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Tutela e gestione

Requisiti di partecipazione alle gare e criteri di valutazione delle offerte [*]

di Stefano Della Torre e Valentina Maria Sessa

Sommario: 1. Le esigenze alla base dei bandi di gara e i criteri adottati dalla commissione valutatrice: l'esperienza della Diocesi di Mantova. - 2. Profili problematici della valutazione dell'esperienza pregressa dei concorrenti. - 3. Specialità dei beni culturali e opportunità del ricorso al criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. - 4. Requisiti soggettivi di partecipazione alla gara e criteri di valutazione dell'offerta nella giurisprudenza europea e italiana. - 5. Discrezionalità amministrativa e criteri di valutazione delle offerte.

Requirements to participation in tenders and criteria of tenders evaluation
Restorative measures on cultural heritage are particularly sensitive for their conservation. It's therefore necessary to pay particular attention in order to identify an operator capable to carry out this activity with competence. For this aim European, and now National too, regulatory ad interpretative framework, allows to evaluate the previous experience of the company participating in a call for tender also when evaluating offers, whenever this experience might affect the success of the restoration.

Keywords: Restorative Measures; Conservation; Experience; Evaluation of Tenders; Tendering Procedure.

1. Le esigenze alla base dei bandi di gara e i criteri adottati dalla commissione valutatrice: l'esperienza della Diocesi di Mantova

L'occasione per approfondire la riflessione sul tema del peso dell'esperienza curriculare dei partecipanti alla procedura comparativa è offerta dalla significativa esperienza della Diocesi di Mantova, che ha recentemente appaltato i lavori per la ricostruzione con fondi pubblici delle quattro chiese maggiormente danneggiate dal terremoto del maggio 2012: S. Giovanni Battista di Moglia; S. Bartolomeo di Quistello; S. Tommaso Apostolo di Bondeno di Gonzaga; S. Giovanni Battista di S. Giovanni del Dosso [1]. Queste chiese, vulnerabili soprattutto nelle alte facciate e nelle volte sottili, avevano subito danni particolarmente gravi, tali da impedire per alcuni aspetti, dopo la messa in sicurezza intervenuta nei primi mesi dopo il sisma, gli approfondimenti solitamente richiesti per la progettazione. Va anche detto che, trattandosi di chiese, in tutti e quattro i casi erano compresenti problematiche strutturali, acuite dalla questione sismica, e dunque lavorazioni di costruzione edile e problematiche conservative legate alla presenza di opere d'arte e superfici decorate da affreschi, stucchi e altri materiali di pregio artistico.

I bandi emanati in rapida successione e con una serie di aggiustamenti, non tali da impedirne una considerazione complessiva, nonché lo svolgimento delle relative procedure di selezione, hanno fornito l'occasione per approfondire la riflessione sul tema del peso dell'esperienza curriculare dei partecipanti alla procedura comparativa. Il criterio prescelto è stato quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa (in seguito oepv), riservando il 75% del punteggio agli aspetti di qualità e affidabilità nella ingegnerizzazione del progetto, secondo i criteri di seguito descritti.

Il primo criterio, del peso massimo di 10 punti percentuali, è stato riferito all'offerta sulla conservazione programmata. Il rilevante peso dato a questo criterio rispondeva al dettato del co. 3 dell'art. 29 del d.lg. n. 42/2004 e anticipava l'orientamento che sarebbe poi stato espresso dall'art. 3 del d.m. n. 154/2017, attuativo del nuovo Codice dei contratti pubblici in riferimento ai lavori concernenti i beni culturali [2]. L'offerta su questo punto non era lasciata alla libera interpretazione degli offerenti, ma accuratamente descritta in una serie di operazioni di manutenzione e controllo. Tali previsioni andavano anche a sopperire al fatto che al momento del terremoto, da una parte, le chiese non erano dotate di un piano di manutenzione strutturato, dall'altro le condizioni di redazione del progetto non consentivano, per diversi aspetti, di strutturarne uno in modo dettagliato prima degli accertamenti di cantiere. Descritte le operazioni da svolgere, la richiesta alle imprese era di offrire l'esecuzione delle operazioni per un certo numero di anni, garantiti con apposita fideiussione bancaria, a partire dalla data di emissione del certificato di collaudo provvisorio dei lavori. L'applicazione del criterio risultava molto semplice, riducendosi in sostanza all'assegnazione di un punto per ogni anno offerto.

Gli altri criteri invece richiedevano alla commissione giudicatrice una valutazione tecnico-discrezionale. Si trattava di giudicare una relazione metodologica, illustrante le procedure operative per le lavorazioni da eseguirsi (massimo 20 punti), in particolare la relazione per le opere di restauro, sottoscritta da un restauratore abilitato (massimo 7 punti), nonché una relazione dedicata alle problematiche archeologiche, sottoscritta da un archeologo munito di titolo accademico, in possesso di adeguata formazione ed esperienza professionale secondo l'art. 1 della legge n. 110/2014 (massimo 3 punti).

Dalle tre relazioni erano attesi elementi a supporto di una valutazione sulla capacità tecnica e organizzativa dell'impresa, sia per la soluzione di nodi operativi particolari, in cui quindi il progetto lasciava qualche grado di libertà, oltre all'impegno all'impiego di prodotti di alta qualità, sia per la gestione delle interferenze critiche tra opere edili e opere da restauratore, con le opportune provvidenze per garantire la conservazione delle superfici decorate durante i lavori, anche pesanti, sulle strutture o in fondazione. Si tenga conto che in almeno due dei quattro cantieri era stato posto l'obiettivo di recuperare una parte degli spostamenti delle murature indotti dal sisma mediante progressive e tutt'altro che abituali applicazioni di forze.

Un'ulteriore relazione era richiesta per la "cantierizzazione dei lavori", quale proposta di miglioramento del piano di sicurezza e coordinamento da far diventare parte integrante del piano di sicurezza e coordinamento di progetto, sottoscritta da un professionista abilitato ai sensi di legge, con l'obiettivo di migliorare le garanzie per la sicurezza durante l'esecuzione dei lavori (massimo 15 punti). Anche in questo caso si trattava per l'impresa offerente di dimostrare adeguata capacità operativa per allestire un cantiere in condizioni di elevata instabilità, gestendo rimozioni, polveri, smontaggi, completamenti di strutture parzialmente crollate.

Da ultimo, il criterio che si è rivelato più critico è stato quello che assegnava un massimo di 20 punti all'esperienza relativa a interventi di consolidamento e restauro su beni culturali ecclesiastici: veniva infatti richiesta una succinta presentazione di cinque casi, documentandone i contenuti tecnici e tecnico-amministrativi. L'obiettivo di questo criterio era quello di garantire l'affidabilità dell'impresa paragonando il progetto a bando con le dimensioni e la complessità di operazioni affini già eseguite, atte quindi a dimostrare con esempi concreti una consolidata capacità operativa.

Tale criterio, peraltro, non è stato applicato in modo automatico, limitandosi ad elaborare acriticamente l'importo dei lavori (il che avrebbe richiesto semplicemente di riscontrare il possesso della categoria SOA richiesta, così confondendo il criterio di selezione con quello di ammissione), ma analizzando tecnicamente l'affinità dei lavori svolti con quelli a base di gara, in termini sì di dimensione dei cantieri, ma soprattutto di affinità di problematiche legate al restauro post-sisma: consolidamento di strutture pericolanti, coordinamento tra le lavorazioni strutturali e quelle relative alle superfici decorate, in alcuni casi recupero delle dislocazioni indotte dal sisma e via dicendo.

Il criterio di selezione, così applicato, non ha quindi assunto un valore ripetitivo del criterio di ammissione, ma anzi è stato pienamente finalizzato a corroborare l'analisi dell'offerta tecnico-metodologica, valorizzandone gli aspetti di maggiore adeguatezza rispetto agli interventi a base di gara. La stessa redazione delle brevi schede tecniche di presentazione dei cantieri condotti a termine dall'impresa era stata inserita a bando in funzione di interessante spia della consapevolezza da parte dell'impresa di quali problematiche il cantiere avrebbe dovuto affrontare.

La ratio del criterio adottato, al di là della sua formulazione nei bandi, era dunque di supportare una corretta scelta del contraente: tuttavia, il contenzioso che ne è nato, al di là della censura formale relativa all'operato della stazione appaltante in sede di valutazione, ha preso sostanzialmente ad oggetto le offerte delle imprese stesse sotto il profilo dell'ammissibilità dei casi portati.

È proprio questo aspetto che induce a formulare alcune riflessioni sulla possibilità e sul valore da dare al dato curriculare in occasione dell'affidamento di un appalto concernente attività conservative di beni culturali, in particolare nel caso più complesso dei beni architettonici.

2. Profili problematici della valutazione dell'esperienza pregressa dei concorrenti

I profili problematici della considerazione dell'esperienza pregressa dei concorrenti ai fini della valutazione delle offerte in sede di aggiudicazione sono diversi. La vicenda dei bandi della Diocesi di Mantova ne mette in luce alcuni, che sono stati oggetto della sentenza 6 novembre 2017, n. 1310, con cui il Tar Lombardia, sez. II staccata di Brescia, ha posto fine al contenzioso relativo ai suddetti bandi disponendo la rinnovazione del procedimento di valutazione del requisito delle precedenti esperienze in relazione a entrambi i raggruppamenti parti del giudizio, e la conseguente rivalutazione delle offerte.

