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Tavola rotonda sul regolamento di organizzazione del ministero per i Beni e le Attività culturali (Roma, 9 marzo 2000)

 

Intervento di Giuseppe Chiarante



L'ampia esposizione fatta dal consigliere Forlenza sui principi generali che hanno ispirato la stesura del regolamento e anche su molte delle norme in cui esso si articola, mi consente di essere ragionevolmente più breve nell'esporre le valutazioni, le critiche, le controproposte che sono emerse dall'esame del Consiglio nazionale.

Ricordo in proposito che il Consiglio nazionale ha già dedicato tre riunioni (a metà dicembre, il primo febbraio e due giorni fa) al dibattito sul regolamento e che tali riunioni sono state precedute da altrettanti incontri del comitato di presidenza. E tuttavia la discussione non è ancora terminata e questo stesso fatto è un segno della complessità dei problemi che la ristrutturazione del ministero propone.

In ogni caso ritengo (e mi pare utile sottolinearlo) che la discussione sinora svolta non sia stata inutile.

Lo dimostra il fatto che da tale discussione è venuta una migliore definizione della normativa proprio su alcuni dei punti su cui ha ora particolarmente insistito il consigliere Forlenza. Penso, per esempio, alla questione del rapporto tra il soprintendente competente per materia e il soprintendente regionale per quel che riguarda l'apposizione del vincolo ossia la dichiarazione di bene culturale. Proprio su sollecitazione del Consiglio nazionale si è infatti passati da una prima formulazione che parlava semplicemente di una istruttoria del soprintendente specifico che fosse preliminare alla decisione sul vincolo da parte del soprintendente regionale alla formulazione contenuta nel testo portato all'esame del Consiglio dei ministri che attribuisce al soprintendente specifico un potere di "proposta"; ed è noto che, in base alla normativa stabilita sin dalla legge 1 giugno 1939, n. 1089, la proposta comporta un vincolo transitorio sino all'emanazione del provvedimento definitivo, vincolo transitorio che è evidentemente essenziale per garantire la tutela del bene culturale nella fase particolarmente delicata che precede la dichiarazione sul vincolo.

Così pure, per quel che riguarda la figura del soprintendente regionale, nella riunione dell'altro ieri anche da parte del ministro e del consigliere Forlenza si è convenuto circa l'opportunità, sottolineata dal Consiglio nazionale, di una più precisa definizione della sua qualificazione professionale. Infatti nel testo approvato dal governo in via preliminare è contenuto un generico richiamo a un'esperienza di professionalità in materia di beni culturali: il che può però significare molto poco. Anche un funzionario amministrativo che abbia lavorato per anni in questo settore può in effetti rivendicare tale esperienza. E' stata perciò accolta nella dichiarazione conclusiva del ministro la richiesta del Consiglio nazionale di fare riferimento in modo più vincolante alla provenienza del soprintendente regionale dai ruoli dei dirigenti tecnico-scientifici dell'amministrazione dei beni culturali.

Ma a parte questi punti specifici ai quali molti altri si potrebbero aggiungere, restano però numerosi e importanti i problemi sui quali non si è ancora giunti nell'elaborazione del regolamento a una formulazione soddisfacente. Per questo lo stesso ministro Melandri al termine della riunione di due giorni fa ha ritenuto opportuno proporre, e questa sua proposta è stata accolta, di non giungere in quella sede all'espressione di un parere e di costituire invece un tavolo di lavoro comune tra presidenza del Consiglio nazionale e Gabinetto del ministro per l'approfondimento dei problemi aperti: assumendo come base per tale approfondimento l'appunto riassuntivo proposto dalla vicepresidenza nel quale erano sintetizzate le proposte di modifica elaborate dal Consiglio nazionale. Attraverso questo lavoro si dovrebbe giungere entro un tempo ragionevolmente breve a un'ulteriore riunione del Consiglio per esprimere un parere conclusivo su un testo che in molti punti dovrebbe portare a revisioni anche sensibili rispetto a quello approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri.

