testata

La gestione dei beni culturali

Tutela e valorizzazione integrata del patrimonio culturale dei siti Unesco. Il caso del sito seriale "Palermo arabo-normanna e le Cattedrali di Cefalù e Monreale"

di Gaetano Armao

Sommario: 1. Premessa. - 2. Le tutele parallele e concorrenti nel diritto globale del patrimonio culturale: il caso dei beni allocati nei siti Unesco ed, in particolare, il sito seriale "Palermo arabo-normanna e le Cattedrali di Cefalù e Monreale". - 3. Beni culturali e tutele multilivello. - 4. La legge n. 77 del 20 febbraio 2006 e gli orientamenti della giurisprudenza: cenni. - 5. Riconoscimento Unesco e conferimento del titolo di "Capitale italiana della cultura 2018". - 6. Conclusioni.

Protection and integrated enhancement of the cultural heritage of Unesco sites. The case of the serial site "Palermo Arab-Norman and the Cathedrals of Cefalù and Monreale"
The paper discusses parallel and cooperatives protections in the global law of cultural heritage: the case of assets allocated to Unesco sites, and particular case of the serial site "Palermo Arab-Norman and the Cathedrals of Cefalù and Monreale. Finally the paper outlines the need for cultural heritage enhancement actions to develop interinstitutional cooperation.

Keywords: Cultural Heritage; Enhancement; Public Policies; Unesco.

1. Premessa

L'inserimento di un bene architettonico, monumentale, paesaggistico o addirittura immateriale tra i beni tutelati dall'Unesco è divenuto un elemento qualificante del diritto dei beni culturali, ma con refluenze rilevanti anche di tipo economico e (soprattutto per i primi) urbanistico.

L'iscrizione nella lista del patrimonio dell'Umanità (World heritage list-WHL) di beni e complessi di beni "di eccezionale valore universale" (outstanding universal value) è, infatti, preordinata alla identificazione, protezione, conservazione, valorizzazione e trasmissione alle generazioni future del patrimonio culturale e naturale.

Come meglio si dirà la cultura giuridica riconduce, in termini sistematici, l'iscrizione dei beni (materiali ed immateriali) da parte dell'Unesco nel più ampio fenomeno della globalizzazione del diritto, ossia di quel processo comune a diverse materie.

Ebbene questa linea evolutiva, certamente pregnante - rifuggendo da una prospettiva solo classificatoria - va ricondotta, in termini di effettività, al regime giudico, più articolato e multilivello, al quale sono sottoposti tali beni.

Non si tratta, come noto, di beni che transitano tout court da un livello di regolazione (nazionale e/o regionale e locale) ad un altro (globale) [1], piuttosto si assiste ad un fenomeno di integrazione di discipline che determina l'instaurarsi di un regime giuridico reticolare, non privo tuttavia, nonostante la molteplicità delle fonti, di vuoti, sovrapposizioni e, come vedremo, di difetti di enforcement, spesso determinati dalla stessa stratificazione degli ordinamenti formatasi per addizione o per carenza di coordinamento tra le istituzioni coinvolte.

2. Le tutele parallele e concorrenti nel diritto globale del patrimonio culturale: il caso dei beni allocati nei siti Unesco ed, in particolare, il sito seriale "Palermo arabo-normanna e le Cattedrali di Cefalù e Monreale"

Cercheremo, attraverso due esempi, di meglio descrivere quanto sin qui solo sommariamente accennato.

Partiamo dal castello de "la Zisa" [2] di Palermo, da al-Azîz (che in lingua araba significa nobile, glorioso, magnifico), l'edificio risale al XII secolo ed, in particolare, al periodo della dominazione normanna in Sicilia, fu costruito infatti durante il regno di Guglielmo I e di Guglielmo II, ma è interessante estendere tale analisi anche al Palazzo dei Normanni, a lungo Palazzo di Re e Viceré, al cui interno si trova la Cappella palatina, e da settant'anni sede del Parlamento siciliano.

Questi straordinari edifici, ricompresi nella proposta formulata dall'Assessorato regionale dei beni culturali nel 2010 e ritenuti "di eccezionale valore universale" sono contemporaneamente:

A) beni culturali ai sensi del T.U. beni culturali, quali "testimonianza avente valore di civiltà" (art. 2, secondo comma, codice dei beni culturali e del paesaggio, d'ora in vantati Cbcp) [3] e della vigente legislazione regionale siciliana. Con riguardo a tale qualificazione giova ricordare che la regione siciliana ha, quanto ai beni culturali, competenza legislativa esclusiva in materia di "conservazione delle antichità e delle opere artistiche", in materia di "musei e biblioteche di interesse locale" e di "accademie e istituzioni culturali" (art. 14, lett. r) mentre con riguardo ai beni ambientali ha competenza esclusiva (art. 14, lett. n) in materia di "tutela del paesaggio", nonché potestà legislativa esclusiva e concorrente in quasi tutte le materie sulle quali incide la tutela ambientale.

Alla stregua di tale quadro: "la regione esercita in queste materie anche quelle funzioni di "tutela" oggi riservate dal nuovo art. 117 allo Stato" a norma del quale (lett. s) è attribuita allo Stato la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali [4]. Queste competenze, che lo Statuto siciliano all'art. 14 attribuisce alla regione, competenze, vale la pena ribadire, di ampiezza tale che non è dato riscontrarne di analoghe nelle altre regioni, la Sicilia ha potuto esercitarle solo a partire dal 1975, con l'emanazione delle norme di attuazione dello statuto in materia di "biblioteche e accademie" (decreto n. 635) e in materia di "paesaggio, antichità, musei, e belle arti" (decreto n. 637). Con tali norme di attuazione sono state trasferite alla regione (con alcune eccezioni) tutti i poteri che le leggi del '39, la 1089 e la 1497, attribuivano all'amministrazione dello Stato con la sola eccezione della competenza per il rilascio del nulla osta in materia di licenze di esportazione, rimasta in capo all'amministrazione statale, ed i poteri sostitutivi del ministero nell'esercizio del diritto di prelazione o nella facoltà di acquisto, in caso di rinuncia all'esercizio di detti diritti da parte dell'amministrazione regionale.

La l.r. 1 agosto 1977, n. 80 (recante "Norme per la tutela, la valorizzazione e l'uso sociale dei beni culturali ed ambientali nel territorio della regione Siciliana") nell'individuare, all'art. 1, le finalità della disciplina ("valorizzare il patrimonio storico-culturale dell'Isola e di sviluppare la più ampia fruizione dei beni culturali e ambientali e di ogni altro bene che possa costituire testimonianza di civiltà, provvede alla loro tutela e promuove le più idonee attività sociali e culturali"), offre una considerazione unitaria del patrimonio culturale e paesaggistico dell'Isola, accogliendo così una nozione ampia di bene culturale, come "bene avente valore di civiltà", con la conseguenza di considerare beni culturali assoggettati alla normativa di tutela e di valorizzazione dalla stessa dettata anche i beni-attività ed i beni dell'arte contemporanea.

Da questo punto di vista la legge regionale anticipa, quindi, i contenuti delle riforme succedutesi nel tempo al livello statale, a partire dal profilo organizzativo, la normativa richiamata, infatti, presenta elementi innovativi rispetto alla legislazione statale, avendo previsto, quali strutture periferiche dell'assessorato competente, le soprintendenze uniche [5].

Per la declinazione di tale concetto occorre, tuttavia, far riferimento all'art. 2, secondo comma, del codice alla stregua del quale: "sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà". Mentre il successivo art. 7-bis - rubricato "espressioni di identità culturale collettiva" [6] - determina che le espressioni di identità culturale collettiva contemplate dalle Convenzioni Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e per la protezione e la promozione delle diversità culturali, adottate a Parigi, rispettivamente, il 3 novembre 2003 [7] ed il 20 ottobre 2005 [8], vanno considerate pienamente assoggettabili alle disposizioni del codice qualora siano rappresentate da testimonianze materiali e sussistano i presupposti e le condizioni per l'applicabilità del successivo art. 10.

Ambedue i siti rientrano poi nel patrimonio della regione siciliana e sono quindi assoggettati al relativo regime. Giova ricordare, infatti, che la Zisa, prima di proprietà del casato dei Notarbartolo di Sciara fino agli anni '50, poi occupata da inquilini ed abusivi sino a stravolgerne la struttura, è stata assoggettata ad espropriazione da parte della regione siciliana per essere successivamente restaurata con risorse regionali tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80 ed offerta così alla pubblica fruizione. Anche se non può sottacersi che il plesso sia stato per molto tempo un esempio di degrado, il restauro, infatti, del bene pur divenuto pubblico intervenne soltanto dopo il crollo dell'ala nord.

Quindi si tratta di un esempio di acquisizione compulsoria di un bene per finalità di tutela da parte della regione sulla base delle competenze esclusive da questa eserciate in materia.

Tali poteri svolti sulla base delle richiamate norme di attuazione e della normativa richiamata adesso trovano un puntuale riferimento nel codice dei beni culturali. L'espropriazione diretta, infatti, già prevista dall'articolo 54 della legge n. 1089 del 1939 e dall'art. 91 del d.lg. n. 490 del 1999, è oggi contemplata dal citato art. 95 di tale codice. Giova ricordare che questa ipotesi è quella che presenta un maggiore grado di specialità e di autonomia rispetto alla figura generale dell'espropriazione per cause di pubblica utilità. La disposizione prevede così che i beni culturali immobili e mobili possano essere espropriati dal ministero (per i Beni e le Attività culturali) per causa di pubblica utilità, quando l'espropriazione risponda ad un importante interesse volto a migliorare le condizioni di tutela ai fini della fruizione pubblica dei beni medesimi.

Come avremo modo di verificare nell'itinerario Palermo arabo-normanna e delle cattedrali di Cefalù e Monreale si trovano beni di natura e provenienza diversa. Il riferimento è a Palazzo dei Normanni, acquisito invero dalla regione soltanto nel 2010 [9], nonostante sia sede dell'Assemblea regionale siciliana sin dal 1947, e che al suo interno contiene beni, in particolare la Cappella palatina, i cui beni mobili sono rimasti di pertinenza del Fondo edifici per il culto [10].

In conclusione, quindi, nonostante entrambi di proprietà demaniale regionale, il primo è stato acquisito da privati, il secondo trasferito dal demanio statale.

