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Patrimonio culturale ed emergenza sismica

La condivisione delle informazioni relative al patrimonio culturale ecclesiastico nella gestione dell'emergenza sismica

di Valentina Maria Sessa

Sommario: 1. I Protocolli del 2014 e del 2016 tra Mibact e C.e.i. per la gestione dell'emergenza sismica. - 2. L'impegno pattizio alla trasmissione delle informazioni nelle situazioni di calamità naturale. - 3. Il superamento convenzionale dei limiti alla comunicazione delle informazioni concernenti i beni culturali. - 4. Il sisma come occasione per il completamento della catalogazione e per una sistematizzazione della condivisione delle informazioni.

Information sharing related to ecclesiastical cultural heritage in seismic emergency management
Collection, sharing and data-transmission of information related to cultural heritage is a fundamental activity in order to take care of the heritage, particularly in case of seismic emergencies. Italian State and Catholic Church ratified several collaboration agreements for this activity: the last one was signed exactly during the years of the earthquakes in Italian regions (Abruzzo and Marche particularly, from 2014 up to 2016). A mutual trust relationship between Italian State and Church shall be reinforced, and new emergency procedures shall be planned, tested, performed and improved. The article aims to stress the importance of the a.m. collaboration in order to improve the post-seismic-phase management, and to adopt preventive actions before any hypothetical natural disaster.

Keywords: Seismic emergencies; Catholic Church; Agreements; Collaboration; Procedures.

1. I Protocolli del 2014 e del 2016 tra Mibact e C.e.i. per la gestione dell'emergenza sismica

I beni ecclesiastici sono tra i più colpiti dai sismi degli ultimi anni. Centinaia gli edifici storici danneggiati, soprattutto chiese, cui si aggiungono gli innumerevoli oggetti d'arte in essi custoditi. Imponenti gli interventi che si sono resi necessari, prima per la messa in sicurezza, poi per il restauro dei beni e la loro restituzione alla collettività.

Attività, queste, che non possono essere lasciate all'iniziativa unilaterale dell'ente proprietario, sia a causa della mole dell'impegno richiesto, sia in relazione al fatto che la maggioranza di tali beni è aperta alla fruizione pubblica, sia infine per l'interesse storico-artistico di gran parte di questo patrimonio, che rende necessario il rispetto del regime di tutela previsto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio e, quindi, il coinvolgimento delle autorità preposte.

Per comprendere le dimensioni del problema si consideri che, a seguito del terremoto del 2012, in Abruzzo, su 1400 immobili di interesse culturale danneggiati ben 900 erano chiese [1]; in Emilia Romagna, su 2000 edifici danneggiati, ben 700 erano edifici religiosi [2]. Tra i beni culturali, le chiese si sono infatti rivelate particolarmente vulnerabili all'azione del sisma, in parte per la loro stessa struttura, in parte a causa dei restauri e rifacimenti che si sono susseguiti nei secoli, non sempre effettuati con le dovute cautele e, nella maggior parte dei casi, soprattutto i più risalenti, non certo in ossequio ai principi dell'adeguamento sismico.

La situazione si è ulteriormente aggravata negli ultimi anni, a seguito delle nuove scosse sismiche che hanno colpito il centro Italia quando ancora non erano stati ultimati gli interventi di ripristino dei beni precedentemente colpiti, così che ad oggi la situazione è ancora lontana dalla "normalità".

Gli eventi sismici degli ultimi anni hanno richiamato l'attenzione su una duplice necessità: da una parte, quella di realizzare in termini rapidi ed efficaci il consolidamento e il restauro dei beni danneggiati, restituendoli alla collettività, dall'altra, quella di ripensare le strategie di prevenzione del rischio sismico per scongiurare - o almeno arginare - gli innumerevoli danni che si producono in concomitanza con ogni episodio sismico.

Si tratta indubbiamente di due obiettivi ambiziosi, il cui raggiungimento è reso difficile non solo da una situazione globalmente già critica, ma anche dalla quantità e dalla capillarità dei beni che costellano il nostro territorio.

Di fronte alla gravità della situazione è stato intrapreso un percorso di collaborazione istituzionale attraverso diversi accordi tra Stato e Chiesa per la gestione dell'emergenza sismica e, in particolare, mediante la stipula di due protocolli, uno di carattere generale nel 2014 e uno, circoscritto ad alcune regioni, nel 2016.

Più specificamente, il Protocollo del 4 dicembre 2014 fra il Mibact e la C.e.i. [3], in attuazione della Direttiva ministeriale del 12 dicembre 2013 relativa alle "Procedure per la gestione delle attività di messa in sicurezza e salvaguardia del patrimonio culturale in caso di emergenze derivanti da calamità naturali" [4], si richiama all'Intesa del 26 gennaio 2005 tra il ministero e la C.e.i. nella parte in cui prevede il coinvolgimento degli enti e delle istituzioni ecclesiastiche responsabili delle relative attività. Esso istituisce una duplice forma di coordinamento: a livello centrale, tra l'unità di crisi nazionale del ministero (Uccn-Mibac) e l'Ufficio nazionale dei beni culturali ecclesiastici (Unbce) e, a livello territoriale, tra le unità di crisi regionali del ministero (Uccr-Mibac) e la Conferenza episcopale regionale, attraverso il Vescovo delegato per i beni culturali ecclesiastici.

Scopo della partecipazione delle autorità ecclesiastiche alle riunioni delle unità di crisi è "l'aggiornamento costante delle informazioni reciproche", specificamente rivolto, a livello nazionale, a "favorire la massima collaborazione delle rispettive articolazioni territoriali al fine di una efficace e tempestiva attività sul territorio" (art. 1) e, a livello regionale, a ricercare "una più efficace pianificazione delle attività che tenga conto delle priorità segnalate" (art. 2).

Attraverso queste forme di coordinamento avrebbe dovuto svilupparsi, con riferimento ai beni culturali di interesse religioso di proprietà di enti ed istituzioni ecclesiastiche, la collaborazione in tutte le attività necessarie in situazioni di emergenza: la ricognizione dei danni (art. 3), l'individuazione e gestione dei depositi temporanei di proprietà ecclesiastica per il ricovero dei beni (artt. 4-6), gli spostamenti dei beni mobili in situazioni di pericolo (art. 5), la messa in sicurezza e il restauro dei beni presso laboratori di riferimento ecclesiastico (art. 7), l'aggiornamento delle informazioni e la tracciabilità dei beni mobili in occasione della loro messa in sicurezza in depositi temporanei o laboratori per interventi di restauro gestiti dal ministero (art. 8).

