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L’amministrazione del patrimonio culturale

La selezione della dirigenza per il governo e l’amministrazione del patrimonio culturale [*]

di Ludovica Sacchi

Sommario: 1. Alcune premesse necessarie: il quadro comunitario. - 1.1. La libera circolazione dei lavoratori e la nozione comunitaria di pubblica amministrazione. - 1.2 Una nozione ancora più restrittiva: il principio di proporzionalità. - 2. Il contesto normativo italiano: cittadinanza e accesso alla dirigenza pubblica. - 2.1. Il requisito della cittadinanza nella normativa italiana. - 2.2. La "riforma Franceschini" e l'apertura agli stranieri della dirigenza del settore culturale. - 3. La controversia giurisprudenziale: i direttori dei musei possono essere stranieri? - 3.1. Le decisioni del Tar Lazio e della Sesta Sezione del Consiglio di Stato. - 3.2. L'orientamento definitivo: la decisione dell'Adunanza Plenaria. - 4. Alcune riflessioni.

The leadership selection for the government and administration of cultural heritage
Nowadays, when dealing with the selection of the management in cultural sector, it is impossible not to mention the case law that has involved the selection of directors in Italian museums of national interest. The paper aims to analyse in depth this case, which represents an opportunity to examine the position of the Court of Justice with reference to the free movement of workers in public sector and the Italian law that implements this position. Moreover, it examines the 2014 reform of the Ministry of Cultural Heritage and Activities and Tourism and of the organization of state museums and the effects it has had on the selection of management. Hence, within such analysis it is possible to combine the selection of directors in Italian cultural sector with profiles linked to administrative organization and, above all, with concepts of European law.

Keywords: Management in Italian cultural sector; Free movement of workers; Public service exception.

1. Alcune premesse necessarie: il quadro comunitario

1.1. La libera circolazione dei lavoratori e la nozione comunitaria di pubblica amministrazione

Originariamente, l'articolo 48 del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea stabiliva il principio di libera circolazione dei lavoratori che, nell'ambito della creazione del mercato unico, rappresentava uno dei principi fondamentali [1]. La disposizione è stata poi trasposta nell'articolo 39 del Trattato CE e, conseguentemente, nell'articolo 45 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea che, come la norma originaria, oltre a sancire il principio di libera circolazione, prevede che questo possa essere derogato con riferimento "agli impieghi nella pubblica amministrazione" secondo quanto stabilito al quarto paragrafo [2].

Questa deroga, nota come "public service exception", viene formulata dal legislatore comunitario in modo molto ampio, senza specificare quali impieghi far rientrare - o escludere - nella portata della deroga stessa [3]. Tale ampiezza avrebbe potuto implicare una disomogeneità tra Stati membri nell'applicazione di un principio fondamentale del diritto comunitario, poiché essi avrebbero potuto decidere autonomamente e con la massima discrezionalità a quali impieghi pubblici applicare la deroga [4]. È per questa ragione che la Corte di Giustizia dell'Unione Europea è intervenuta per elaborare una definizione comunitaria di pubblica amministrazione capace di colmare la lacuna normativa del quarto paragrafo dell'articolo 45 Tfue.

Un primo orientamento sul tema è contenuto nella decisione relativa al caso n. 152/73 in cui la Corte ha individuato due importanti profili della nozione comunitaria di pubblica amministrazione [5]. Da un lato si è affermato che, dato il carattere fondamentale del principio di libera circolazione e di parità di trattamento dei lavoratori, la deroga ex paragrafo 4 non può avere una portata maggiore di quella connessa al suo specifico scopo; dall'altro, si è stabilito che non è rilevante verificare la qualifica del lavoratore o la disciplina giuridica che regola il rapporto di lavoro - e, dunque, stabilire se questo sia disciplinato dal diritto pubblico o dal diritto privato - poiché la definizione giuridica di questi profili giuslavoristici varia in ogni Stato membro e, per questo motivo, essi non possono essere utilizzati per dare interpretazione al diritto comunitario [6].

Questi due profili sono stati confermati successivamente nella causa n. 149/79 [7]. In questa occasione, la Corte ha fornito rilevanti precisazioni sul tema stabilendo che i posti per i quali trova applicazione la deroga contenuta nella "public service exception" sono quelli collegati ad attività amministrative che, per le loro peculiarità, sono espressione dell'esercizio di pubblici poteri da parte dell'amministrazione in quanto responsabile della tutela degli interessi generali dello Stato [8].

Con questa decisione si delinea quindi in modo più netto l'orientamento della Corte basato sulla scelta di fornire una definizione attraverso un criterio di stampo funzionale. Questa concezione prevede che si tenga conto soltanto della natura delle funzioni svolte e, di conseguenza, che l'applicazione del principio di libera circolazione debba essere valutata esclusivamente in relazione al posto di lavoro ricoperto [9]. Quest'ultimo sarà considerato impiego pubblico qualora riguardi, in via generale, un'attività specifica della pubblica amministrazione e che, al contempo, implichi una partecipazione diretta o indiretta all'esercizio di un pubblico potere e abbia ad oggetto la tutela degli interessi generali dello Stato [10]. La ratio sottesa a questo orientamento è collegata a questi due profili che presuppongono, da parte del funzionario che ne è titolare, un vincolo nei confronti dell'amministrazione. Questo legame si esplica in un senso di solidarietà e appartenenza verso lo Stato per cui si presta servizio e trova il suo fondamento proprio nell'essere cittadino di quest'ultimo [11].

Basandosi sull'orientamento giurisprudenziale della Corte, nel 1988 la Commissione è intervenuta con una Comunicazione in cui, in maniera sistematica, ha elencato le attività rientranti nella portata della deroga e quelle che, per le peculiarità dei loro compiti e responsabilità, si allontanano dalle attività specifiche dell'amministrazione e il cui accesso, di conseguenza, può essere aperto a cittadini di altri Stati membri. Nello specifico, la Commissione ha escluso dall'applicazione del paragrafo 4 una serie di settori tra cui compaiono i servizi commerciali, quelli operativi della pubblica sanità, l'istruzione in scuole pubbliche e la ricerca a fini civili svolta in istituti pubblici [12].

Dello stesso avviso una Comunicazione elaborata nel 2002 in cui, oltre ad individuare alcuni profili sui lavoratori migranti, la Commissione ha avuto modo di ribadire questo orientamento giurisprudenziale e di specificare che, con riguardo a forze armate, autorità giudiziarie e corpi diplomatici, la deroga si applica in via generale ma l'accesso ad alcuni impieghi in tali settori è aperto a cittadini di altri Stati membri poiché non tutti gli impieghi in questi ambiti di attività comportano l'esercizio di pubblici poteri e la tutela di interessi generali. Inoltre, si è specificato che per i posti presso ministeri, organi governativi regionali, enti locali, banche centrali ed altri organismi di diritto pubblico con funzioni legate alla preparazione, attuazione e controllo di atti legislativi trova applicazione il principio di libera circolazione [13].

1.2. Una nozione ancora più restrittiva: il principio di proporzionalità

L'attività giurisprudenziale della Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha delineato una nozione comunitaria di pubblica amministrazione comune a tutti gli Stati membri che, come visto, ha avuto importanti riflessi sull'applicazione del principio di libera circolazione nel settore del pubblico impiego e, di conseguenza, sulla portata della deroga contenuta nella "public service exception".

Nei primi anni duemila, l'orientamento della giurisprudenza europea ha acquisito però un carattere ancor più restrittivo, in specie in occasione di due cause concernenti la fissazione del requisito di cittadinanza per i posti di capitano e comandante in seconda delle navi mercantili e dei posti di comandante di navi assegnate alla piccola navigazione, entrambe battenti bandiera nazionale [14]. La Corte, seppur dichiarando che alcune attività connesse con questi impieghi implicavano l'esercizio di poteri pubblici e la tutela di interessi generali, ha sottolineato che queste funzioni venivano esercitate sporadicamente e costituivano una parte ridotta rispetto alle mansioni complessive in capo al titolare di tali impieghi: alla luce di ciò, questi ultimi non potevano essere riservati ai cittadini dello Stato in questione [15]. In sostanza, la Corte ha affermato che per l'applicazione della deroga ex paragrafo 4 si deve tenere conto anche del principio di proporzionalità, stabilendo quindi che la titolarità dei poteri d'imperio non è sufficiente: l'esercizio di poteri pubblici, infatti, per permettere ad un impiego di rientrare nella nozione di pubblica amministrazione dovrà essere una caratteristica tipica e costituire la parte più rilevante dell'attività dell'impiego [16].

