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Recensione a Diritto del patrimonio culturale, a cura di C. Barbati, M. Cammelli, L. Casini, G. Piperata, G. Sciullo, Bologna, Il Mulino, 2017

di Guido Greco

1. Ringrazio molto gli organizzatori per avermi invitato e li ringrazio molto per avermi dato l'occasione di presentare, insieme ad altri amici, il nuovo Manuale del patrimonio culturale.

Un manuale è sovente considerato un prodotto letterario minore, perché talvolta meramente descrittivo della materia. Ma quando gli Autori hanno una caratura ed un'esperienza elevata, come nel nostro caso, finisce per essere un prodotto scientifico di primaria importanza, perché unisce alla esposizione sistematica dell'intera materia, anche rilevanti contributi ricostruttivi sui singoli istituti trattati.

Nel nostro caso, poi, non si tratta di un manuale qualunque, ma di un manuale relativo alla disciplina del patrimonio culturale. E in un settore come il diritto amministrativo, che si occupa delle materie più varie e talvolta meno nobili (dai rifiuti alla corruzione), il tema trattato in questo manuale è tale da sollevare lo spirito del lettore, per i valori di civiltà coinvolti appunto dai beni culturali.

Valori di civiltà che conferiscono al patrimonio culturale, che pure è costituito da ben precisi beni mobili o immobili, valenza anche immateriale, "perché è immateriale il valore culturale che opera da elemento di qualificazione della categoria", come bene sottolineato da Sciullo.

Ma nel nostro caso, nel caso dell'Italia - che come è stato efficacemente osservato costituisce un "museo diffuso" e talvolta un vero e proprio museo a cielo aperto - il patrimonio culturale finisce per acquisire una importante valenza economica per la nostra industria turistica e, così, per la nostra economia. È un po' il nostro "oro nero", il più grande giacimento di materia prima di cui possiamo disporre e che pertanto occorre non solo conservare, ma anche valorizzare.

La normativa di settore ha, sia pur faticosamente, aggiornato in tal senso le finalità perseguite dalla materia. Come ben evidenziato da Marco Cammelli, si è passati infatti da una disciplina diretta esclusivamente alla protezione e conservazione dei beni culturali, ad una disciplina che - senza trascurare tali obbiettivi, che rimangono indefettibili - è maggiormente orientata allo studio, alla diffusione e alla promozione del patrimonio culturale. E al riguardo è risultata decisiva una lettura attenta della Costituzione sul nostro tema, che - riporto quanto scrive Marco Cammelli - "collegandolo strettamente al paesaggio (art. 9, c. 2) e alla libertà di arte, scienza e insegnamento (art. 33, c. 1) e proiettandolo sul piano della promozione della cultura (art. 9, c. 1)" è rappresentato come "elemento chiave per la crescita complessiva dei cittadini" (pag. 17).

Ma la materia non si esaurisce certo in tali profili, pur di primaria importanza. Cito ancora Marco Cammelli: "Il diritto dei beni culturali, cioè dei beni culturali e paesaggistici che per il loro interesse artistico, storico e naturale hanno un valore così particolare da distinguersi dal resto e da costituire una testimonianza di civiltà, è l'insieme dei principi, istituti e regole che definiscono il regime di questi beni e che disciplinano l'azione e l'organizzazione dei soggetti pubblici e privati ai quali, prima di ogni altro è demandato il compito di prenderne cura e di assicurare la conservazione e la conoscenza" (pag. 13).

A tutti questi profili il Manuale dedica specifica trattazione ed attenzione. A cominciare (cap. 1) dalla disciplina del "patrimonio e dei beni", curato da Girolamo Sciullo.

2. Se c'è un tema tradizionalmente molto ostico (per il mondo giuridico) questo riguarda la nozione e definizione di bene culturale, così come delle analoghe qualificazioni del passato ("antichità e belle arti", ovvero "cose di interesse storico e artistico").

Ai sensi dell'art. 2, c. 2, del d.lg. 42/2004, "sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli artt. 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà". Ma, avverte Sciullo, quello richiamato è solo "il substrato sostanziale della nozione giuridicamente corretta di bene culturale, la quale però richiede anche una previa qualificazione da parte del Legislatore" (pag. 34): è necessaria, in altri termini, una "individuazione" specifica perché tali beni (ad esempio, una statua, un edificio, ecc.) siano assoggettati al regime previsto dal Codice e ai relativi vincoli.