Con riguardo a quest'ultimo aspetto, in particolare, il Protocollo del 2014 individua l'aggiornamento e lo scambio di informazioni come attività essenziali per la proficua collaborazione nella gestione dell'emergenza sismica. La ratio della previsione è ben evidenziata dalla circolare n. 10 dell'aprile 2015 [5], nella quale si richiama sia la rilevanza quantitativa del patrimonio culturale appartenente ad enti ed istituzioni ecclesiastiche, "che rappresentano quindi un interlocutore necessario del ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo nell'esercizio delle sue funzioni di tutela", sia l'estrema vulnerabilità di tali beni, a causa della quale "nella gestione delle fasi emergenziali, più che delle situazioni ordinarie, occorre la massima sinergia e collaborazione con gli enti e le istituzioni ecclesiastiche, proprietarie dei beni". Da tali premesse si trae la conclusione, condivisibile, che tali circostanze rendano "importante implementare tale collaborazione, estendendola alla pianificazione e alla gestione delle emergenze, per fornire agli operatori diocesani la possibilità di controllare l'evoluzione degli eventi critici, con l'obiettivo primario di minimizzare le conseguenze in caso di emergenze".

L'art. 3 del Protocollo, in particolare, prevede che in caso di eventi sismici o altre calamità naturali, la Consulta regionale per i beni culturali ecclesiastici costituita in ogni regione ecclesiastica [6] trasmetta tempestivamente all'Uccr-Mibac competente per territorio l'elenco delle chiese, degli altri immobili di interesse religioso, nonché dei beni mobili di proprietà ecclesiastica, anche se collocati in immobili di altra proprietà, per i quali si reputi necessario l'accertamento dei danni, indicando eventuali priorità e redigendo delle schede informative relative ai singoli beni, suscettibili di essere completate, modificate o aggiornate dall'Uccr a seguito dei sopralluoghi in situ [7].

Il successivo art. 4 prevede poi che la Consulta regionale tracci una carta regionale degli immobili di proprietà ecclesiastica da destinare, in caso di emergenza, a depositi temporanei dei beni religiosi, segnalando altresì i relativi responsabili, secondo le nomine effettuate dal Vescovo competente per territorio, in modo da poterli comunicare all'Uccr-Mibact: tra i compiti dei responsabili, sono indicati quello di assicurare per tutti i beni depositati l'inventariazione, la verifica della schedatura effettuata in occasione del prelevamento, la predisposizione di documentazione fotografica, nonché quello di garantire al personale ministeriale l'accesso ai beni, al fine di consentire la compilazione delle schede di catalogo ovvero, se queste ultime fossero già disponibili, il loro abbinamento ai beni (art. 6, comma 2, nn. 1, 2, 3).

Attività analoghe sono previste per i beni mobili di interesse religioso appartenenti ad enti ed istituzioni ecclesiastiche trasferiti in depositi o laboratori gestiti dal ministero: in tal caso, il responsabile del deposito o del laboratorio deve garantire l'idonea collocazione dei beni, la loro inventariazione, la verifica della schedatura effettuata in occasione del prelevamento, l'abbinamento con la scheda catalogo se non effettuata in precedenza, la verifica dello stato di conservazione dell'opera, la predisposizione della documentazione fotografica, la valutazione delle operazioni da eseguire, gli interventi di messa in sicurezza con la relativa documentazione fotografica, la registrazione su appositi moduli schedografici di tutti i dati conservativi e di quelli inerenti gli interventi eseguiti o da eseguire ("schede di pronto intervento") che devono poi confluire, unitamente al codice di urgenza attribuito, nel sistema informativo del ministero, per essere poi aggiornati in funzione delle attività effettuate nel laboratorio.

Il contenuto di tali schede dimostra che esse, pur non avendo ancora le caratteristiche proprie delle schede di Catalogo, costituiscono un livello più avanzato del mero inventario ed espletano una funzione importante nel monitoraggio dello spostamento dei beni dal sito di origine e nella valutazione del loro stato conservativo. Inoltre, per quanto interessa in questa sede, esse costituiscono un primo passaggio verso la redazione delle vere e proprie schede di Catalogo, per la cui predisposizione si prevede di garantire l'accesso al personale ministeriale, segno della volontà di condivisione dei dati inerenti i beni.

Infatti, il Protocollo stabilisce che la documentazione sia trasmessa nei formati indicati, segno che i dati devono essere fruibili e i sistemi interoperabili. Per espressa previsione, infatti, "il sistema informativo del ministero, accessibile via Web, sarà costantemente aggiornato per consentire il monitoraggio dei beni presenti nei depositi e dell'attività di pronto intervento. Il ministero garantirà l'accesso al sistema informativo SICaR attraverso opportune abilitazioni, alla consulta regionale per i beni culturali ecclesiastici e alle diocesi proprietarie al fine di avere informazioni sulla collocazione di beni e sulle eventuali attività di pronto intervento a cui si sono sottoposti".

A distanza di due anni, il 21 dicembre 2016, il commissario straordinario del Governo per la ricostruzione nei territori dei comuni delle regioni di Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria interessati dal sisma dell'agosto 2016 e il Mibact, da una parte, e la C.e.i., dall'altra, hanno stipulato un nuovo e più circoscritto Protocollo d'intesa [8].

L'accordo è stato concluso al fine di dare attuazione all'art. 14, comma 9, del d.l. 17 ottobre 2016, n. 189, contenente una serie di "Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dal sisma del 24 agosto 2016", che promuove, tra l'altro, un Protocollo di intesa tra il commissario straordinario, il Mibact ed il rappresentante delle Diocesi coinvolte, proprietarie dei beni ecclesiastici, "al fine di concordare priorità, modalità e termini per il recupero dei beni danneggiati" e definire "le modalità attraverso cui rendere stabile e continuativa la consultazione e la collaborazione tra i soggetti contraenti, al fine di affrontare e risolvere concordemente i problemi in fase di ricostruzione".

Più specificamente, l'Intesa è volta a consentire al commissario straordinario, in un arco di tempo che si estenderà fino alla fine del 2018, salvo proroghe o rinnovi, di realizzare la ricostruzione attraverso la previa determinazione del "quadro complessivo dei dati e stima del relativo fabbisogno finanziario, definendo altresì la programmazione delle risorse nei limiti di quelle assegnate", in modo da individuare i criteri per stanziare contributi a favore di una serie di beni, tra cui anche gli immobili di proprietà di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, formalmente dichiarati di interesse storico-artistico ai sensi del Codice, e gli edifici adibiti ad uso pubblico, in cui vengono ricompresi archivi, musei, biblioteche e chiese (rispettivamente, art. 14, comma 1, lett. a) e lett. c) del medesimo decreto) [9].

