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Osservatorio sulla giurisprudenza del Consiglio di Stato
in materia di beni culturali e paesaggistici

a cura di Giancarlo Montedoro

Sommario: 1. Beni culturali. - 2. Beni paesaggistici.

1. Beni culturali

Cons. St., sez. VI, 4 marzo 2019, n. 1485 - Pres. F.F. De Felice, Est. Caputo - Sul ricorso a presunzioni in materia di tutela vincolistica archeologica.

Ai fini della tutela vincolistica archeologica, l'effettiva esistenza delle cose da tutelare può essere dimostrata anche per presunzioni, essendo a tale scopo non rilevante ex se che i materiali da tutelare siano stati già portati alla luce o siano ancora interrati. E' sufficiente che il complesso delle aree archeologiche risulti adeguatamente definito e che la misura adottata con il vincolo appaia, rebus sic stantibus ed alla luce delle risultanze ottenute, plausibile sotto l'aspetto scientifico ed adeguata alla finalità di pubblico interesse a cui il vincolo è preordinato.

Si sottrae a censure che lamentino l'inadeguatezza e la non proporzionalità l'apposizione del vincolo archeologico, quale misura di tutela di un'area abitata nell'antichità nel suo complesso, quand'anche non fosse cinta da mura. Le esigenze di salvaguardia hanno per oggetto non solo i reperti in sé o solo se addossati gli uni agli altri ma tutta la complessiva superficie destinata in illo tempore all'insediamento umano.

Il ritrovamento di resti di insediamenti di epoche passate in una determinata area rende probabile la presenza di altri resti nelle immediate vicinanze. È invero ragionevole e plausibile, sotto il profilo tecnico e scientifico, la scelta della P.A. di vincolare non solo i terreni in cui i reperti archeologici sono stati esattamente ritrovati ma anche l'intera zona circostante e che coincide con la presunta area d'estensione dell'insediamento.

Cons. St., sez. VI, 18 febbraio 2019, n. 1102 - Pres. F.F. De Felice, Est. Lamberti - Sul vincolo archeologico e sulla discrezionalità della soprintendenza nell'espressione dei pareri di compatibilità.

Nel dare i pareri di compatibilità la soprintendenza dispone di un'ampia discrezionalità tecnico-specialistica ed il potere di valutazione tecnica esercitato è sindacabile in sede giurisdizionale soltanto per difetto di motivazione, illogicità manifesta ovvero errore di fatto conclamato.

L'avvenuta edificazione di un'area non ha alcun rilievo quando si tratta di proteggere i valori estetici o paesaggistici ad essa legati: pertanto, l'avvenuta parziale compromissione di un'area vincolata non giustifica il rilascio di provvedimenti atti a comportare un ulteriore degrado.

Cons. St., sez. VI, 19 ottobre 2018, n. 5986 - Pres. F.F. Lopilato, Est. Leitner - Sui limiti alla discrezionalità dell'amministrazione nella tutela dei beni culturali (nel caso di specie, la Casa-Studio Dalla).

Nell'adozione della dichiarazione di interesse culturale di un bene immobile, pur nell'nell'ampia sfera di discrezionalità di cui dispone l'amministrazione preposta alla tutela dei beni culturali, il potere esercitato non resta sottratto ai criteri di ragionevolezza, di proporzionale bilanciamento degli interessi coinvolti e di adeguatezza al caso concreto.

Ricomprendere, quindi, indistintamente tutti i beni presenti nell'immobile di interesse culturale, significa in realtà negare proprio l'esercizio di qualsiasi forma di discrezionalità (mancando, nel caso di specie, innanzitutto, una chiara elencazione delle cose mobili contenute nella "Casa-Studio Dalla", che sarebbero tecnicamente assurte a bene culturale). Infatti, ai sensi dell'articolo 14 del d.lg. n. 42 del 2004, gli elementi di identificazione e di valutazione della cosa risultanti dalle prime indagini devono essere chiaramente individuabili fin dalla comunicazione di avvio del procedimento per la dichiarazione dell'interesse culturale.