L'orientamento della Corte di Giustizia in relazione al principio di proporzionalità è stato ribadito anche dal Consiglio di Stato, relativamente al posto di presidente dell'Autorità portuale di Brindisi, e dal Tribunale di Firenze con riferimento al bando di concorso per la copertura di ottocento posti di assistente giudiziario [17]. Nel primo caso, inoltre, per quanto rileva in relazione al contesto italiano e con riferimento alla possibile riserva di cittadinanza all'accesso al pubblico impiego ex articolo 51 della Costituzione, il Consiglio di Stato ha specificato che la disposizione costituzionale non richiede di essere disapplicata in ordine ad un possibile contrasto con il diritto europeo poiché risulta conforme a quest'ultimo e all'articolo 11 della suddetta Carta e deve essere letta nel senso di permettere l'accesso ai pubblici uffici e alle cariche elettive ai cittadini di altri Stati membri, fatte salve le limitazioni espresse o legittimamente ricavabili dal sistema [18].

2. Il contesto normativo italiano: cittadinanza e accesso alla dirigenza pubblica

2.1. Il requisito della cittadinanza nella normativa italiana

Anche in Italia, sulla scia dei nazionalismi dell'Ottocento, si è sviluppata ed evoluta l'idea del rapporto tra funzione pubblica e cittadinanza. In particolare, dapprima, le funzioni di rango più elevato e quelle direttive sono state precluse agli stranieri alla luce del legame di queste con la sfera politica, diversamente da quelle inferiori. Successivamente, a partire dal Novecento e soprattutto con l'avvento del fascismo, questa distinzione tra tipologie di funzioni viene meno e l'accesso agli impieghi nel settore pubblico viene riservato totalmente ai cittadini italiani [19].

Il binomio funzione pubblica-cittadinanza viene ribadito anche all'interno della Costituzione repubblicana in cui, però, non si prevede un'esplicita esclusione degli stranieri dal settore della pubblica amministrazione. Nello specifico, il primo comma dell'articolo 51 ha previsto, come noto, che tutti i cittadini, senza discriminazioni di genere, possano accedere ai pubblici uffici e alle cariche elettive [20]; l'articolo 54, dopo aver prescritto al primo comma un generale dovere di fedeltà alla Repubblica in capo a tutti i cittadini, ha poi stabilito che questi ultimi, qualora siano titolari di funzioni pubbliche, "hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge"; infine, secondo quanto disposto dal comma 1 dell'articolo 98, "i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione" [21].

Il riferimento esplicito all'esclusione degli stranieri dalla funzione pubblica italiana si rinviene, invece, in norme legislative settoriali volte a disciplinare il pubblico impiego. È, nello specifico, l'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 ad aver inserito la cittadinanza italiana tra i requisiti generali per l'accesso agli impieghi civili dello Stato.

In seguito, in attuazione al principio di libera circolazione e all'interpretazione giurisprudenziale di questo proposta dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, il legislatore italiano ha dedicato un apposito articolo del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 all'accesso al pubblico impiego per cittadini di altri Stati membri dell'Unione Europea, stabilendo che questi possono accedere agli impieghi pubblici che non implicano l'esercizio diretto o indiretto di poteri pubblici o che non attengono alla tutela dell'interesse nazionale [22].

Successivamente, il d.p.c.m. 7 febbraio 1994, n. 174 interviene per specificare la portata della norma del decreto del 1993 indicando i posti e la tipologia di funzioni riservati ai cittadini italiani. Quanto ai primi, in essi sono ricompresi i posti dei livelli dirigenziali delle amministrazioni statali e quelli con funzione di vertice amministrativo delle strutture periferiche delle amministrazioni pubbliche dello Stato, degli enti pubblici non economici, delle province e dei comuni nonché delle regioni e della Banca d'Italia e i posti appartenenti a specifiche carriere o amministrazioni [23]. Quanto alla tipologia delle funzioni, il decreto prevede che sia richiesta la cittadinanza italiana per quelle che implicano l'elaborazione, la decisione, l'esecuzione di provvedimenti autorizzativi e per le funzioni di controllo di legittimità e merito [24]. Inoltre, l'articolo 3 del richiamato decreto definisce i requisiti generali richiesti ai cittadini di altri Stati membri che si sostanziano nel godimento dei diritti civili e politici anche negli Stati di appartenenza o di provenienza, nel possesso dei requisiti previsti per i cittadini italiani e in una adeguata conoscenza della lingua italiana [25].

La norma contenuta nell'articolo 37 del d.lg. 29/1993 è stata trasposta nell'articolo 38 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (c.d. testo unico sul pubblico impiego), che estende la possibilità di accesso agli impieghi pubblici anche ai familiari dei cittadini degli Stati membri che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente [26].

2.2. La "riforma Franceschini" e l'apertura agli stranieri della dirigenza del settore culturale

La complessa riforma che ha interessato il settore culturale italiano trae origine dalle politiche di spending review avviate con il decreto legge 6 luglio 2012, n. 95. Come accaduto in altre sfere istituzionali [27], l'esigenza di contenimento della spesa ha rappresentato l'occasione per elaborare una riorganizzazione del ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact) che, in passato, era stata al centro di diversi progetti di riforma mai portati a compimento [28].

La riorganizzazione del Mibact, attuata dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, è intervenuta per correggere diverse disfunzioni del ministero collegate al mancato coordinamento tra strutture centrali e periferiche, alla scarsa integrazione tra gli ambiti di attività e le politiche implementate in ognuno e alla limitata autonomia riconosciuta alle strutture museali [29]. Partendo da queste criticità, la riforma del 2014 ha comportato un ripensamento dell'assetto delle funzioni del ministero attraverso la ridefinizione di ruoli e rapporti delle strutture di cui quest'ultimo si compone. In applicazione delle manovre nazionali di revisione della spesa, ha poi operato una razionalizzazione delle risorse umane, strumentali e finanziarie ed, infine, ha contribuito a raggiungere una piena valorizzazione dei musei statali. A tal riguardo, l'attenzione sarà rivolta principalmente sulla volontà della riforma di elaborare una nuova concezione di museo con l'intento di ampliare l'autonomia di questi istituti e dare loro la giusta valorizzazione nel complesso delle attività culturali e nell'ambito della struttura ministeriale [30].

Con riferimento ai musei, la "riforma Franceschini" deve essere letta in combinato disposto con il decreto ministeriale del 23 dicembre 2014 che, arricchendo quanto stabilito nel d.p.c.m. dello stesso anno, ha contribuito ad operare un riordino completo dell'organizzazione e del funzionamento dei musei statali. Innanzitutto, risulta innovativa l'istituzione della direzione generale musei a cui vengono affidate funzioni di indirizzo e coordinamento all'interno del sistema museale nazionale e tra poli museali regionali e compiti legati alle politiche di valorizzazione e fruizione del patrimonio culturale [31]. In seguito, entrambi i decreti propongono una rinnovata e più completa definizione di museo che porta ad identificarlo come un'istituzione al servizio della società, che gode di autonomia tecnico-scientifica ed è volta non soltanto allo svolgimento di compiti legati al bene culturale in quanto tale, ma anche ad attività di studio, ricerca e di tutela e valorizzazione del patrimonio [32].