Il raggiungimento di tali obiettivi rende indispensabile l'apporto di conoscenze che può essere fornito dagli enti ecclesiastici in qualità di proprietari di beni culturali, tanto che l'art. 2 dell'accordo si prefigge di rendere stabile e continuativa la consultazione e la collaborazione tra le parti istituendo un'apposita Consulta per i beni culturali di interesse religioso, composta dal commissario del Governo, dal Mibact, dalla C.e.i. e dai vescovi delle diocesi interessate, quale "strumento di confronto e collaborazione per affrontare e risolvere concordemente i problemi in fase di ricostruzione dei beni culturali di interesse religioso".

Parallelamente, l'art. 3 dell'accordo prevede anche l'istituzione tra le medesime parti di un apposito Gruppo di lavoro tecnico permanente, convocato e coordinato dal delegato del commissario del Governo e tenuto ad operare in conformità agli indirizzi elaborati dalla Consulta per i beni culturali di interesse religioso, con il compito di valutare il quadro complessivo dei dati e la stima del relativo fabbisogno finanziario per quanto concerne i beni culturali di interesse religioso (art. 4, lett. a)), al fine di poter poi procedere alla programmazione delle risorse per il loro recupero e alla definizione delle modalità e dei tempi di progettazione degli interventi (lett. b), c), d)) [10].

Per quanto già in precedenza fossero chiare le ragioni per favorire la collaborazione tra Stato e Chiesa, l'istituzione della Consulta e del Gruppo di lavoro sembra indicare implicitamente che le forme di coordinamento previste nel 2014 siano risultate troppo labili, inducendo di conseguenza alla creazione di forme nuove e più stabili di collaborazione.

Tuttavia, il Protocollo del 2014 sembra ancora applicabile in relazione agli indirizzi operativi di cui agli artt. 3 e 4, per quanto non risulti definito come debbano essere raccordati i compiti ivi previsti con le funzioni attribuite dal Protocollo del 2016 alla Consulta per i beni culturali di interesse religioso e al Gruppo di lavoro tecnico permanente: si può ipotizzare che la Consulta regionale per i beni culturali ecclesiastici, ai sensi del Protocollo del 2014, trasmetta i dati sia all'Uccr-Mibact, per la rilevazione dei danni, sia al Gruppo di lavoro, per la stima delle risorse necessarie e la programmazione degli interventi, mentre la risoluzione di eventuali problemi viene affidata alla Consulta per i beni culturali di interesse religioso. Certamente queste strutture costituiscono oggi le sedi di confronto ove i dati vengono prima raccolti e poi valutati, al fine di individuare i beni danneggiati, l'entità dei danni, gli interventi necessari e i relativi costi: i dati afferiranno innanzitutto ai danni, ma è palese che per valutare questi ultimi occorre innanzitutto condividere i dati relativi ai beni e alle loro caratteristiche.

Le disposizioni concordate sulla gestione del sisma evidenziano dunque non solo la consapevolezza della necessità di intervenire sui beni a partire dall'acquisizione di informazioni che devono essere reciprocamente comunicate, ma anche la volontà di condividere i dati e renderli disponibili. La circostanza del sisma, certamente drammatica, sembra anzi essere stata considerata, almeno per quanto si evince dal dettato dei Protocolli firmati, come un'occasione sia per rilevare l'effettiva presenza dei beni, sia per completare la catalogazione in concomitanza con il loro deposito presso laboratori di restauro.

2. L'impegno pattizio alla trasmissione delle informazioni nelle situazioni di calamità naturale

La disponibilità di informazioni riguardanti i beni, più o meno approfondite e aggregate, è alla base di qualsiasi attività di tutela e valorizzazione che non voglia essere meramente estemporanea: essa, però, diventa ancor più fondamentale nelle situazioni d'emergenza, in cui può fornire un'insostituibile guida per intervenire, segnalando i beni a rischio per la loro ubicazione o le loro condizioni conservative, guidando il loro collocamento nei depositi d'emergenza, supportando le scelte operative dei restauratori, prevenendo la sottrazione dei beni che spesso si verifica nei momenti di confusione che seguono l'evento sismico. A ciò si aggiunga il ruolo determinante che tali informazioni possono avere in termini preventivi, consentendo di adottare le cautele opportune prima del verificarsi della calamità naturale.

Gli episodi sismici degli ultimi anni hanno evidenziato la necessità di una gestione dell'emergenza sempre più improntata alla collaborazione tra autorità pubbliche e soggetti proprietari di beni culturali: del resto in un Paese come l'Italia, dotato di un patrimonio estremamente ricco e diffuso, un'opera sistematica di raccolta di informazioni non può essere portata avanti solo dallo Stato. La circostanza era chiara anche al legislatore all'atto della stesura del Codice, tanto che l'art. 17 prevede che l'attività di catalogazione dei beni sia svolta non solo dal ministero, ma anche dalle regioni e dagli altri enti pubblici territoriali, innanzitutto con riguardo ai beni loro appartenenti e, previe intese con gli enti proprietari, anche con riguardo agli altri beni culturali. Il metodo cooperativo è dunque indicato come il più idoneo, in assenza di un obbligo di legge in tal senso, a favorire la raccolta dei dati da parte dei soggetti diversi dagli enti territoriali.

Per quanto concerne la Chiesa Cattolica, proprietaria di uno straordinario patrimonio culturale, l'aspetto della raccolta e trasmissione dei dati era stato già in precedenza disciplinato da una serie di intese, proprio come oggi auspicato dall'art. 17. Esse, pur avendo un oggetto più ampio, non hanno trascurato di dimostrare una certa attenzione per questa attività: tale atteggiamento è stato certamente favorito dalla consapevolezza che - almeno dal punto di vista istituzionale - la Chiesa ha manifestato nel tempo con riguardo all'importanza sia della raccolta di dati precisi e completi relativi al proprio patrimonio, sia della collaborazione tra autorità ecclesiastiche e civili, da attuarsi, in primis, attraverso la trasmissione di tutte le schede informative già disponibili, onde far fronte alla mole dell'impegno, alla carenza di personale specializzato e alla necessità di adottare metodologie comuni alle Soprintendenze [11].

Il ricco complesso delle norme pattizie afferma ripetutamente e univocamente, con riguardo alle differenti tipologie di beni, la necessità e la volontà della cooperazione tra le autorità civili e quelle ecclesiastiche: inventariazione e catalogazione vengono costantemente presentate come attività imprescindibili alla cui realizzazione si sono impegnate entrambe le parti, concordando sia i criteri metodologici da adottare, sia la programmazione della materiale rilevazione dei dati. In più di un passaggio, sia nella documentazione ecclesiastica, sia negli accordi intercorsi con il ministero, si afferma altresì l'impegno a trasmettere all'altra parte la documentazione in proprio possesso al fine di garantire l'integrazione delle rispettive banche dati.