Come è stato anticipato nel precedente paragrafo, il bando della Diocesi di Mantova annoverava tra i criteri di aggiudicazione anche la valutazione dell'esperienza pregressa dei concorrenti, da comprovare mediante elencazione di alcuni interventi, in numero massimo di cinque, finiti e collaudati, "attestanti le esperienze acquisite su interventi di consolidamento e restauro su beni culturali ecclesiastici (chiese, santuari, campanili)".

Un chiarimento preliminare del giudice amministrativo è stato rivolto a sgombrare il campo da qualsiasi dubbio in merito al fatto che i beni relativamente ai quali computare le precedenti esperienze dovessero essere necessariamente di proprietà ecclesiastica: a prescindere dal soggetto proprietario, infatti, la richiesta del bando era evidentemente formulata con l'intenzione di individuare l'avvenuta maturazione di precedenti esperienze nel consolidamento e nel restauro di beni aventi le caratteristiche proprie di quelli tradizionalmente ecclesiastici (chiese, campanili, santuari), a prescindere dalla loro proprietà, per chiare ragioni di affinità con gli immobili su cui si sarebbe dovuto realizzare l'intervento.

Questa prima questione consente di mettere a fuoco un punto importante, vale a dire che "la precedente esperienza rileva... in relazione alle particolari competenze tecniche richieste per l'intervento su beni aventi le caratteristiche oggettive di quelli della categoria in questione e non certo con riferimento alla natura della committenza, di cui non è stata esplicitata quale sarebbe la particolare influenza sulla prestazione eseguita".

Una seconda importante questione ha riguardato la necessità o meno che gli interventi eseguiti in precedenza con riferimento alla categoria OG2 ("restauro e manutenzione dei beni immobili sottoposti a tutela"), per essere computati ai fini della valutazione dell'esperienza pregressa, fossero stati eseguiti direttamente dalla società dichiarante il possesso del requisito e non da un terzo subappaltatore. In merito il Collegio, pur in assenza di specifiche indicazioni sul punto da parte della lex specialis, ha ritenuto l'oggettiva irrilevanza dei lavori in concreto eseguiti da terzi, al fine di dimostrare l'esperienza maturata in relazione alle specifiche lavorazioni, "in linea e, dunque, coerentemente, con quanto previsto dall'art. 248, comma 3 del DPR 207/2010, che prevede, con riferimento ai lavori relativi alle categorie OG2, OS2A, OS2B e OS25, forme di verifica semplificata del possesso dei requisiti, ma stabilendo che essi "sono utilizzati ai fini della qualificazione soltanto dall'impresa che li ha effettivamente eseguiti, sia essa affidataria o subappaltatrice"".

Analoga disposizione, peraltro, è contenuta nel manuale Anac per le SOA ed è stata riproposta dall'art. 11, co. 4 del d.m. n. 154/2017 (Regolamento concernente gli appalti pubblici di lavori riguardanti i beni culturali tutelati ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42), il quale sancisce espressamente che "i lavori possono essere utilizzati ai fini di cui all'articolo 7 solo se effettivamente eseguiti dall'impresa, anche se eseguiti in qualità di impresa subappaltatrice. L'impresa appaltatrice non può utilizzare ai fini della qualificazione i lavori affidati in subappalto".

La conclusione del giudice amministrativo, sotto questo punto di vista, pare peraltro condivisibile: se, infatti, può ritenersi principio generale quello secondo cui, ai fini di ottenere la qualificazione SOA per l'esecuzione di appalti nelle categorie proprie dei lavori relativi a beni culturali, non possono essere utilizzati i lavori non eseguiti direttamente dall'impresa - ma da questa affidati in subappalto a terzi - risulta coerente escludere la rilevanza, come dimostrazione dell'esperienza pregressa, di lavori che non siano stati eseguiti direttamente dalla società dichiarante il possesso del requisito, ma da un terzo subappaltatore.

Sempre sul punto, la sentenza afferma che nell'importo dichiarato come ammontare dell'intervento precedentemente realizzato non avrebbero dovuto essere compresi i lavori non riconducibili alla categoria prevalente OG2 ("restauro e manutenzione dei beni immobili sottoposti a tutela") o a quella specialistica OS2A ("restauro e manutenzione di superfici decorate di beni immobili del patrimonio culturale e beni culturali mobili di interesse storico, artistico, archeologico ed etnoantropologico"), debitamente distinte [3].

È interessante altresì notare come il Collegio, pur richiedendo alla commissione di gara di rivedere sotto taluni aspetti il punteggio attribuito ai concorrenti, non abbia ritenuto di volerne escludere taluno dalla gara, in forza di un ragionamento attento alla "sostanza", vale a dire orientato, più che a censurare la forma in cui la documentazione è stata prodotta, a sottolineare come quest'ultima (e cioè le schede relative agli interventi e, soprattutto, i certificati di esecuzione lavori prodotti, che evidenziano le diverse lavorazioni comprese nell'importo totale e la quota parte dei lavori eseguita da altri soggetti in subappalto) consentisse comunque alla commissione di apprezzare eventuali irregolarità.

Un'ulteriore questione ha riguardato la possibilità che nel raggruppamento temporaneo di imprese partecipante alla procedura i precedenti interventi dichiarati al fine di dimostrare il possesso del requisito della professionalità potessero risultare eseguiti da una sola delle mandanti del raggruppamento e in quale misura. Sul punto il Collegio ha chiarito che la maturazione di precedenti esperienze relative a interventi di consolidamento e restauro su beni culturali ecclesiastici non rientrava, nel caso di specie, tra i requisiti di partecipazione, ma rilevava solo come elemento dell'offerta tecnica, suscettibile di valutazione da parte della stazione appaltante, per il quale era prevista l'attribuzione di un punteggio fino a 20 punti [4].

È su questo aspetto che si appunteranno le riflessioni successive, dal momento che tale questione è stata oggetto di attenzione sia in sede europea, da parte della Corte di Giustizia, sia da parte del giudice amministrativo italiano, a causa della sua suscettibilità di divenire l'elemento determinante per l'aggiudicazione dell'appalto.

Si tratta di un aspetto decisivo in particolare allorché si applichi il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, quella che il Codice dei contratti, ai sensi dell'art. 95, co. 6, primo periodo, indica come "individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo" e "valutata sulla base di criteri oggettivi, quali gli aspetti qualitativi, ambientali o sociali, connessi all'oggetto dell'appalto".

Come ha specificato autorevolmente il Consiglio di Stato, infatti, "il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa si fonda su di una pluralità di elementi di natura qualitativa ed economica tra loro integrati, la cui determinazione è rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante; peraltro quest'ultima, nell'effettuare le proprie scelte, deve ricercare un equilibrio tra prezzo e qualità, che non ha un valore solo tra i due parametri, ma anche all'interno di ciascuno degli stessi, onde consentire alla stazione appaltante il risultato migliore e più conveniente e, dall'altro, consentire ai partecipanti di confidare in una uniforme e trasparente valutazione dell'offerta" [5].

Proprio tale pluralità di criteri fonda la necessità che "il bando di gara elenchi i criteri di valutazione, precisi la ponderazione attribuita a ciascuno di essi e, ove necessario, preveda i sub-criteri e sub-pesi, disaggregando il criterio nei suoi aspetti più essenziali, fermo restando il peso o punteggio massimo attribuito a quel dato criterio" [6].

La corretta considerazione del valore da attribuire all'esperienza curriculare dei concorrenti diventa dunque elemento fondamentale per determinare i punteggi da attribuire e, di seguito, per individuare l'offerta migliore.

3. Specialità dei beni culturali e opportunità del ricorso al criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa

La riflessione disciplinare sul restauro architettonico si è sviluppata mettendo al centro il tema dell'autenticità, che in particolare in ambito italiano viene declinata dalla sanior et maior pars della dottrina come autenticità materiale. Pertanto si richiede nelle lavorazioni una cura e una professionalità non comuni, che in qualche modo dovrebbero essere tenute presenti nella ricerca del contraente affidabile per lavori così delicati.

Un cantiere di restauro architettonico costituisce, secondo una felice e ricorrente espressione, una avventura della conoscenza: se già il progetto richiede il massimo approfondimento attraverso rilievi di precisione e indagini diagnostiche, l'intervento nella materia dell'architettura fa sempre emergere nuovi elementi conoscitivi, che l'evoluzione delle tecniche ha reso eloquenti fino a costituire un sapere specifico, detto "archeologia dell'architettura".

Così, se da decenni si insiste sulla importanza del rilievo e delle indagini preliminari quali indicatori della qualità del progetto, è altrettanto condivisa la necessità che il cantiere sia condotto quasi come un cantiere di archeologia, con la massima attenzione a tutto quello che la materia edilizia rivela in corso d'opera.

Se nel caso dei restauri di oggetti d'arte è assodato che il progetto matura operando, tanto che si è consolidata la prassi di appaltare sulla base di un progetto preliminare, nel caso di chiese terremotate come quelle per cui nascono le presenti osservazioni, le stesse condizioni degli immobili impediscono spesso molti accertamenti che sarebbe utile poter svolgere preliminarmente e che, invece, è necessario rimandare all'apertura del cantiere, quindi post-appalto: un esempio di come la componente metodologica dell'offerta, in termini sia di tecniche conoscitive e diagnostiche messe in campo dall'impresa, sia di procedure di sicurezza, divenga fondamentale e dirimente per l'affidamento.