Ma perché si è sviluppata nel Consiglio nazionale una discussione così vivace e anche tormentata? Può darsi che, come ha accennato Forlenza, in qualche intervento siano stati posti anche problemi che in realtà avevano già trovato una compiuta definizione nell'emanazione dei provvedimenti legislativi. Del resto, è comprensibile che in una discussione qualche volta si torni a ridiscutere anche delle premesse a partire dalle quali una certa elaborazione è stata compiuta. Mi sembra però che se si guarda alle proposte di modifica contenute nella sintesi elaborata dal comitato di presidenza, emerga chiaramente una linea di ragionamento che non contrasta ed anzi si basa sulle scelte compiute con il decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368 e ancor prima con il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 per quel che riguarda il rapporto Stato-regioni-enti locali in materia di beni culturali, dando però di tali scelte un'interpretazione diversa da quella prevalsa nella bozza di regolamento.

In sostanza la discussione che si è sviluppata nasce da due ottiche diverse con cui si può guardare all'attuazione dei principi fondamentali contenuti nel d.lg. 368/1998. Un'ottica è quella che ha ispirato la stesura del regolamento e che pare a me sostanzialmente orientata in senso prevalentemente centralistico; un'ottica differente e in certo modo opposta è invece quella che sottolinea soprattutto un ruolo di indirizzo, coordinamento, individuazione di grandi obiettivi di programmazione da parte del ministero, ma tende ad alleggerirne i compiti di amministrazione e di gestione in conformità con quelli che dovrebbero essere i caratteri di un ministero essenzialmente tecnico-scientifico come quello per i Beni e le Attività culturali. Certo qualcuno potrebbe obiettare che, almeno nella tradizione italiana, vi è una contraddizione tra la parola "ministero" e quelle "struttura eminentemente tecnico-scientifica": e, infatti, l'esperienza svolta dal '75 in poi non è stata a questo riguardo molto confortante. Ma nel momento in cui si pone mano al riordinamento del ministero almeno un tentativo per far prevalere le ragioni della logica scientifica e culturale dovrebbe essere compiuto; e ciò sarebbe possibile, a me sembra, definendo i poteri concentrati nel segretariato generale essenzialmente nelle forme dell'indirizzo, del coordinamento, dell'individuazione degli obiettivi programmatici (naturalmente con il supporto degli istituti centrali e degli istituti nazionali di carattere tecnico-scientifico) e trasferendo invece largamente i compiti di gestione e le funzioni operative nella direzione del decentramento, valorizzando di più a tal fine l'autonomia degli organi periferici e, contemporaneamente, l'apertura verso le regioni e le autonomie locali prevista nel d.lg. 112/1998.

Io sottolineo questo duplice aspetto del decentramento e dell'autonomia (autonomie funzionali degli organi decentrati del ministero e autonomie istituzionali delle regioni e degli enti territoriali) anche perché non si dovrebbe mai dimenticare che la specificità dei problemi della tutela del patrimonio culturale in Italia dipende proprio dallo stretto collegamento che c'è nel nostro Paese tra patrimonio culturale e territorio. In Italia la questione fondamentale non è, come può essere in altri Paesi, quella di amministrare bene un certo numero di musei; ma è prima di tutto quella di amministrare il meglio possibile quel patrimonio diffuso nel complesso del territorio che ben conosciamo. Anche per questo la scelta di conferire un'ampia ed effettiva autonomia agli organi (soprintendente, biblioteche, archivi) che operano sul territorio trasferendo ad essi gran parte dei compiti oggi accentrati nell'amministrazione centrale sembra a gran parte dei membri del Consiglio nazionale una soluzione non solo percorribile, ma necessaria per rispondere alle speranze di una riorganizzazione che sia anche l'avvio di un'autentica riforma del ministero.