Può essere utile, sotto tale profilo, ricordare le principali norme pattizie che sanciscono questo impegno generale, verificando anche se e dove esso venga declinato con riguardo alle situazioni di emergenza sismica.

Nell'accordo tra la Repubblica italiana e la Santa Sede del 18 febbraio 1984, modificativo del Concordato lateranense del 1929, reso esecutivo nell'ordinamento statale con legge 25 maggio 1985, n. 121, all'art. 12, pur partendo dall'assunto che Stato e Chiesa cattolica "sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani", le parti hanno assunto l'impegno a collaborare per la tutela del patrimonio storico ed artistico: l'ambito cui si riferisce il termine "tutela" non è definito dall'intesa in oggetto, ma può a buon titolo essere considerato comprensivo della conoscenza dei beni e, quindi, dell'acquisizione delle relative informazioni, che della successiva azione conservativa formano il presupposto e il supporto imprescindibile.

In ogni caso, eventuali dubbi in merito all'inclusione della raccolta delle informazioni relative ai beni tra gli impegni oggetto dell'Accordo, sono dissolti dal successivo d.p.r. 4 febbraio 2005, n. 78 di "Esecuzione dell'intesa tra il Ministro per i beni e le attività culturali ed il Presidente della Conferenza episcopale italiana, firmata il 26 gennaio 2005, relativa alla tutela dei beni culturali di interesse religioso appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche" [12]. In questa sede, infatti, non solo è stato sancito un generale obbligo di informazione reciproca (artt. 3-4) [13], ma le parti si sono impegnate specificamente a collaborare per completare la catalogazione, condividere i dati raccolti e rendere reciprocamente accessibili le banche dati [14].

Tale impegno viene ribadito, in particolare, con riguardo alle calamità naturali che coinvolgano beni culturali di interesse religioso di proprietà ecclesiastica: in tali casi, infatti, il vescovo diocesano è tenuto a trasmettere al soprintendente competente per materia e per territorio ogni utile informazione ai fini del sollecito accertamento dei danni e argomentate valutazioni circa le priorità di intervento, legate alle esigenze di culto (art. 6, comma 5) [15]. Tale previsione deve oggi essere integrata con quella del Protocollo del 2014 che demanda alla Consulta regionale per i beni culturali ecclesiastici la trasmissione dell'elenco dei beni per i quali si richiede l'accertamento dei danni.

Il metodo collaborativo, attuato innanzitutto attraverso la trasmissione di dati e informazioni concernenti i beni, può dunque considerarsi formalizzato come lo strumento di realizzazione degli interventi di interesse di entrambe le parti, sia in circostanze di normalità, sia - a maggior ragione - in situazioni di emergenza come quella sismica.

Dello stesso tenore anche gli accordi relativi a beni archivistici e librari, a partire dal d.P.R. 16 maggio 2000, n. 189, di "Esecuzione dell'intesa fra il Ministro per i beni e le attività culturali e il presidente della Conferenza episcopale italiana, firmata il 18 aprile 2000, relativa alla conservazione e consultazione degli archivi d'interesse storico e delle biblioteche degli enti e istituzioni ecclesiastiche". Anche in questa sede, infatti, si era convenuto un impegno reciproco per promuovere l'inventariazione e la catalogazione del materiale, la condivisione dei criteri metodologici di raccolta e diffusione dei dati e la creazione di un'unica e omogenea rete informativa [16]: analogamente, con riguardo al caso delle calamità naturali, si prevedeva, sia per gli archivi che per le biblioteche, rispettivamente all'art. 4, comma 6 e all'art. 8, comma 1, lett. e), che le autorità ecclesiastiche e civili collaborassero per il sollecito accertamento dei danni e la valutazione delle priorità di intervento, nonché per il reperimento di mezzi e supporti tecnici e organizzativi necessari al deposito, alla sistemazione e al restauro del materiale danneggiato. Tutte attività, queste, che richiedono uno scambio di informazioni relative ai beni oggetto di intervento, anche se l'accordo non ne dettagliava specificatamente le modalità [17].

Si può pertanto ritenere che, a fronte del fatto che la normativa di settore non preveda per le autorità ecclesiastiche un dovere di svolgere attività di rilevazione e trasmissione dei dati concernenti il proprio patrimonio, le Intese stipulate tra lo Stato la Chiesa e i relativi atti attuativi abbiano fatto sorgere un vero e proprio impegno giuridico vincolante in tal senso.

La dottrina, peraltro, ha avuto modo di sottolineare come l'art. 9, comma 2, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nel prevedere la vincolatività delle disposizioni stabilite dalle intese concluse ai sensi dell'art. 12 dell'Accordo di modificazione del Concordato lateranense del 1984, abbia integrato nel corpus della normativa nazionale tali disposizioni, determinando un richiamo indiretto ai contenuti dell'art. 12 dell'Intesa e conferendo rango legislativo anche a quelle intese, concluse ai sensi di tale norma, che non fossero state assunte con un atto di simile natura [18].

L'impegno alla massima collaborazione tra autorità civili ed ecclesiastiche contenuto nell'accordo del 1984 deve dunque essere considerato come parte integrante del Codice e ritenuto vincolante secondo le varie declinazioni che esso ha assunto a seguito della stipula di accordi più specifici che dell'intesa del 1984 costituiscono le varie espressioni.

Tale considerazione implica, sul piano del contenuto degli impegni assunti, che la collaborazione sia dovuta tanto per quanto riguarda l'individuazione dei criteri e delle modalità con cui raccogliere i dati relativi ai beni, quanto per la programmazione di campagne di inventariazione e catalogazione, sia infine con riguardo alla condivisione delle informazioni e alla implementazione delle rispettive banche dati.

3. Il superamento convenzionale dei limiti alla comunicazione delle informazioni concernenti i beni culturali

Quanto al regime giuridico cui sono sottoposti i dati concernenti i beni culturali, compresi quelli raccolti in occasione del sisma o comunque necessari al fine di porre rimedio ai danni causati da quest'ultimo, occorre innanzitutto considerare il disposto dell'art. 17, comma 5, del Codice, come modificato dall'art. 2 del d.lgs. n. 156 del 2006, il quale detta due fondamentali prescrizioni, rispettivamente ai commi 5 e 6: la prima, secondo cui i dati raccolti mediante la catalogazione "affluiscono al catalogo nazionale dei beni culturali in ogni sua articolazione"; la seconda, per la quale "la consultazione dei dati concernenti le dichiarazioni emesse ai sensi dell'articolo 13 è disciplinata in modo da garantire la sicurezza dei beni e la tutela della riservatezza".