Altro aspetto innovativo, introdotto in attuazione a quanto stabilito ai commi 2 e 2-bis dell'articolo 14 del decreto legge 31 maggio 2014, n. 83, riguarda la scelta di attribuire un maggiore livello di autonomia ad un gruppo di musei che, nel panorama museale italiano, costituiscono istituti di rilevante interesse nazionale e si distinguono per "eccezionale valore archeologico, storico, artistico o architettonico" [33]. In particolare, proprio nel caso di questa categoria di istituti, le nuove funzioni attribuite in via generale ai musei dai decreti del 2014 sono state collegate ad una serie di compiti assegnati al direttore che diviene, quindi, l'asse portante dei musei ad autonomia speciale.

In correlazione, è stata prevista una disciplina specifica per il conferimento dell'incarico, che potrà essere attribuito "con procedure di selezione pubblica, per una durata da tre a cinque anni, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali e in possesso di una documentata esperienza di elevato livello nella gestione di istituti e luoghi della cultura" secondo quanto disposto dal già citato comma 2-bis.

Il contenuto di questi articoli e la norma interpretativa del comma 2-bis contenuta nel decreto legge 24 aprile 2017, n. 50 - di cui si parlerà ampiamente in seguito - saranno determinanti nella controversia giurisprudenziale che ha implicato la possibilità di affidare l'incarico di direttore di museo ad autonomia speciale anche a professionisti non in possesso della cittadinanza italiana. In un primo momento, infatti, tali disposizioni sono sembrate in contrasto con la già richiamata "public service exception".

3. La controversia giurisprudenziale: i direttori dei musei possono essere stranieri?

3.1. Le decisioni del Tar Lazio e della Sesta Sezione del Consiglio di Stato

La controversia giurisprudenziale relativa alla selezione dei direttori dei musei ha avuto inizio con la sentenza 24 maggio 2017, n. 6171 con la quale il Tar Lazio ha accolto il ricorso di una dirigente del Mibact che lamentava la sua esclusione dalla selezione pubblica per il conferimento dell'incarico di direttore degli istituti museali Palazzo Ducale di Mantova e Galleria Estense di Modena [34]. In particolare, il giudice amministrativo ha sostenuto che le disposizioni introdotte dal comma 2-bis dell'articolo 14 del d.l. 83/2014 non avrebbero comportato una deroga al requisito del possesso della cittadinanza italiana per l'accesso agli impieghi e, di conseguenza, nemmeno al contenuto dell'articolo 38 del d.lg. 165/2001: per questa ragione, la selezione pubblica non poteva essere aperta a soggetti non italiani. A tal proposito, il Tar ha avuto modo di specificare che il carattere internazionale menzionato nel comma 2-bis non riguardava la procedura di selezione dei direttori, ma era riferito agli standard che il Mibact e le sue strutture avrebbero dovuto perseguire con lo scopo di migliorare la promozione dello sviluppo della cultura. Questi standard, secondo l'opinione del giudice di primo grado, non dovevano essere raggiunti aprendo l'accesso alla dirigenza del settore culturale a professionisti stranieri, ma "migliorando gli aspetti sostanziali e contenutistici dell'offerta museale italiana". Per queste ragioni, il Tar ha disposto l'annullamento del bando, con riferimento alla selezione per i musei di Mantova e Modena, e gli atti di entrambe le procedure di selezione.

Sulla base di questa pronuncia, il Mibact ha provveduto a sospendere i dirigenti dal loro incarico e dalla relativa retribuzione. In relazione a questo effetto, lo stesso ministero ha chiesto al Consiglio di Stato di sospendere, in via incidentale, l'esecutività della sentenza e di emettere un decreto monocratico per anticipare provvisoriamente le statuizioni che sarebbero state rese durante l'esame della domanda in camera di consiglio [35]. Le vicende della fase cautelare meritano di essere brevemente menzionate poiché anticipano la contraddittorietà dell'orientamento della Sesta Sezione: in un primo momento, infatti, con decreto n. 2305 del 30 maggio 2017, il Presidente non ha ritenuto opportuno modificare la situazione creatasi e, data la delicatezza delle questioni, ha preferito rimettere l'esame della domanda in sede collegiale; la stessa Sezione però, con ordinanza n. 2471 del 15 giugno 2017, ha accolto la richiesta di sospensione dell'efficacia della sentenza del Tar Lazio. In particolare, tra le motivazioni della decisione compare la necessità di consentire ai direttori soccombenti in primo grado di mantenere lavoro e retribuzione, tenuto anche conto del fatto che, per accettare la nomina presso i musei italiani, questi avevano lasciato i vecchi incarichi e trasferito la loro residenza dall'estero all'Italia; inoltre, il ricorrente parzialmente vincitore in primo grado, al tempo dell'emissione dell'ordinanza, aveva un incarico di direttore presso un altro museo; ed infine, la riammissione in servizio dei direttori controinteressati non risultava arrecare pregiudizi agli interessi dell'amministrazione.

L'orientamento esposto nella sentenza n. 6171 del 2017 è stato riproposto dal medesimo giudice nella successiva sentenza 7 giugno 2017, n. 6719, relativa alla selezione per il direttore del Parco Archeologico del Colosseo che, come nel caso richiamato, ammetteva anche soggetti sprovvisti del requisito della cittadinanza italiana [36]. In particolare, in questa seconda decisione, il Tar ha sottolineato che al direttore del Parco erano state affidate le funzioni spettanti al Soprintendente archeologico, belle arti e paesaggio: queste funzioni, oltre a sostanziarsi in compiti propri del vertice amministrativo, implicavano l'esercizio di poteri pubblici con riguardo all'attività di tutela. Sulla base di questo profilo e dall'analisi della normativa riguardante l'accesso alle posizioni dirigenziali pubbliche, è stata dichiarata la fondatezza del ricorso.

Bisogna far notare che, a differenza della sentenza precedente, nella decisione relativa al Parco Archeologico del Colosseo, oltre all'esame della normativa nazionale, il Tar ha preso in considerazione anche le disposizioni europee relative al principio di libera circolazione e l'interpretazione della Corte di Giustizia a riguardo [37]. Pur avendo analizzato l'orientamento comunitario, il giudice amministrativo ha elaborato una soluzione di segno opposto sostenendo la legittimità della previsione del requisito di cittadinanza sulla base del fatto che alcune funzioni dei direttori dei musei avrebbero implicato l'esercizio di pubblici poteri: tra queste, il Tar ha indicato la responsabilità della gestione del parco, l'autorizzazione al prestito di beni culturali, l'affidamento di attività e servizi pubblici di valorizzazione del parco, le funzioni di stazione appaltante e quelle amministrative e di controllo dei beni in consegna [38].

Relativamente a questa seconda decisione, il Mibact è ricorso in appello al Consiglio di Stato, ritenendo errato il giudizio del Tar Lazio relativamente alla scelta di negare che l'incarico di direttore del Parco del Colosseo potesse essere conferito ad un professionista straniero [39].

Il Supremo Giudice ha dichiarato la fondatezza delle motivazioni del Mibact con la sentenza 24 luglio 2017, n. 3666 giustificando la sua tesi sulla base di una serie di profili. In primo luogo, dal punto di vista costituzionale, il Collegio ha negato l'opinione del Tar secondo cui l'articolo 51, nell'utilizzare il termine cittadini, contemplerebbe una riserva a favore di individui italiani per l'accesso ai pubblici uffici. Secondo il Collegio, infatti, la disposizione costituzionale avrebbe il solo scopo di evitare discriminazioni e di parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica, senza implicare alcun tipo di riserva. Inoltre, con riferimento all'articolo 54 della Costituzione, il Consiglio di Stato ha avuto modo di specificare che la norma stabilisce semplicemente le modalità con cui devono essere adempiute le funzioni pubbliche.