Cons. St., sez. IV, 17 ottobre 2018, n. 5947 - Pres. Anastasi, Est. Martino - In materia di tutela dei beni culturali e di misure di salvaguardia.

Fino alla verifica effettiva dell'interesse culturale, i beni di cui all'art. 10 del d.lg. n. 42 del 2004 rimangono comunque soggetti alle disposizioni di tutela, sicché colui che intenda eseguire su di essi opere e lavori di qualunque genere deve preliminarmente munirsi dell'autorizzazione del soprintendente, che è resa su progetto e può contenere prescrizioni. In presenza di una regolare autorizzazione ai sensi dell'art. 21 del d.lg. n. 42 del 2004, non residua alcuno spazio volto all'emanazione di misure cautelari, quali l'ordine di sospensione dei lavori ex articolo 28 del d.lg. n. 42 del 2004, a meno che questi non siano condotti in difformità dal progetto autorizzato ovvero si contesti una infedele rappresentazione dello stato originario dei luoghi o delle cose di potenziale interesse culturale.

Cons. St., sez. VI, 11 maggio 2018, n. 2839 - Pres. Barra Caracciolo, Est. Ponte - Sulla tutela indiretta dei beni culturali.

In tema di prescrizioni di tutela indiretta dei beni culturali previste dal c.d. codice dei beni culturali e del paesaggio, l'art. 45 attribuisce all'amministrazione la funzione di creare le condizioni affinché il valore culturale insito nel bene possa compiutamente esprimersi, senza altra delimitazione spaziale e oggettiva che non quella attinente alla sua causa tipica, che è di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro, secondo criteri di congruenza, ragionevolezza e proporzionalità. Tali criteri sono tra loro strettamente connessi e si specificano nel conseguimento di un punto di equilibrio identificabile nella corretta funzionalità dell'esercizio del potere di vincolo: perciò il potere che si manifesta con l'atto amministrativo deve essere esercitato in modo che sia effettivamente congruo e rapportato allo scopo legale per cui è previsto.

Lo scopo legale, nel caso del vincolo indiretto, concerne la cosiddetta cornice ambientale di un bene culturale. Ne deriva che il limite di legittimità in cui si iscrive l'esercizio di tale funzione deve essere ricercato nell'equilibrio che preservi, da un lato, la cura e l'integrità del bene culturale e, dall'altra, che ne consenta la fruizione e la valorizzazione dinamica.

Il cd. "vincolo indiretto" non ha contenuto prescrittivo tipico, per essere rimessa all'autonomo apprezzamento dell'amministrazione la determinazione delle disposizioni utili all'ottimale protezione del bene principale - fino all'inedificabilità assoluta - se e nei limiti in cui tanto è richiesto dall'obiettivo di prevenire un vulnus ai valori oggetto di salvaguardia (integrità dei beni, difesa della prospettiva e della luce, cura delle relative condizioni di ambiente e decoro), in un ambito territoriale che si estende fino a comprendere ogni immobile, anche non contiguo, la cui manomissione si stimi potenzialmente idonea ad alterare il complesso delle condizioni e caratteristiche fisiche e culturali connotanti lo spazio circostante.

L'imposizione del vincolo indiretto costituisce espressione della discrezionalità tecnica dell'amministrazione, sindacabile in sede giurisdizionale solo quando l'istruttoria si riveli insufficiente o errata o la motivazione risulti inadeguata o presenti manifeste incongruenze o illogicità anche per l'insussistenza di un'obiettiva proporzionalità tra l'estensione del vincolo e le effettive esigenze di protezione del bene di interesse storico-artistico, e si basa sull'esigenza che lo stesso sia valorizzato nella sua complessiva prospettiva e cornice ambientale, onde possono essere interessate dai relativi divieti e limitazioni anche immobili non adiacenti a quello tutelato purché allo stesso accomunati dall'appartenenza ad un unitario e inscindibile contesto territoriale.