Particolarmente delicata è detta individuazione, ove si tratti di beni di proprietà privata, perché essa presuppone e comporta una "dichiarazione dell'interesse culturale". La quale deve essere operata da parte del Ministero, sulla base, peraltro, di parametri molto elastici.

Infatti, tale valutazione e dichiarazione si basa su concetti generici ("l'interesse particolarmente importante" delle cose di interesse artistico, "l'interesse storico particolarmente importante" degli archivi, "l'eccezionale interesse" delle raccolte librarie, "l'interesse particolarmente importante" di immobili e mobili con riferimento alla storia politica, militare, ecc.). Il che implica uno spazio di discrezionalità davvero molto ampia per l'Autorità preposta, difficilmente comprimibile ex ante.

Si dice, al riguardo, che si tratta di discrezionalità tecnica e che la "dichiarazione" costituisce, pertanto, un atto di accertamento costitutivo (che di per sé dovrebbe essere altra cosa da un vero e proprio provvedimento amministrativo). In altri termini, la valutazione deve essere operata sulla base di criteri tipici delle scienze specialistiche, che sono i soli in grado di stabilire, obbiettivamente, il "particolare interesse" di un determinato bene, avente il substrato astrattamente culturale, di cui si è detto.

Personalmente ho sempre dubitato che si tratti di un atto di mero accertamento, sia pur (si direbbe, per legge) con effetti costitutivi. Anche perché il "particolare interesse culturale" pare una nozione che rinvia a concetti relativi e non assoluti (l'interesse culturale di un bene può essere diversamente apprezzato nel tempo e in diverse aree geografiche): sicché non mi pare estranea alla fattispecie una componente anche di vera e propria discrezionalità amministrativa (è di particolare interesse culturale quel bene che risponde all'interesse pubblico tutelato dalla norma e che si reputa, dunque, meritevole di protezione, conservazione e promozione in un particolare contesto storico e geografico).

In ogni caso mi pare che si tratti di un atto autoritativo e come tale provvedimentale. Sicché non risulta certo superato l'insegnamento della Corte Costituzionale (sentenza 118/1990, richiamata nel testo, pag. 43), secondo cui l'individuazione del bene culturale costituisce un "atto amministrativo discrezionale, soggetto al sindacato del Giudice amministrativo".

3. D'altra parte, anche se non si trattasse di atto autoritativo, il risultato in termini di regime non cambierebbe, venendo in rilievo quanto previsto dall'art. 1, c. 1-bis, della legge n. 241/90, secondo il quale gli non atti autoritativi sono assoggettati al regime privatistico, salva diversa disposizione di legge. E nella specie la disposizione di legge, che elimina ogni questione, è data dall'art. 16, c. 1 del Codice, che prevede la possibilità di presentare, avverso l'atto di dichiarazione dell'interesse culturale, ricorso amministrativo "per motivi di legittimità e di merito": ricorso, tra l'altro, avente efficacia sospensiva del vincolo.

Dunque detto atto è provvedimento amministrativo o atto comunque equiparato a provvedimento amministrativo.

E lo stesso è a dirsi a proposito della "notificazione" ex artt. 45-47 del Codice, che pone prescrizioni di tutela indiretta del bene culturale (distanze, misure e altre norme dirette ad evitare che sia messo in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente o di decoro"). Infatti anche per tale atto (la notificazione), la cui natura in passato è stata oggetto di ampio dibattito, è prevista la possibile proposizione di ricorso amministrativo (art. 45, c. 2), sia pure questa volta privo di effetto sospensivo automatico.

Del resto sarebbe singolare - anche se certo non impossibile nel mondo del diritto - che non abbia carattere provvedimentale l'atto impositivo del vincolo, mentre tale carattere sicuramente presentano varie fattispecie di esplicazione del vincolo medesimo. Mi riferisco, in particolare, alla funzione di tutela (conservativa), che presenta, tradizionalmente, varie manifestazioni di potestà amministrative, che vanno dagli atti autorizzatori, previsti dagli artt. 21 e ss. del Codice, ad esempio per interventi di edilizia (art. 22), alle misure cautelari e preventive del Soprintendente (art. 28), alle varie fattispecie di espropriazione (artt. 95 e ss.) e persino, secondo Sciullo (pag. 179), all'atto di esercizio della prelazione, in caso di alienazione del bene culturale, entro 60 giorni dalla denuncia.

