testata

Sulla tutela dei beni culturali

Il ritorno allo Stato della tutela bibliografica

di Andrea De Pasquale

Sommario: 1. Le origini dell'esercizio statale della tutela bibliografica (1902-1973). - 2. L'esercizio regionale della tutela bibliografica (1973-2015). - 3. Il ritorno della tutela bibliografico allo Stato e l'istituzione delle soprintendenze archivistiche e bibliografiche (2015-2016). - 4. Un particolare aspetto della tutela bibliografica: lo scarto.

The comeback of the protection of bibliographic cultural heritage to the State
This paper describes the history of the protection of bibliographic cultural heritage, from the first laws about the protection in 1919 to the creation of the "Soprintendenza Biliografica" in the Ministry of Education, from the policies of administrative federalism in the 70s, to the reallocation of the functions to the State and lastly the creation of "Soprintendenza Archivistica e Bibliografica" with Franceschini reform in 2015.

Keywords: Bibliographic heritage; Peripheral administration; Local government.

1. Le origini dell'esercizio statale della tutela bibliografica (1902-1973)

Le origini della tutela dei beni librari possono essere fatte risalire alla legge 12 giugno 1902, n. 185 promossa dal ministro Nunzio Nasi che ripresentava un disegno del predecessore Nicolò Gallo, con la quale venivano istituiti presso il ministero della Pubblica Istruzione degli specifici elenchi di monumenti e di "oggetti d'arte e d'antichità" di proprietà di enti o di privati che avrebbero dovuto subire delle limitazioni per la vendita e l'esportazione. Tra tali oggetti erano enumerati "i codici, gli antichi manoscritti, gli incunaboli, le stampe e le incisioni rare e di pregio" (art. 32).

Il provvedimento cercava di porre freno allo stato di abbandono di numerose biblioteche, sparse su tutto il territorio nazionale, pertinenti agli antichi conventi i cui ordini erano stati soppressi con le leggi del 1866 (estese poi nel 1873 ai territori dell'ex Stato Pontificio), e devolute ai comuni. Tale situazione aveva infatti portato a numerosi furti, trafugamenti e dispersioni sul mercato antiquario, e anche causato in molti casi il degrado dei volumi stessi. La norma era il successo della Società bibliografica italiana che in quegli anni aveva proprio denunciato la dispersione e la fuga all'estero di importanti raccolte librarie e materiali di biblioteca, auspicando l'estensione della tutela già prevista per le opere d'arte anche ai cimeli bibliografici, e in particolare all'opera del bibliotecario Giuseppe Fumagalli e del senatore Giovanni Codronchi, membro anch'egli della Società, che scrisse di suo pugno l'articolo di legge in questione [1].

La limitatezza del provvedimento, accompagnata dalla mancanza di cataloghi, resero però praticamente inefficace l'azione. Un successivo provvedimento cercò di definire una norma precisa sull'esportazione (legge 27 giugno 1903, n. 242). Il relativo regolamento (r.d. 17 luglio 1904, n. 431) prevedeva l'istituzione di una tassa differenziata per specifiche tipologie di oggetti: per "gl'incunaboli, cioè i libri impressi dall'origine della stampa a tutto l'anno 1500, e le stampe, le incisioni, i volumi manoscritti, i codici, ancorché miniati, e i manoscritti sciolti non posteriori all'anno 1500" era necessaria la licenza d'esportazione, rilasciata dagli uffici di esportazione afferenti alla direzione generale delle belle arti, mentre per i manoscritti e i libri a stampa dal 1500 al 1800 un semplice nulla osta che avrebbero rilasciato alcune biblioteche governative, individuate l'anno seguente con r.d. 27 agosto 1905, n. 498, in particolare quelle di Torino, Genova, Milano, Venezia, Parma, Modena, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Palermo e Cagliari.