E' sotto questo profilo che ci è parso che lo schema delineato nell'attuale testo di regolamento non accolga le istanze di autonomia e decentramento appena indicate, ma si muova piuttosto nella direzione della creazione di una struttura centrale forte, imperniata sul Gabinetto, sul segretariato generale, sulle direzioni generali. A noi sembrerebbe, invece, che l'istituzione di un segretario generale, come punto di raccordo fra i diversi momenti dell'Amministrazione, debba portare da un lato a uno snellimento della struttura del Gabinetto, i cui compiti dovrebbero essere solo quelli strettamente connessi all'attività del ministro, e dall'altro lato a un alleggerimento delle strutture e delle competenze delle direzioni generali.

Di qui anche i dubbi sollevati circa il numero delle direzioni generali. E' infatti fondato il timore che, al di là delle buone intenzioni, la moltiplicazione o comunque l'aumento delle direzioni generali porti inevitabilmente a un gonfiamento della struttura burocratica. C'è inoltre il pericolo di una sovrapposizione di compiti e funzioni fra i diversi livelli amministrativi. Per esempio i compiti di gestione del personale vengono per certi aspetti trasferiti alle direzioni di settore e d'altra parte la direzione per il personale non è più unita con quella per gli affari amministrativi generali come è nell'attuale organizzazione del ministero. Sembra perciò legittimo domandarsi se abbia senso mantenere una direzione per il personale così dimidiata; e se non sia invece preferibile ristrutturarla come un servizio del segretariato generale. Analogamente c'è da domandarsi se per l'arte e l'architettura contemporanea abbia senso prevedere una struttura di carattere essenzialmente amministrativo come una direzione generale o se non sia più logico, per compiti di questa natura, pensare ad una struttura più coerentemente tecnico-scientifica, come potrebbe essere quella di un istituto centrale. Così pure appare discutibile lo sdoppiamento tra direzione per il cinema e direzione per lo spettacolo dal vivo: prima di tutto perché si tratta di una distinzione culturalmente del tutto superata, in un'epoca in cui tende a prevalere la multimedialità; e poi perché la maggior parte delle competenze in materia di spettacolo sono da tempo trasferite agli enti locali o sono in fase di trasferimento ad apposite agenzie e sembra perciò singolare mantenere una direzione generale con compiti essenzialmente di controllo.

In sostanza l'impressione che si ricava dalla lettera del testo del regolamento approvato per ora in via preliminare è che l'istituzione di un segretariato generale "forte" ("forte" per la struttura e i compiti che gli sono attribuiti, ma anche per l'assegnazione ad esso di ben cinque dirigenti generali di prima fascia) non è stata affatto utilizzata come l'occasione per semplificare e alleggerire la struttura del Gabinetto e quella delle direzioni generali. Al contrario è stata delineata, per il nuovo ministero, una struttura burocratica centrale molto pesante: e ciò in contraddizione - a me sembra - con quei principi di semplificazione, decentramento, autonomia che, secondo le indicazioni generali della politica governativa, dovrebbero caratterizzare la riforma di tutta la pubblica amministrazione.

Questa impressione è rafforzata dalle norme che riguardano - invece - la struttura periferica. Se si va a rileggere il d.lg. 368/1998, che istituisce e detta le norme fondamentali riguardanti il nuovo ministero per i Beni e le Attività culturali, si vede subito che in esso vi è un equilibrio tra struttura amministrativa centrale - imperniata sul segretariato generale - e struttura tecnico-scientifica.

Tale equilibrio si fonda - oltre che sul rilievo dato agli istituti centrali e agli istituti nazionali come l'archivio centrale dello Stato o gli altri istituti già elencati nel d.p.r. 3 dicembre 1975, n. 805 - sulla previsione, da un lato, non solo di un nuovo istituto centrale per gli archivi ma di istituti speciali, a carattere tecnico-scientifico, per particolari settori; e, d'altro lato, sulla possibilità di riconoscimento di un'autonomia speciale (per intenderci sul modello di Pompei) per soprintendenze di particolare rilievo, e di una gestione autonoma, oltre che per le soprintendenze del settore delle arti, anche per musei, biblioteche pubbliche statali, archivi di Stato, soprintendenze archivistiche.