In seguito, sul piano della normativa ordinaria, il Collegio ha proposto una attenta disamina della legislazione sul pubblico impiego e, in particolare, delle regole che ne disciplinano l'accesso. In questo senso, si è specificato che il già menzionato comma 2-bis non contiene prescrizioni in relazione al requisito della cittadinanza con la conseguenza che, anche nel caso di specie, trovano applicazione le regole generali. Posta questa premessa, il Consiglio ha proposto una valutazione circa la conformità delle regole interne a quelle comunitarie. A questo proposito, è stata rilevata una difformità del d.p.c.m. 174/1994 nella parte in cui prevede una riserva generale in favore dei cittadini italiani con riguardo ai posti di livello dirigenziale delle amministrazioni statali e, secondo il Consiglio di Stato, questa riserva sarebbe fondata sull'adozione di un approccio strutturale-statico di segno totalmente opposto a quello funzionale-dinamico scelto dalla Corte di Giustizia per interpretare il principio di libera circolazione e per elaborare la nozione comunitaria di pubblica amministrazione.

Successivamente, il Consiglio di Stato ha proceduto con un'analisi dei compiti affidati al direttore del Parco ritenendo che questi svolga attività prevalentemente volta alla gestione economica e tecnica dell'istituto museale. Quanto alle funzioni che il Tar aveva ritenuto essere espressione di pubblico potere, il Collegio ha rilevato che anch'esse riguardano la gestione economica e, in ogni caso, costituiscono parte marginale del complesso delle attività spettanti al direttore.

Da ultimo, è stato preso in considerazione anche il contenuto del comma 7-bis dell'articolo 22 del d.l. 50/2017 introdotto dal legislatore dopo la presentazione del ricorso al giudice amministrativo che, secondo il Collegio, non può avere un valore interpretativo poiché tale previsione "per la univocità di significato della previsione contenuta nella fonte regolamentare autorizzata dalla fonte primaria, non ha assegnato alla normativa previgente un significato tra quelli possibili ma ha innovato il sistema" [40]. Nonostante l'inapplicabilità di quest'ultima disposizione, il Consiglio di Stato ha accolto l'appello proposto dal Mibact e ha riformato la sentenza del Tar Lazio [41].

Successivamente, il ministero ha proposto un secondo appello con riferimento alla sentenza del Tar Lazio 6171/2017: in questo caso, il Consiglio di Stato ha proposto una soluzione di segno opposto [42].

L'appellante ha chiesto che il motivo accolto dal Tar in merito all'illegittimità della nomina di direttore del Palazzo Ducale di Mantova, conferita ad un professionista non in possesso della cittadinanza italiana, venisse respinto in ragione della sua difformità all'articolo 45 del Tfue e alla normativa italiana.

Anche in questo caso, il Consiglio di Stato ha prima esaminato il quadro normativo nazionale e poi discusso dei modi con cui l'ordinamento interno si è adeguato alle regole europee e alla giurisprudenza della Corte di Giustizia. Ha poi focalizzato l'attenzione sulle funzioni attribuite al direttore dell'istituto museale, esaminato la norma interpretativa contenuta nel d.l. 50/2017 e, infine, ha preso in considerazione le motivazioni alla base del giudizio sul Parco Archeologico del Colosseo del luglio 2017. Conseguentemente a questa analisi, la Sesta Sezione ha ritenuto di poter dare un'interpretazione diversa del quadro richiamato evidenziando una serie di profili.

In primo luogo, gli articoli 51 e 54 della Costituzione e la riserva in essi contenuta - derivante dall'utilizzo del termine cittadini - non riguardano l'ammissione al pubblico impiego, ma si riferiscono soltanto all'esercizio dei pubblici uffici, alle cariche elettive e alle funzioni pubbliche. Per il Collegio, quindi, la portata di questa riserva permette di aprire ai non cittadini tutte le posizioni non caratterizzate dall'esercizio di poteri pubblici o dallo svolgimento di cariche elettive [43].

In seguito, il Collegio ha rilevato la legittimità della riserva di cittadinanza per gli incarichi dirigenziali contenuta nel d.p.c.m. 174/1994 e la sua conformità al diritto comunitario: per questa ragione, la Sesta Sezione ha dichiarato che la norma non può essere disapplicata come suggerito nella sent. 3666/2017 [44].

Al punto 54.3 della decisione, con riferimento alla nozione comunitaria di pubblica amministrazione, il Consiglio di Stato ha proposto una distinzione innovativa distinguendo tra "soggetti estranei all'apparato statale" e "pubblici poteri". Per i primi la deroga al principio di libera circolazione può valere soltanto nel caso in cui le funzioni comportanti l'esercizio di pubblico potere costituiscano parte prevalente della loro attività, mentre per i secondi non si porrebbe la necessità di verificare la presenza dell'esercizio di poteri d'imperio poiché questa caratteristica è già insita nella loro natura [45]. Data questa dicotomia, il Collegio ha affermato che il dirigente statale e, dunque, anche il direttore di un museo statale "è l'immediata espressione del potere esecutivo e costituisce l'organo amministrativo di vertice del ministero, con il quale si attua l'indirizzo politico del Governo": per questa ragione, riservare ai cittadini italiani questo tipo di incarico sarebbe legittimo.

In seguito, a sostegno della propria tesi, il Collegio ha invocato il principio di reciprocità. Si è evidenziato, infatti, che nel panorama europeo non si rinvengono norme o prassi che abbiano permesso ai cittadini italiani di accedere ad incarichi dirigenziali di vertice nelle funzioni pubbliche di altri Stati membri. Secondo la Sezione, soltanto una simile apertura avrebbe potuto giustificare il conferimento dell'incarico di dirigente a professionisti europei non italiani [46].

Infine, con riguardo alla norma interpretativa introdotta dal d.l. 50/2017, il Collegio ha sollevato dei dubbi di efficacia. La Sezione, al proposito, ha posto due alternative: per la prima, siccome la norma disporrebbe soltanto per il futuro con il fine di rimuovere problemi di interpretazione, non rileverebbe in giudizio; per altro verso, nel caso in cui si dichiarasse un'efficacia retroattiva, la norma "si porrebbe in contrasto con l'articolo 117 della Costituzione e con gli articoli 6 e 13 della CEDU, che precludono l'entrata in vigore di leggi che incidano sui giudizi in corso e sull'esercizio della funzione giurisdizionale" [47].

Data l'incertezza su alcuni profili e l'orientamento difforme rispetto alla sent. 3666/2017, il Collegio ha deciso di rimettere la questione all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

3.2. L'orientamento definitivo: la decisione dell'Adunanza Plenaria

Con la sentenza 25 giugno 2018, n. 9, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha elaborato in via definitiva l'orientamento circa la possibilità di ammettere una riserva di nazionalità in favore dei cittadini italiani per i posti di livello dirigenziale nelle amministrazioni statali e, nel caso di specie, negli istituti museali di rilevante interesse nazionale.

L'Adunanza Plenaria ha quindi esposto una serie di ragioni secondo le quali non può essere condivisa la tesi, prospettata dalla Sezione remittente, relativa all'illegittimità della disapplicazione della normativa contente la riserva di nazionalità.

Innanzitutto, secondo l'Adunanza, il direttore del Palazzo Ducale di Mantova non sarebbe configurabile come una figura apicale e, per questo motivo, le sue attività non sarebbero connesse con funzioni di vertice amministrativo: sulla base di questo presupposto, la riserva dell'incarico a cittadini italiani sarebbe illegittima. A sostegno di questa tesi, l'Adunanza ha evidenziato una serie di profili [48].