L'imposizione del vincolo, pur derivando da una valutazione ampiamente discrezionale dell'amministrazione, soggiace a precisi limiti enucleabili nel generale concetto di logicità e razionalità dell'azione amministrativa (onde evitare che la vincolatività indiretta, accessoria e strumentale possa trasformarsi in una vincolatività generale e indifferenziata), al principio di proporzionalità (congruità del mezzo rispetto al fine perseguito), alla specifica valutazione dell'interesse pubblico "particolare" perseguito ed alla necessità che nella motivazione del provvedimento sia chiaramente espressa l'impossibilità di scelte alternative meno onerose per il privato gravato del vincolo indiretto.

Cons. St., sez. VI, 8 maggio 2018, n. 2736 - Pres. Barra Caracciolo, Est. Caputo - In materia di tutela di siti archeologici con riferimento a complessi inscindibili.

In relazione al potere di imposizione del vincolo diretto, occorre valutare il carattere unitario del complesso, quale risulta dall'affioramento di resti murari e di materiale mobile, dall'omogeneità delle strutture, dalla dimensione e dalla continuità degli allineamenti murari tra i singoli settori scavati e visibili o ricoperti e parzialmente sommersi.

È richiesta una valutazione specifica dei singoli reperti e della loro ubicazione al fine di dimostrare che essi costituiscono un complesso inscindibile, essendo illegittima l'imposizione del vincolo su un'intera collina ove non risulti valutata la notevole dimensione ed eterogeneità del comprensorio in questione.

Il vincolo diretto risulta sproporzionato ove non sia stata indicata specificamente l'ubicazione dei singoli reperti nelle varie particelle catastali di una vasta area vincolata, potendosi ritenere legittima l'imposizione del vincolo diretto esteso ad un'intera area - nel lessico tecnico-giuridico il c.d. predium, espressione ellittica che sta ad indicare l'unitarietà di un'area archeologica inscindibile documentata dalle fonti antiche, oltre che dalle modalità, storicamente stratificatesi, di fruizione estetica e visiva dei beni del complesso archeologico medesimo - solo quando i ruderi costituiscano un complesso inscindibile.

2. Beni paesaggistici

Cons. St., sez. IV, 4 marzo 2019, n. 1462 - Pres. Anastasi, Est. Verrico - Sulla nozione sostanziale di bosco nell'ambito della tutela del paesaggio.

Sebbene, secondo il dettato dell'art. 142, comma 1, lett. g), del d.lg. n. 42 del 2004, la nozione di bosco sia di tipo normativo, poiché fa riferimento alla definizione recata dall'art. 2 del d.lg. n. 227 del 2001 e, in virtù di questo rinvio, postula la necessaria presenza di un terreno di una certa estensione, coperto con una certa densità da vegetazione forestale arborea (e, tendenzialmente almeno, da arbusti, sottobosco ed erbe), la finalità di tutela del paesaggio, sottesa alla nozione di bosco, implica il rispetto della ragionevolezza e della proporzionalità in relazione a tale finalità, con la conseguenza che foreste e boschi sono presunti di notevole interesse e meritevoli di salvaguardia perché elementi originariamente caratteristici del paesaggio, cioè del territorio espressivo di identità ex art. 131 del d.lg. n. 42 del 2004.

Dalla nozione di bosco vanno esclusi, quindi, gli insiemi arborati che non costituiscono elementi propri e tendenzialmente stabili della forma del territorio, quand'anche di imboschimento artificiale, ma che rispetto ad essa costituiscono inserti artefatti o naturalmente precari. La copertura forestale, necessaria per ritenere sussistente un bosco, deve costituire un sistema vivente complesso (non perciò caratterizzato da una monocoltura artificiale), di apparenza non artefatta e deve essere tendenzialmente permanente, posto che non è di per sé sufficiente per l'integrazione della nozione la mera presenza di piante, le quali, sebbene numerose, non siano tali da sviluppare un ecosistema in grado di autorigenerarsi.