B) Entrambi i compendi architettonici rientrano, adesso, nel sito seriale "Palermo Arabo-Normanna e le Cattedrali di Cefalù e Monreale" [11] di cui alla proposta di iscrizione nella lista nella World Heritage List [12] presentata il 15 febbraio 2010 dalla regione siciliana [13], con il supporto della Fondazione Patrimonio Unesco-Sicilia al Governo statale [14] e sulla base di un approfondito dossier di candidatura e di un piano di gestione [15] il 3 luglio 2015 dal World Heritage Committee. Proposta che, nel corso della 39a riunione annuale tenutasi a Bonn, in Germania è stata ammesso quale cinquantunesimo sito Unesco italiano, confermando il primato dell'Italia quale nazione con il maggior numero di siti patrimonio mondiale dell'umanità e, tra le regioni italiane, quello della Sicilia [16].

In tal senso, giusta le previsioni della convenzione del 1972, il complesso di beni inseriti nel sito seriale è stato così riconosciuto di "di valore eccezionale universale" (outstanding universal value) ed in quanto tale inserito nella Lista mondiale (WHL), secondo le previsioni della convenzione Onu del 1972 e rientrante nelle linee guida elaborate dall'Unesco (ed accompagnate dal "dossier di candidatura" e dal piano di gestione cui si accennava), ma al riguardo assoggettato anche alle linee guida elaborate dalla Commissione consultiva per i piani di gestione Unesco istituita presso il Mibact [17].

Sotto altro profilo, non può non rilevarsi l'intima correlazione che in alcuni casi, si pensi ai siti naturalistici, viene a determinarsi tra tutela del singolo bene e del paesaggio, anche alla stregua della positiva evoluzione che ha connotato la normativa interna in materia [18].

Ci troviamo di fronte ad un tipico fenomeno di globalizzazione giuridica, nel quale un ordine giuridico globale si è progressivamente e repentinamente evoluto, modificando istituti degli ordinamenti statuali ed introducendone di nuovi, sicché: "l'ordine giuridico globale non si sovrappone, dunque, come un altro strato, a quello statale. Questi non sono due livelli, perché le disuguaglianze e la frammentazione sono forti, perché gli Stati non sono gli unici soggetti, si mescolano con altri soggetti e perdono la loro unità, perché nessun 'livello di governo' riesce a mantenere il monopolio delle relazioni con le parti che lo compongono" [19].

Ebbene la compresenza di diverse qualificazioni (rilevanti a loro volta per l'ordinamento regionale, involvendo competenze anche locali, statali ed internazionali/globali) consente di rilevare la compresenza di tutele "parallele e concorrenti", per richiamare una tesi [20], ormai divenuta classica nel diritto urbanistico, le quali impongono nella fattispecie in esame l'adozione di atti amministrativi (misure per il traffico, il commercio, il decoro urbano, la segnaletica, etc.), il coordinamento tra enti pubblici (raccordi tra i diversi attori istituzionali), forme di partenariato pubblico-privato [21] (con il conseguente coinvolgimento degli stakeholders, e associazioni di categoria, di imprenditori privati e mecenati) e di collaborazione tra istituzioni amministrative ed autorità ecclesiastiche [22].

Appare singolare che, già prima dell'iscrizione nella lista del patrimonio dell'Umanità, il sito seriale abbia dato luogo a contenziosi in sede amministrativa avuto riguardo alla necessità di istituire zone pedonali in prossimità degli edifici principali individuati nella proposta inviata all'Unesco.

Sembra acconcio richiamare, in particolare, la sentenza del Tar Sicilia Palermo, Sez. III del 28 maggio 2015, n. 1254, la quale, in esito al primo di una serie di giudizi che hanno riguardato la questione, ha ritenuto "incontestabile il potere dell'Amministrazione comunale di pedonalizzare strade o piazze della città, sulla base di valutazioni ampiamente discrezionali", nella prospettiva delineata dal piano di gestione dell'inserimento nella WHL dell'itinerario. Con la conseguenza che "non può ritenersi illogica od irragionevole la determinazione di inibire al traffico veicolare una delle piazze più belle della città, situata in pieno centro storico, di fronte al Palazzo Reale". Sembra utile sottolineare che il giudice amministrativo abbia aggiunto, addirittura, una non marginale precisazione che suona come una giusta reprimenda per le amministrazioni interessate: "semmai può non essere facilmente spiegabile come mai un provvedimento di tal genere non sia stato adottato precedentemente" [23], in guisa da ritenere appropriate tali misure a prescindere della speciale tutela accordata dal riconoscimento internazionale.

3. Beni culturali e tutele multilivello

Nel contesto della Dichiarazione Universale dei Diritti umani, un rilievo preminente è assicurato, all'articolo 22, alla "sicurezza sociale" degli individui. Tale riferimento, illustrato nelle successive cinque disposizioni della Dichiarazione, ha trovato una prima compiuta elaborazione nel Patto internazionale relativo ai diritti sociali, economici e culturali del 1966. Il Patto, innovativo per molti altri aspetti, istituisce un fondamentale legame tra i diritti umani (primo fra tutti il diritto alla vita) e la qualità dell'ambiente, impegnando gli Stati contraenti a proteggere il diritto alla salute di ciascuno attraverso "il miglioramento di tutti gli aspetti dell'igiene dell'ambiente di vita" (art. 12, par. 2b).

Si delinea, in tal guisa, la riscoperta dei beni comuni. La connessione tra eco-sistema ed essere umano, in forza della quale la qualità dell'ambiente delle risorse naturali che esso offre, è condizione di esistenza (e dunque di sopravvivenza) della specie umana, è stata una relazione per lungo tempo rimossa e che soltanto negli ultimi decenni del secolo scorso è stata oggetto di una rinnovata riflessione politica e giuridica. A tal fine, è stata recentemente recuperata la nozione di 'bene comune' [24].

E qui soccorre l'antica definizione di res communes omnium, del diritto romano, alla stregua della quale vanno considerati tali quei beni sottratti a un regime giuridico inteso a consentire il loro uso e il loro sfruttamento in via parziale o esclusiva. Beni che, come noto, si distinguono, in questa accezione, dalle res nullius.

E la differenza si sostanzia nella circostanza che i primi, a differenza di questi ultimi, non possono essere oggetto di appropriazione, di guisa che, nonostante non siano (e non possano essere) di nessuno, ognuno può goderne in misura tale che non venga compromessa la loro disponibilità e l'analogo diritto di altri a goderne.

Come noto, questa categoria concettuale è stata ampiamente utilizzata per indicare regimi di protezione giuridica di beni molto diversi tra loro, come l'acqua, l'aria, l'atmosfera, il patrimonio ambientale e biologico, ma anche quello storico-culturale, nonché i beni cosiddetti immateriali [25] generati dalla ricerca intellettuale e scientifica, come i farmaci essenziali e i prodotti di interesse culturale eccezionale.

Essa è stata, inoltre, oggetto di un tentativo di attualizzazione nell'ambito del diritto internazionale, che, al volgere degli anni Sessanta, ha introdotto un principio apparentemente molto simile a quello di 'bene comune', ma dal significato più circoscritto: si tratta del concetto di 'patrimonio dell'umanità', posto alla base di rilevanti accordi internazionali (dalla Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare, del 1982), fino a oggi applicato per indicare quegli spazi, e le risorse in essi contenute, come i fondali marini e l'Antartide, che pur allocati all'esterno dei confini degli Stati e quindi non ricadendo in alcuna giurisdizione nazionale, sono inquadrati giuridicamente di guisa che venga garantita la comunità internazionale degli Stati.

Si è aperta, in tal guisa, una nuova frontiera dell'universalismo dei diritti [26] che ha trovato un sicuro riferimento nelle risultanze della Conferenza internazionale di Stoccolma del 1972 sull'ambiente umano e della Conferenza internazionale di Rio del 1992 su ambiente e sviluppo. La persona umana, indipendentemente dalla sua cittadinanza, viene posta in relazione giuridica soggettiva con beni e contesti ambientali allocati anche migliaia di chilometri dal luogo di vita, in relazione anche diacronica e quindi inter-generazionale [27].

Se si considerano in questa prospettiva le risorse naturali, ed in generale i beni ambientali e culturali che di regola sono parte di territori gestiti direttamente da singoli Stati, qualificandoli come beni comuni, ciò comporta sottolineare la relazione strettissima che lega i diritti, degli individui e non degli Stati, ed i beni: le situazioni giuridiche soggettive, da un lato, e le cose che di esse sono oggetto, dall'altro. Beni che, in considerazione della loro natura, storia, pregio artistico o paesaggistico, divengono oggetto di diritti generali, all'uso ed al godimento dei quali, quindi, occorre garantire l'accesso universale.

L'art. 4 della convenzione Unesco del '72 fa infatti riferimento all'obbligo degli Stati di "di garantire l'identificazione, protezione, conservazione, valorizzazione e trasmissione alle generazioni future del patrimonio culturale e naturale". La conseguenza è una più decisa valorizzazione della sfera pubblica in opposizione alla sfera privata del mercato, che sia finalizzata a sollecitare la sottrazione di certi beni alla logica della negoziazione e della competizione, in vista della difesa di interessi comuni di conservazione e valorizzazione all'umanità intera [28].

4. La legge n. 77 del 20 febbraio 2006 e gli orientamenti della giurisprudenza: cenni

Come precisato l'inserimento di un bene monumentale o di un complesso di essi nell'ambito di un sito iscritto nella WHL Unesco non determina, quindi, l'assoggettamento ad uno speciale regime globale di tutela, piuttosto comporta l'ampliamento della trama regolativa posta a tutela di tale contesto, che si connette in termini "reticolari" con il regime delle tutele parallele e concorrenti di fonte statale, regionale e locale.

Ed infatti, l'inserimento nella WHL Unesco, non solo non conferisce speciali poteri alle autorità amministrative domestiche che, a tutela di tali beni - come meglio si vedrá attraverso un richiamo della giurisprudenza in materia - debbono esercitare le ordinarie prerogative attribuite dall'ordinamento, ma lo stesso organismo internazionale - lo si è evidenziato in precedenza - è titolare di strumenti assai circoscritti per garantire la tutela effettiva e che si limitano alla esclusione dalla lista ed agli "early worning" che possono esser diramati prima di giungere a tal estremo rimedio.

Vi è quindi un problema non solo di "enforcement" della tutela del livello globale di regolazione in quanto necessariamente mediato dalle autorità amministrative locali e, in casi estremi, affidato alla (mera "moral suasion" della) esclusione dalla lista, ma anche di interazione tra i soggetti istituzionali coinvolti scarsamente coordinati [29].