In primo luogo, ha ritenuto che l'articolo 30 del d.p.c.m. 171/2014, nel riconoscere un'autonomia speciale al Palazzo Ducale di Mantova, non abbia al contempo attribuito a questa struttura funzioni ed attribuzioni capaci di far riconoscere alla stessa lo status di organo amministrativo di vertice del Mibact, circostanza che avrebbe giustificato la riserva di nazionalità. Inoltre, l'elenco di funzioni attribuite al direttore dei musei di rilevante interesse nazionale non giustificherebbe la qualificazione dell'incarico come apicale e nemmeno la tesi per cui quest'ultimo sarebbe espressione dell'organo di indirizzo politico. Successivamente, il giudice ha sottolineato che il carattere apicale non può essere riconosciuto indistintamente a tutti i posti di livello dirigenziale poiché una siffatta qualificazione prescinderebbe da un'analisi dei compiti e delle funzioni esercitati nei diversi casi concreti. Da ultimo, l'Adunanza ha avuto modo di chiarire che non sussistono ragioni per riconoscere indistintamente a ogni posto di livello dirigenziale statale l'esercizio dell'autorità pubblica e la responsabilità di tutelare gli interessi generali; per altro verso, non ci sarebbero ragioni nemmeno per affermare che tutti i posti dirigenziali statali implicherebbero sempre e comunque lo svolgimento di funzioni di vertice amministrativo e l'esercizio prevalente di funzioni autoritative [49].

In secondo luogo, l'Adunanza Plenaria non ha condiviso la decisione della Sesta Sezione di non applicare il criterio della prevalenza. Nella decisione, infatti, si è sottolineato che la disapplicazione di questo principio comporterebbe l'utilizzo del criterio del contagio secondo cui, per applicare o meno la riserva di nazionalità, sarebbe sufficiente che il titolare di un determinato impiego eserciti anche un solo potere pubblico. Questa scelta comporterebbe un contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia che, invece, ha sempre sostenuto che la "public service exception" si possa invocare soltanto quando l'esercizio di poteri pubblici costituisca parte prevalente e abituale dell'attività lavorativa. Inoltre, a sostegno della disapplicazione del principio di prevalenza, non è ammissibile sostenere che le statuizioni rese dalla Corte di Giustizia nel caso dell'Autorità portuale di Brindisi siano limitate a quel caso di specie: l'Adunanza ha rilevato che la Corte, nell'applicare in quella decisione il criterio di prevalenza, l'ha al contempo definito quale criterio generale [50].

In terzo luogo, l'Adunanza ha sottolineato che il direttore degli istituti e dei musei di rilevante interesse nazionale non svolge in modo prevalente funzioni pubbliche e autoritative, bensì gestionali e di valorizzazione. Quanto alle funzioni che, secondo la Sezione remittente, potrebbero implicare l'esercizio di pubblici poteri, l'Adunanza ha specificato che l'autorizzazione al prestito di opere è sì funzione pubblicistica, ma è strettamente collegata ad attività di promozione della cultura e valorizzazione delle opere; quanto alle funzioni di stazione appaltante, è innegabile che queste siano di stampo pubblicistico ma, nell'ambito museale, sono volte all'acquisizione di beni e servizi strumentali alla gestione del museo [51].

Come quarto profilo, l'Adunanza ha dichiarato che il principio di reciprocità non può giustificare l'applicazione della riserva per due ragioni. Da un lato, si è specificato che l'apertura dei posti di direttore di museo a cittadini non italiani non ha implicato una cessione di quote di sovranità e, dunque, non si può lamentare una violazione del principio di parità enunciato all'articolo 11 della Costituzione; dall'altro, è stato ricordato che uno Stato membro non può venire meno ad un obbligo, ovvero non può giustificare una sua inadempienza, sulla base del fatto che, in precedenza, un altro Stato membro ha tenuto la medesima condotta [52].

Da ultimo, l'Adunanza non ha condiviso la tesi secondo cui gli articoli 51 e 54 della Costituzione rappresenterebbero il fondamento costituzionale della riserva di nazionalità prevista dall'articolo1 del d.p.c.m. 174/1994 e dall'articolo 2 del d.p.r. 487/1994. L'Adunanza ha ribadito, infatti, che l'articolo 51 "non mira a riservare ai cittadini italiani l'accesso ai pubblici uffici, ma mira a garantire l'uguaglianza dei cittadini senza discriminazioni o limiti, e nel prevedere la possibilità di parificare - con legge nazionale - ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica, si caratterizza come una norma "aperturista" e non come "preclusiva""; e che l'articolo 54 non comporta una riserva, ma semplicemente indica le modalità con cui adempiere le funzioni pubbliche che, secondo la norma costituzionale, devono essere esercitate con disciplina ed onore [53].

Date queste ragioni, l'Adunanza Plenaria ha dichiarato che l'articolo 1, comma 1, lettera a) del d.p.c.m. 174/1994 e l'articolo 2, comma 1 del d.p.r. 487/1994, nella parte in cui impediscono in modo assoluto la possibilità di attribuire posti di livello dirigenziale nelle amministrazioni statali a cittadini di altri Stati membri, entrano insanabilmente in contrasto con il paragrafo 4 dell'articolo 45 Tfue e, di conseguenza, devono essere disapplicate. L'Adunanza ha inoltre aggiunto che, per ragioni di certezza giuridica, il Governo dovrà provvedere "ad adottare le determinazioni conseguenti alla rilevata illegittimità de iure communitario della richiamata disposizione regolamentare".

4. Alcune riflessioni

La vicenda giurisprudenziale sulla selezione dei dirigenti degli istituti e musei di rilevante interesse nazionale offre diversi spunti di riflessione.

Innanzitutto, lo studio sin qui proposto porta a ritenere che la soluzione elaborata dall'Adunanza Plenaria sia condivisibile sulla base della sua piena conformità alle disposizioni europee sulla libera circolazione e all'interpretazione data a queste ultime dalla Corte di Giustizia. Inoltre, si condivide questo orientamento anche, e soprattutto, in ragione della motivazione riguardante la tipologia di funzioni svolte dai direttori dei musei. Come è stato correttamente sottolineato nella decisione di giugno 2018, il direttore degli istituti museali di rilevante interesse nazionale svolge funzioni e attività di stampo prettamente gestionale volte alla promozione della cultura e alla valorizzazione del patrimonio. Proprio i compiti affidati al direttore dalla "riforma Franceschini", che lo contemplava come l'asse portante del nuovo ordinamento dei musei, riassumono al meglio la ratio della riforma stessa: rendere il museo un luogo di cultura ed educazione in cui vengono coniugate attività di promozione e valorizzazione delle opere con attività di studio e ricerca. Un siffatto complesso di attività non può, quindi, essere ostacolato dalla previsione di un requisito di cittadinanza per riservare l'accesso al livello dirigenziale ai cittadini italiani: un'apertura internazionale, infatti, ha permesso e permetterà che i nuovi istituti museali possano trarre numerosi benefici da esperienze professionali, culturali e manageriali acquisite anche al di fuori del territorio italiano.

In seguito, come già messo in evidenza, la riforma Franceschini e il riordino dell'ordinamento dei musei statali non rappresentano soltanto un disegno di revisione ampio e innovativo del settore culturale italiano, ma comportano una serie di effetti e mutamenti anche a livello di diritto amministrativo interno [54]. In particolar modo, proprio con riferimento alla selezione della dirigenza, la riforma del 2014 introduce un nuovo modello di procedura selettiva per gli incarichi dirigenziali che, come suggerito in dottrina, potrebbe essere adottato anche in altre amministrazioni statali [55]. La nuova procedura selettiva consta di due fasi. Nella prima, viene dato il compito ad una commissione di valutare preliminarmente i candidati sulla base dei curricula e delle loro lettere di motivazione: all'esito di questa prima valutazione, la commissione dovrà scegliere dieci candidati per ogni istituto museale. Questi ultimi verranno successivamente sottoposti ad un colloquio orale, sempre condotto dalla commissione, che porterà alla definizione di una terna di professionisti. Nella seconda fase, il ministro o il dirigente generale del Mibact sceglieranno il vincitore della selezione sulla base dell'analisi e del giudizio finale della commissione [56]. Di recente, accogliendo un ricorso per regolamento di giurisdizione proposto dal Mibact, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno avuto modo di chiarire il carattere sostanzialmente idoneativo e non concorsuale di quest'ultima fase, la sua posizione dominante all'interno dell'intera procedura selettiva e la circostanza per cui questa comporti una scelta finale di stampo fiduciario da parte del Ministro o del direttore generale. Per queste ragioni, pur riconoscendo la presenza di una fase iniziale aperta e condotta attraverso criteri oggettivi, la Suprema Corte ha dichiarato che spettano alla cognizione del giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto il conferimento dell'incarico di direttore dei musei archeologici nazionali [57].