Nel caso di interventi sui beni culturali, dunque, l'operatore non è mai un mero esecutore: tale constatazione comporta che un progetto di restauro non si possa mai considerare "esecutivo" nell'accezione applicabile a un progetto di nuova costruzione e che diventi fondamentale l'esperienza dell'operatore, che gli consente di affrontare nel modo più corretto le situazioni, anche impreviste, che possono delinearsi man mano che procede il cantiere.

Sotto questo profilo, dunque, la solida padronanza della deontologia operativa diventa fondamentale, in quanto l'esecuzione di un restauro è insieme un'operazione tecnica e un percorso di progressivo approfondimento della conoscenza del bene, tanto che - non a caso - le informazioni acquisite devono essere riportate a fine lavori nel consuntivo scientifico.

Di conseguenza, nell'approntamento di un cantiere di restauro, la garanzia di una più alta qualità, identificabile con la miglior tutela del bene e dei suoi valori culturali, può essere offerta, ad esempio, dalla definizione della metodologia per affrontare le residue incertezze diagnostiche, dalla protezione accurata degli elementi labili che potrebbero essere danneggiati per le interferenze in fase esecutiva, dalla documentazione delle attività di cantiere, che peraltro oggi può fare ricorso a tecnologie digitali avanzate, ponendo al massimo livello l'obiettivo del rispetto del bene culturale.

Tutti questi elementi possono essere descritti all'interno delle relazioni metodologiche, ma è certo che una commissione valutatrice, che agisce in nome e per conto della stazione appaltante, esprime il giudizio con tanta maggior confidenza quanto più le relazioni metodologiche sono accompagnate dalla dimostrazione concreta di aver già sperimentato le pratiche di integrazione tra lavorazioni di diversa categoria. Per tutta questa ricchezza di contenuti in gioco, l'affidamento tramite oepv può garantire tale obiettivo assai meglio del criterio del massimo ribasso [7].

Per queste ragioni, nella programmazione delle iniziative di restauro del patrimonio architettonico da tempo si praticano, e si raccomandano nell'interesse della tutela, appalti basati sull'oepv e su criteri che tentano, nel rispetto della normativa, di consentire una valutazione delle competenze acquisite dalle imprese concorrenti.

Nell'evoluzione della legislazione italiana dopo la riforma degli appalti pubblici del 1994 l'alternativa tra massimo ribasso e oepv ha visto alterne prevalenze dell'una o dell'altra tesi. In effetti i provvedimenti che si sono succeduti sono stati spesso dettati da circostanze contingenti e percezioni di emergenza legate a fatti di corruzione diffusa, ad episodi di infiltrazioni mafiose e di costi gonfiati, sicché il tema del contenimento secco dei costi ha finito spesso per prevalere su valutazioni di opportunità basate sulla necessità di perseguire la qualità dell'opera, nelle sue diverse declinazioni tecniche.

Lo stesso mondo delle imprese, inoltre, ha in più occasioni criticato il ricorso all'oepv, considerato un metodo di aggiudicazione che rende particolarmente dispendiosa la partecipazione alla procedura comparativa, in quanto di solito richiede la consulenza di uno o più professionisti oltre l'organizzazione interna con un ufficio gare qualificato. Non stupisce dunque che il d.lg. n. 50/2016 abbia optato per l'oepv solo dopo un aspro dibattito e con ampie eccezioni per gli appalti minori, che sono la maggior parte e comprendono molti degli interventi sui beni culturali, e che l'oepv sia stata messa in discussione anche in occasione del d.l. 18 aprile 2019, n. 32, c.d. "sblocca-cantieri" [8].

Che l'oepv richieda un maggior sforzo da parte di tutti, appaltanti, appaltatori e tecnici, è fuori di dubbio. Va aggiunto che, oltre ad essere una procedura impegnativa, essa può anche rivelarsi delicata da gestire, ad esempio per il rischio che i concorrenti insinuino nelle offerte proposte non suscettibili di accoglimento, se non in base a criteri di aggiudicazione impropri. Questo avviene in particolare quando vengono proposte rilevanti variazioni al progetto, che sono volte a giustificare un ulteriore sconto attraverso una fornitura aggiuntiva a costo zero, ma che nel caso degli interventi sui beni culturali inducono una grave criticità, proponendo opere o tecniche di lavorazione diverse da quelle descritte nel provvedimento di autorizzazione della soprintendenza. Può anche trattarsi di soluzioni brillanti o di opere necessarie, ma sul piano giuridico la qualità della proposta non deve indurre a confondere un intervento (eventualmente) autorizzabile con quanto effettivamente e previamente autorizzato. Il progetto approvato messo a gara, infatti, è certamente l'esito di adeguate consultazioni tra la proprietà, l'ufficio di progettazione e la soprintendenza: è dunque difficile che le soluzioni immaginate dai consulenti delle imprese non siano state già considerate e scartate ma, anche qualora non lo fossero, richiederebbero comunque il previo assenso dell'autorità di tutela.

In realtà l'offerta più vantaggiosa non dovrebbe identificarsi per l'originalità delle idee, ma per l'effettivo miglioramento del progetto messo a gara per gli aspetti non ancora perfettamente ingegnerizzati. Essa costituisce un criterio di scelta decisamente più adeguato di quello del massimo ribasso, in particolare per quanto riguarda gli interventi sui beni culturali. Tuttavia la sua adozione deve considerarsi il frutto della maturazione della riflessione sui criteri di scelta del contraente.

Rispetto all'alternativa tra oepv e massimo ribasso si ebbe un momento decisivo con l'approvazione della legge 1 agosto 2002, n. 166. L'art. 21, co. 8-bis, stabiliva infatti che "L'aggiudicazione dei lavori di restauro e manutenzione di beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici sottoposte alle disposizioni di tutela previste dal testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, il cui importo stimato sia inferiore a 5.000.000 DSP, è disposta secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, assumendo quali elementi obbligatori di valutazione il prezzo e l'apprezzamento dei curricula in relazione alle caratteristiche dell'intervento individuate nella scheda tecnica di cui all'articolo 16, comma 3-bis. In questa ipotesi, all'elemento prezzo dovrà essere comunque attribuita una rilevanza prevalente secondo criteri predeterminati" [9]. Si instaurava in tal modo un nesso molto stretto tra ricorso all'oepv e riconoscimento dell'importanza del curriculum come criterio di assegnazione dell'appalto, non in astratto, ma in relazione alle problematiche dell'intervento. Allo stesso tempo, tuttavia, si rimarcava che il criterio del minor prezzo manteneva la rilevanza prevalente e l'indicazione di valutare i curricula si riferiva soltanto ai beni artistici, non a quelli architettonici se non limitatamente alle superfici decorate.

Si trattava comunque del primo passo verso il riconoscimento di una specificità dei beni culturali - frutto anche dell'azione della categoria dei restauratori finalizzata a vedere riconosciuta la propria qualificazione professionale - tale da giustificare norme particolari per l'appalto dei lavori ad essi relativi.

Il successivo passaggio avvenne il 22 gennaio 2004 allorché il Governo emanò sia il d.lg. n. 42, con cui si approvava il Codice dei beni culturali e del paesaggio, sia il d.lg. n. 30 per la Modificazione alla disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti beni culturali. Il d.lg. n. 30/2004, infatti, integrava le disposizioni dell'art. 25 della legge n. 109/1994, la cosiddetta "Merloni", ampliando e, al contempo, rendendo più flessibili i presupposti di ammissibilità delle varianti, intervenendo sui temi della sponsorizzazione, degli appalti misti di lavori e di servizi e disciplinando il tema dell'affidamento congiunto, disgiunto ovvero unitario. Denominatore comune di tali disposizioni era la previsione di una maggior flessibilità rispetto alla normativa generale, ma anche la preoccupazione per la qualificazione professionale dei ruoli più delicati, ancora con particolare riferimento alla figura del restauratore [10].

Il tema fu ripreso nel rinnovato Codice degli appalti del 2006, in particolare agli artt. 90 e 202 [11] e si rinviene oggi anche nel d.lg. n. 50/2016, in particolare agli artt. 46, 102, 146-147. Per questa via, di fatto, si è portata la specifica esperienza ad essere uno dei criteri più importanti per l'affidamento dei lavori. Rispetto agli obiettivi della presente riflessione, va però detto che il passaggio dai beni artistici e superfici decorate ai beni architettonici contempla certamente un salto, anche perché la qualificazione del restauratore si è incentrata sul riconoscimento di una professionalità, più che di una qualificazione d'impresa, aprendo a una serie di conseguenze che esulano dal tema qui trattato: limitandosi a rilevare che l'approccio al conserver-restorer come professione è un dato non soltanto italiano ma europeo [12]. Le opere edili, per quanto delicate e specifiche, richiedono sì esperienza e preparazione nel singolo operatore, ma anche e soprattutto un'organizzazione complessiva d'impresa.

4. Requisiti soggettivi di partecipazione alla gara e criteri di valutazione dell'offerta nella giurisprudenza europea e italiana

Le questioni affrontate dalla sentenza del Tar Brescia non sono nuove né nel contesto europeo, né in quello interno. Negli ultimi due decenni e prima dell'emanazione delle direttive relative agli appalti del 2014, la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha più volte evidenziato la necessità di operare un'adeguata separazione tra la fase di selezione dell'offerente, da effettuare tramite criteri di idoneità o requisiti di partecipazione, e la fase di selezione dell'offerta, da realizzare tramite i criteri di aggiudicazione [13].