In altre parole, se la tutela dei siti assume un evidente connotato multilivello, tale stratificazione non appare fluidificare adeguatamente le relazioni inter-istituzionali, altrettanto rilevanti per rendere efficiente il sistema di identificazione, protezione, conservazione, valorizzazione e trasmissione alle generazioni future del patrimonio culturale e naturale [30].

A tale assunto giungono sia la legislazione speciale che la giurisprudenza.

Da un lato, la legge 20 febbraio 2006, n. 77 [31] con la finalità di tutelare e sostenere il patrimonio culturale immateriale, in accordo con i principi della Convenzione Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale adottata a Parigi il 17 ottobre 2003 [32] che espressamente affida ad ogni Stato contraente il compito di individuare gli elementi del patrimonio culturale immateriale presente sul suo territorio e di adottare i provvedimenti ritenuti necessari a garantirne la salvaguardia (art. 11).

Con la legge n. 77 del 2006, dunque, per la prima volta, viene previsto a livello normativo che i siti Unesco, per la loro unicità, sono punti di eccellenza del Patrimonio culturale, paesaggistico e naturale italiano, nonché elementi fondanti della rappresentazione del nostro Paese a livello internazionale [33], ma - come si vedrà - non per introdurre ulteriori elementi di tutela, ma per prevedere forme di finanziamento ed incentivazione.

In tal guisa, il legislatore ha inteso introdurre interventi finanziari a sostegno delle attività di valorizzazione, comunicazione e fruizioni dei siti stessi (art. 4), riconoscendo, altresì, formalmente i Piani di gestione richiesti dall'Unesco quali strumenti atti ad assicurare la conservazione dei siti e a creare le condizioni per la loro valorizzazione (art. 3) [34].

La gestione dei siti Unesco italiani fa capo ai diversi soggetti che, nell'ambito delle specifiche competenze istituzionali, sono responsabili delle attività di tutela, conservazione e valorizzazione o che sono soggetti di riferimento per le azioni legate alla conoscenza, alla sensibilizzazione, alla promozione economica. In particolare, la circolare del segretario generale del Mibact (22 ottobre 2015, n. 33), di applicazione della normativa in argomento, individua tra tali soggetti i "beneficiari" ed i "referenti" dei siti, ai quali è demandato il compito di presentare le domande di finanziamento e di effettuare la rendicontazione relativa all'attuazione dei progetti approvati.

La legge 77/2006 - come modificata, da ultimo, dal d.l. 91/2013 (l. 112/2013) [35] - qualifica infine i siti italiani inseriti nella lista del patrimonio mondiale (materiale) "punte di eccellenza" del patrimonio culturale e naturale italiano e della sua rappresentazione a livello internazionale (art. 1). Più specificatamente, per i progetti di tutela e restauro dei beni inclusi nel perimetro di riconoscimento dei siti italiani Unesco, la legge prevede - qualora gli stessi siano oggetto di finanziamento secondo le leggi vigenti - priorità di intervento. Inoltre, per assicurare la conservazione dei siti e creare le condizioni per la loro valorizzazione [36], prevede la redazione di piani di gestione e misure di sostegno. I piani definiscono le priorità di intervento, le azioni esperibili per reperire risorse pubbliche e private, nonché le forme di collegamento con altri strumenti che perseguono finalità complementari [37].

Gli interventi di sostegno (art. 4) attengono: allo studio delle problematiche relative ai siti; alla predisposizione di servizi di assistenza culturale e di ospitalità; alla realizzazione di aree di sosta e sistemi di mobilità funzionali ai siti, anche in zone contigue agli stessi; alla riqualificazione e valorizzazione dei siti, nonché alla diffusione della loro conoscenza; in ambito scolastico, la valorizzazione si attua anche attraverso il sostegno a viaggi di istruzione e ad attività culturali; alla valorizzazione e diffusione del patrimonio caratterizzante il sito [38].

Sembra opportuno, tuttavia, rilevare che tale normativa non stanzia risorse finanziarie per i beni immateriali, pure se inclusi nell'elenco Unesco, sicché è pertanto auspicabile che presto possa essere colmata tale lacuna, rispetto alla crescente rilevanza di tali beni.

In particolare, il comma 1, lett. a) - che modifica l'art. 1, co. 1, della legge 77/2006 -, intende estendere anche agli elementi italiani ricompresi nella Lista Unesco del patrimonio immateriale mondiale quel valore simbolico già riconosciuto dalla legge 77/2006 ai siti italiani inseriti nella lista Unesco del patrimonio materiale. La lett. b) dello stesso comma - che novella la lett. d) del comma 1 dell'art. 4 della legge 77/2006 - intende estendere ai medesimi elementi le misure di sostegno economico rivolte, in base alla disciplina vigente, al solo patrimonio materiale.

La giurisprudenza amministrativa, in termini generali, ha già da tempo delineato un chiaro orientamento sullo specifico e peculiare bilanciamento degli interessi alla quale è chiamata l'amministrazione procedente nel caso in cui debba essere riconosciuta la preponderanza dell'interesse pubblico diretto alla salvaguardia del patrimonio storico culturale inserito nel contesto di un sito Unesco rispetto all'esercizio dell'attività d'impresa [39].

La stessa, invero, non ha mancato altresì di esprimere le esigenze di peculiare preminenza delle ragioni di tutela del patrimonio artistico e monumentale inserito nell'ambito dei siti iscritti nella WHL dell'Unesco, sebbene non nell'ambito di specifiche discipline inerenti tali beni, ma del generale regime di tutela dei beni culturali prescritto dal legislatore che, in tal senso, inteso perseguire in maniera strutturata un fenomeno di degrado avente dimensioni collettive e radicate nel contesto ambientale, in guisa da assicurare la tutela alle strade urbane ricadenti nel perimetro del sito Unesco.

E così, con riguardo al dilagante fenomeno di occupazione abusiva di suolo pubblico, da parte di titolari di esercizi commerciali, ampiamente stigmatizzato da organi di comunicazione ed oggetto di persistenti segnalazioni da parte della cittadinanza - ed invero troppo spesso tollerato dalle amministrazioni comunali -, è stato evidenziata la necessità di "dar corso ad una nuova valutazione generale dell'equilibrio tra l'interesse pubblico di massima fruizione del territorio, da un lato, e l'interesse pubblico di tutela del patrimonio, dall'altro".

Ciò anche nel presupposto che gli interessi pubblici tutelati attengono anche alla esigenza di garantire la qualità della convivenza sociale in un ambito territoriale di straordinaria rilevanza storico-culturale. Sicché è stato ritenuto legittimo l'esercizio del potere attribuito al sindaco dall'art. 3, comma 16 della legge n. 94 del 2009 di sanzionare con la chiusura del pubblico esercizio chi occupa abusivamente un suolo pubblico nel presupposto che tale potere sia discrezionale, esercitabile in via generale e preventiva, in ragione del quale, nei casi di occupazione di suolo pubblico totalmente abusiva effettuata, per fini di commercio, su strade ricadenti nel territorio delimitato dal perimetro del sito Unesco, devono applicarsi le disposizioni previste dall'art. 20 del codice della strada e all'art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009 [40].

A conferma del delineato solco interpretativo vanno poi ricordati gli orientamenti della più recente giurisprudenza del giudice delle leggi [41] alla stregua della quale: nell'ordinamento interno i siti Unesco non godono di "tutela a sé stante", ma, anche a causa della loro notevole diversità tipologica, beneficiano delle forme di protezione differenziate apprestate ai beni culturali e paesaggistici, secondo le loro specifiche caratteristiche.

Giusta la recente pronuncia della Corte, infatti, per i beni paesaggistici, in particolare, il sistema giuridico, con l'incontroverso obiettivo di inverare i trattati internazionali in materia (art. 132, primo comma, del codice dei beni culturali e del paesaggio), appresta anzitutto una "tutela di fonte provvedimentale", laddove essi siano ricompresi nelle categorie di cui all'art. 136, primo comma, del codice, tra le quali sono ricompresi "i centri e i nuclei storici (lett. c) e le bellezze panoramiche o belvedere da cui si goda lo spettacolo di quelle bellezze (lett. d)". Tale tipologia di beni può, infatti, divenire oggetto di apposizione di vincolo nel contesto della pianificazione paesaggistica (art. 134, primo comma, lett. c, del codice), giusta l'art. 135, comma 4, il quale sancisce che: "per ciascun ambito i piani paesaggistici definiscono apposite prescrizioni e previsioni ordinate", in particolare, "alla individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio, in funzione della loro compatibilità con i diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati, con particolare attenzione alla salvaguardia dei paesaggi rurali e dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell'Unesco".

Sotto altro profilo si osserva, nel medesimo arresto giurisprudenziale, che i siti Unesco devono ritenersi assoggettati alla "tutela di fonte legale", giusta l'art. 142, comma 1, dello stesso codice dei beni culturali e del paesaggio, "se e nella misura in cui siano riconducibili alle relative categorie tipologiche". Nel delineato ed articolato contesto di tutela, con effetti peraltro differenziati avuto riguardo alla decorrenza del vincolo, alle prescrizioni d'utilizzo ed alla loro derogabilità nonché al regime sanzionatorio, una più stringente tutela paesaggistica, che possa ad esempio realizzarsi attraverso previsioni specifiche dei siti Unesco tra i beni paesaggistici sottoposti a vincolo ex lege: "non appare in alcun modo costituzionalmente necessitata", dovendosi, in tal guisa, ritenere riservata alla discrezionalità del legislatore "la valutazione dell'opportunità di una più cogente e specifica protezione dei siti in questione e delle sue modalità di articolazione".

5. Riconoscimento Unesco e conferimento del titolo di "Capitale italiana della cultura 2018"

Va infine ricordato che nel 2017 è stato conferito alla Città di Palermo il titolo di "Capitale Italiana della Cultura 2018" [42], titolo come noto introdotto con l'art. 7, comma 3-quater del d.l. 31 maggio 2014, n. 83 conv. dalla legge 29 luglio 2014, n. 106 ed adesso disciplinato dal d.m. beni e delle attività culturali e del turismo 16 febbraio 2016, n. 92, nonché dal bando annuale di indizione della procedura selettiva.

Il titolo viene assegnato nell'ambito della valorizzazione dei beni culturali, del sostegno alle leve strategiche della cultura e del turismo per lo sviluppo economico-sociale e territoriale ed al fine di incrementare la fruizione del patrimonio culturale materiale e immateriale [43] a seguito di una procedura di selezione - con evidenti connotati di procedura ad evidenza pubblica - indetta dal ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, con avviso pubblicato e sulla scorta di criteri predeterminati [44], al quale partecipano le Città presentando un dettagliato dossier di candidatura. Le istanze di partecipazione sono poi esaminate da una Giuria (nominata dallo stesso Ministro) [45] che conclude i propri lavori con l'indicazione allo stesso della Città prescelta. Il titolo di "Capitale Italiana della Cultura" viene poi formalmente con conferito dal Consiglio dei Ministri.