Tutte queste indicazioni contenute nel d.lg. 368/1998 in materia di autonomia e di struttura periferica non hanno trovato alcuna traduzione nel testo del regolamento sin qui elaborato: e ciò dà inevitabilmente un carattere fortemente centralistico all'assetto complessivo dell'amministrazione dei beni culturali che è delineata in tale testo. Nel dibattito di due giorni fa in Consiglio nazionale il ministro si è dichiarato favorevole ad accogliere le proposte formulate dal Consiglio in materia di autonomia inserendo una norma quadro nel regolamento che cominci a delineare un processo di attuazione (con scadenze precise, mi auguro) dell'articolo 8 del d.lg. 368/1998.

Spero che sul tema dell'autonomia e delle strutture periferiche si possa davvero giungere a una formulazione finale del testo del regolamento che riequilibri sostanzialmente l'attuale impianto centralistico. Oltretutto, se non si individuano con chiarezza le funzioni che sono proprie delle soprintendenze periferiche, diventa molto difficile anche precisare i compiti delle soprintendenze regionali; ed è forte il rischio che, anziché semplificare il funzionamento dell'amministrazione attraverso la valorizzazione dell'autonomia degli organi tecnico-scientifici e il trasferimento verso la periferia di compiti oggi svolti delle direzioni generali, si vada ad una sovrapposizione di livelli amministrativi più numerosi degli attuali (ossia a un'articolazione in quattro livelli, cioè soprintendenze periferiche, soprintendenze regionali, direzioni generali, segretariato generale, anziché nei due livelli rappresentati dalle soprintendenze e dalle direzioni generali).

Per questo ritengo sbagliato attribuire al soprintendente regionale un compito generico di coordinamento delle soprintendenze territoriali e degli altri istituti statali esistenti nella regione: in tal caso si finirebbe col costituire un ulteriore organo di controllo, un momento in più di passaggio in una trafila burocratica. La soprintendenza regionale può invece effettivamente diventare un organo di decentramento, di snellimento delle procedure amministrative, di gestione funzionale ed efficiente se ad essa sono attribuiti compiti che non possono essere soddisfatti nell'ambito di una singola soprintendenza e che attualmente di norma richiedono l'intervento delle direzioni generali: per esempio il coordinamento delle attività intersettoriali che comportano la cooperazione (e non di rado determinano situazioni di conflittualità) fra più soprintendenze; la gestione di strutture e servizi comuni, l'elaborazione, la messa a punto, la vigilanza sugli accordi di programma tra Stato e regioni. In questo modo le soprintendenze regionali verrebbero a qualificarsi come il naturale interlocutore dell'amministrazione regionale, alleggerendo le funzioni delle direzioni generali e riducendo di molto la necessità del "ricorso a Roma".

E' evidente che in questa logica dovrebbero invece restare alle soprintendenze competenti per materia (od essere attribuite ad esse) tutte le funzioni che possono compiutamente trovare esecuzione nell'ambito della soprintendenza stessa. Per esempio non si capisce perché, dal momento che già oggi le soprintendenze archivistiche svolgono in modo soddisfacente nel loro ambito la funzione di "dichiarazione di bene culturale", si debba invece ridurle a un ruolo di "proposta" e trasferire anche per gli archivi il compito di imporre il vincolo alla soprintendenza regionale. Oppure vi sono funzioni di grande importanza indicate nel d.lg. 112/1998 come proprie del ministero per i Beni e le Attività culturali (quali "l'organizzazione di studi, ricerche ed iniziative scientifiche anche in collaborazione con università ed istituzioni culturali e di ricerca") che nell'attuale testo del regolamento non sono neppure più richiamate e che è bene attribuire innanzitutto alle soprintendenze periferiche: e ciò al fine di favorire quella più stretta cooperazione con il mondo della formazione, degli studi e della ricerca che deve qualificare in senso scientifico un ministero come quello per i Beni e le Attività culturali.