Tali previsioni implicano dunque, in primo luogo, che i dati raccolti debbano necessariamente confluire nel Catalogo nazionale, contribuendo a comporre quel quadro informativo complessivo che è alla base di tutta l'attività ministeriale di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. Se è vero che tale disposizione ha carattere generale e deve essere applicata ai dati raccolti in base alle intese a prescindere da quanto in esse stabilito, è vero altresì che gli accordi richiamati nel paragrafo precedente in diversi punti già prevedono l'implementazione delle banche dati. Emblematica, sotto quest'ultimo profilo, è la Convenzione del 2015 relativa agli archivi, laddove si arriva a puntualizzare alcuni elementi tecnici necessari a garantire l'interoperabilità delle rispettive banche dati. Per quanto concerne questo aspetto, dunque, la disposizione codicistica e quelle pattizie convergono e, pertanto, non vi è dubbio che le informazioni debbano confluire nella banca dati ministeriale.

In secondo luogo, quanto alla divulgazione dei dati raccolti, occorre operare alcune distinzioni. Innanzitutto, i limiti posti alla consultazione dei dati relativi ai beni vincolati in funzione della sicurezza di questi ultimi e della tutela della riservatezza sono di carattere generale e valgono naturalmente anche per i beni culturali ecclesiastici.

Essi implicano che i potenziali fruitori del Catalogo nazionale non possano avere accesso a tutti i dati raccolti, bensì solo a quelle informazioni che non implichino un superamento di tali limiti, soprattutto con riguardo all'esigenza di non esporre i beni a rischi derivanti dall'incauta e indiscriminata diffusione di informazioni.

La gestione di tale aspetto non presenta profili di particolare complessità, dal momento che i moderni strumenti informatici consentono di non rendere accessibili indiscriminatamente tutti i dati, ma di creare diversi livelli di riservatezza, così che, mentre tutti i dati dovranno essere visibili all'autorità preposta alla tutela - circostanza questa indispensabile affinché essa possa compiutamente espletare le proprie funzioni - agli altri soggetti le informazioni saranno diversamente accessibili a seconda del grado di riservatezza che si intende garantire. Del resto tale accesso diversificato è già una realtà attuale per quanto riguarda il Catalogo nazionale dei beni culturali [19].

Naturalmente tali limiti non hanno ragione di essere nei rapporti tra lo Stato e la Chiesa, dove la presenza di accordi specifici attesta il fatto che, a priori, le autorità ecclesiastiche firmatarie hanno ritenuto che la trasmissione di dati al ministero, sotto questi aspetti, non presentasse alcun profilo problematico: le specifiche disposizioni che impegnano a comunicare i dati, ovvero a rendere accessibili i beni per la raccolta di informazioni, determinano un'implicita affermazione che la condivisione dei dati risponda pienamente sia alla tutela della sicurezza dei beni - dal momento che i dati sono comunicati all'autorità di tutela per consentirle di svolgere le sue attività istituzionali, indubbiamente finalizzate a proteggere i beni e non certo a metterli a rischio - sia a quella della riservatezza della proprietà ecclesiastica, che mediante l'accordo ha volontariamente acconsentito a fornire le informazioni in oggetto.

Né si pone il problema dell'eventuale applicazione della legge 22 aprile 1941, n. 633 sulla "Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio", dal momento che gli enti ecclesiastici proprietari delle banche dati, pur non avendo ceduto espressamente i propri diritti, hanno convenzionalmente stabilito di comunicare allo Stato le informazioni, rinunciando implicitamente a far valere i relativi diritti di esclusiva e, al contrario, concedendone l'utilizzazione a titolo gratuito limitatamente agli usi necessari a perseguire la tutela e la valorizzazione dei beni da parte delle amministrazioni preposte.

Nei confronti del ministero, in particolare, il diritto "di vietare le operazioni di estrazione ovvero reimpiego della totalità o di una parte sostanziale" della banca dati, previsto dall'art. 102-bis, comma 3, della suddetta legge, deve ritenersi rinunciato in forza degli accordi in oggetto. Nei confronti dei terzi, invece, la possibilità di valutare quali informazioni non rendere fruibili ai sensi dell'art. 17, comma 6, del Codice potrebbe ritenersi conferita al ministero, sempre in base ai medesimi accordi: sotto questo profilo si può considerare che questi ultimi abbiano determinato un'implicita forma di trasmissione del diritto di cui all'art. 102-bis ai sensi del comma 10 del medesimo articolo, secondo cui "Il diritto di cui al comma 3 può essere ...trasmesso in tutti i modi e forme consentiti dalla legge".

4. Il sisma come occasione per il completamento della catalogazione e per una sistematizzazione della condivisione delle informazioni

Il quadro ricostruito nei paragrafi precedenti rende evidente come, sul piano normativo e degli accordi tra Stato e Chiesa, l'attività di raccolta, comunicazione e condivisione dei dati concernenti i beni culturali sia ampiamente disciplinata, con una dovizia di declinazioni che non ha pari nei rapporti con altri soggetti [20].

Eppure, nonostante queste attività siano state oggetto di accordi da oltre trent'anni, la situazione concreta dimostra che la catalogazione dei beni culturali di proprietà ecclesiastica non è ancora ultimata e che sovente la trasmissione delle informazioni tra autorità civili ed ecclesiastiche risulta difficoltosa, a detrimento della tutela e della valorizzazione del patrimonio culturale.

Tali aspetti critici sono stati evidenziati dagli eventi sismici degli ultimi anni. Poiché però non è la previsione di regole e strumenti a difettare, occorre individuare le cause che hanno determinato, in molti casi, la mancanza di un'effettiva cooperazione nella trasmissione dei dati concernenti i beni.

Al di là degli intendimenti e degli impegni ufficiali, la mappatura di una mole ingente di beni come quella di proprietà ecclesiastica non si presentava come rapida né semplice. È presumibile che notevoli difficoltà siano sorte dal fatto che molti enti ecclesiastici, soprattutto parrocchie, istituti di vita consacrata e società di vita apostolica, non avessero - e non abbiano tuttora - mezzi adeguati né personale specializzato in grado di provvedere alla catalogazione dei beni e che, di fronte alle necessità della gestione quotidiana, abbiano finito spesso per attribuire valore prioritario ad altre attività considerate più urgenti o importanti. La mancata trasmissione dei dati, in molti casi, trova dunque motivazione non tanto in una mancanza di volontà, quanto piuttosto in una causa più a monte, vale a dire nella difficoltà degli stessi enti ecclesiastici di reperirli e ordinarli.