Giusta l'art. 7, comma 3-quater del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, recante "Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo", conv. con mod., dalla legge 29 luglio 2014, n. 106, infatti, al fine di favorire progetti, iniziative e attivita' di valorizzazione e fruizione del patrimonio culturale materiale e immateriale italiano, anche attraverso forme di confronto e di competizione tra le diverse realta' territoriali prevede, tra l'altro, che il Consiglio dei ministri conferisca annualmente ad una citta' italiana il titolo di "Capitale italiana della cultura", sulla base di apposita procedura di selezione definita con decreto del Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo, previa intesa in sede di Conferenza unificata, nell'ambito del "Programma Italia 2019", volto a valorizzare, attraverso forme di collaborazione tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, il patrimonio progettuale dei dossier di candidatura delle città a "Capitale europea della cultura 2019".

La disposizione in questione prevede che i progetti strategici di rilievo nazionale presentati dalla città designata "Capitale italiana della cultura" siano finanziati a valere sulla quota nazionale del FSC 2014-2020, di cui all'art. 1, comma 6, della legge n. 147/2013, nel limite di un milione di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2018 e per il 2020, stabilendo che il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo proponga al Cipe programmi da finanziare con le risorse del medesimo Fondo, nel limite delle risorse disponibili a legislazione vigente. Alle risorse assegnate in termini di liquidità, alla stregua della normativa in esame, si aggiunge poi che gli investimenti connessi alla realizzazione dei progetti presentati dalla città designata "Capitale italiana della cultura", sono esclusi dal saldo rilevante ai fini del rispetto del patto di stabilita' interno degli enti pubblici territoriali.

Giova ricordare che la procedura per il conferimento del titolo "Capitale Italiana della Cultura" si collega all'Azione dell'UE in materia (radicata sulle previsioni dell'art. 167, par. 5, TFUE) ed è stata da ultimo disciplinata dalla decisione UE 2017/1545/UE [46] del Parlamento europeo e del Consiglio, che modifica la decisione n. 445/2014/UE [47] istitutiva della richiamata azione dell'Unione "Capitali europee della cultura per gli anni dal 2020 al 2033" [48].

La decisione recentemente adottata dal Parlamento di Strasburgo ha modificato quella del 2014 poiché essa non contemplava i paesi dell'Associazione europea di libero scambio, parti contraenti dell'accordo sullo Spazio economico europeo ("paesi EFTA/SEE", Norvegia, Islanda e Liechtenstein), con l'obiettivo di rafforzare i legami culturali tra l'Unione europea e i paesi EFTA/SEE e consentendo alle città di questi Stati che partecipano al programma "Europa creativa" o ai successivi programmi dell'Unione a sostegno della cultura di candidarsi per il titolo di "Capitale europea della cultura nel periodo dal 2020 al 2033", in coerenza con l'art. 167, par. 3, TFUE giusta il quale "L'Unione e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi [...] in materia di cultura [...]".

Il "dossier della candidatura" già sin dal suo incipit indicava proprio nel coordinamento delle iniziative indicate con quelle per la valorizzazione del sito Unesco [49] uno dei tratti fondamentali dell'istanza della Città siciliana [50].

Da ultimo la regione siciliana ha espresso l'intendimento di sostenere l'iniziativa attraverso una forma di finanziamento analoga a quella stabilità dal legislatore statale [51], tale scelta, oltre a rafforzare il finanziamento delle iniziative ricomprese nel progetto presentato, invero, consente di ripristinare una corretta cooperazione tra le istituzioni territoriali anche in considerazione del rilevante patrimonio culturale gestito dalla regione, come ricordato titolare di rilevanti competenze ed alla quale appartengono i più importanti musei della Città, ma anche gran parte dei beni ricompresi nel sito seriale Unesco.

Ed in effetti la singolare circostanza che concorrano in poco tempo su una stessa Città, da un lato il riconoscimento di sito seriale Unesco, dall'altro il conferimento del titolo di "Capitale italiana della cultura 2018", impone il massimo raccordo istituzionale per la più efficace valorizzazione del patrimonio culturale che non può non avere ricadute anche sul piano della programmazione regionale sui fondi strutturali [52].

La cooperazione inter-istituzionale per la valorizzazione dei beni culturali è valore indicato dallo stesso Codice dei beni culturali e del paesaggio che la riconosce sia con riguardo alla tutela che alla valorizzazione (artt. 5, 18, 29, 52, 103, 112, 114 e 115), rappresentando una "vera e propria esigenza sistemica, tenuto conto che oltre al pluralismo delle competenze esistono la molteplice appartenenza dei beni culturali, l'intreccio fra politiche dei beni culturali e altre politiche pubbliche e la dislocazione di dette politiche fra vari attori istituzionali con la connessa frammentazione decisionale" [53] e, da ultimo, dalla stessa convenzione di Faro del Consiglio d'Europa sull'eredità culturale (art.b11, primo comma n. 1 "nella gestione dell'eredità culturale, le Parti si impegnano a: 1. promuovere un approccio integrato e bene informato da parte delle istituzioni pubbliche in tutti i settori e a tutti i livelli") [54]. Esigenza sistemica che va ravvisata soprattutto nelle aree economicamente svantaggiate dov'è più difficile il partenariato pubblico-privato a causa dell'intrinseca debolezza delle disponibilità finanziarie, e costituisce "uno degli elementi portanti del diritto del patrimonio culturale vigente" [55] che impone alla istituzioni territoriali di cooperare appieno affinché il patrimonio culturale nella sua interezza (beni mobili, immobili, immateriali, paesaggio etc.) e le risorse finanziarie disponili, possano costituire elemento di sviluppo sostenibile e di progresso economico-sociale della comunità.

6. Conclusioni

Come solo sinteticamente si è potuto evidenziare nella tutela e gestione efficiente dei siti Unesco, proprio per concorrere agli obiettivi di protezione, conservazione, valorizzazione e trasmissione alle generazioni future del patrimonio culturale e naturale, interviene un sistema reticolare di vincoli ed integrato di competenze che tuttavia va affinato per gli evidenti fenomeni di scollamento e disarticolazione che si manifestano, soprattutto per la scarsità di strumenti organizzativi che possano garantire il coordinamento degli interventi e degli incentivi.

Non v'ha dubbio, quindi, che vanno affinati e meglio calibrati gli elementi di raccordo, di cooperazione, di controllo tra le istituzioni coinvolte per meglio garantire le finalità dell'iscrizione nella WHL, non potendo certo risultare risolutivi i poteri di "moral suasion" affidati all'Unesco.

E tale prima conclusione va confermata anche nella singolare condizione di inserimento tra i siti Unesco ed il riconoscimento di Palermo "Capitale italiana della cultura per il 2018" e ciò anche per le segnalate questioni connesse a tale ultimo riconoscimento.

Più in generale va sottolineato che la Sicilia si riscontra una singolare dicotomia: da un lato, la massima concentrazione regionale di siti e beni protetti dalle Convenzioni Unesco [56], dall'altro, un'aggravata incapacità di utilizzare il sistema dei beni culturali quale leva di sviluppo [57].

Soltanto dalla convergenza tra le istituzioni pubbliche e tra queste e quelle private la gestione dei siti e beni protetti dalle Convenzioni Unesco - l'eredità culturale di cui si è detto - di una regione, può intraprendere quei percorsi di efficienza e di ritorno economico e turistico per i territori. Ma la convergenza impone lealtà, spinta alla cooperazione ed al partenariato che spesso sono tra le maggiori carenze delle relazioni inter-istituzionali in Sicilia, ma non solo, sovente attanagliate dalla competizione al ribasso e dalle conseguenti frizioni che rischiano di prevalere di fronte ad un'opportunità come l'iscrizione nella WHL.

E vorrei a tal riguardo ricordare un antico aneddoto che riguarda proprio uno dei beni inserito nel sito seriale di cui abbiamo detto. Attorno al castello della Zisa vi era un grande parco reale, quel parco chiamato Genoard (da gennet-ol-ardh che significa "paradiso della terra") si estendeva per centinaia di ettari giungendo a ovest, fino ai territori di Monreale e Altofonte, ed a sud fino alla zona di Brancaccio. Un enorme giardino di alberi da frutto e piante esotiche, con laghi e moderni sistemi di irrigazione che in alcuni casi ancora oggi funzionano (qanat) dopo quasi mille anni.

Un giorno due ladri tentarono di rubare alcuni melograni dal giardino del Re Guglielmo II (per lunghi 23 anni sovrano ed ultimo Re Normanno [58]) sotto il quale fu terminata la costruzione del Palazzo. Scavalcarono le mura, ma furono immediatamente presi ed arrestati. Il Capo della milizia del Re ordinò così di passarli per le armi dopo uno sbrigativo processo sommario.

Quel giorno ricorreva il compleanno della Regina (Giovanna d'Inghilterra, settima figlia del re d'Inghilterra Enrico II Plantageneto, che rimasta senza figli, alla morte del marito, segregata nell'Harem del Palazzo sino a quando il fratello, Riccardo cuor di Leone, non la portò con sé) e Guglielmo II (non a caso detto il Buono) di fronte alle richieste di sua moglie di non veder ucciso nessuno nel giorno del suo genetliaco ribaltò il verdetto. Chiamo i due e disse "vedete ... oggi non solo sarò magnanimo graziandovi da ogni pena, ma addirittura intendo farvi un dono: quel che il primo mi chiederà lo concederò e ne darò il doppio all'altro". Interpellò così il primo dei due ladri, questi dopo un primo momento di felicità, perplesso pensó "se chiedo un cavallo, lui ne prende due; se chiedo una barca, lui avrà una piccola flotta, se chiedo una casa, egli ne riceverà due, non posso consentirlo ad un pezzente come lui".

Non si dava pace di dover comunque constatare che la scelta del dono per sé avrebbe giovato ancor più il suo correo. A quel punto il genio distruttivo dell'invidia si impossessò di lui, trovò così l'unica soluzione che gli avrebbe restituito un momentaneo appagamento: "Maestà - disse allora - "cavatemi un occhio", con il chiaro obiettivo di massimizzare il danno per l'amico piuttosto che condividere i benefici che l'opportunità inaspettata gli avrebbe offerto.