4. Più complesso e articolato è il quadro degli interventi pubblici per quel che concerne la funzione di valorizzazione. La quale "consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura. Essa comprende la promozione e il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale" (art. 6, c. 1, del Codice).

Nell'ambito della funzione di valorizzazione prevale il modello del pubblico servizio, più che quello dell'atto autoritativo. Infatti, la fruizione dei beni culturali si estrinseca in un vero e proprio pubblico servizio, allorché si tratti di beni ad appartenenza pubblica (art. 101, c. 3). Mentre nel caso di beni di proprietà privata si tratta di servizi di pubblica utilità (art. 101, c. 4).

In tale contesto è più articolato anche il ruolo dei privati, come ben sottolineato da Lorenzo Casini (pag. 200), perché alla struttura bilaterale (Autorità-privato) dei rapporti relativi alla conservazione del bene, si giustappongono strutture trilaterali (autorità amministrativa, privato e collettività) ai fini della fruizione dei beni e financo strutture multilaterali (ove compaiono altri protagonisti, come i privati finanziatori o mecenati).

Anche nell'ambito della funzione di valorizzazione tuttavia possiamo rinvenire manifestazioni di poteri amministrativi. Come accade a proposito della fruizione di beni culturali di proprietà privata (art. 104), che presuppone una dichiarazione di "interesse eccezionale" dell'immobile, con atto del Ministero, sentito il proprietario. Ma "le modalità di visita sono concordate tra il proprietario e il soprintendente", sicché dal modulo unilaterale si passa per questo aspetto a quello consensuale.

Anche nel caso di pubblico servizio, del resto, non mancano espressioni di pubblico potere. Infatti il pubblico servizio può, come di consueto, essere gestito direttamente o in regime di concessione (particolarmente interessanti sono, poi, le osservazioni di Casini in ordine alle criticità del sistema delle concessioni, relative ai servizi aggiuntivi).

5. Il patrimonio culturale è costituito da beni culturali (in senso stretto) e dal paesaggio. Inteso, quest'ultimo, come "il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalla loro interrelazione" (art. 131, c. 1).

Il Manuale si occupa del paesaggio in un apposito capitolo, curato da Giuseppe Piperata, che ha cura di sottolineare anzitutto come la definizione codicistica sia ben più ampia e complessa di quella tradizionale di bellezze naturali (pag. 246). L'Autore, poi, passa in rassegna i principali istituti in cui si articola la disciplina del paesaggio, che presenta anch'essa la duplice funzione della tutela e della valorizzazione, e si sofferma in particolare sulle varie tipologie di vincoli paesaggistici, differenziati a seconda dell'atto-fonte: vincolo per provvedimento, vincolo ex lege e vincolo posto dai piani paesaggistici.

Quanto al primo istituto (dichiarazione di notevole interesse pubblico di tipo paesaggistico, che spetta essenzialmente alle Regioni), possono valere considerazioni analoghe a quelle della individuazione dei singoli beni culturali. Si tratta di un provvedimento, adottato all'esito di un procedimento ampiamente pubblicizzato, anche se frutto, secondo il Consiglio di Stato, "di una valutazione di discrezionalità tecnica, non sindacabile se non sotto i profili della manifesta illogicità, incongruità, irragionevolezza e arbitrarietà" (Cons. St., sez. VI, 7 marzo 2016, n. 914, puntualmente citata nel testo).

Particolare attenzione è dedicata dall'Autore anche alla autorizzazione paesaggistica, che spetta ancora una volta alla Regione (o a ente territoriale all'uopo delegato), ma che vede l'importante partecipazione consultiva della competente Soprintendenza. Cui spetta emettere un parere, che è espressione, sempre secondo il Consiglio di Stato, non solo di un sindacato di legittimità, ma anche di "una valutazione di merito amministrativo, espressione dei nuovi poteri di cogestione del vincolo paesaggistico" (Cons. St., sez. VI, 4 giugno 2015, n. 2751). Il che ripropone il tema della natura della discrezionalità, che a me non pare di carattere soltanto tecnico.

6. Ho fatto cenno più volte alle Autorità amministrative di settore. Il che evoca il profilo dell'organizzazione, che presenta nella materia particolare rilievo, sul presupposto che gli apparati devono essere adattati alle funzioni, che nella specie, come si è visto, sono ampie e diversificate, soprattutto per quel che riguarda la fruizione di massa dei beni culturali (Cammelli, pag. 24).