Occorre dunque, innanzitutto, ripartire dagli accordi stipulati tra Stato e Chiesa per acquisire maggior consapevolezza non solo degli obblighi assunti reciprocamente con riguardo alla trasmissione delle informazioni, ma soprattutto del fatto che tali impegni - particolarmente nei casi di emergenza come gli eventi sismici - hanno lo scopo comune di facilitare e rafforzare l'azione di tutela del patrimonio ecclesiastico.

In secondo luogo, inoltre, è necessario tradurre questa rinnovata consapevolezza in un quotidiano lavoro di collaborazione. Lo Stato, in particolare, è chiamato ad accompagnare e sostenere - per quanto possibile - il completamento della catalogazione dei beni culturali ecclesiastici, non necessariamente mediante la partecipazione ai relativi costi bensì, innanzitutto, attraverso un affiancamento autorevole che sostenga, motivandola, la scelta di investire sulla catalogazione, l'individuazione di professionisti preparati, l'adozione di adeguate modalità di trasmissione dei dati raccolti e, più ancora, che dimostri sul piano dell'esperienza come la condivisione delle informazioni non sia un modo per consentire un'ingerenza ma per dare allo Stato una possibilità di intervento più efficace in caso di necessità.

In sintesi, diventa determinante cercare di sviluppare rapporti di collaborazione effettivi e costanti con le istituzioni ecclesiastiche, che non si limitino ai proclami di principio ma sappiano confrontarsi sul terreno delle esigenze concrete poste dalla tutela e dalla valorizzazione.

In particolare, il susseguirsi negli anni - talvolta a distanza anche molto ravvicinata, come in occasione dei sismi del 2014-2016 - della creazione di diverse strutture di collegamento, dimostra come l'organizzazione delle sedi concertative non abbia finora dato buona prova di sé. L'impressione, tuttavia, è che il problema risieda non tanto nella scelta della specifica forma organizzativa, quanto nel fatto che tali strutture riescano a costruire relazioni costanti con gli enti ecclesiastici, onde evitare che, in occasione di situazioni di emergenza come il sisma, riemergano le problematiche legate a una sostanziale estraneità, che talvolta si traduce addirittura in diffidenza, tra i soggetti che dovrebbero relazionarsi.

In occasione delle situazioni d'emergenza, infatti, gli interventi si presentano sempre in termini più drastici di quelli tipici della gestione ordinaria e i tempi a disposizione per porli in essere si riducono. In tali circostanze diventano determinanti la chiarezza degli obbiettivi e la tempestività con cui essi vengono perseguiti: è fondamentale, dunque, che chi pianifica e dirige gli interventi conosca i soggetti responsabili dei beni a cui rivolgersi e, viceversa; occorre poter disporre subito di una mappatura dei beni precisa e aggiornata e di un elenco di depositi in cui metterli in sicurezza, così da poter mobilitare subito i beni verso luoghi di custodia adeguati; infine, è indispensabile avere già consolidato delle procedure di intervento e averne verificato l'efficacia.

Pensare di riuscire a realizzare, in circostanze critiche come quelle dell'emergenza sismica, quello che non si riesce a fare in situazioni di normalità pare scarsamente realistico. Il sisma ha dimostrato infatti come un'azione di tutela davvero incisiva non possa essere affidata a interventi improvvisati ed estemporanei, che finiscono per risultare scoordinati e inefficaci.

Risulta dunque di fondamentale importanza che, a prescindere dal verificarsi di situazioni d'emergenza, i rapporti tra istituzioni civili ed ecclesiastiche si consolidino attraverso una costante interlocuzione, che prenda atto, da un lato, delle specificità di ciascun soggetto e dell'autonomia reciproca ma anche, dall'altro, del fatto che i beni culturali costituiscono una materia in cui gli interessi di Stato e Chiesa convergono e in cui la collaborazione consente di rispondere meglio ad attese similari concernenti la tutela e la valorizzazione.

A fronte di una notevole disponibilità di strumenti, occorre dunque rinsaldare la volontà di utilizzarli, cominciando dal rendere ordinaria la consultazione tra i diversi enti, così da evidenziare non solo la reciproca utilità della condivisione delle informazioni, ma anche da creare un clima di fiducia tra gli operatori che faciliti una collaborazione costante e fattiva innanzitutto nella gestione quotidiana.

Un'autorevole dottrina ha affermato che i procedimenti di salvaguardia, valorizzazione e gestione dei beni appartenenti ad enti religiosi dovrebbero essere qualificati come a "collaborazione necessaria" [21]. Affinché tale collaborazione porti ai frutti sperati, occorre che essa si traduca in un habitus mentale: ma, affinché questo accada, è gioco forza partire da un concreto modus operandi, dalla pratica della quotidiana collaborazione, nella consapevolezza che la conoscenza dei beni è il primo e ineludibile tassello di qualsivoglia azione di tutela e valorizzazione che aspiri ad essere davvero efficace e, pertanto, che è su questo terreno che si mette davvero alla prova la collaborazione tra istituzioni [22].

 

Note

[1] Dati tratti dal sito http://www.commissarioperlaricostruzione.it/Informare/Archivio-notizie/Ricostruzione-il-consuntivo-a-3-anni-dal-terremoto.

[2] Dati tratti dal sito http://www.regione.emilia-romagna.it/notizie/2016/maggio/ricostruzione-un-terzo-dei-beni-culturali-danneggiati-sono-chiese.

[3] Il testo è consultabile all'indirizzo http://bce.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/25/2017/01/protocollo_atttuativo_gestione_emergenza.pdf.

[4] Successivamente aggiornata dalla Direttiva 23 aprile 2015, avente lo stesso oggetto.

[5] Il testo è consultabile all'indirizzo http://bce.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/25/20150401Circ._0_2015-1.pdf.

[6] La Consulta regionale è un organo di consulenza della Conferenza episcopale regionale, presieduto dal Vescovo delegato per i beni culturali e composta dall'incaricato regionale e dagli incaricati diocesani, nonché dai rappresentanti degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica. I sedici incaricati regionali compongono la Consulta nazionale per i beni culturali ecclesiastici, quale raccordo tra l'Unbce e il territorio.

[7] Più precisamente, la procedura prevede che, per ciascun bene segnalato, la Consulta regionale, sulla base dei dati in suo possesso, trasmetta all'Uccr-Mibact la "Scheda di intervento sui beni mobili" compilata con i dati relativi all'anagrafica sia dell'edificio sia dei beni mobili presenti, così come risultanti nella banca dati della C.e.i. Successivamente, in fase di sopralluogo, le squadre di rilievo dei danni devono verificare l'effettiva presenza dei beni e l'eventuale necessità di metterli in sicurezza: l'Uccr deve poi trasmettere la scheda così perfezionata all'incaricato diocesano competente per territorio affinché questi compili la "Scheda di accompagnamento dei beni mobili rimossi". L'Uccr-Mibact provvede infine al completamento della scheda, nonché alla compilazione della "Scheda di pronto intervento", relativamente a tutti i beni delocalizzati, così da consentirne in seguito la valutazione e la messa in sicurezza.