Cons. St., sez. VI, 4 febbraio 2019, n. 854 - Pres. Santoro, Est. Ponte - Sul potere di annullamento del nulla osta paesaggistico da parte della soprintendenza.

Il potere di annullamento del nulla-osta paesaggistico da parte della soprintendenza statale - disciplinato, dapprima, dall'art. 1, legge n. 431 del 1985 , successivamente, dall'art. 151 del d.lg. n. 490 del 1999 e, infine, limitatamente al periodo transitorio, dall'art. 159 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato con d.lg. n. 42 del 2004 - non comporti un riesame complessivo delle valutazioni discrezionali compiute dalla regione o da un ente sub-delegato, tale da consentire la sovrapposizione o sostituzione di una propria valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio dell'autorizzazione, ma si estrinseca in una verifica di legittimità, che, tuttavia, si estende a tutte le figure sintomatiche del vizio di eccesso di potere.

La soprintendenza ha il potere di annullare il nulla osta paesaggistico comunale per qualsiasi vizio di legittimità della valutazione formulata dall'ente territoriale, compreso l'eccesso di potere, con l'unico limite del divieto di procedere ad un riesame complessivo delle valutazioni compiute dall'ente competente, tale da comportare la sovrapposizione o sostituzione di una nuova valutazione di merito.

Cons. St., Sez. VI, 1 febbraio 2019, n. 802 - Pres. F.F. De Felice, Est. Ponte - In tema di motivazione del diniego di autorizzazione paesaggistica e di annullamento del nulla osta paesaggistico comunale da parte della soprintendenza.

Nella motivazione del diniego di autorizzazione paesaggistica, l'amministrazione non può limitarsi ad esprimere valutazioni apodittiche e stereotipate, ma deve specificare le ragioni del diniego, ovvero esplicitare i motivi del contrasto tra le opere da realizzarsi e le ragioni di tutela dell'area interessata dall'apposizione del vincolo. Non è sufficiente, quindi, la motivazione del diniego all'istanza di autorizzazione fondata su una generica incompatibilità, non potendo l'amministrazione limitare la sua valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio ambientale, utilizzando espressioni vaghe e formule stereotipate.

La soprintendenza ha il potere di annullare il nulla osta paesaggistico comunale per qualsiasi vizio di legittimità della valutazione formulata dall'ente territoriale, compreso l'eccesso di potere, con l'unico limite del divieto di procedere ad un riesame complessivo delle valutazioni compiute dall'ente competente, tale da comportare la sovrapposizione o sostituzione di una nuova valutazione di merito. Anche in termini di paventato danno paesaggistico, il concetto di limitazione dello stesso appare contraddittorio rispetto all'esigenza di tutela primaria di un bene soggetto a vincolo. In sostanza, o l'opera è compatibile con il vincolo esistente in loco oppure non lo è, risultando manifestamente illogica una valutazione che ponga la verifica ai fini di tutela in termini di mera limitazione di un danno al bene tutelato, in specie nella sola parte di ampliamento oggetto di nuova autorizzazione.

Cons. St., sez. IV, 30 gennaio 2019, n. 738 - Pres. Troiano, Est. Martino - In tema di autorizzazioni paesaggistiche.

In tema di autorizzazioni paesaggistiche il giudizio espresso dall'amministrazione preposta alla tutela della vincolo è caratterizzato da un'ampia discrezionalità tecnico-valutativa. Tale giudizio è sindacabile in sede giudiziale esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione nonché sotto il profilo dell'adeguatezza della motivazione, considerati anche per l'aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche. Pertanto, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell'ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell'amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile.

 

 



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