Per altro verso, dopo aver aperto le procedure selettive a professionisti non italiani e, di conseguenza, aver evitato ogni possibile discriminazione legata alla cittadinanza, nasce la necessità di garantire che non si verifichino disparità tra candidati-cittadini e candidati-stranieri durante il corso della selezione [58]. Per questa ragione, sarà necessario che i bandi vengano elaborati in conformità con le disposizioni europee ed evitando di inserire requisiti che potrebbero, sempre in ragione di circostanze legate alla nazionalità, discriminare o sfavorire i candidati stranieri [59].

Da ultimo, si possono proporre alcune considerazioni in merito alla necessità che il Governo intervenga sulle disposizioni del d.p.c.m. 174/1994. In dottrina, sin dall'entrata in vigore del decreto, erano sorte preoccupazioni circa la portata troppo ampia della riserva contenuta all'articolo 1 che comportava l'esclusione dall'applicazione del principio di libera circolazione di troppi impieghi in numerose amministrazioni [60]. Dello stesso avviso anche la dottrina più recente che, ancor prima della pronuncia dell'Adunanza Plenaria del 2018, aveva prospettato la necessità di una revisione del decreto [61]. Quanto a quest'ultimo profilo, pare condivisibile la tesi secondo cui, proprio alla luce dell'ampiezza della riserva, l'articolo 1 del decreto debba essere modificato nel senso di circoscrivere la portata della riserva stessa utilizzando le indicazioni fornite dalla Commissione nelle Comunicazioni sopra richiamate, di modo che anche l'articolo 1 preveda l'utilizzo del criterio funzionale-dinamico come parametro per l'individuazione dei posti esclusi o compresi nella portata della riserva. Infine, quanto all'articolo 2, la revisione dovrebbe intervenire soltanto per rimodulare, in conformità con l'ordinamento comunitario, i contenuti della disposizione. Come suggerito in dottrina, basterebbe dichiarare, in modo esplicito all'interno del testo, che l'individuazione delle funzioni per il cui esercizio è necessario il possesso della cittadinanza italiana avviene sulla base e nel rispetto del principio di prevalenza [62].

Relativamente alla modifica delle disposizioni del d.p.c.m. del 1994 rimane però una preoccupazione. Il Governo che aveva promosso, sostenuto e poi attuato la riforma del Mibact e dell'ordinamento dei musei non è più quello in carica: si dovrà dunque attendere l'opinione sul tema del nuovo esecutivo. A questo proposito, si segnala che il Mibac, guidato dal Ministro Alberto Bonisoli, ha indetto due selezioni pubbliche internazionali per il conferimento, rispettivamente, dell'incarico di direttore generale degli istituti Galleria dell'Accademia di Venezia, Reggia di Caserta e Parco Archeologico di Pompei e dell'incarico di direttore non generale degli istituti Parco Archeologico dell'Appia Antica, Parco Archeologico dei Campi Flegrei e Palazzo Reale di Genova.

Secondo quanto stabilito dal bando, pubblicato il 23 novembre 2018, la procedura differisce da quelle oggetto della controversia giurisprudenziale soltanto per la ridefinizione dei seguenti termini: le Commissioni dovranno presentare la terna di candidati da sottoporre al Ministro o al Direttore generale Musei entro sessanta giorni dal termine di presentazione della domanda; il periodo entro cui concludere la procedura selettiva si riduce a novanta giorni con possibilità di proroga non superiore a sessanta giorni; ed infine, l'incarico durerà tre anni invece di quattro, con facoltà di rinnovo per una volta sola e per non più di quattro anni attraverso decisione motivata e sulla base di una valutazione positiva dei risultati ottenuti.

Per entrambe le procedure selettive è stata richiesta la proroga ed è stata pubblicata, per ogni istituto museale, la lista dei dieci candidati ammessi al colloquio orale, il quale avrà luogo a fine marzo per l'incarico di direttore non generale e nei primi giorni di aprile per quello di direttore generale: tra i sessanta candidati ammessi alla prova, nello specifico nella lista per l'incarico presso il Parco Archeologico di Pompei, compare soltanto un candidato straniero.

 

Note

[*] Il presente paper è una versione rivista e aggiornata del contributo presentato al Convegno Annuale AIPDA 2018 "Arte, cultura e ricerca scientifica. Costituzione e Amministrazione".

[1] Cfr. R. Caranta, La libertà di circolazione dei lavoratori nel settore pubblico, in Il Diritto Unione eur., 1999, pag. 21. L'autore sottolinea, infatti, che "l'idea di assicurare la mobilità dei lavoratori è perciò al centro del cuore più antico della costruzione comunitaria, del tentativo di creare istituzioni sovranazionali in grado di normare in modo più efficiente degli Stati nazione una serie (crescente) di materie".

[2] L'articolo, al terzo paragrafo, prevede anche una deroga legata a motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica che rappresenta quella che in dottrina viene definita "public policy proviso". Sul punto si veda B. Gagliardi, La libera circolazione dei cittadini europei e il pubblico concorso, Napoli, 2012, pag. 43 ss. Per una visione globale sul tema delle deroghe alla libera circolazione dei lavoratori, S. Nappi, Libera circolazione dei lavoratori subordinati, in F. Carinci, A. Pizzoferrato, Diritto del lavoro dell'Unione Europea, Torino, 2010, pagg. 251-280.

[3] Con riferimento alla sinteticità della formulazione della disposizione, R. Caranta, La libertà di circolazione dei lavoratori nel settore pubblico, cit., pag. 24 fa notare che nemmeno l'articolo 8 del regolamento CEE del Consiglio n. 1612/68 del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità Economica Europea, è molto specifico rispetto al caso dell'impiego presso una pubblica amministrazione di uno Stato membro di cui non si possiede la cittadinanza.

[4] Come fa notare D. Palazzo, L'accesso al pubblico impiego nell'ottica della libertà di circolazione dei lavoratori, in Dir. amm., 2017, pag. 753 ss, la deroga ex co. 4, art. 45 Tfue introduce "un limite vastissimo, tale da vanificare, se interpretato letteralmente, la libera circolazione dei lavoratori in relazione a qualsiasi pubblico impiego".

[5] Corte giustizia, 12 febbraio 1974, causa 152/73, Sotgiu c. Deutsche Bundespost.

[6] Cfr. D. M. Traina, Libertà di circolazione nella Comunità Economica Europea e pubblico impiego in Italia, in Rivista trimestrale di diritto pubblico 1991, pag. 329 ss.; R. Caranta, La libertà di circolazione dei lavoratori nel settore pubblico, cit., pag. 25 ss.

[7] Corte giustizia, 17 dicembre 1980, causa 149/79, Commissione c. Regno del Belgio.

[8] In riferimento al caso di specie, la Corte ha anche elencato i posti dell'amministrazione belga a cui poteva essere applicata la deroga. Per un'analisi accurata si veda D. M. Traina, Libertà di circolazione nella Comunità Economica Europea e pubblico impiego in Italia, cit., pag. 338 ss.

[9] Al criterio funzionale si contrappone quello sostanziale o organico. Sul punto, J. A. Fuentetaja Pastor, La libre circulación de empleados públicos, in Revista de Derecho de la Unión Europea 2° semestre 2003, pag. 37 ss.; sugli eventuali inconvenienti dell'utilizzo dell'approccio sostanziale D. Palazzo, L'accesso al pubblico impiego nell'ottica della libertà di circolazione dei lavoratori, cit., pag. 762 ss.

[10] Con riferimento alla partecipazione all'esercizio del pubblico potere e alla tutela degli interessi generali dello Stato, J. A. Fuentetaja Pastor, La libre circulación de empleados públicos, cit., pag. 41 sottolinea che i due requisiti devono sussistere contemporaneamente poiché costituiscono "dos requisitos con caractér cumulativo". Dello stesso avviso D. Palazzo, L'accesso al pubblico impiego nell'ottica della libertà di circolazione dei lavoratori, cit., pag. 767.