In sostanza sembra a me necessario affermare, nel definire le funzioni dei vari livelli istituzionali, una sorta di criterio di sussidiarietà: evitando cioè di attribuire a livelli superiori compiti di intervento su funzioni che (come quelle indicate) possono essere pienamente assolte, in modo soddisfacente, a un livello inferiore, a partire dalle soprintendenze periferiche. Ma perché questo sia effettivamente possibile occorre riconoscere a tutte le soprintendenze e agli altri istituti assimilati un livello funzionale di autonomia: non dico l'autonomia speciale tipo Pompei, ma quell'indispensabile flessibilità amministrativa consistente nel poter gestire il bilancio ordinario di parte corrente - a parte, cioè, le spese per il personale e quelle d'investimento - attraverso un unico capitolo di bilancio. Se non si compie almeno questo passo, è inutile parlare di semplificazione amministrativa.

Due altre condizioni sembrano a me necessarie se si vuole superare l'impressione di un riordinamento ispirato a criteri rigidamente centralistici. La prima è di porre subito le premesse per un potenziamento del personale tecnico-scientifico, soprattutto nelle soprintendenze territoriali. Già oggi molte strutture periferiche sono sprovviste del personale necessario: vi è il rischio che lo rimangano ancora di più, perché segretariato generale, aumento del numero delle direzioni generali, istituzione delle soprintendenze regionali comporteranno il richiamo di quadri tecnici e scientifici sottraendoli alla periferia, cioè agli organi più direttamente operativi. E' illusorio pensare di fare una riforma senza una riapertura del reclutamento e senza una scelta che punti a una chiara valorizzazione delle competenze tecniche e scientifiche.

La seconda condizione riguarda, invece, l'esigenza di una maggior sottolineatura del rapporto di collaborazione con le regioni e gli enti locali. Può darsi che sia una dimenticanza non aver richiamato, nel regolamento, quella che in materia di beni culturali è una delle principali innovazioni del d.lg. 112/1998, ossia la facoltà di iniziativa riconosciuta a regioni ed enti locali per quel che riguarda l'avvio della procedura di dichiarazione di bene culturale. Mi auguro che questa dimenticanza sia colmata nella stesura finale del testo. Ma più sintomatico è il fatto che alla conferenza regionale per i beni culturali si faccia accenno nel regolamento solo marginalmente, là dove si dice che il soprintendente regionale ne fa parte di diritto: un richiamo cui però non si accompagna un inquadramento, nel modo di funzionamento del ministero riformato, dei compiti niente affatto marginali che il d.lg. 112/1998 assegna a tale conferenza. E' anche questa una dimenticanza? O non è piuttosto un segno di una scelta che, ponendo soprattutto l'accento sulla struttura amministrativa centrale del ministero, ha penalizzato autonomia e decentramento?

In conclusione, esprimo ancora una volta la fiducia - e in questo sono confortato dalle dichiarazioni fatte dal ministro al termine del dibattito in Consiglio nazionale - che si possa pervenire a un testo conclusivo del regolamento che alleggerisca l'impronta centralistica del testo attuale, proceda nella direzione della semplificazione amministrativa, soprattutto valorizzi la struttura tecnico-scientifica così centrale come periferica, dando corretta attuazione al principio del decentramento e dell'autonomia; e che promuova inoltre una più larga apertura al mondo degli studi e della ricerca e un'organica cooperazione con regioni ed enti locali. Vi è da dubitare, altrimenti, che il riordinamento del ministero cui si darà avvio possa davvero rappresentare il punto di partenza di quella sostanziale e positiva riforma che da tempo è attesa.



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