Tale situazione era ratificata dal terzo regolamento organico delle biblioteche governative (r.d. 24 ottobre 1907, n. 733). Esso infatti, all'art. 10, introduceva il principio della sorveglianza da parte dello Stato sulle biblioteche governative.

La successiva legge 20 giugno 1909, n. 364 recepiva l'interesse per la tutela dei beni librari e inseriva tra le "cose" oggetto di tutela "i codici, i manoscritti, gli incunaboli, le stampe e le incisioni rare e di pregio", estendendo quindi a queste categorie di beni la possibilità di notifica e le conseguenti norme sull'obbligo di denuncia dei passaggi di proprietà e di possesso, di facoltà di prelazione da parte dello Stato e i divieti di esportazione e di acquisto coattivo in caso di esportazione stessa.

Il regolamento della legge (r.d. 30 gennaio 1913, n. 363) dettagliava con precisione (Capo V, art. 128, comma 1) le tipologie di beni librari sottoposti a tutela. Dichiarava infatti che la norma si applicava "a) Ai manoscritti notevoli per antichità, o per la materia scriptoria, o per la qualità del contenuto sia esterno (particolare pregio paleografico, autografia di personaggi illustri, ecc.), sia interno (valore storico, diplomatico, letterario, scientifico, artistico del testo, ecc.), per le ornamentazioni tanto esterne (antiche legature, ecc.), quanto interne (miniature e in genere ornamentazioni grafiche, a colori, ecc.); b) Alle stampe (incunaboli, edizioni di stampatori celebri, libri rari e incisioni rare)".

Precisava anche (Titolo II, Capo I) che "La vigilanza attribuita alle sovrintendenze sarà esercitata dalle biblioteche governative, a mente dell'art. 10 del regolamento organico per le biblioteche pubbliche governative, approvato con r.d. 24 ottobre 1907, n. 733. Quante volte sia richiesto il parere del Consiglio superiore per le belle arti o della Giunta di esso, sarà invece sentita la Giunta consultiva per le biblioteche istituita dal regolamento predetto. Per le riproduzioni fotografiche di cimeli conservati nelle biblioteche governative si osserveranno le disposizioni del r.d. 7 gennaio 1909, n. 126".

Si ribadiva che erano soggetti a denuncia per l'esportazione gli incunaboli e libri stampati fino al 1550, xilografie, incisioni, miniature e manoscritti non posteriori alla predetta data, mentre per i materiali posteriori occorreva la denuncia solo nel caso di avvenuta notifica.

Solo nel 1919 venivano costituite le soprintendenze bibliografiche, a distanza di ben 15 anni dalla nascita nel 1904 delle soprintendenze ai monumenti, agli scavi e musei archeologici e alle gallerie e musei, per le quali già esisteva dal 1913 un regolamento [2].

La loro attività venne contraddistinta fin dall'inizio da penuria di personale e mezzi. Innanzitutto, a differenza delle altre soprintendenze, esse non disponevano di una sede propria, né di personale. Addirittura la direzione di ciascuna di esse era affidata in aggiunta a uno dei direttori delle dodici biblioteche statali più importanti, alcune delle quali tra l'altro posizionate pure in regioni diverse da quelle in cui si esercitava la competenza: la Nazionale di Torino per il Piemonte e la Liguria, la Braidense di Milano per la Lombardia, la Marciana di Venezia per il Veneto, l'Universitaria di Bologna per l'Emilia, la Nazionale Centrale di Firenze per la Toscana, la Medicea Laurenziana di Firenze per le Marche e l'Umbria, la Nazionale Centrale di Roma per il Lazio, la Casanatense di Roma per gli Abruzzi e il Molise, la Nazionale di Napoli per la Campania e la Calabria, l'Universitaria di Napoli per le Puglie e la Basilicata, la Nazionale di Palermo per la Sicilia, l'Universitaria di Cagliari per la Sardegna.