[11] Sul tema S. Cassese, Stato-nazione e funzione pubblica, in Giorn. dir. amm., 1997, pag. 88 ss. Con riguardo al rapporto tra lo status di cittadino e l'esercizio di funzioni pubbliche si rimanda all'analisi di M. Gnes, Oltre la cittadinanza nazionale? L'accesso alla funzione pubblica dei cittadini stranieri, in Gli Stranieri. Rassegna di studi e giurisprudenza, 2012, pag. 7 ss. L'orientamento delineato nella causa n. 149/79 è stato ribadito nelle sentenze della Corte di giustizia, 3 giugno 1986, causa 307/84, Commissione c. Francia; 3 luglio 1986, 66/85 Lawrie-Blum c. Lan Baden Wüttemberg; 16 giugno 1987, causa 225/85, Commissione c. Repubblica italiana.

[12] Comunicazione 88/C 72/02, Libera circolazione di lavoratori e accesso agli impieghi nella pubblica amministrazione degli Stati membri: l'azione della Commissione in materia d'applicazione dell'articolo 48, paragrafo 4 del trattato CEE. Sul tema anche Corte giustizia, sentenze 2 luglio 1996, causa 473/93 Commissione c. Granducato del Lussemburgo; causa 173/94 Commissione c. Regno del Belgio; causa 290/94 Commissione c. Repubblica Ellenica, a commento S. Cassese, La nozione comunitaria di pubblica amministrazione, in Giorn. dir. amm., 1996, 915 ss.

[13] Comunicazione della Commissione, Libera circolazione dei lavoratori - realizzarne pienamente i vantaggi e le potenzialità, dell'11 dicembre 2002, doc. COM(2002)694, in particolare §5.1 e §5.2. A questo documento ha fatto seguito un'altra Comunicazione del 13 luglio 2010, Ribadire la libera circolazione dei lavoratori: diritti e principali sviluppi, COM(2010)373, in cui la Commissione ha invitato gli Stati membri ad aprire il settore del pubblico impiego alla libera circolazione "come contributo per la modernizzazione e la riforma".

[14] Si fa riferimento a due sentenze emesse il 30 settembre 2003 rispettivamente causa 405/01 Colegio de Oficiales de la Marina Mercante Española c. Administración del Estado e causa 47/02 Albert Anker, Klaas Ras et Albertus Snoeck c. Repubblica Federale di Germania.

[15] Si vedano i punti 44 e 63 rispettivamente delle cause 405/01 e 47/02.

[16] Cfr. S. Giubboni, G. Orlandini, La libera circolazione dei lavoratori nell'Unione europea: principi e tendenze, Bologna, 2007, pag. 83; M. Condinanzi, A. Lang, B. Nascimbene, Cittadinanza dell'Unione e libera circolazione delle persone, Milano, 2006, pag. 116.

[17] Cons. St., sez. IV, 10 marzo 2015, n. 1210; ord. Trib. Firenze, sez. lavoro, 27 maggio 2017, n. 1090, a commento F. Chietera, Commento - Ordinanza del 27 maggio 2017 del Tribunale di Firenze, sez. Lavoro, in Lavoro nella giurisprudenza 2017, pag. 680 ss.

[18] Punto 6.2 dei motivi della decisione. Per un'analisi approfondita della decisione si vedano M. Gnes, Per la posizione di presidente di autorità portuale sufficiente il possesso di cittadinanza europea, in Quotidiano giuridico 21 aprile 2015; L. Prudenzano, Sulla "nazionalità" della funzione pubblica e la libertà di circolazione dei lavoratori, in Riv. it. dir. pubbl. com, 2015, 977 ss.

[19] Cfr. S. Cassese, Stato-nazione e funzione pubblica cit., pag. 90.

[20] Inoltre, l'articolo 1 della legge costituzionale 20 maggio 2003, n. 1 ha introdotto un periodo al primo comma dell'articolo 51 stabilendo che la Repubblica, a questi fini, promuove le pari opportunità tra donne e uomini con appositi provvedimenti.

[21] Cfr. M. Gnes, La dirigenza pubblica e il requisito della cittadinanza, in Giorn. dir. amm., 2018, pag. 143 ss. Per un'analisi delle disposizioni costituzionali, V. Crisafulli, L. Paladin, Commentario breve alla Costituzione, Padova, 1990; G. Branca, A. Pizzorusso, Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1975.

[22] Co. 1, art. 37.

[23] Art. 1, d.p.c.m. 174/1994.

[24] Art. 2, d.p.c.m. 174/1994.

[25] Cfr. M. Gnes, L'apertura della direzione dei musei italiani ai cittadini europei, in Giorn. dir. amm., 2017, pag. 493 ss. Si specifica che il requisito della cittadinanza viene ribadito anche nel d.p.c.m. 9 maggio 1994, n. 487 in cui, all'art. 2, si prevede che la cittadinanza italiana sia un requisito necessario per l'accesso agli impieghi civili dello Stato, ma che tale requisito non è richiesto per i soggetti appartenenti all'Unione Europea "fatte salve le eccezioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 7 febbraio 1994, n. 174".

[26] Co. 1, art. 38, d.lg. 165/2001.

[27] Un'altra importante riforma istituzionale che ha ricevuto un forte impulso dalle manovre di spending review del 2012 è stata la revisione del sistema degli enti locali promossa dal Ministro Delrio e attuata con la legge 7 aprile 2014, n. 56. Sul tema della riforme elaborate nel contesto di revisione e contenimento della spesa, si veda C. Martini, La riforma dei ministeri nell'ambito della "spending review", in Aedon 2014, 2.

[28] La disegno di riordino del 2014 contempla, infatti, alcuni profili esposti in studi e progetti di riforma presentati in diverse legislature e, da ultimo, prende le mosse dalla relazione finale della "Commissione per il rilancio dei beni culturali e del turismo e per la riforma del ministero in base alla disciplina sulla revisione della spesa" presieduta dal Prof. Marco D'Alberti nel 2013. Sul punto, L. Casini, Ereditare il futuro. Dilemmi sul patrimonio culturale, Bologna, 2016, pag. 180 ss. Dello stesso parere, ma con specifico riferimento al riordino dei musei statali, si veda S. Amorosino, La riforma dell'ordinamento dei musei statali, in Urb. app., 2015, pag. 997 ss.

[29] Un quadro chiaro e schematico sulle criticità del Mibact e sulle linee di fondo della riforma si può trovare all'interno della nota del ministero del 16 luglio 2014 dal titolo Verso un nuovo Mibact disponibile al link http://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/documents/feed/pdf/Testo%20in%20formato%20PDF-imported-46099.pdf.

[30] Per questa analisi si rinvia a C. Barbati, Il "nuovo" Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, in Giorn. dir. amm., 2015, pag. 206 ss.; L. Casini, Una "revolution in government"? La riforma amministrativa del patrimonio culturale, in Riv. trim. dir. pubbl., 2018, pag. 693 ss.

[31] Secondo quanto stabilito all'articolo 20 del d.p.c.m. 171/2014. Sulle nuove direzioni generali istituite con la riforma Franceschini, si veda C. Barbati, Il "nuovo" Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, cit., pag. 208 ss.

[32] Nello specifico secondo quanto disposto dai primi due commi dell'articolo 35 del d.p.c.m. 171/2014 e dai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 1 del d.m. 23 dicembre 2014. Cfr. C. Barbati, Il "nuovo" Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, cit., pag. 212; E. Cavalieri, La riforma dei musei statali, in Giorn. dir. amm., 2015, pag. 345 ss.

[33] I musei interessati sono elencati all'articolo 30 del d.p.c.m. 171 del 2014.

[34] Tar Lazio, sez. II-quater, 24 maggio 2017, n. 6171.