Sembra una variante del dilemma del prigioniero, ma è soltanto una metafora per rappresentare quel che la Sicilia deve saper rifuggire per uscire dall'attuale degradante arretratezza, cogliendo le opportunità che le sono offerte dall'essere uno scrigno di siti di grande pregio culturale, molti dei quali oggi tutelati dall'Unesco.

 

Note

[1] Ed infatti in tal senso si puntualizza opportunamente "...che un unico regime globale capace di disciplinare in modo organico ogni forma di patrimonio culturale è molto lontano dall'essere realizzato, né sarebbe auspicabile", così L. Casini, Ereditare il Futuro, Bologna, 2016, pag. 85, ma sul tema della globalizzazione del diritto del patrimonio culturale si rinvia all'intero capitolo del libro (pag. 61 ss.) e alla dottrina ivi citata. Dello stesso A. si vedano anche Id. (a cura di), La globalizzazione dei beni culturali, Bologna, Il Mulino, 2010; Id., "Italian Hours": The Globalization of Cultural Property Law, in International Journal of Constitutional Law, 2011, 9, pag. 369 ss.; Id., La globalizzazione giuridica dei beni culturali, in Aedon, 2012, 3 e S. Battini, The World Heritage Convention and the Procedural Side of Legal Globalization, in International Journal of Constitutional Law, 2011, 9, pag. 340 ss., ma già U. Allegretti, La dimensione amministrativa in un quadro di globalizzazione. Spunti di applicazione al patrimonio culturale, in Aedon, 2004, 3. In merito si v. anche N. Bassi, Il demanio planetario: una categoria in via di affermazione, in Riv. trim. dir. pubbl., 2011, pag. 619 ss. Da ultimo, anche in prospettiva internazionalistica, V. Vadi, Cultural Hermitage in international economic law, in V. Vadi, B. De Witte, Culture and International Economic Law, London, 2015, pag. 53 ss.

[2] La Zisa, edificio del XII secolo, risale al periodo della dominazione normanna in Sicilia. La sua costruzione fu iniziata sotto il regno di Guglielmo I e portata a compimento sotto quello di Guglielmo II In origine era una residenza estiva creata nelle vicinanze della città per il riposo e lo svago del sovrano. I Normanni, subentrati agli Arabi nella dominazione dell'Isola, furono fortemente attratti dalla cultura dei loro predecessori, realizzando residenze fastose come quelle degli emiri ed organizzando la vita di corte su modello di quella araba, adottandone anche il cerimoniale ed i costumi. Il parco del Genoard (paradiso della terra) circondava la Zisa e gli edifici reali ricadenti in esso (oltre alla Zisa, il palazzo dell'Uscimbene ed i padiglioni della Cuba e della Cuba soprana) era irrigato ed abbellito da fontane e grandi vasche, utilizzate anche come peschiere.

[3] Interessante, sul punto, è la ricostruzione di M. Carcione, Dal riconoscimento dei diritti culturali nell'ordinamento italiano alla fruizione del patrimonio culturale come diritto fondamentale, in Aedon, 2013, 2; in particolare nella parte in cui si viene a configurare un diritto individuale a fruire (godere) dei beni culturali per il loro interesse scientifico o educativo, per il loro valore estetico, oppure anche solo per mero diletto.

[4] Sulle competenze delle regioni in materia di paesaggio nell'ampia dottrina in materia e con riguardo all'evoluzione della giurisprudenza costituzionale si veda M. Immordino, La dimensione "forte" della esclusività della potestà legislativa statale sulla tutela del paesaggio nella sentenza della Corte costituzionale n. 367 del 2007, in Aedon, 2008, 1; e W. Cortese, Il patrimonio culturale: profili normativi, Padova, 2007, pag. 86 ss. anche con riguardo alle peculiari competenze in materia della regione siciliana.

Sulle modifiche introdotte all'attribuzione delle materia di che trattasi nella legge di revisione costituzionale sottoposta a referendum confermativo, e che in questo contesto non posso essere illustrate, si v. S. Cavaliere, Prime notazioni del d.d.l. di riforma costituzionale e le competenze sui beni culturali, in www.gruppodipisa.it.

[5] La normativa prevede anche l'istituzione dell'Assessorato ai beni culturali ed alla pubblica istruzione che vede la luce con il primo Governo presieduto dall'On. Piersanti Mattarella, nel marzo del 1978 e sarà guidato dall'On. L. Ordile; lo stesso, dopo la riforma organizzativa sancita dalla l.r. n. 19 del 2008, ha assunto la denominazione di Assessorato ai beni culturali ed all'identità siciliana.

[6] Sulla definizione di bene culturale in Italia, nella copiosa dottrina si vedano M.S. Giannini, I beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, pag. 5 ss.; B. Zanardi La mancata tutela del patrimonio culturale in Italia, ivi, 2011, pag. 431 ss.; A. Bartolini, Beni culturali (dir. amm.), in Enc. dir., Annali, VI, Milano, 2013, pag. 108 ss.

[7] Convenzione Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale del 17 ottobre 2003.

[8] Convenzione Unesco sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali del 20 ottobre 2005.

[9] L'art. 32 dello Statuto siciliano stabilisce che: "i beni di demanio dello Stato, comprese le acque pubbliche esistenti nella regione, sono assegnati alla regione, eccetto quelli che interessano la difesa dello stato o servizi di carattere generale", in applicazione di tale disposizione giusta il d.lg. 23 dicembre 2010, n. 265, recante "Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione siciliana concernenti il trasferimento alla regione di beni immobili dello Stato" sono trasferiti dallo Stato alla regione siciliana oltre 120 beni demaniali, in prevalenza, beni archeologici e storico-artistici, ma anche caserme e fari. L'art. 3, secondo comma prevede, in particolare, che "I beni e il tesoro della Cappella Palatina restano di proprietà del Fondo edifici di culto, istituito con legge 20 maggio 1985, n. 222, e amministrato dal Ministero dell'interno. Il Fondo mantiene il diritto di uso governativo della Cappella medesima".

[10] Sul regime dei beni ecclesiastici e dei beni del FEC si rinvia nuovamente a W. Cortese, op. ult. cit., pag. 289 ss.

[11] I beni ricompresi nella proposta erano: il Palazzo Reale e la sua Cappella Palatina, la Chiesa di S. Maria dell'Ammiraglio, la chiesa di S. Giov eremiti, la chiesa di S. Cataldo,, la Cattedrale di Palermo, la Cuba, il Ponte dell'Ammiraglio, e le due Cattedrali di Monreale e Cefalù e gli annessi chiostri. Una seconda lista inserisce anche il Castello A Mare, il Castello di Maredolce, la Chiesa di S. maria Maddalena, la chiesa della Magione, la Cuba e la piccola Cuba, S. Maria dell'incoronata, S. Giovanni dei lebbrosi, Chiesa dei Vespri, Chiesa di S. Cristina, Uscimbene, Bagni di Cefalà, Qanat di palermo.

[12] La candidatura Unesco "Palermo arabo normanna e le Cattedrali di Cefalù e Monreale" giunta dall'Icomos, l'organismo internazionale consultivo di riferimento per il patrimonio culturale, con il coordinamento ed il supporto tecnico-scientifico del Segretariato Generale del Mibact, è stata promossa dalla regione Siciliana e dalla Fondazione Patrimonio Unesco Sicilia. I plessi ricompresi testimoniamo "l'altissimo valore del sincretismo culturale arabo-normanno che generò uno stile architettonico ed artistico eccezionale in grado di rappresentare, ancora oggi, l'esempio tangibile di convivenza, interazione e interscambio tra culture eterogenee". La raccomandazione dell'ICOMOS rappresenta un risultato fondamentale ai fini dell'iscrizione, giunto a seguito di un lungo e complesso iter per la valutazione della candidatura che, dopo la presentazione della proposta nel 2014, ha compreso fasi interlocutorie con gli organismi internazionali ed ispezioni sul campo da parte di esperti di fama mondiale.

Sulle ricadute per la Città di tale prospettiva si v. L. Azzolina, Il contributo della cultura alla crescita economica della città, in StrumentiRES, 2015, 2.

[13] La candidatura, nella sua prima proposizione, vede la luce nel lontano 1996, quando nella "tentative list" viene inserito il sito "Centro storico di Palermo, Orto Botanico e Complesso di Monreale", tale proposta viene poi modificata il 6 giugno 2001, in "Palermo e la Cattedrale di Monreale", per esser poi sottoposta ad ulteriore integrazione con l'inserimento della Cattedrale di Cefalù avuto riguardo ai mutati indirizzi strategici dell'Unesco i quali miravano ad una più articolata rappresentazione dei beni, sotto il profilo della tipologia, degli ambiti cronologici e delle aree geografiche. La proposta definitiva ha così incluso la chiesa cefaludese conducendo alla revisione della denominazione del sito proposto in "Palermo Arabo-Normanna e le Cattedrali di Cefalù e Monreale".

[14] Va ricordato che, nelle more dell'iscrizione, è stato poi sottoscritto - come previsto dalle linee guida - un protocollo d'intesa per la gestione del sito seriale con l'obbiettivo di attivare una forma di coordinamento amministrativo tra:

1. Regione siciliana Assessorato dei Beni Culturali e dell'Identità Siciliana;

2. Assemblea Regionale Siciliana;

3. Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (Segretariato Generale, Servizio I, Coordinamento e relazioni internazionali - Ufficio Unesco);

4. Ministero dell'Interno Fondo Edifici di Culto - Prefettura di Palermo;

5. Comune di Palermo;

6. Comune di Cefalù;

7. Comune di Monreale;

8. Fondazione Patrimonio Unesco Sicilia;

9. Fondazione Sicilia;

10. Fondazione Federico II.

[15] "L'insieme degli edifici costituenti il sito di "Palermo arabo-normanna e le Cattedrali di Cefalù e Monreale" rappresenta un esempio materiale di convivenza, interazione e interscambio tra diverse componenti culturali di provenienza storica e geografica eterogenea. Tale sincretismo ha generato un originale stile architettonico e artistico, di eccezionale valore universale, in cui sono mirabilmente fusi elementi bizantini, islamici e latini, capace di volta in volta di prodursi in combinazioni uniche, di eccelso valore artistico e straordinariamente unitarie. Il sincretismo arabo-normanno ebbe un forte impatto nel medioevo, contribuendo significativamente alla formazione di una koinè mediterranea, condizione fondamentale per lo sviluppo della civiltà mediterraneo-europea moderna" (Dossier di Candidatura per l'iscrizione nella World Heritage List del sito seriale Palermo Arabo-Normanna e le Cattedrali di Cefalù e Monreale, dicembre 2014).