Secondo la Corte di Giustizia, infatti, per quanto "in teoria, l'accertamento dell'idoneità degli offerenti e l'aggiudicazione dell'appalto possano avvenire contemporaneamente, ciò nondimeno tali operazioni costituiscono due operazioni distinte e sono disciplinate da norme diverse [14]. L'accertamento dell'idoneità degli offerenti viene di fatto effettuato dalle amministrazioni aggiudicatrici in conformità ai criteri di idoneità economica, finanziaria e tecnica (detti «criteri di selezione qualitativa») ... Per contro, l'aggiudicazione dell'appalto si fonda sui criteri enumerati ... e cioè il prezzo più basso o l'offerta economicamente più vantaggiosa ... Di conseguenza, sono esclusi come «criteri di aggiudicazione» i criteri che non siano diretti ad identificare l'offerta economicamente più vantaggiosa, ma che siano essenzialmente collegati alla valutazione dell'idoneità degli offerenti ad eseguire l'appalto di cui trattasi..." [15].

In proposito la Corte di Giustizia [16] ha affermato che "se è vero che, in quest'ultimo caso (l'offerta economicamente più vantaggiosa), i criteri che possono essere applicati dalle amministrazioni aggiudicatrici non sono tassativamente elencati all'art. 36, n. 1, della direttiva 92/50 e che tale disposizione lascia quindi alle amministrazioni aggiudicatici la scelta dei criteri ch'esse intendono adottare per l'aggiudicazione dell'appalto, ciò nondimeno tale scelta può riguardare soltanto criteri volti ad individuare l'offerta economicamente più vantaggiosa" [17].

Di conseguenza essa ha escluso dal novero dei "criteri di aggiudicazione" quelli che non siano diretti ad identificare l'offerta economicamente più vantaggiosa, ma che siano essenzialmente collegati alla valutazione dell'idoneità degli offerenti ad eseguire l'appalto di cui trattasi. La Corte di Giustizia ha quindi concluso che "occorre dichiarare che gli art. 23, n. 1, 32 e 36, n. 1, della direttiva 92/50 ostano a che, nell'ambito di una procedura di aggiudicazione, l'amministrazione aggiudicatrice tenga conto dell'esperienza degli offerenti, del loro personale e delle loro attrezzature nonché della capacità dei medesimi di effettuare l'appalto entro il termine previsto non come 'criteri di selezione qualitativa', ma come 'criteri di aggiudicazione'" [18].

Parallelamente, la Corte di Giustizia si è richiamata all'altro principio fondamentale che caratterizza la scelta dei criteri di aggiudicazione, secondo il quale "i criteri devono, comunque, essere collegati all'oggetto dell'appalto, devono essere tali da non conferire all'amministrazione aggiudicatrice una libertà incondizionata di scelta, devono essere adeguatamente pubblicizzati e devono rispettare il principio di non discriminazione" [19].

Il divieto di commistione dei requisiti soggettivi di partecipazione alla gara con i criteri di valutazione dell'offerta indicato negli anni dalla Corte di Giustizia ha trovato applicazione nel nostro ordinamento in termini non pedissequi da parte sia del Consiglio di Stato, sia di Anac, le cui interpretazioni si sono orientate sostanzialmente nella stessa direzione.

Il Consiglio di Stato, infatti, pur affermando pacificamente l'illegittimità della clausola del bando di gara che operi una commistione tra requisiti di ammissione alla gara ed elementi valutabili in sede di esame dell'offerta economicamente più vantaggiosa [20], ha tuttavia ammesso la facoltà della stazione appaltante di prevedere nel bando di gara anche elementi di valutazione dell'offerta tecnica di tipo soggettivo - concernenti, cioè, la specifica attitudine del concorrente, anche sulla base di analoghe esperienze pregresse, a realizzare lo specifico progetto oggetto di gara - "nella misura in cui aspetti dell'attività dell'impresa possano illuminare la qualità dell'offerta" [21]. Situazione, questa, che è stata esclusa in casi come quello in cui il fatturato degli ultimi esercizi, anche se accompagnato da certificati di buona esecuzione, abbia un peso predominante nell'attribuzione del punteggio all'offerta tecnica, oppure laddove la prestazione non evidenzi un lavoro o servizio connotato da particolari conoscenze tecniche od organizzative nelle quali possa aver giocato un ruolo determinante la pregressa esperienza professionale. Se così non fosse, infatti, a parere del Consiglio di Stato si configurerebbe il rischio di una "limitazione della concorrenza sfavorendo, oltre il ragionevole, l'entrata nel mercato di nuovi imprenditori" [22].

Secondo questo orientamento, "il divieto generale di commistione tra le caratteristiche oggettive dell'offerta e i requisiti soggettivi dell'impresa concorrente deve avere un'applicazione per così dire "attenuata", alla luce del principio di proporzionalità e in relazione all'art. 83 del codice dei contratti (...) quando consente di rispondere in concreto alle possibili specificità che le procedure di affidamento degli appalti pubblici in talune ipotesi presentano (come, esemplificativamente, nel caso di appalti di servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria), dove l'offerta tecnica si sostanzia non in un progetto o in un prodotto, bensì in un "facere" e dove, pertanto, anche la pregressa esperienza del professionista che partecipa alla gara può essere di ausilio nella valutazione dell'offerta tecnica". In base a tale impostazione, dunque, il divieto di commistione, pur fondato su esigenze concrete, non è stato inteso in modo assoluto e aprioristico, ma è stato al contrario attenuato in base al principio di proporzionalità: la soluzione della questione teorica in esame, secondo questa prospettazione, "non può essere elaborata indulgendo a principi assoluti, quanto piuttosto verificando l'eventuale correlazione tra l'elemento di valutazione contestato rispetto alla qualità dell'offerta, al fine di stabilire se vi sia diretta proporzionalità tra la grandezza del primo e la grandezza della seconda" [23].

Si è giunti così alla conclusione che, in sede di valutazione del merito dell'offerta, possano essere presi in considerazione elementi attinenti alle imprese concorrenti "che si riverberano, senza incertezze (e purché ad essi non sia attribuito un peso, in termini di punteggio preponderante) sulla qualità del servizio oggetto della procedura evidenziale" [24], per quanto la stazione appaltante abbia comunque l'obbligo di dimostrare e specificare "perché e in che misura il requisito esperienziale, tipicamente soggettivo, posseduto dall'impresa, normalmente atto a qualificare la medesima, possa utilmente servire a valorizzare l'offerta sotto il profilo oggettivo" [25].

Tale orientamento ha trovato una conferma e una più specifica precisazione nella successiva direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici, che stabilisce i limiti entro cui ammettere requisiti soggettivi nell'ambito degli elementi di valutazione dell'offerta. A tenore del considerando n. 94, infatti, "qualora la qualità del personale addetto influisca sul livello dell'esecuzione dell'appalto, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero anche avere la facoltà di usare come criterio di aggiudicazione l'organizzazione, la qualifica e l'esperienza del personale incaricato di eseguire l'appalto in questione, in quanto ciò può incidere sulla qualità dell'esecuzione dell'appalto e, di conseguenza, sul valore economico dell'offerta. Tale ipotesi potrebbe ricorrere, ad esempio, negli appalti per servizi intellettuali quali i servizi di consulenza o architettura. Le amministrazioni aggiudicatrici che si avvalgono di questa possibilità dovrebbero garantire, con idonei strumenti contrattuali, che il personale addetto all'esecuzione dell'appalto soddisfi effettivamente le norme specifiche di qualità e che tale personale possa essere sostituito solo con il consenso dell'amministrazione aggiudicatrice che si accerta che il personale sostitutivo sia di livello qualitativo equivalente". L'art. 67 della direttiva specifica poi che fra i criteri per la valutazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa possono figurare "organizzazione, qualifiche ed esperienza del personale incaricato di eseguire l'appalto, qualora la qualità del personale incaricato possa avere un'influenza significativa sul livello dell'esecuzione dell'appalto"" (co. 2, lett. b)).

Ancora nelle more dell'emanazione dell'attuale Codice dei contratti, l'orientamento precursore della giurisprudenza amministrativa è stato preso a termine di riferimento anche dall'Anac, probabilmente confortata sul punto anche dalla sopravvenuta emanazione della ricordata direttiva 2014/24/UE. L'Autorità, infatti, con il parere n. 36/2015, pur ricordando il principio generale che vieta la commistione tra requisiti e criteri, si è appellata all'approccio meno rigoroso del giudice amministrativo italiano, ed in particolare proprio a quello espresso dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 16 febbraio 2009, n. 837, per sostenere che la previsione di elementi di valutazione dell'offerta tecnica di tipo soggettivo (concernenti la specifica attitudine del concorrente a realizzare il progetto oggetto di gara), sia legittima "nella misura in cui aspetti dell'attività dell'impresa possano illuminare la qualità dell'offerta".

Tale criterio sembra essersi consolidato con l'emanazione del Codice dei contratti, il quale ha statuito all'art. 95, co. 6, che i documenti di gara devono indicare "criteri di aggiudicazione dell'offerta, pertinenti alla natura, all'oggetto e alle caratteristiche del contratto. In particolare, l'offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, è valutata sulla base di criteri oggettivi, quali gli aspetti qualitativi, ambientali o sociali, connessi all'oggetto dell'appalto. Nell'ambito di tali criteri possono rientrare: (...) e) l'organizzazione, le qualifiche e l'esperienza del personale effettivamente utilizzato nell'appalto, qualora la qualità del personale incaricato possa avere un'influenza significativa sul livello dell'esecuzione dell'appalto".