Nel Manuale, dunque, non poteva mancare un apposito, approfondito capitolo dedicato all'organizzazione, intesa in senso ampio e comprensiva anzitutto delle competenze. Infatti l'Autrice (Carla Barbati) ha avuto cura anzitutto di perimetrare le competenze legislative, che, nel rapporto Stato-Regioni, vede intestata allo Stato la potestà legislativa esclusiva in tema di "tutela" dei beni culturali (art. 117, c. 2, lett. s), mentre la funzione di valorizzazione è assegnata alla potestà legislativa concorrente (art. 117, c. 3): sicché la potestà regolamentare dovrebbe essere nei due casi di competenza, rispettivamente, dello Stato e delle Regioni, anche se, come riferisce Carla, la giurisprudenza costituzionale ha attenuato le differenze di competenza in ordine a tutela e valorizzazione (pag. 70).

Quanto alle funzioni amministrative, pur essendo venuto meno il principio del parallelismo con quelle legislative, nella specie il Codice e la normativa successiva "grosso modo" lo conservano. E si può dire in linea di larga massima che le funzioni di tutela sono riservate allo Stato (con compiti essenzialmente ausiliari delle Regioni), mentre la funzione di valorizzazione spetta a ciascun soggetto pubblico che ha la disponibilità del bene (art. 112, c. 6). Ma l'assetto delle competenze risulta assai mobile, perché possono variare, secondo le logiche degli strumenti di cooperazione e coordinamento, la cui applicazione è ampiamente prefigurata dal Codice (pag. 80).

7. Quanto all'organizzazione statale, essa è imperniata sul ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (Mibact), istituito o comunque riordinato con d.lg. 368/98 e poi successivamente ulteriormente ridefinito. Il Ministero provvede, infatti, "alla tutela, gestione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali e alla promozione delle attività culturali".

Si tratta di un Ministero organizzato - quanto a strutture di primo livello - per direzioni generali (e non per dipartimenti). E il Manuale ha cura di passare in rassegna gli organi centrali più significativi (la direzione generale Musei, il Segretario generale, il Consiglio superiore dei beni culturali e paesaggistici, con funzioni ovviamente consultive, ecc.).

Molto importanti sono anche gli organi periferici, a cominciare dai Segretariati regionali, per continuare con le Soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio (che ha il compito di assicurare sul territorio la tutela del patrimonio culturale: art. 4 D. M. 44/2016) e con i Musei statali, taluni dei quali dotati di autonomia speciale e incentrati sulla figura del Direttore. E a questo proposito val la pena di ricordare che il relativo incarico deve avvenire a seguito di selezione pubblica (è su questa nomina, estesa a cittadini non italiani, ma di altri Stati membri, che si è instaurato il complesso e lungo contenzioso, che tutti conosciamo e che aspetta la parola finale da parte dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato).

Non va poi dimenticato il ruolo dei governi territoriali nel settore dei beni culturali. Anche se, come osserva Carla Barbati, "quando si guarda alle scelte dei Governi territoriali e, in particolare, delle Regioni, non emergono soluzioni univoche, né quanto a distribuzione delle deleghe..., né quanto a strutture cui imputare l'esercizio delle funzioni in materia" (pag. 140).

E l'intera struttura organizzativa, nel sistema policentrico Stato-autonomie locali, è chiamata alla prova dei fatti. Indubbiamente molti progressi sono stati realizzati da ultimo al riguardo. Ma non può non allarmare quanto ci riferisce Marco Cammelli a proposito della inadeguatezza del censimento dei beni immobili di interesse culturale, ivi compresi quelli in mano pubblica: "con il risultato di pregiudicare in modo significativo la cura di un patrimonio della cui entità e localizzazione non vi è certezza e di porre le premesse a rimedi [misure cautelative] che hanno finito per aggravare la situazione"(pag. 24).

8. Concludo, ringraziando gli Autori per l'importante contributo che hanno voluto mettere a disposizione del mondo accademico (studenti e docenti), su una materia di fondamentale importanza culturale e di civiltà. La "valorizzazione" del patrimonio culturale passa anche da opere come questa e di ciò dobbiamo essere riconoscenti, come cittadini prima ancora che come comunità scientifica, agli Autori stessi.

 

 



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