[16] Siti iscritti nella WHL (beni materiali): Palermo Arabo Normanna e le Cattedrali di Cefalù e Monreale; Parco Archeologico della Valle dei Templi; Siracusa e Necropoli rupestri di Pantalica; Isole Eolie; La Villa Romana del Casale; Monte Etna; Le città tardo barocche del Val di Noto. Siti iscritti nella ICH (beni immateriali): L'opera dei Pupi e L'alberello da Vite di Pantelleria. Patrimonio immateriale transnazionale: Dieta Mediterranea.

[17] In merito, per più articolate considerazioni, si rinvia a G. Garzia, Tutela e valorizzazione dei beni culturali nel sistema dei piani di gestione dei siti Unesco, in Aedon, 2014, 2 e S. Marchetti, M. Orrei, La gestione dei Siti Unesco di Villa Adriana e di Villa d'Este a Tivoli, in Aedon, 2011, 1.

[18] Sembra opportuno richiamare al guardo quanto sostenuto in materia da V. Mazzarelli, La disciplina del paesaggio dopo il d.lg. n. 63/2008, in Giorn. dir. amm., 2008, 10, pag. 1068 ss. secondo la quale: "Rispetto alla legislazione del 1999, il Codice del 2004 non si è limitato ad una mera operazione di copia e incolla, ma ha fatto di più: ha istituito una serie di nessi tra paesaggio e patrimonio culturale, valorizzando in più punti l'idea del paesaggio come espressione di storia e di cultura. Questa operazione - a senso unico perché viene connotato il paesaggio come bene culturale, e non viceversa - serve a spostare il baricentro della tutela, affiancando in ciò il paesaggio ai beni culturali...".

[19] Così S. Cassese, Globalizzazione del diritto, in www.treccani.it; più in generale, da ultimo, del Maestro si veda anche Chi governa il Mondo?, Bologna, 2013.

[20] Si tratta della nota tesi delle tutele "parallele" e "concorrenti" che si affiancano alla disciplina a urbanistica che con essa si intersecano, rinvenibile in F. Salvia, Diritto urbanistico, Padova, 2008, pag. 227 ss. e che altra autorevole dottrina G. Pagliari, Corso di diritto urbanistico, Milano, 2010, pag. 877, che estende sino al concetto di tutele "integrate" e multilivello.

[21] Sulle criticità dell'applicazione dei moduli di partenariato pubblico-privato al settore dei beni culturali v. G. Manfredi, La "Fondazione La Grande Brera", il partenariato e la panacea di tutti i mali, in Aedon, 2014, 2, al quale si rinvia per ulteriori riferimenti in dottrina, sia altresì permesso il rinvio al mio contributo Tra beni e mali culturali, in www.armao.eu.

In generale sul controverso istituto del PPP v. per tutti M.P. Chiti, I partenariati pubblico-privati e la fine del dualismo tra diritto pubblico e diritto comune, in Il Partenariato Pubblico-Privato, (a cura di) M.P. Chiti, Napoli, 2009, pag. 1 ss.; e Id., Luci, ombre e vaghezze nella disciplina del Partenariato Pubblico-Privato, in Id. (a cura di), Il Partenariato Pubblico-Privato, Bologna, 2005, pag. 7 ss.

Da ultimo in merito alla delicata questione è intervenuta la Corte dei Conti-Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato con la relazione approvata con deliberazione del 4 agosto 2016, n. 8/2016/G in esito all'indagine condotta su "Iniziative di partenariato pubblico-privato nei processi di valorizzazione dei beni culturali".

[22] Si veda in merito il protocollo d'intesa sottoscritto il 20 febbraio 2015 per la gestione del sito seriale PANCM, e l'istituto Comitato di Pilotaggio con compiti di indirizzo e programmazione delle attività per la valorizzazione del patrimonio culturale con un finanziamento previsto un contributo annuale di 0,30 c per abitante (circa 250.000 € annui). La compresenza di enti ed istituzioni pubbliche e private, la costituzione di soggetti PPP di scopo - come la fondazione Unesco Sicilia istituita ai sensi l'articolo 64, primo comma, della legge regionale 26 marzo 2002, n. 2, giusta delibera di Giunta che ha assegnato le risorse iniziali (5 aprile 2007, n. 113) nel luglio del 2007 tra regione Ass BBCC e Commissione Unesco Italia, con l'obiettivo di promuovere i siti siciliani, la compresenza di beni di natura diversa (statali, regionali, in parte ecclesiastici, comunali, ma anche privati)., persona giuridica di diritto privato riconosciuta dalla regione ed Iscritta nel registro delle persone giuridiche GURS n. 4, 25 gennaio 2008.

[23]È stato così respinto il ricorso proposto dai sindacati dei dipendenti dell'Ars avverso l'ordinanza n. 130 del 5 febbraio 2015 con la quale il Dirigente dell'Area della Partecipazione, Decentramento, Servizi al Cittadino e Mobilità, Ufficio del Piano Tecnico del Traffico, ha ordinato la istituzione di tre aree di sosta in Piazza Enrico D'Orleans ed in Piazza Indipendenza, in esecuzione dell'ordinanza dirigenziale del Dirigente del Settore Pianificazione Territoriale e Mobilità, Servizio Mobilità Urbana, n. 1181 del 18 settembre 2014, con la quale è stata istituita l'area pedonale in Piazza Parlamento e della delibera di G.M. n. 1181 del 18 settembre 2014, con la quale è stata istituita l'area pedonale in piazza Parlamento.

[24] A. Vesto, I beni. Dall'appartenenza egoistica alla fruizione solidale, Torino, 2014, pag. 170 ss. e C. Vitale, La fruizione dei beni culturali tra ordinamento internazionale ed europeo, in La globalizzazione dei beni culturali, cit., pag. 177 ss.

[25] In merito si vedano per tutti le considerazioni di G. Severini, L'immateriale economico nei beni culturali, in Aedon, 2015, 3.

[26] Su queste problematiche, si rinvia ancora a L. Casini, "Italian Hours": The Globalization of Cultural Property Law, cit., pag. 369 ss.

[27] Per più approfondite considerazioni si v. M. Carcione, Per una definizione dei diritti culturali garantiti dall'ordinamento italiano, in Annuario DRASD 2011, (a cura di) R. Balduzzi, Milano, 2011, pag. 305 ss.

[28] E così secondo la convenzione Unesco del '72 (art. 1) sono considerati "patrimonio culturale": 1) i monumenti: opere architettoniche, plastiche o pittoriche monumentali, elementi o strutture di carattere archeologico, iscrizioni, grotte e gruppi di elementi di valore universale eccezionale dall'aspetto storico, artistico o scientifico; 2) gli agglomerati: gruppi di costruzioni isolate o riunite che, per la loro architettura, unità o integrazione nel paesaggio hanno valore universale eccezionale dall'aspetto storico, artistico o scientifico; 3) i siti: opere dell'uomo o opere coniugate dell'uomo e della natura, come anche le zone, compresi i siti archeologici, di valore universale eccezionale dall'aspetto storico ed estetico, etnologico o antropologico.

Mentre giusta l'art. 2 sono considerati "patrimonio naturale": 1) i monumenti naturali costituiti da formazioni fisiche e biologiche o da gruppi di tali formazioni di valore universale eccezionale dall'aspetto estetico o scientifico; 2) le formazioni geologiche e fisiografiche e le zone strettamente delimitate costituenti l'habitat di specie animali e vegetali minacciate, di valore universale eccezionale dall'aspetto scientifico o conservativo; 3) i siti naturali o le zone naturali strettamente delimitate di valore universale eccezionale dall'aspetto scientifico, conservativo o estetico naturale.

Per tali categorie di beni l'inserimento nelle liste dell'organizzazione internazionale determina quindi una limitazione di sovranità.

Mentre l'art. 6 della Convenzione prevede che:

1. Nel pieno rispetto della sovranità degli Stati sul cui territorio è situato il patrimonio culturale e naturale di cui agli articoli 1 e 2 e impregiudicati i diritti reali previsti dalla legislazione nazionale su detto patrimonio, gli Stati partecipi della presente Convenzione riconoscono che esso costituisce un patrimonio universale alla cui protezione l'intera comunità internazionale ha il dovere di cooperare.

2. Conseguentemente, gli Stati partecipi della presente Convenzione, conformemente alle disposizioni della medesima, s'impegnano a prestare il proprio concorso all'identificazione, protezione, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e naturaledi cui ai paragrafi 2 e 4 dell'articolo 11 sempre che lo Stato sul cui territorio è situato questo patrimonio lo richieda.

3. Ciascuno Stato partecipe alla presente Convenzione si impegna ad astenersi deliberatamente da ogni provvedimento atto a danneggiare direttamente o indirettamente il patrimonio culturale e naturale di cui agli articoli 1 e 2 e situato sul territorio di altri Stati partecipi della presente Convenzione.

Alla stregua delle previsioni del successivo art. 11, commi 2-4, che sulla scorta degli inventari sottoposti dagli Stati in esecuzione del paragrafo 1, il Comitato allestisce, aggiorna e diffonde, sotto il nome di "elenco del patrimonio mondiale", un elenco dei beni del patrimonio culturale e del patrimonio naturale, quali definiti negli articoli 1 e 2 della presente Convenzione, che considera di valore universale eccezionale in applicazione dei criteri da esso stabiliti. L'aggiornamento dell'elenco deve essere diffuso almeno ogni due anni, mentre l'iscrizione di un bene nell'elenco del patrimonio mondiale può avvenire soltanto col consenso dello Stato interessato.

L'iscrizione di un bene situato su un territorio oggetto di rivendicazione di sovranità o di giurisdizione da parte di più Stati non pregiudica affatto i diritti delle parti contendenti.

Il Comitato allestisce, aggiorna e diffonde, ogni qualvolta le circostanze lo esigano, sotto il nome di "elenco del patrimonio mondiale in pericolo", un elenco dei beni menzionati nell'elenco del patrimonio mondiale per la cui salvaguardia sono necessari grandi lavori e per i quali è stata chiesta l'assistenza giusta la presente Convenzione. Questo elenco contiene una valutazione del costo delle operazioni. Su questo elenco possono essere iscritti soltanto beni del patrimonio culturale e naturale minacciati di gravi e precisi pericoli, come minaccia di sparizione dovuta a degradazione accelerata, progetti di grandi lavori pubblici o privati, rapido sviluppo urbano e turistico, distruzione dovuta a cambiamenti d'utilizzazione o di proprietà terriera, alterazioni profonde dovute a causa ignota, abbandono per ragioni qualsiasi, conflitto armato o minaccia di un tale conflitto, calamità e cataclismi, grandi incendi, terremoti, scoscendimenti, eruzioni vulcaniche, modificazione del livello delle acque, inondazioni, maremoti. In caso d'urgenza, il Comitato può in qualsiasi momento procedere ad una nuova iscrizione nell'elenco del patrimonio mondiale in pericolo e dare diffusione immediata.