In tal modo si può affermare che alcuni elementi soggettivi inerenti l'impresa - "l'organizzazione, le qualifiche e l'esperienza del personale" - abbiano trovato ingresso formale tra i criteri di aggiudicazione dell'offerta secondo il criterio espresso in sede europea, vale a dire nella misura in cui siano diretti ad identificare l'offerta economicamente più vantaggiosa "individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo o sulla base dell'elemento prezzo o del costo, seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia" (art. 95, co. 2).

Naturalmente la valutazione di questi elementi soggettivi trova un limite nel fatto che "i criteri di aggiudicazione non conferiscono alla stazione appaltante un potere di scelta illimitata dell'offerta. Essi garantiscono la possibilità di una concorrenza effettiva e sono accompagnati da specifiche che consentono l'efficace verifica delle informazioni fornite dagli offerenti al fine di valutare il grado di soddisfacimento dei criteri di aggiudicazione delle offerte..." (co. 1).

Sulla scia del dettato normativo sopravvenuto, con delibera n. 1005 del 21 settembre 2016 l'Anac ha emanato la Linee guida n. 2, di attuazione del d.lg. n. 50/2016, sul tema della "Offerta economicamente più vantaggiosa", che riconosce nel riferimento dell'art. 95, co. 6, lett. e) a "l'organizzazione, le qualifiche e l'esperienza del personale effettivamente utilizzato nell'appalto, qualora la qualità del personale incaricato possa avere un'influenza significativa sul livello dell'esecuzione dell'appalto", il superamento della rigida separazione tra requisiti di partecipazione e criteri di valutazione, così ammettendo che "nella valutazione delle offerte possono essere valutati profili di carattere soggettivo introdotti qualora consentano di apprezzare meglio il contenuto e l'affidabilità dell'offerta o di valorizzare caratteristiche dell'offerta ritenute particolarmente meritevoli; in ogni caso, devono riguardare aspetti, quali quelli indicati dal Codice, che incidono in maniera diretta sulla qualità della prestazione. Naturalmente, anche in questo caso, la valutazione dell'offerta riguarda, di regola, solo la parte eccedente la soglia richiesta per la partecipazione alla gara, purché ciò non si traduca in un escamotage per introdurre criteri dimensionali".

Ne consegue che i criteri devono essere idonei ad evidenziare come i profili soggettivi incidano sull'aspetto qualitativo delle offerte, consentendo di differenziare queste ultime in ragione della rispondenza alle esigenze della stazione appaltante.

In particolare, l'Anac è tornata sull'argomento con la delibera relativa all'appalto dei lavori di restauro conservativo valorizzazione del patrimonio storico culturale e naturale del Real Sito borbonico di Carditello-San Tammaro (n. 472 del 23 maggio 2018), che non ha censurato tanto il riferimento alla esperienza maturata in attività analoghe, quanto il fatto che nella bozza di bando esaminata tale riferimento fosse esclusivo e privo di "alcun aggancio alle caratteristiche migliorative dell'offerta sotto il profilo qualitativo della prestazione che si intende fornire".

La delibera fa sempre riferimento all'art. 95, co. 6, del d.lg. n. 50/2016, in particolare nella parte in cui prevede che l'offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo sia valutata sulla base di criteri oggettivi e pertinenti alla natura e all'oggetto dell'appalto. Allo stesso tempo essa ricorda però che, sulla base degli obiettivi perseguiti e nel rispetto dei principi che presiedono all'affidamento dei contratti pubblici, la stazione appaltante ha piena discrezionalità nella determinazione dei criteri di valutazione delle offerte.

Essa riprende la Linea guida n. 2 affermando che devono ritenersi "connessi all'oggetto dell'appalto quei criteri che: riguardano lavori, forniture o servizi da effettuare nell'ambito dell'affidamento sotto qualsiasi aspetto e in qualsiasi fase del ciclo di vita; attengono alle caratteristiche ritenute più rilevanti dalla stazione appaltante ai fini della soddisfazione delle proprie esigenze e degli ulteriori profili indicati dal codice dei contratti pubblici".

L'Anac si richiama da una parte alla giurisprudenza consolidata, che indica quale principio generale regolatore delle gare pubbliche il divieto di commistione fra criteri soggettivi di prequalificazione ed elementi oggettivi afferenti alla valutazione dell'offerta in base al presupposto logico della necessità di tenere separati i requisiti richiesti per la partecipazione alla gara da quelli che attengono all'offerta e, quindi, all'aggiudicazione e, dall'altra, ricorda come spesso il filo che separa il canone oggettivo di valutazione dell'offerta e il requisito soggettivo del competitore sia particolarmente sottile, stante la potenziale idoneità dei profili esperienziali e di organizzazione soggettiva a riverberarsi sull'affidabilità e sull'efficienza dell'offerta e, quindi, della prestazione.

L'Autorità conclude quindi che, ai fini dell'aggiudicazione, il divieto di commistione fra i criteri soggettivi di prequalificazione e quelli oggettivi afferenti alla valutazione dell'offerta non risulti eluso o violato allorché gli aspetti organizzativi o quelli relativi alle esperienze pregresse non siano destinati ad essere apprezzati in quanto tali - in modo avulso quindi dal contesto dell'offerta, come dato relativo alla mera affidabilità soggettiva - ma quale garanzia dell'esecuzione delle prestazioni secondo le modalità prospettate nell'offerta, come elemento, cioè, incidente sulle modalità esecutive dello specifico appalto e, quindi, come parametro afferente alle caratteristiche oggettive dell'offerta stessa [26].

In tal senso sono stati considerati non conformi alla normativa di settore quei criteri di valutazione di carattere soggettivo dell'offerta tecnica concretamente non idonei ad evidenziare le caratteristiche migliorative delle offerte presentate dai concorrenti sotto il profilo qualitativo della prestazione offerta, ma che si sostanziano in una richiesta inerente l'esperienza maturata in precedenti attività analoghe o le tecniche normalmente impiegate dall'appaltatore. Queste ultime, infatti, non possono essere considerate coincidenti con le modalità offerte per l'esecuzione dell'appalto o con alcun elemento direttamente attinente agli aspetti evidenziati dall'art. 95, co. 6, del d.lg. n. 50/2016 (come sarebbe invece, ad esempio, l'indicazione della composizione e dell'esperienza del personale effettivamente messo a disposizione per l'esecuzione dell'appalto), ma indicano "la semplice presunzione che le abilità dimostrate in precedenti lavori analoghi garantiscano di per sé una determinata qualità della prestazione offerta".

5. Discrezionalità amministrativa e criteri di valutazione delle offerte

Come illustrato nel precedente paragrafo, l'orientamento del Consiglio di Stato consolidatosi già prima dell'emanazione della Direttiva 2014/24/UE ha trovato una conferma nel mutare del quadro normativo europeo e nazionale. Nell'insieme, dunque, si può ritenere superata, sia a livello di dato positivo, sia di orientamento interpretativo, la rigidità del divieto di commistione tra requisiti di partecipazione e criteri di valutazione.

L'indicazione dei profili soggettivi (organizzazione, qualifiche ed esperienza del personale effettivamente utilizzato nell'appalto) tra i criteri di aggiudicazione dell'appalto rimane, tuttavia, una mera facoltà dell'amministrazione (come indica la locuzione secondo cui i citati elementi "possono rientrare" nell'ambito di tali criteri), che vi farà ricorso secondo le sue valutazioni discrezionali.

Si deve tuttavia considerare che le fattispecie delineate nel considerando n. 94 della Direttiva e nell'art. 95, co. 6, lett. e) del Codice dei contratti, pur non menzionando espressamente i beni culturali, si adattano pienamente alle esigenze poste dai profili di specificità propri degli appalti relativi ai beni culturali.

Occorre dunque capire quali sono i criteri che devono guidare la stazione appaltante nella determinazione di tener conto, o meno, di siffatti profili soggettivi all'atto sia della stesura del bando, sia dell'adozione dei criteri di valutazione da parte della commissione di gara.

Una prima considerazione in merito deve essere formulata con riguardo alle peculiarità degli interventi che riguardano i beni culturali. Per questi ultimi, infatti, come evidenziato nei precedenti paragrafi, "l'organizzazione, le qualifiche e l'esperienza del personale effettivamente utilizzato nell'appalto" hanno indubbiamente "un'influenza significativa sul livello dell'esecuzione dell'appalto", così che negli interventi che li riguardano i "profili di carattere soggettivo" consentono di valutare "il contenuto e l'affidabilità dell'offerta", come indicato dal Consiglio di Stato e dall'Anac.

A conferma, basti ricordare come il tema dell'autenticità valorizzato dalla riflessione disciplinare sul restauro architettonico abbia trovato riconoscimento anche sul piano amministrativo, laddove la dottrina evidenzia due irriducibili profili di specificità dei beni culturali: da una parte l'irriproducibilità del bene, che costituisce un unicum rispetto al quale l'affidabilità dell'esecutore è una priorità al fine di scongiurare interventi che potrebbero determinare una perdita irrimediabile [27], dall'altra il fatto che il livello di esecutività del progetto, per quanto si possa investire sulla conoscenza preliminare, sia pur sempre soggetto ad aggiornamenti in corso d'opera che si rendono necessari a seconda della situazione che si rinviene man mano che gli interventi procedono [28].