[35] Si specifica che il Mibact ha avanzato le stesse richieste anche relativamente all'appello contro la sentenza Tar Lazio, sez. II-quater, 24 maggio 2017, n. 6170. In questo caso, a seguito della dichiarazione del ricorrente di voler rinunciare al proprio ricorso in primo grado, quest'ultimo è stato dichiarato improcedibile dal Consiglio di Stato con conseguente estinzione dei giudizi d'appello. Si veda Cons. St., sez. VI, 6 dicembre 2017, n. 5745.

[36] Tar Lazio, sez. II-quater, 7 giugno 2017. n. 6719. Nella stessa data è stata emessa una seconda sentenza dello stesso giudice, la n. 6720, che ha portato all'annullamento del decreto ministeriale 12 gennaio 2017 istitutivo del Parco Archeologico del Colosseo e la conseguente illegittimità del decreto direttoriale del 27 febbraio 2017 con cui era stata bandita la selezione pubblica internazionale per conferire l'incarico di direttore del Parco. Per un commento completo, M. P. Monaco, L'annullamento della nomina dei direttori dei musei: la vicenda processuale, in Giorn. dir. amm., 2017, pag. 500 ss.

[37] Nella sentenza n. 6171 del 2017, invece, il Tar si è limitato a considerare soltanto le disposizioni relative ai decreti collegati alla riforma Franceschini e a quelli relativi all'accesso al pubblico impiego. Il Tar, dunque, è giunto alla conclusione che "dalla piana lettura delle norme emerge con chiarezza la illegittimità delle previsioni del bando che ammette alla selezione candidati che non siano cittadini italiani, atteso che i posti messi a concorso si riferivano a posizioni con incarico dirigenziale, di talché gli atti di ammissione al colloquio debbono essere ritenuti illegittimi nella parte in cui recano tra gli ammessi candidati stranieri".

[38] Per commenti approfonditi su queste decisioni, M., Gnes, La selezione dei direttori dei musei all'esame del giudice amministrativo, in Quotidiano giuridico, 30 giugno 2017; S. Amorosino, Direttori "stranieri" dei Musei e Parco Archeologico del Colosseo, in Urb. app., 2017, pag. 465 ss.

[39] Cons. St., sez. VI, 24 luglio 2017, n. 3666. Per un'analisi completa di questa decisione, M. Gnes, Beni culturali: il Direttore del Parco archeologico del Colosseo può essere uno straniero, in Quotidiano giuridico, 31 luglio 2017; S. Amorosino, Il Consiglio di Stato "salva" il Parco archeologico del Colosseo (ed i direttori stranieri dei musei), in Urb. app., 2018, pag. 11 ss.

[40] La disposizione stabilisce che il comma 2-bis dell'articolo 14 del d.l. 83/2014 si deve interpretare nel senso che alla procedura di selezione pubblica internazionale ivi prevista non si applicano i limiti di accesso imposti dall'articolo 38 del d.lg. 165/2001.

[41] Per un'analisi dettagliata, F. G. Albisinni, I direttori dei musei: funzioni europee o solo domestiche?, in Giorn. dir. amm., 2017, pag. 508 ss.

[42] Cons. St., sez. VI, 2 febbraio 2018, n. 677. Su questa decisione, M. Gnes, Sul requisito della cittadinanza italiana per i direttori dei musei di interesse nazionale, in Quotidiano giuridico, 2 febbraio 2018; A. Arena, Status civitatis ed accesso alla dirigenza pubblica: alcune considerazioni in vista della pronuncia dell'Adunanza Plenaria sui direttori dei musei, in Eurojus.it, 12 febbraio 2018; C. Grieco, La sentenza del Consiglio di Stato sui direttori stranieri nei musei italiani, in Quotidiano giuridico, 23 luglio 2018; S. Amorosino, La conclusione della "telenovela" giurisdizionale sui direttori stranieri dei musei, in Urb. app., 2018, pag. 441 ss.; G. Greco, I direttori dei musei non sono titolari di veri e propri pubblici poteri, in Eurojus.it, 4 luglio 2018; M. Bombi, Riserva di nazionalità illegittima per il direttore del museo di Mantova, in Diritto&Giustizia 2018, pag. 3 ss.

[43] Punti 36, 36.1, 36.2 della decisione.

[44] Punto 44 della decisione.

[45] A sostegno di questa tesi, la Sesta Sezione ha richiamato il caso dell'Autorità portuale di Brindisi in cui la Corte di Giustizia aveva affermato la legittimità dell'attribuzione a un cittadino straniero dell'incarico di Presidente dell'autorità portuale. In questo caso, secondo il Collegio, l'apertura poteva essere considerata legittima poiché l'Autorità portuale si configura come un ente pubblico avente personalità giuridica diversa dallo Stato e, dunque, "non fa parte degli apparati ministeriali statali e non costituisce una delle articolazioni con le quali neppure si attua il relativo indirizzo politico". In proposito, punto 54.6 della decisione.

[46] Punto 56 della decisione.

[47] Punti 61 e 62 della decisione.

[48] Punto 5.5.1 della decisione.

[49] In riferimento a quest'ultimo profilo, l'Adunanza ha richiamato l'articolo 2 del d.p.c.m. 174/1994 che prevede che ogni posizione lavorativa che comporti l'elaborazione, la decisione e l'esecuzione di provvedimenti autorizzativi e coercitivi debba essere sottoposta alla riserva di nazionalità. In questo senso, l'Adunanza ha specificato che la disposizione non comporta una riserva generale e totale degli incarichi dirigenziali statali sulla base di una "qualità intrinseca" degli stessi.

[50] Punto 5.5.2 della decisione.

[51] Punto 5.5.3 della decisione.

[52] Punto 5.5.4 della decisione.

[53] Punto 5.5.5 della decisione.

[54] Emblematico in questo senso L. Casini, Una "revolution in government"? La riforma amministrativa del patrimonio culturale, cit., pag. 709.

[55] Ibidem. Casini fa notare che questo modello era stato preso in considerazione anche nell'ambito della riforma della dirigenza del 2015 che, alla luce dell'intervento della Corte Costituzionale, non ha trovato attuazione.

[56] Cfr. V. Luciani, La nomina di cittadini "comunitari" alla direzione di musei italiani: il dialogo intermittente tra giurisprudenza amministrativa e giurisprudenza comunitaria, in Dir. relaz. ind., 2018, pag. 295 ss.

[57] Cass. civ., sez. Unite, Ord., 18 gennaio 2019, n. 1413.

[58] Così D. Palazzo, L'accesso al pubblico impiego nell'ottica della libertà di circolazione dei lavoratori, cit., pag. 787.

[59] Su questi profili e sul rapporto tra libera circolazione e pubblico concorso, B. Gagliardi, La libera circolazione dei cittadini europei e il pubblico concorso, cit., pag. 139 ss.

[60] Così R. Caranta, La libertà di circolazione dei lavoratori nel settore pubblico, cit., pag. 45.

[61] In questo senso M. Cammelli, Direttori dei musei: grandi riforme, piccole virtù, e un passato che non passa, in Aedon 2018, 1. L'autore sostiene che la vicenda giurisprudenziale sulla selezione dei direttori dei musei ha permesso di mettere in luce tre anomalie dell'ordinamento italiano. La prima si sostanzia nel fatto che il d.p.c.m. 174/2014, che avrebbe dovuto individuare i posti riservati ai cittadini italiani, ha invece escluso dall'applicazione del principio di libera circolazione tutti i posti dirigenziali di tutte le amministrazioni; la seconda è collegata alla mancata revisione del decreto che, pur in difformità con l'ordinamento comunitario, è rimasto tale per ventiquattro anni; ed infine, la terza riguarda l'assenza di ogni tipo di intervento sulla disposizione contestata.

[62] Questa soluzione viene prospettata in A. Arena, Il requisito della cittadinanza italiana nell'accesso ai concorsi pubblici: brevi spunti di riforma alla luce della recente giurisprudenza, 27 luglio 2017, in http://www.sidiblog.org/2017/07/27/7872/.

 

 



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