalogazione dei beni culturali, si può ritenere che, ove pure l'emanazione di normative metodologiche resti riservata allo Stato centrale, nondimeno la loro elaborazione debba essere frutto di un'azione ampiamente condivisa dalle Regioni, fin dalla fase di impostazione.

Le Regioni - d'intesa peraltro con ANCI, UPI, organizzazioni professionali e strutture del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - hanno maturato la convinzione (anche a seguito di un confronto con esperienze di altri Paesi europei) che l'omogeneità di approccio metodologico al governo del patrimonio, dei servizi e delle attività culturali trovi un perno essenziale in una speciale attenzione alla professionalità degli operatori. In altre parole, non sembra che l'attribuzione al solo Stato centrale della potestà legislativa renda di per sé efficace l'intendimento di garantire un approccio unitario ai beni culturali, alla loro tutela e valorizzazione nelle pur diverse realtà territoriali e sociali che fanno la ricchezza della cultura italiana.

E' assai più la condivisione della cultura professionale degli operatori ed il loro orientamento costante al confronto ed all'aggiornamento professionale che può garantire l'efficacia di direttive metodologiche a valenza nazionale o - in taluni casi - internazionale, come ben dimostra l'esperienza francese dell'Ecole du Patrimoine. Appare decisamente urgente operare la delineazione di profili di competenza degli operatori del settore, unitariamente definiti ed approvati da Stato e Regioni, al fine anche di orientare l'offerta formativa e di istruzione delle agenzie private e pubbliche (in primis l'università e le scuole di alta formazione, nonché il sistema della formazione e dell'istruzione professionale).

D'altra parte, l'esercizio di funzioni qualificate, sia per la valorizzazione sia per la gestione del patrimonio culturale, da parte di soggetti non pubblici, ma che tuttavia espletino funzioni di pubblico interesse e di pubblica utilità, implica lo sviluppo di strategie innovative, che non possono esprimersi adeguatamente in una mera logica di "mercato", cioè con il solo ricorso a procedure selettive (sia pure tecnicamente garantite) orientate all'offerta economicamente più vantaggiosa, per l'individuazione di soggetti con profilo operativo "aziendale" che gestiscano in outsourcing azioni di salvaguardia del pubblico interesse in materia di beni, attività e servizi culturali, di cui la Repubblica è costituzionalmente garante.

Per alleggerire o eliminare la diretta funzione gestionale dello Stato centrale e delle regioni, ma talvolta anche degli enti locali, occorre infatti prevedere a questo fine sistemi assai più efficaci delle sole gare ad evidenza pubblica per garantire la corretta interpretazione di un "mandato" pubblico da parte di soggetti che, peraltro, condividano con il mercato la capacità di garantire efficacia, efficienza, economicità. Una tale finalità può probabilmente essere perseguita, anche nel campo specifico dei servizi culturali, dall'attivazione di sistemi di accreditamento di soggetti non pubblici per funzioni di pubblico interesse, da svilupparsi nella logica del partenariato o, se si preferisce, della sussidiarietà "orizzontale". Tali modalità ben si coniugano con azioni di promozione e sviluppo di "sistemi di qualità", come l'esperienza di gestione, ad esempio, dei musei britannici ben può dimostrare. Per quanto concerne lo sviluppo del rapporto pubblico-privato e di connesse misure normative e finanziarie a carattere promozionale, in un contesto di forte attenzione per modelli innovativi di gestione a carattere anche non imprenditoriale (vedasi, ad esempio, il d.lg. 267/200, come modificato all'art. 35, comma 15 della legge 28 dicembre 2001, n. 448), occorre assumere come principio di orientamento a valenza generale e prioritaria quello di promuovere la piena integrazione dei servizi culturali con il contesto territoriale, in tutte le sue variegate valenze anche non specificamente culturali.

Ciò significa che, data per acquisita la prioritaria competenza - costituzionalmente garantita - degli enti locali nella gestione dei servizi pubblici (inclusi evidentemente, quelli riferiti al patrimonio culturale ed anche indipendentemente dall'appartenenza giuridica dei beni), occorre progettualmente individuare quelle forme di raccordo con il territorio che possano promuovere non soltanto una più larga ed efficace fruizione dei beni culturali, ma anche forme di ricerca, salvaguardia, valorizzazione secondo principi di integrazione e cooperazione. L'intervento di outsourcing dovrebbe essere sviluppato come misura attuativa di tale principio, a garanzia anche della partecipazione del patrimonio e dei servizi culturali alle azioni di sviluppo locale e nazionale.

Strumento precipuo - fra quelli oggi disponibili - per il perseguimento delle azioni di sistema quali volano per lo sviluppo (anche in ambito culturale e locale) sembra essere la programmazione negoziata in tutte le sue espressioni. Ciò significa assumere decisamente la scala del territorio regionale come quella più idonea per integrare in termini di programma e progetti condivisi le linee di intervento dei diversi soggetti pubblici e privati, le cui risorse ed i cui obiettivi si correlino alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale, nonché alle attività ed ai servizi culturali.

Per quanto attiene agli interventi di documentazione, conservazione, restauro, recupero sarebbe opportuno costruire uno strumento conoscitivo condiviso dal Governo nazionale, dalle Regioni e dagli Enti locali quale supporto alle decisioni inerenti l'individuazione delle priorità di intervento sotto un profilo tecnico: la "Carta del rischio del patrimonio culturale" appare ad oggi lo strumento più adeguato allo scopo.

 

Conclusioni

Alla luce delle considerazioni e delle osservazioni sopra esposte, nel ribadire come il proseguio del confronto tra istituzioni su questi temi sia condizione indispensabile ai fini di una corretta e celere attuazione della riforma costituzionale del titolo V, si evidenzia come, anche alla luce della competenza legislativa esclusiva regionale in materia di Organizzazione, i modelli organizzativi per la valorizzazione dei beni culturali non potranno che essere demandati alla potestà normativa regionale, potendo lo Stato emanare, al riguardo, esclusivamente una normativa di principio.

Per quanto attiene invece alla tutela dei beni culturali, la normativa di riferimento statale non potrà non tenere nel dovuto conto la necessità di un coordinamento e di una intesa con le Regioni, così come prevede la nuova formulazione dell'articolo 118, anche non considerando, ma solo per il momento, la possibilità concessa alle Regioni di attivare quell'autonomia speciale di cui al terzo comma dell'articolo 116, che farebbe ricadere la previsione statale ad una sola normativa di principio.

 

Roma, 28 febbraio 2002



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