La scelta di inserire tra i criteri di aggiudicazione alcuni profili soggettivi risponde anche ad alcuni principi generali del nostro ordinamento, primi tra tutti quelli inerenti il corretto esercizio della discrezionalità amministrativa. Le peculiarità del bene culturale impongono all'amministrazione la necessità di individuare sin dall'inizio un operatore il più possibile adeguato in concreto alla tipologia di intervento da realizzare, tenendo in adeguata considerazione, in fase di aggiudicazione, il peso che alcuni profili soggettivi potrebbero avere nell'esecuzione dell'appalto: il possesso da parte del concorrente di requisiti, quali l'idoneità professionale, la capacità economica e finanziaria e quella tecnica e professionale di cui all'art. 83 del Codice dei contratti, pur costituendo criterio di selezione dei concorrenti, rimane infatti pur sempre un dato astratto e aprioristico e - come correttamente ricordato da Anac, idoneo a dimostrare un'abilità ma non a fondare l'aggiudicazione.

La necessità di valutare l'adeguatezza in concreto dell'offerta impone allora di fare riferimento proprio a quei profili soggettivi che sono realmente in grado di incidere su una corretta operatività nel singolo cantiere, soprattutto per quanto riguarda la capacità, in forza dell'esperienza pregressa, di gestire correttamente le esigenze che, verosimilmente, potrebbero emergere in corso d'opera.

A ragione è stato ricordato dall'Anac come lo stesso dato positivo affermi che "i criteri di aggiudicazione non conferiscono alla stazione appaltante un potere di scelta illimitata dell'offerta" (art. 95, co. 1): allo stesso tempo, tuttavia, il corretto uso della discrezionalità esige di effettuare una scelta nell'interesse del bene concretamente inteso; di tenere in adeguata considerazione le sue peculiarità, eludendo o ignorando le quali si contravviene proprio al fine primario indicato dall'art. 9 della Costituzione, la tutela del patrimonio storico artistico; di non applicare in modo formalistico o parziale la disciplina generale in materia di appalti, trincerandosi dietro il rispetto di norme precettive e trascurando di assumere la responsabilità di scelte - come quella relativa alla valutazione di profili soggettivi dei concorrenti in fase di aggiudicazione - che impongono esercizio di discrezionalità.

Ne consegue che l'individuazione dell'operatore deve essere improntata alla valorizzazione dei profili esperienziali rilevanti rispetto al cantiere specifico, a partire dalla loro individuazione nel bando o nel provvedimento analogo (ad esempio, lettera di invito) - così da rispettare il principio della predeterminazione dei criteri e assumere maggior obbiettività e chiarezza - e, ove necessario, dalla loro ulteriore declinazione da parte della commissione di gara [29]: la stessa Anac, in un'ottica di effettività, richiede che il bando non si limiti ad affermare che i criteri soggettivi saranno considerati rilevanti in quanto suscettibili di consentire il miglioramento dell'offerta, ma al contrario che indichi concretamente il nesso tra la capacità richiesta e l'attività da svolgere, esplicitando in che senso un certo requisito soggettivo viene valutato quale elemento di miglioramento dell'offerta e non, invece, come indicativo in sé di un'abilità o di una competenza.

Così, ad esempio, potrebbe essere richiesto che le relazioni metodologiche fossero suffragate dalla documentazione delle esperienze maturate, al contempo indicando come si intenderebbe applicare nel cantiere specifico cui si riferisce il bando le metodologie e le tecniche di intervento innovative che l'operatore ha dimostrato di saper utilizzare in contesti analoghi, così da rendere le proposte più argomentate e meglio valutabili dai commissari rispetto alla commessa particolare.

L'applicazione di questo criterio nel bando di gara non può dunque essere disgiunta da una chiara relazione con le specificità del singolo cantiere. Tale precisazione, certo, richiede alla stazione appaltante un impegno non formale, bensì al contrario sostanziale - e, quindi, anche una competenza tecnica di cui essa non sempre dispone - nell'individuare le attività necessarie o, in alternativa, le metodologie funzionali alla loro realizzazione, attribuendo a ciascuna il giusto peso in relazione alla singola commessa: tuttavia, si tratta di uno sforzo destinato a portare i suoi frutti, in quanto "costringe" a valutare più approfonditamente le competenze necessarie ad intervenire sul bene e pone le basi per individuare l'appaltatore più adeguato, con innegabile beneficio per la cosa pubblica, intesa con riguardo sia al bene architettonico di proprietà pubblica oggetto dell'intervento, sia più in generale all'efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa.

La valorizzazione del dato curriculare deve poi essere perseguita con strumenti idonei, onde evitare di esporre gli atti di gara a censure di legittimità, ad esempio evitando di restringere la griglia di ammissione dei partecipanti oltre le previsioni normative, pena la violazione del principio di concorrenza: occorre, cioè, non equivocare i riferimenti all'esperienza pregressa, operati in forma indiretta dal d.lg. n. 50/2016 e dal d.m. 22 agosto 2017, n. 154, trasformandoli da requisiti di idoneità tecnica e organizzativa (in particolare, il possesso di attestazione SOA) in strumenti per selezionare le offerte. L'esperienza curriculare, in questa prima fase della procedura, viene infatti in rilievo in termini di capacità astratta e funge da primo filtro per l'ammissione dei candidati alla procedura comparativa.

Gli stessi elementi di esperienza, meglio declinati sotto il profilo tecnico, saranno invece valutabili (o, anche, ri-valutabili) successivamente, in sede di valutazione dell'offerta, se contribuiscono a migliorare sensibilmente, sul piano concreto, lo svolgimento dell'attività specificamente dedotta nel bando di gara. Quanto al peso da attribuire ai criteri di natura soggettiva, la ricordata Linea Guida n. 2 dell'ANAC raccomanda che sia loro attribuito un peso limitato, ad esempio 10 punti percentuali. Tale indicazione è però contraddittoria rispetto alla considerazione dei profili soggettivi dell'offerente quali elementi in grado di influire sulla qualità dell'offerta e riflette il criterio già affermato in passato, prima con il Parere di precontenzioso n. 97 del 13 maggio 2010, poi con la Determinazione n. 7 del 24 novembre 2011, recante "Linee guida per l'applicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa nell'ambito dei contratti di servizi e forniture" (par. 4.4), secondo cui gli elementi soggettivi non riguardano tanto il contenuto dell'offerta, quanto piuttosto la natura dell'offerente.

Il superamento di tale impostazione da parte della Direttiva comunitaria e del Codice dei contratti, tuttavia, legittimano - pur evitando di spingersi fino a formulare richieste discriminatorie rispetto all'accesso alle gare - la stazione appaltante a valutare discrezionalmente quale peso attribuire all'esperienza pregressa.

Si potrebbe obiettare che spesso le stazioni appaltanti non sono in grado di individuare con sufficiente puntualità i profili soggettivi che potrebbero risultare rilevanti nel cantiere specifico, con la conseguente difficoltà di stendere un bando puntuale prima, e di svolgere adeguate valutazioni poi. Ed è qui, dunque, che riemerge la necessità e l'urgenza di quelle linee guida già previste dall'art. 29, co. 5, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, secondo cui il ministero è chiamato a definire, anche con il concorso delle regioni e con la collaborazione di università e istituti di ricerca,"linee di indirizzo, norme tecniche, criteri e modelli di intervento in materia di conservazione dei beni culturali".

La norma, ancora inattuata, consentirebbe infatti di fornire importanti indicazioni, anche attraverso il richiamo di casi-tipo e di esemplificazioni effettive, per comprendere e gestire le problematiche che possono emergere nei diversi contesti e orientare correttamente l'operato dell'amministrazione: in tal modo potrebbe essere soddisfatta la necessità di adeguare il modus operandi all'eterogeneità delle situazioni che possono concretamente presentarsi e a fronte della quale deve essere incentivato un più consapevole e responsabile esercizio della discrezionalità amministrativa, a cui supporto può essere di indubbio ausilio l'indicazione operativa mediante strumenti tecnici suggeriti dall'esperienza pratica.

Si può concludere dunque, che a prescindere dalla forma che assumeranno le linee di indirizzo, le norme tecniche, i criteri e modelli di intervento in materia di conservazione dei beni culturali [30], il dato realmente determinante sarà l'effettiva capacità di indicare principi e obiettivi, incentivando non soltanto il rispetto delle regole - che naturalmente non è in discussione - ma il raggiungimento degli interessi pubblici primari attraverso un esercizio della discrezionalità amministrativa più consapevole e responsabile da parte delle stazioni appaltanti.

 

Note

[*] Il commento è frutto di una riflessione comune tra gli autori; tuttavia i parr. 1 e 3 sono stati curati da Stefano Della Torre, mentre i parr. 2, 4 e 5 da Valentina Maria Sessa.

[1] Gli autori ringraziano gli uffici della Diocesi di Mantova per la preziosa collaborazione.

[2] La qualità dell'intervento conservativo, infatti, è un dato che si apprezza soprattutto a lungo termine, tanto che uno dei caratteri che la legislazione sta ultimamente recependo è proprio che "gli interventi sui beni culturali sono inseriti nei documenti di programmazione dei lavori pubblici di cui all'articolo 21, comma 3, del Codice dei contratti pubblici e sono eseguiti secondo i tempi, le priorità e le altre indicazioni derivanti dal criterio della conservazione programmata" (art. 3, d.m. n. 154/2017). Questa impostazione afferisce non solo all'impegno ad una corretta manutenzione postuma, che può essere indicato come uno degli aspetti più innovativi e qualificanti dei bandi della Diocesi di Mantova, ma anche ai metodi di documentazione dei lavori, predisposizione di dispositivi di sicurezza per le future ispezioni, attenzione alla compatibilità dei materiali introdotti. Tutti elementi qualificanti delle offerte che, benché forse solo qualitativamente, possono costituire i migliori criteri di orientamento nella scelta dell'esecutore più competente e affidabile per un intervento di restauro architettonico.