[8] Il testo è consultabile all'indirizzo http://bce.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/25/2017/02/Protocollo-dintesa.pdf.

[9] Più precisamente si tratta degli "immobili adibiti ad uso scolastico o educativo pubblici o paritari per la prima infanzia e delle strutture edilizie universitarie, nonché degli edifici municipali, delle caserme in uso all'amministrazione della difesa e degli immobili demaniali o di proprietà di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, formalmente dichiarati di interesse storico-artistico ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, numero 42, e successive modificazioni" (art. 14, comma 1, lett. a) del d.l. n. 189/2016) e degli "edifici pubblici ad uso pubblico, ivi compresi archivi, musei, biblioteche e chiese, che a tale fine sono equiparati agli immobili di cui alla lettera a)" (art. 14, comma 1, lett. c) del d.l. n. 189/2016).

[10] Le suddette lettere indicano infatti quale compito del Gruppo di lavoro, in primo luogo, la programmazione delle risorse per il recupero dei beni culturali di interesse religioso, nei limiti di quelle assegnate: quanto ai criteri di priorità degli interventi, essi sono individuati nell'interesse che l'edificio riveste per le comunità di riferimento "purché aperto al pubblico ed effettivamente operante alla data del 24 agosto 2016" e nel "valore culturale dell'edificio e dell'eventuale rischio di aggravamento del danno e perdita del bene, a causa del non tempestivo intervento di salvaguardia e restauro dell'edificio che potrebbe danneggiare anche i beni culturali in esso contenuti" (lett. b)). In secondo luogo, il Gruppo di lavoro deve individuare le modalità di progettazione degli interventi, in considerazione del fatto che il ministero potrà richiedere l'elaborazione dei progetti all'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa (Invitalia). Per garantire la congruità dell'intervento con le esigenze liturgiche e pastorali è previsto che il commissario straordinario del governo consenta all'Ordinario diocesano o a un suo delegato di partecipare alla Conferenza regionale istituita dall'art. 16, comma 4, del decreto legge allo scopo di esaminare i progetti preliminari che necessitano di pareri ambientali, paesaggistici, di tutela dei beni culturali o ricompresi in aree dei parchi nazionali o delle aree protette regionali: essa è composta dal Vice commissario competente o da un suo delegato, da un rappresentante del Mibact, del ministero dell'Ambiente e della Tutela del territorio e del mare, del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, della Regione, degli enti locali competenti e dell'ente parco (lett. c)). Infine, il Gruppo di lavoro è chiamato a definire i tempi per la progettazione degli interventi a seconda della tipologia di progetto (preliminare o esecutivo) e della natura dell'intervento (riparazione con rafforzamento locale o con miglioramento sismico) (lett. d)).

[11] Già nel Codice di diritto canonico del 1983, il can. 1283, n. 2, istituiva l'obbligo per tutti gli amministratori di beni ecclesiastici, sia chierici sia laici, di redigere un accurato inventario dei beni immobili e mobili "comunque riguardanti i beni culturali", "con rigore scientifico per evitare soluzioni precarie e sperperi di risorse" al fine di favorire "l'attività di conoscenza, di salvaguardia e di valorizzazione del patrimonio storico-artistico di una comunità ecclesiale". In realtà sono molteplici i documenti ecclesiastici in cui si ribadisce l'importanza dell'attività di inventariazione e catalogazione: per citarne solo alcuni, si ricordino la "Lettera circolare ai Presidenti delle Conferenze episcopali della Congregazione per il clero" emanata l'11 aprile 1971, le "Norme. Tutela e conservazione del patrimonio storico-artistico della Chiesa in Italia" del 1° giugno 1974, l'"Istruzione in materia amministrativa" del 1° aprile 1992, il documento "I beni culturali della Chiesa in Italia. Orientamenti" del 9 dicembre 1992, la "Lettera della Commissione pontificia ai Presidenti delle Conferenze episcopali d'Europa" del 2 maggio 1994, la "lettera ai vescovi diocesani in materia di inventariazione e catalogazione" dell'8 dicembre 1999.

[12] Sul tema, A.G. Chizzoniti, L'Intesa 26 gennaio 2005 tra ministero per i beni e le attività culturali e la Conferenza episcopale italiana: la tutela dei beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche tra continuità ed innovazione, in Quad. dir. e pol. eccl., 2005, pag. 387 ss. L'Intesa ha abrogato e sostituito quella sottoscritta il 13 settembre 1996 fra le medesime autorità, resa esecutiva con il d.p.r. 26 settembre 1996, n. 571, in conseguenza della quale, peraltro, era stato poi stipulato l'Accordo per la catalogazione dei beni culturali del 1° febbraio 2001 tra l'allora ministero per i beni e le attività culturali e le regioni, che prevedeva il concorso di queste ultime alle attività di catalogazione dei beni ecclesiastici secondo modalità da concordare con la C.e.i. In merito sia consentito rinviare a V.M. Sessa, L'accordo Stato-regioni in materia di catalogazione dei beni culturali, in Aedon, 2001, 2.

[13] La sede per realizzare tale collaborazione è costituita da apposite riunioni tra i competenti organi centrali e periferici del ministero e i corrispondenti organi ecclesiastici, finalizzate a definire i programmi annuali e pluriennali, gli interventi e i relativi piani di spesa.

[14] Si afferma, infatti, che "l'inventariazione e la catalogazione dei beni culturali mobili e immobili di cui al comma 1 [di interesse religioso e appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche] costituiscono il fondamento conoscitivo di ogni successivo intervento. A tal fine, la C.e.i. collabora all'attività di catalogazione di tali beni curata dal ministero; a sua volta il ministero assicura, ove possibile, il sostegno all'attività di inventariazione promossa dalla C.e.i. e le parti garantiscono il reciproco accesso alle relative banche dati. Per l'attuazione delle forme di collaborazione previste dal presente comma, il ministero e la C.e.i. possono stipulare appositi accordi" (art. 2, comma 3).

[15] Era previsto inoltre che gli organi ministeriali ed ecclesiastici competenti si accordassero per garantire il deposito temporaneo dei beni mobili presso musei ecclesiastici, se muniti di idonei impianti di sicurezza, o musei pubblici presenti nel territorio, ovvero presso laboratori di restauro idonei, anche sotto il profilo della sicurezza, ad effettuare i necessari interventi conservativi.