[29] Si tratta, in altre parole, di quella contraddizione evidenziata da M. Cammelli, Problemi, soluzioni, riforme, in Aedon, 2016, 2 e determinata dalla "crescente e inevitabile interdipendenza tra cura del patrimonio culturale (nella sua accezione più estesa) e altrettanto vistoso aumento di altri interessi pubblici (oltre che privati) in vario modo intercettati dalle politiche e dagli interventi di settore. La risposta, anche (anzi, soprattutto) per chi è davvero convinto della inderogabilità dello "sviluppo della cultura" e delle esigenze di "tutela del paesaggio e del patrimonio artistico", avrebbe dovuto prendere la strada verso l'adozione di modalità in grado di assorbire e precisare prima (in termini di conoscenza e studio dei beni e del loro contesto, di programmazione degli interventi, di azioni periodiche di verifica e di manutenzione) e dopo (come verifica dei risultati, razionalizzazione delle procedure) la complessità degli elementi da considerare, in modo che il momento specifico del formale provvedere (specie sul singolo bene) finisse per rappresentare solo la ricaduta puntuale sia pure rilevante di un complesso di acquisizioni e valutazioni, alcune delle quali necessariamente condivise, cominciate prima e destinate a proseguire poi. Il che significa, inutile nasconderlo, ripensare al senso attuale della cura del patrimonio culturale oltre che ai relativi strumenti".

[30] Sui temi di tutela e valorizzazione, nell'ampia dottrina, si vedano, tra gli altri, N. Aicardi, L'ordinamento amministrativo dei beni culturali. La sussidiarietà nella tutela e nella valorizzazione, Torino, 2002; M. Dugato, Fruizione e valorizzazione dei beni culturali come servizio pubblico e servizio privato di utilità pubblica, in Aedon, 2/2007; D. Vaiano, La valorizzazione dei beni culturali, Torino, 2011.

[31] Recante "Misure speciali di tutela e fruizione dei siti italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale, inseriti nella "lista del patrimonio mondiale", posti sotto la tutela dell'Unesco" e pubblicata in G.U. n. 58 del 10 marzo 2006.

[32] In base all'art. 2, co. 3, per "salvaguardia" s'intendono le misure volte a garantire la vitalità del patrimonio culturale immateriale, ivi compresa l'identificazione, la documentazione, la ricerca, la preservazione, la protezione, la promozione, la valorizzazione, la trasmissione.

[33] Si ricorda che l'Italia, tra i 187 stati membri della Convenzione sulla protezione del Patrimonio Mondiale Culturale e naturale del 1972, è il Paese con il maggior numero di siti iscritti nella WHL (51). La lista in questione include 1031 siti del patrimonio culturale e naturale. L'Unesco ha sono ad oggi riconosciuto un totale di 1031 siti (802 culturali, 197 naturali e 32 misti) presenti in 163 Paesi del mondo.

[34] Cfr. C. Ricci, Management Plans for the Unesco World Heritage Sites, Governance and Training, in AlmaTourism Special Issue N. 2, 2014.

[35] Il d.l. 8 agosto 2013, n. 91 (in G.U. 9 agosto 2013, n. 186), convertito con modificazioni dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112 (in G.U. 8 ottobre 2013, n. 236), ha disposto (con l'art. 3-ter, comma 1, lett. a) la modifica dell'art. 4, comma 1, lettera c); (con l'art. 3-ter, comma 1, lett. b) la modifica dell'art. 4, comma 1, lettera d).

[36] Sui temi della valorizzazione si veda G. Piperata, La valorizzazione dei beni culturali di proprietà privata (art. 113), in Aedon, 2004, 1, secondo il quale se da un lato i soggetti pubblici competenti possono imporre forme di tutela o misure conservative ai privati proprietari dei beni culturali "viceversa lo stesso non può dirsi per le attività di valorizzazione, con la conseguenza che i soggetti pubblici sono spinti a sostenere le iniziative private in modo da poter concordare con questi le tecniche di valorizzazione cui sottoporre i beni di loro proprietà".

[37] Nel "piano di gestione", come precisato in dottrina, confluiscono "gli interventi regolativi e operativi riguardanti l'ambito territoriale interessato quali che siano le autorità pubbliche di volta in volta competenti. Un piano le cui guidelines sono state di recente recepite nell'ordinamento interno italiano dall'art. 3 della legge 77/2006" in tal senso v. M. Cammelli, Cittá d'arte tra autonomia e regimi speciali, in Aedon, 2015, 2.

Sui piani di gestione oltre al già citato contributo di G. Garzia, Tutela e valorizzazione dei beni culturali nel sistema dei piani di gestione dei siti Unesco, cit., v. anche A. Cassatella, Tutela e conservazione dei beni culturali nei Piani di gestione Unesco: I casi di Vicenza e Verona, ivi, 2011, 1.

[38] I criteri e le modalità per l'attuazione della legge 77/2006 sono stati definiti, da ultimo, con circolare del Direttore generale per la valorizzazione del patrimonio culturale n. 6/2012. Si ricorda, infine, che nel 2014 il Mibact ha elaborato il Libro bianco sull'applicazione della legge 77/2006 dal quale risulta, in particolare, che negli anni 2006-2012 sono state presentate 427 richieste di finanziamento, per un importo complessivo di € 33,9 mln, a fronte di una disponibilità di € 17,8 ml e che ha fatto il punto sui 230 progetti finanziati dalla Legge 77/2006 per i Siti Unesco (dal 2006 al 2012) per un totale di circa 18 milioni di euro. Sul punto si veda Ricci, C., Management Plans for the Unesco World Heritage Sites, Governance and Training, cit.

[39] In casi del genere - si trattava del diniego di rinnovo di una concessione di suolo pubblico in precedenza rilasciata al privato in prossimità delle mura pontificie - il provvedimento deve esser accompagnato da una congrua e specifica motivazione proprio perché essa deve essere idonea a supportare la preminenza della tutela dei beni architettonici inseriti in un sito Unesco e la recessività delle ragioni economiche (la questione concerneva la tutela delle a Roma) cfr., tra le molte, Tar Lazio, Roma, V, 14 ottobre 2014, n. 5061 in giustizia-amministrativa.it.

[40] Cfr. nella copiosa giurisprudenza in materia di ordinanze relative ad attività commerciali su suolo pubblico svolte in aree allocate all'interno di siti Unesco si veda in senso conforme v. da ultimo anche Tar Lazio, Roma, II-ter, 6 giugno 2016, n 6499, ed in senso conforme Cons. St., V, n. 893, n. 1202, n. 1646 e n. 5061 del 2014; Tar Lazio, Roma, Sez. II-ter, sent. n. 239, n. 6210, n. 6771, n. 7645, n. 7533 del 2015 e n. 2243, n. 2798, n. 3001, n. 7316 del 2014, ma già sent. n. 10440 del 2013, consultabili in giustizia-amministrativa.it.

Tale normativa (art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009) sancisce che fatti salvi i provvedimenti dell'autorità per motivi di ordine pubblico, nei casi di indebita occupazione di suolo pubblico previsti dall'art. 633 c.p.p. e dall'art. 20 d.lg. n. 285 del 1992, il Sindaco, per le strade urbane, può ordinare l'immediato ripristino dello stato dei luoghi a spese degli occupanti e, se si tratta di occupazione a fine di commercio, la chiusura dell'esercizio fino al pieno adempimento dell'ordine e del pagamento delle spese o della prestazione di idonea garanzia e, comunque, per un periodo non inferiore a cinque giorni.

Anche se va registrato un recentissimo anche se di senso parzialmente divergente del Tar Lazio, Roma, sez. II-ter, 13 giugno 2016, n. 6754, ma analogamente nn. 6742, 6749, 6751, 6752 del 2016, che ha annullato provvedimenti di tutela del ministero dei Beni culturali nel presupposto che l'art. 52, comma 1-ter, d.lg. n. 42 del 2004, detti una disciplina specifica delle prescrizioni di tutela incidenti sulle attività commerciali, nelle aree sottoposte a vincolo culturale per la tutela del decoro dei complessi monumentali. Esso, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 140/2015, prevede che sia necessaria la previa intesa con la regione. Trattandosi di una disciplina speciale, essa trova applicazione, in tutti i casi in cui - come in quello di specie - le misure di protezione del bene culturale comportino una limitazione o addirittura una totale preclusione di ogni uso individuale a fini commerciali delle aree pubbliche di pregio. Pertanto, deve ritenersi illegittimo il decreto del ministero per i Beni e le Attività culturali e il turismo impositivo del vincolo culturale ai sensi dell'art. 10, comma 4, lett. g) del d.lg. n. 42 del 2004, nella parte in cui il ministero ha anche prescritto il divieto di "tutte le forme di uso del suolo pubblico a fini commerciali con il posizionamento di strutture stabili e/o precarie di varia natura e tipologia", in quanto adottato in assenza della previa intesa con la regione Lazio.

Al riguardo, quindi, il giudice amministrativo ha inteso precisare che proprio per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 140 del 2015, le prescrizioni della competente soprintendenza, quando concernono le occupazioni di suolo pubblico, anche se inserite nell'atto di vincolo quale prescrizione di tutela, non possono ritenersi affrancate dalla procedura dettata dalla normativa richiamata in quanto norma speciale posta a garanzia delle competenze costituzionalmente attribuite alle autonomie locali in materia di commercio.

[41] Così Corte cost. 11 febbraio 2016, n. 22 che ha ritenuto inammissibile la questione sollevata dal giudice a quo (con ordinanza del 13 marzo 2014 emessa dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania) secondo il quale la vigente disciplina del Codice dei beni culturali e del paesaggio non avrebbe tutelato adeguatamente i 'siti Unesco', e ciò in quanto nel prevedere la derogabilità all'autorizzazione paesaggistica per tutte le zone A e B del territorio comunale (come tali classificate negli strumenti urbanistici vigenti al 6 settembre 1985), non avrebbe escluso da tale ambito le aree urbane riconosciute e tutelate come patrimonio Unesco. Nel sottoporre la questione alla Corte, il giudice rimettente ha invocato non solo il parametro interno dell'art. 9 Cost., bensì anche, in relazione all'art. 117, co. 1, Cost., i parametri interposti di cui agli artt. 4 e 5 della Convenzione Unesco, firmata a Parigi il 23 novembre 1972 e recepita con legge n. 184/1977. Anche se poi, l'invocata addizione giurisprudenziale, è stata ritenuta inammissibile in coerenza con i noti orientamento della stessa Corte secondo i quali essa si sarebbe risolta in una modificazione di sistema non costituzionalmente obbligata che, in quanto tale, è preclusa al giudice delle leggi (sentt. nn. 10/2013 e 252/2012; ordd. nn. 255, 240 e 208/2012) in senso conforme v. anche la nota breve di A. Guazzarotti, La 'Convenzione Unesco' è un parametro interposto, ma l'applicazione spetta al legislatore, in Forum costituzionale-Monitore della giurisprudenza costituzionale.