[3] In merito, tra i documenti di partecipazione alla procedura vi era anche una scheda da compilare che richiedeva in modo inequivocabile di specificare puntualmente gli importi di interventi già eseguiti per il consolidamento strutturale OG2 e per lavori di restauro OS2A.

[4] Il disciplinare di gara non prevedeva in nessun punto che le precedenti esperienze dovessero essere vantate, in tutto o nella massima parte dalla mandataria o da una mandante impegnata ad effettuare una certa percentuale dei lavori. Del resto, come ha sottolineato il Collegio, nel caso de quo non ricorrevano neppure i presupposti per l'applicazione dell'art. 92 del d.p.r. n. 207/2010 (all'epoca della gara vigente, ex art. 216, co. 14, d.lg. n. 50/2016), il quale prevedeva che "Per i raggruppamenti temporanei di cui all'articolo 34, comma 1, lettera d), del codice, i consorzi di cui all'articolo 34, comma 1, lettera e), del codice ed i soggetti di cui all'articolo 34, comma 1, lettera f), del codice, di tipo orizzontale, i requisiti di qualificazione economico-finanziari e tecnico-organizzativi richiesti nel bando di gara per l'impresa singola devono essere posseduti dalla mandataria o da un'impresa consorziata nella misura minima del 40 per cento e la restante percentuale cumulativamente dalle mandanti o dalle altre imprese consorziate ciascuna nella misura minima del 10 per cento. Le quote di partecipazione al raggruppamento o consorzio, indicate in sede di offerta, possono essere liberamente stabilite entro i limiti consentiti dai requisiti di qualificazione posseduti dall'associato o dal consorziato. Nell'ambito dei propri requisiti posseduti, la mandataria in ogni caso assume, in sede di offerta, i requisiti in misura percentuale superiore rispetto a ciascuna delle mandanti con riferimento alla specifica gara. I lavori sono eseguiti dai concorrenti riuniti secondo le quote indicate in sede di offerta, fatta salva la facoltà di modifica delle stesse, previa autorizzazione della stazione appaltante che ne verifica la compatibilità con i requisiti di qualificazione posseduti dalle imprese interessate". Tale disciplina era peraltro espressamente riportata nel disciplinare della gara, che indicava come unici requisiti di partecipazione di idoneità professionale richiesti sono l'iscrizione (di ciascuna delle imprese partecipanti a raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari) alla CCIAA, nell'apposito Albo e il possesso delle attestazioni di qualificazione rilasciate da una SOA per le categorie e le classifiche adeguate alle categorie e agli importi dei lavori da realizzare. Essa, però, riguarda il possesso dei requisiti di partecipazione, e, nel caso di specie, era stata rispettata dalle ditte partecipanti.

[5] Cons. St., sez. V, 31 agosto 2017, n. 4131.

[6] Cons. St., sez. V, 17 marzo 2015, n. 1371.

[7] E. Boscolo, Appalti di lavori su beni culturali e offerta economicamente più vantaggiosa. Alcune problematiche applicative, in I contratti dello Stato e degli enti pubblici, 2004, pag. 104.

[8] In particolare, la legge di conversione del d.l. 14 giugno 2019, n. 55, ha introdotto nell'art. 36, Contratti sotto soglia, il comma 9-bis in cui è precisato "Fatto salvo quanto previsto all'articolo 95, comma 3, le stazioni appaltanti procedono all'aggiudicazione dei contratti di cui al presente articolo sulla base del criterio del minor prezzo ovvero sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa". Prima della conversione del decreto legge e, dunque, dal 19 aprile 2019 al 17 giugno 2019, la scelta del criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa doveva essere motivata, in quanto nel testo originario c'era tra le parole "ovvero" e "sulla base" l'inciso "previa motivazione," cancellato dalla legge di conversione. Diversamente, oggi le stazioni appaltanti possono scegliere discrezionalmente uno dei due criteri di aggiudicazione con la precisazione contenuta, appunto nel comma 3 dell'art. 95, in cui è precisato che devono essere aggiudicati esclusivamente sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo: a) i contratti relativi ai servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, nonché ai servizi ad alta intensità di manodopera, come definiti all'articolo 50, comma 1, fatti salvi gli affidamenti ai sensi dell'articolo 36, co. 2, lett. a); b) i contratti relativi all'affidamento dei servizi di ingegneria e architettura e degli altri servizi di natura tecnica e intellettuale di importo pari o superiore a 40.000 euro; b-bis) i contratti di servizi e le forniture di importo pari o superiore a 40.000 euro caratterizzati da notevole contenuto tecnologico o che hanno un carattere innovativo. Per quanto riguarda i lavori, dunque, sussiste la possibilità di scegliere tra i due criteri, quello del minor prezzo e quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa. A seguito della conversione del decreto nella legge 14 giugno 2019, n. 55, infine, è stata ripristinata la previsione di cui all'ultimo periodo del comma 10-bis dell'art. 95 che prevedeva che la stazione appaltante, al fine di assicurare l'effettiva individuazione del miglior rapporto qualità/prezzo, stabilisse un tetto massimo per il punteggio economico entro il limite del 30 per cento.

[9] Cfr. anche G. Santi, Attività di restauro di beni culturali e legge Merloni-quater: il recupero della specialità nella disciplina dell'evidenza pubblica, in Aedon, 2002, 2.

[10] G. Santi, Verso l'istituzione di un sistema autonomo degli affidamenti dei "lavori" nel settore dei beni culturali, in Aedon, 2004, 2; G. Failla e P. Urciuoli, Gli appalti di lavori in materia di beni del patrimonio culturale, 2004; Id. Gli appalti di lavori in materia di beni del patrimonio culturale. Il d.lg. 22 gennaio 2004, n. 30, in Riv. trim. app., 2005, 4, pag. 1059; P. Borioni, G. Cottarelli, Appalti pubblici e beni culturali: la disciplina applicabile ai contratti pubblici relativi ai beni culturali, tutela e valorizzazione dei beni culturali, Napoli, 2007.

[11] C. Vitale, La disciplina dei contratti pubblici relativi ai beni culturali nel nuovo Codice degli appalti, in Aedon, 2006, 2.

[12] ECCO - European Confederation of Conserver-Restorers' Organizations, Competences for Access to the Conservation-Restoration Profession, online, 2011.

[13] Corte Giust., 24 gennaio 2008, C- 532/06; Corte Giust., 19 giugno 2003, C-315/01.

[14] V., in tal senso, in materia di appalti pubblici di lavori, Corte Giust., 20 settembre 1988, C-31/87, Beentjes, Racc., pag. 4635, punti 15 e 16.

[15] Corte Giust., 24 gennaio 2008, C- 532/06; Corte Giust., 19 giugno 2003, C-315/01.

[16] In tal senso, per esempio, in materia di appalti pubblici di lavori, già le sentenze della Corte Giust., 20 settembre 1988, C-31/87, cit., punto 19; Corte Giust., 18 ottobre 2001, C-19/00, SIAC Construction, Racc. pag. I-7725, punti 35 e 36, e, in materia di appalti pubblici di servizi, Corte Giust., 17 settembre 2002, C-513/99, Concordia Bus Finland, Racc. pag. I-7213, punti 54 e 59, e Corte Giust., 19 giugno 2003, C-315/01, GAT, Racc. pag. I-6351, punti 63 e 64.

[17] Il citato articolo 36 prevede che "1. Fatte salve le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative nazionali riguardanti la remunerazione di particolari servizi, i criteri sui quali l'amministrazione si fonda per l'aggiudicazione degli appalti sono: a) qualora l'appalto sia aggiudicato all'offerta più vantaggiosa sotto il profilo economico, vari criteri relativi all'appalto quali ad esempio qualità, merito tecnico, caratteristiche estetiche e funzionali, assistenza tecnica e servizio post vendita, data della fornitura e termine di consegna o di esecuzione, prezzo; b) unicamente il prezzo più basso. 2. Qualora l'appalto sia aggiudicato all'offerta più vantaggiosa sotto il profilo economico, le amministrazioni enunciano, nel capitolato d'oneri o nel bando di gara, i criteri d'aggiudicazione di cui esse prevedono l'applicazione, possibilmente nell'ordine decrescente dell'importanza che è loro attribuita".

[18] Corte Giust., sez. I, 24 gennaio 2008, C-532/06.