[16] Su tale Intesa si veda A.M. Buzzi, L'Intesa fra il ministro per i beni e le attività culturali e la conferenza episcopale italiana, in Beni e attività culturali, 2001, pag. 115 ss.; G. Arone di Valentino, Nuovi orientamenti in tema di valorizzazione e tutela delle biblioteche ecclesiastiche, in Il dir. eccl., 2002, I, pag. 597 ss.; G. Senin Artin, Brevi annotazioni a proposito dell'Intesa sugli archivi di interesse storico e sulle biblioteche appartenenti ad enti ed istituzioni ecclesiastiche, in Quad. dir. e pol. eccl., 2000, pag. 495 ss. In seguito, una serie di convenzioni hanno disciplinato aspetti tecnici più specifici: si ricordino, ad esempio, la Convenzione tra l'I.c.c.d. del ministero per i Beni e le Attività culturali e la C.e.i. stipulata l'8 aprile 2002 con riguardo alle modalità di collaborazione per l'inventario e il catalogo dei beni culturali mobili appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche; la Convenzione tra l'Unbce della C.e.i. e l'Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche (I.c.c.u.) del ministero per i beni e le attività culturali circa la descrizione informatizzata dei documenti manoscritti del 15 novembre 2011; la Convenzione tra l'Unbce e il Mibact - Istituto centrale degli archivi, stipulata il 10 marzo 2015 per definire procedure condivise per l'aggiornamento dei rispettivi sistemi Bewed - Beni ecclesiastici in web e Sistema Archivistico Nazionale. In tutti questi documenti si ritrova l'impegno a uniformare le metodologie di raccolta delle informazioni, la loro confluenza in un unico sistema informativo e la loro reciproca accessibilità.

[17] La formulazione di pareri e proposte in ordine alla inventariazione e catalogazione era affidata a un gruppo permanente di lavoro istituito dall'Ufficio centrale per i beni librari, le istituzioni culturali e l'editoria e composto da due esperti dell'I.c.c.u., un esperto dell'Istituto centrale per la patologia del libro, due rappresentanti dell'ufficio centrale per i beni librari, le istituzioni culturali e l'editoria, due rappresentanti del Coordinamento degli assessori regionali alla cultura, tre rappresentanti della C.e.i., due rappresentanti dell'Associazione bibliotecari ecclesiastici italiani (A.b.e.i.), due rappresentanti degli organismi di coordinamento dei superiori e delle superiori maggiori degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica (art. 7).

[18] Cfr. A. Chizzoniti, Il nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio: prime considerazioni di interesse ecclesiastico, in Quad. dir. pol. eccles., 2004, pag. 401. Si tratta di norme di carattere essenzialmente procedimentale, che non devono essere considerate sostitutive, bensì solo integrative e attuative del regime ordinario, come ricordato da F.Margiotta Broglio, Articolo 9, in AA.VV., Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) M. Cammelli, C. Barbati e G. Sciullo, Bologna, 2007, pag. 87, e V.M. Sessa, Art. 9. Beni culturali di interesse religioso, in Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di) G. Leone, A.L. Tarasco, Padova, 2006, pag. 85 ss., cui ci si permette di rimandare. In particolare, secondo la ricostruzione della migliore dottrina, con tale accordo non è stato creato un regime differenziato di tutela concordata, ma una "normazione integrativa concordata" che deve tener conto sia delle esigenze di carattere religioso, sia di quelle legate alla tutela, valorizzazione e gestione dei beni culturali: essa indica la collaborazione come metodo operativo non solo per contemperare eventuali interessi contrastanti, ma anche per l'adozione in forma concordata dell'azione comune, una forma di "collaborazione nella libertà" (G. Pastori, L'art. 12 del Nuovo Concordato: interpretazione e prospettive di attuazione, in Jus, 1989, pagg. 83-84; Idem., I beni culturali di interesse religioso: le disposizioni pattizie e la normazione più recente, in Quad. dir. e pol. eccl., 2005, pag. 191 ss.) "che non altera l'ordine delle competenze di ciascuna parte (...) e che presuppone anzi il rispetto delle competenze e degli ordinamenti relativi, dei rapporti fra questi e delle riserve di competenza corrispondenti" (G. Pastori, L'art. 12 dell'Accordo 18 febbraio 1984 nel quadro dell'ordinamento giuridico italiano, in Beni culturali d'interesse religioso. Legislazione dello Stato ed esigenze di carattere confessionale, (a cura di) G. Feliciani, Bologna, 1995, pag. 30), così che "lo Stato è, e resta, pienamente sovrano nel definire le proprie competenze in materia" (C. Cardia, Tutela e valorizzazione dei beni culturali di interesse religioso tra Stato e Chiesa Cattolica, in Beni culturali d'interesse religioso, cit., pag. 57 ss.). Sull'inquadramento degli accordi del 1984 si vedano anche G. Della Torre, Lezioni di diritto ecclesiastico, Torino, 2002, pag. 252 ss. e P. Consorti, L'accordo tra Stato e Chiesa cattolica nella problematica delle fonti: le intese concordatarie, in Riv. trim. dir. pubbl., 1990, pag. 1137 ss.

[19] Per un'ampia illustrazione del funzionamento del Catalogo si veda L. Moro, Quale governance per il Catalogo nazionale dei beni culturali, in Aedon, 2017, 1.

[20] Neppure le intese con le altre confessioni religiose hanno trattato l'argomento con la stessa precisione: normalmente esse si limitano a prevedere la compilazione e l'aggiornamento dell'inventario dei beni culturali, come nel caso dell'art. 17 della legge 11 agosto 1984, n. 449, "Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le chiese rappresentate dalla Tavola valdese", e dell'art. 16 della legge 29 novembre 1995, n. 520, "Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa Evangelica Luterana in Italia (Celi)".

[21] S. Amorosino, I beni culturali di interesse religioso nell'ordinamento amministrativo italiano, in Riv. trim. dir. pubbl., 2003, pag. 375.

[22] È condivisibile l'opinione secondo cui "Che la nuova frontiera dei rapporti di cooperazione e di collaborazione istituzionale in materia di beni culturali consista, finalmente, nell'allestimento di un'organizzazione effettiva, seria e compiuta delle attività conoscitive e informative è attestato, d'altra parte, dai più recenti atti consensuali di rilievo nazionale sottoscritti in argomento dallo Stato, dalle regioni e dalla C.e.i." (M. Renna, I beni culturali di interesse religioso nel nuovo ordinamento autonomista, in Aedon, 2003, 2).

 

 



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