[42] La Città, giova precisarlo, aveva concorso senza utile risultato alla selezione per il titolo di "Capitale europea della cultura 2019", come noto andato a Matera. La Commissione che ha esaminato nel 2013 la proposta di candidatura della Città siciliana ne aveva evidenziato, pur di fronte al delineato obiettivo finale, i notevoli limiti e la sostanziale approssimazione. Precisa sul punto il Panel "the Panel appreciated the long term and important nature of the transformation of Palermo both in its urban scene and in the cultural change aspects. It also noted the urban and cultural regeneration projects. Palermo's multi-cultural population is an asset. In terms of the ECOC programme the Panel noted it was at an early stage but more details should have been developed on projects and their partners. There was a clear long term motivation and goal. There was some indication in the bidbook of existing partnerships with cultural operators around the Mediterranean and many more formal organisations and international committees. However this was not enough to convince the Panel on the maturity of the project in its European Dimension. The Panel did note the degree of engagement with citizens, both in the bid book and on the panel. The Panel was not fully confident based on the bidbook and presentation on the management and artistic direction to develop in the short term a project as ambitious and complex as the one presented", i lavori del Panel sono consultabili in https://ec.europa.eu/programmes/creative-europe/sites/creative-europe/files/files/ecoc-2019-preselection-report-italy_en.pdf.

[43] Tale riconoscimento ha tra i propri obiettivi: il miglioramento dell'offerta culturale, crescita della inclusione sociale e superamento del cultural divide, il rafforzamento della coesione e dell'inclusione sociale, nonché dello sviluppo della partecipazione pubblica, l'incremento della attrattivitá turistica, l'utilizzo delle nuove tecnologie, la promozione dell'innovazione e dell'imprenditorialità nei settori culturali e creativi, il conseguimento di risultati sostenibili nell'ambito dell'innovazione culturale. In merito di veda per tutti L. Casini Valorizzazione e gestione, in Diritto del patrimonio culturale, (a cura di) C. Barbati, M. Cammelli, L. Casini, G. Piperata, G. Sciullo Bologna, 2017, pag. 213 ss.

[44] I criteri selettivi sono così determinati dal bando annuale: a) coerenza del progetto rispetto alle finalità di legge e alle altre iniziative di valorizzazione del territorio e grado di coordinamento e sinergia degli interventi proposti; b) efficacia del progetto come azione culturale diretta al rafforzamento della coesione e dell'inclusione sociale; c) previsione di forme di co-finanziamento pubblico e privato, condivisione progettuale con altri enti territoriali e con soggetti pubblici e privati portatori di interesse presenti sul territorio; d) efficacia del modello di governance previsto per lo sviluppo e l'attuazione del Dossier di candidatura e relativo monitoraggio del processo e del prodotto; e) innovatività e capacità delle soluzioni proposte di fare uso di nuove tecnologie; f) capacità del progetto di incrementare l'attrattivita' turistica del territorio; g) realizzazione di opere e infrastrutture di pubblica utilità destinate a permanere sul territorio a servizio della collettività, h) coerenza del cronoprogramma.

[45] La Giuria ministeriale svolge un intenso lavoro selettivo, anche mediante audizioni sui dossier di candidatura. Per una primo bilancio si veda Commissione Capitale italiana per la cultura anni 2016 e 2017, Relazione finale, in Aedon, 2016, 2.

[46] La si veda in G.U. L 237 del 15 settembre 2017, pag. 1.

[47] La Decisione n. 445/2014/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, ha istituito l'azione dell'Unione "Capitali europee della cultura" per gli anni dal 2020 al 2033 ed abrogato la decisione n. 1622/2006/CE (in G.U. L 132 del 3 maggio 2014, pag. 1) ed ha quale obiettivo la tutela e la promozione della ricchezza e la diversità delle culture in Europa, la valorizzazione delle loro caratteristiche comuni, l'accrescimemto del senso di appartenenza dei cittadini a un'area culturale comune, incoraggiando così la comprensione reciproca e il dialogo interculturale e mettendo in primo piano il patrimonio culturale comune. Infine intendimento della decisione è quello di promuovere il contributo della cultura allo sviluppo a lungo termine delle città, che possono associare i territori circostanti, conformemente alle loro rispettive strategie e priorità, nella prospettiva di sostenere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.

Sul tema delle procedure di riconoscimento e sull'impatto istituzionale, economico e sociale delle European Capitals of Culture si veda J. Mittag, European Capitals of Culture as Incentives for the Construction of European Identity? Origins and changes of "one of the most visible and prestigious initiatives of the European Union"; O. Calligaro, From 'European cultural heritage' to 'cultural diversity'? The changing core values of European cultural policy, in Politique européenne, 2014, 3, pag. 60 ss.

[48] Sul quale si veda EU Parliament, Directorate General For Internal Policies, European Capitals of Culture: Success Strategies ad log-term effects, 2013.

[49] Il "Dossier candidatura" del 30 giugno 2016 della Città metropolitana di Palermo, che coinvolge oltre alla stessa Città Metropolitana, Accademia di Belle Arti Palermo, Conservatorio di musica di Stato "Vincenzo Bellini" Palermo Fondazione Manifesta 12, Fondazione Sicilia, Fondazione Teatro Biondo, Fondazione Teatro Massimo, Fondazione The Brass Group, Museo Antonino Pasqualino, Museo Civico - Castelbuono, Università degli studi di Palermo, può consultarsi in https://www.comune.palermo.it/js/server/uploads/_31012017161757.pdf e si segnala per l'assenza della regione e delle sue istituzioni culturali (Musei, Gallerie, Parchi archeologici). Assenza che risulta adesso superata dal rinnovato interesse che ha espresso la regione per l'iniziativa anche attraverso uno specifico sostegno finanziario.

Con specifico riguardo alla valorizzazione del sito seriale Unesco il dossier indica un investimento di 4,5 mil € articolati in tre annualità e "prevede la riqualificazione degli spazi urbani a contorno dei monumenti dichiarati patrimonio dell'umanità, nonché la riqualificazione dei percorsi di collegamento tra gli stessi, con la realizzazione dei servizi necessari a supporto dei turisti con l'obiettivo di migliorare l'accessibilità alle aree ad alta vocazione turistica, con particolare riferimento al turismo accessibile. Il progetto prevede, pertanto, la riqualificazione degli ambiti urbani attraverso la manutenzione straordinaria degli spazi per consentire ai turisti la completa fruizione dei monumenti e lo spostamento tra gli stessi mediante mobilità a prevalenza pedonale. Sono, altresì previsti interventi per la riqualificazione del percorso di collegamento tra il Palazzo Reale e il Castello della Zisa all'interno del quartiere di Danisinni con il recupero dei camminamenti e della scalinata. Sono inoltre previsti la realizzazione di fontanelle lungo il percorso, il rifacimento dell'arredo urbano e il recupero di spazi da destinare a punti di accoglienza turistica."

[50] Cfr. Capitale Italiana della Cultura 2018, Report con le valutazioni sui progetti presentati; ma si veda anche http://www.palermocapitalecultura.it.

[51] Si veda Palermo Capitale della Cultura. Un milione di euro in arrivo, in Giornale di Sicilia, 15 febbraio 2018.

[52] Si consulti al riguardo il PO FESR 2014-2020 della regione siciliana. che all'Asse 6 - Tutelare l'Ambiente e Promuovere l'uso Efficiente delle Risorse-Obiettivo specifico 6.7 - Miglioramento delle condizioni degli standard di offerta e fruizione del patrimonio culturale nelle aree di attrazione, prevede specifiche misure destinate ad interventi sul patrimonio regionale e collegata ai contesti territoriali di riferimento dei Siti Unesco e dei sei attrattori della Sicilia Occidentale (Saline di Trapani, Parco Archeologico di Selinunte, Sito Archeologico di Motya, Teatro e Tempio di Segesta, Isole Egadi, Erice).

[53] In tal senso G. Sciullo, I beni culturali quali risorsa collettiva da tutelare - una spesa, un investimento, in Aedon, 2017, 3.

[54] Come noto, per eredità culturale si intende "un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione. Essa comprende tutti gli aspetti dell'ambiente che sono il risultato dell'interazione nel corso del tempo fra le popolazioni e i luoghi", tale definizione discende dalla Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore dell'eredità culturale per la società sottoscritta a Faro (da qui detta "Convenzione di Faro") il 27 ottobre 2005 ed entrata in vigore il 1° giugno 2011, la sottoscrizione italiana risale al 27 febbraio 2013.

[55] Così M. Cammelli, Cooperazione, in Diritto del patrimonio culturale, cit., pag. 286.

[56] Come già ricordato la Sicilia vanta il primato per il maggior numero di siti e beni iscritti nelle liste dell'Unesco. Sette nel patrimonio materiale, due nel patrimonio immateriale e due nei Geoparchi, oltre ad essere regione rappresentativa della "dieta mediterranea".

[57] Sia consentito rinviare in materia al mio contributo, Redimibile Sicilia. L'autonomia dissipata e le opportunità dell'insularità, Soveria Mannelli, 2017, pag. 155 ss.

[58] L'eventualità di una mancata discendenza era peraltro espressamente prevista nel contratto matrimoniale per le nozze di Enrico VI Hohenstaufen e Costanza d'Altavilla, ultima figlia di Ruggero II e zia di Guglielmo, a cui sarebbe toccato, nell'eventualità, il Regno di Sicilia. Era un'eventualità difficilmente ipotizzabile, vista la giovane età di Guglielmo e Giovanna, e l'età matura di Costanza: la sua inaspettata realizzazione aprì la strada del trono di Sicilia a Enrico VI e, dopo di lui, al figlio Federico II di Svevia.

 



copyright 2018 by Società editrice il Mulino
Licenza d'uso


inizio pagina