Per maggior comprensione si ricordi che il citato articolo 23 stabilisce che "Gli appalti vengono aggiudicati in base ai criteri stabiliti nel capitolo 3, tenuto conto dell'articolo 24, e dopo che l'idoneità dei prestatori non esclusi a norma dell'articolo 29 sia stata verificata dalle amministrazioni conformemente ai criteri di cui agli articoli 31 e 32". Il successivo articolo 32 prevede che "1. La capacità dei prestatori ad eseguire servizi può venir valutata, in particolare, con riferimento alla loro competenza, efficienza, esperienza ed affidabilità. 2. La prova della capacità tecnica dei prestatori di servizi può venir fornita mediante uno o più dei seguenti mezzi, a seconda della natura, della quantità e dello scopo dei servizi da prestare: a) l'indicazione dei titoli di studio e professionali dei prestatori di servizi e/o dei dirigenti dell'impresa ed in particolare della o delle persone responsabili della prestazione dei servizi; b) la presentazione di un elenco dei principali servizi prestati negli ultimi tre anni con indicazione degli importi, delle date e dei destinatari, pubblici o privati, dei servizi stessi: — nel caso di servizi prestati ad amministrazioni, tale prova deve assumere la forma di certificati rilasciati o controfirmati dall'autorità competente; — nel caso di servizi prestati a privati, l'effettiva prestazione va certificata dall'acquirente ovvero, in mancanza di un tale certificato, semplicemente dichiarata dal prestatore di servizi; c) l'indicazione dei tecnici o degli organismi tecnici, a prescindere dal fatto che essi facciano o non facciano direttamente capo al prestatore di servizi, e in particolare di quelli responsabili per il controllo della qualità; d) una dichiarazione relativa al numero medio annuo di dipendenti del prestatore di servizi ed al numero di dirigenti impiegati negli ultimi tre anni; e) una dichiarazione relativa agli strumenti, al materiale od alle apparecchiature tecniche di cui il prestatore di servizi dispone per prestare i servizi in questione; f) una descrizione delle misure prese dal prestatore di servizi per garantire la qualità, e dei mezzi di studio e di ricerca di cui dispone; g) qualora i servizi da prestare siano di natura complessa o, eccezionalmente, siano richiesti per una finalità particolare, una verifica eseguita dall'amministrazione o per suo conto da un organismo ufficiale competente del paese in cui il prestatore di servizi è stabilito, purché tale organismo acconsenta, in merito alle capacità tecniche del prestatore di servizi e, se necessario, alle infrastrutture di cui dispone a fini di studio e di ricerca e alle misure che prende ai fini del controllo della qualità; h) l'indicazione della quota del contratto che il prestatore di servizi intende eventualmente subappaltare. 3. L'amministrazione precisa, nel bando di gara o nell'invito a presentare offerte, quali sono le referenze da presentare. 4. Le informazioni di cui all'articolo 31 ed ai paragrafi da 1 a 3 del presente articolo devono limitarsi all'oggetto dell'appalto. Le amministrazioni tengono nel debito conto gli interessi legittimi dei prestatori di servizi per quanto riguarda la tutela dei loro segreti tecnici o commerciali". Per quanto riguarda l'articolo 36 si veda la nota precedente.

[19] Corte Giust., 17 settembre 2002, C-513/99.

[20] Cons. St., sez. V, 15 giugno 2001, n. 3187.

[21] Cons. St., sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2770.

[22] Cons. St., sez. V, 16 febbraio 2009, n. 837.

[23] Cons. St., sez. V, 20 agosto 2013, n. 4191.

[24] Cons. St., sez. VI, 18 settembre 2009, n. 5626.

[25] Cons. St., n. 4191/2013, cit.

[26] Posizione già espressa da Cons. St., sez. V, 17 gennaio 2018, n. 279 e da Tar Napoli, sez. VIII, 6 marzo 2017, n. 1293.

[27] Osserva C. Gabbani, Le cose d'interesse artistico nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, in Aedon, 2017, 2, che "un eventuale intervento di restauro eccessivamente invasivo potrebbe far perdere all'opera la propria riconoscibilità e leggibilità in termini artistici". Questa ricostruzione trova conferma nell'orientamento consolidato della scuola italiana di restauro. Nessuna ricostituzione artificiale del bene, per quanto possa portare a riprodurre un oggetto in termini apparentemente identici all'originale grazie alle moderne tecnologie, può surrogare l'oggetto nella sua originalità: sia consentito rimandare, per questo profilo, a V. Sessa, L'opera d'arte e la sua riproduzione, in Foro amm., 2000, 7-8, pag. 2942 e soprattutto Id., La tutela degli interessi pubblici e privati nella riproduzione delle opere d'arte, in Foro amm., 2001, 4, pag. 1024, estendendo ai beni culturali in generale l'osservazione che "mentre per le altre opere dell'ingegno la creazione intellettuale non è racchiusa nella cosa materiale che la estrinseca ma la trascende, così che è possibile distinguere nettamente il corpus mysticum dal corpus mechanicum, nelle opere d'arte figurativa questa trascendenza si attenua fino a divenire quasi un'immanenza: l'intensità del legame fra l'elemento spirituale e il supporto materiale determina la "massima materializzazione" dell'opera e di conseguenza una perdita di valenza da parte del diritto di riproduzione".

[28] Non a caso sia l'art. 147, comma 5, del Codice dei contratti, sia l'art. 14, co. 4, lett. b) del d.m. n. 154/2017 sanciscono per i lavori concernenti i beni culturali un'ampia discrezionalità a derogare dall'indicazione generale di appaltare sulla base di un esecutivo, prevedendo che "qualora il responsabile unico del procedimento accerti che la natura e le caratteristiche del bene, ovvero il suo stato di conservazione, sono tali da non consentire l'esecuzione di analisi e rilievi esaustivi o comunque presentino soluzioni determinabili solo in corso d'opera, può prevedere l'integrazione della progettazione in corso d'opera, il cui eventuale costo deve trovare corrispondente copertura nel quadro economico". Il successivo comma 6 del decreto ministeriale, inoltre, statuisce che "per ogni intervento, il responsabile unico del procedimento, nella fase di progettazione di fattibilità, stabilisce il successivo livello progettuale da porre a base di gara e valuta motivatamente, esclusivamente sulla base della natura e delle caratteristiche del bene e dell'intervento conservativo, la possibilità di ridurre i livelli di definizione progettuale ed i relativi contenuti dei vari livelli progettuali, salvaguardandone la qualità". Sul tema si vedano A. Sau, La disciplina dei contratti pubblici relativi ai beni culturali tra esigenze di semplificazione e profili di specialità, in Aedon, 2017, 1; L. Tarantino, Beni culturali e progettazione, in L'attuazione della legge quadro sui lavori pubblici, (a cura di) L. Carbone, F. Caringella, G. De Marzo, Milano, 2000, pag. 775 ss.; G. Caruso, Procedure più snelle e modifiche in corso d'opera per una reale tutela del patrimonio culturale, in Guida al diritto, 2007, 7.

[29] In adempimento della rispettiva discrezionalità, da intendersi come quel margine ineliminabile di apprezzamento riservato ai componenti della commissione per le valutazioni non pre-determinabili dal bando e, tanto meno, dalla normativa. Nell'impossibilità di richiamare la vastissima letteratura sul tema della discrezionalità si ricordino, ex multis, F. Benvenuti, Eccesso di potere amministrativo per vizio della funzione, in Rass. dir. pubbl., 1950 e G. Pastori, Discrezionalità amministrativa e sindacato di legittimità, in Foro amm., 1987.

[30] Quanto all'emanazione delle linee guida di cui all'art. 29, il Codice indica il necessario coinvolgimento del ministero, ma in un rapporto allargato alla cooperazione di regioni, università e istituti di ricerca, circostanza questa che lascia una certa ampiezza anche alla scelta dello strumento più adatto: dal dettato normativo dell'art. 29 pare potersi escludere, comunque, un ulteriore intervento normativo che, peraltro - a parere di chi scrive - rischierebbe di "aumentare l'invadenza del legislatore nella sfera delle decisioni discrezionali, con l'effetto, inevitabile sia pure (probabilmente) non voluto, di deresponsabilizzare i pubblici ufficiali nella ricerca della soluzione più adatta per il caso concreto singolarmente considerato, concentrandone l'energia principalmente sul rispetto delle procedure e non sulla buona riuscita dell'operazione di cui la procedura è preludio e strumento" (così S. Valaguzza, Nudging pubblico vs. pubblico: nuovi strumenti per una regolazione flessibile di ANAC, in Rivista di regolazione dei mercati, 2017, 1, secondo cui si finirebbe in tal modo per "cadere nel «tranello», che... ha causato le maggiori inefficienze nel settore dei contratti pubblici fino ad oggi; ossia l'oscuramento della sostanza, immolata, quest'ultima, sull'altare di formalità di cui, talvolta, sfugge il significato. Come se il rispetto della forma fosse un fine in sé". Anche rispetto alle linee guida, comunque, l'A. mette in guardia dal rischio "di innescare un circuito vizioso nel quale i pubblici ufficiali ottemperino, passivamente, alle prescrizioni dettate nelle linee guida dell'Autorità, rinunciando a valutarne gli effetti riguardo alle specificità dei casi concreti. Una applicazione formalista dei parametri della regolazione, nel mercato dei contratti pubblici - che si presenta come altamente complesso e diversificato, ma, al medesimo tempo, connotato da esigenze di flessibilità derivanti dalle molteplici situazioni cui occorre fare fronte per organizzare gli approvvigionamenti delle amministrazioni e le attività di interesse pubblico - potrebbe comportare una negativa astrazione delle determinazioni amministrative dall'ambito nel quale gli effetti di queste ultime ricadono".

Già in passato, in un contesto normativo diverso dall'attuale, M. Cammelli, Restauro dei beni culturali mobili e lavori pubblici: principi comuni e necessaria diversità (a proposito del d.m. 3 agosto 2000, n. 294), in Aedon, 2001, 2, aveva evidenziato come, a fronte della "diversità di esigenze" tipiche dei beni culturali e della "conseguente flessibilità di risposte da dare", un sistema che optasse per la riduzione della discrezionalità ometterebbe di considerare "che in questa materia resta un forte rilievo da accordare al''intuitus personae', affrontabile dunque più in termini di qualificazione professionale del "restauratore" che di rigide prescrizioni sulla organizzazione dell''impresa'".

 

 



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