I loro compiti erano duplici (art. 1, comma 2): da una parte "la tutela dei codici, degli antichi manoscritti, degli incunaboli e delle stampe e incisioni rare e di pregio", dall'altra "la conservazione e l'incremento delle biblioteche pubbliche". In particolare, come dichiarava il d.l. istitutivo 2 ottobre 1919, n. 2074, esse "vegliano sulla conservazione dei codici, degli antichi manoscritti, degli incunaboli, delle stampe e incisioni rare e di pregio possedute da comuni, da enti morali, o da privati, e curano la compilazione del catalogo generale e dell'elenco indicativo di detto materiale; 2) vigilano sulle raccolte incamerate e date in consegna a comuni e ad enti morali per devoluzione dei beni di corporazioni religiose soppresse e intervengono alla consegna delle raccolte stesse ai comuni e agli enti morali; 3) fanno le notificazioni dell'importante interesse [...]; 4) vigilano sulla scrupolosa osservanza delle disposizioni [... di] legge per quanto concerne le alienazioni e le permute delle raccolte possedute da enti morali e di quelle di importante interesse possedute da privati; 5) propongono al Ministro i restauri ai manoscritti antichi e le provvidenze idonee ad impedire il deterioramento del materiale bibliografico di alta importanza storica e artistica [...]; 6) propongono al Ministero gli espropri del materiale prezioso e raro che presenti pericolo di deterioramento e di cui il proprietario non provveda ai necessari restauri nei termini assegnatigli dal Ministero [...]; 7) esercitano le funzioni di uffici per l'esportazione [...]; 8) propongono gli acquisti di materiale prezioso e raro, ogni qualvolta ritengono debba essere esercitato dal Governo il diritto do prelazione [...]; attività9) operano le ricognizioni delle raccolte degli Enti e dei privati; 10) propongono gli aiuti da concedersi, sul bilancio del Ministero, alle biblioteche dei Comuni e degli Enti per l'ordinamento e l'incremento delle collezioni, e danno parere sulle domande di sovvenzione presentate dagli Enti medesimi; 11) promuovono l'istituzione di nuove biblioteche, e vigilano sulle biblioteche popolari, riferiscono al Ministero circa le condizioni di esse e il loro incremento; 12) preparano i dati per la statistica generale".

L'attività delle soprintendenze era quindi in prevalenza indirizzata verso la tutela del patrimonio bibliografico, con particolare riguardo a quello raro e di pregio, a partire dalla sua individuazione attraverso l'inventariazione e la vigilanza. Era evidente che oggetto precipuo era il materiale delle corporazioni religiose soppresse, ceduto ai comuni e agli enti morali, già a seguito del r.d. 7 luglio 1866, n. 3036.

Accanto a tali compiti legati al materiale antico, vi erano pure quelli della vigilanza sulle biblioteche aperte al pubblico e su quelle da realizzare, come del resto era previsto nel regolamento organico delle biblioteche governative del 1907, art. 10 che assegnava allo Stato la vigilanza sulle biblioteche non governative. Particolare attenzione doveva essere rivolta alle biblioteche popolari, potenziate per diffondere la cultura in tutti i comuni anche minori, secondo le indicazioni del d.l. lgt. 2 settembre 1917, n. 1521.

Le nomine dei soprintendenti, per le considerazioni sopra evidenziate circa la doppia funzione, stentarono ad essere assegnate e le prime ebbero luogo solo nel settembre 1920, ma l'effettiva operatività venne impedita dall'assenza di istruzioni e di procedure. Solo con la nascita della direzione generale delle accademie e delle biblioteche nel 1926 e la maggiore attenzione tributata al settore da parte del governo fascista, l'attività delle soprintendenze, favorita dal 1923 dalla creazione di ispettori onorari, scelti tra persone particolarmente competenti e a titolo gratuito (r.d. 23 settembre 1923, n. 2320 e circolare del 12 giugno 1928), prese vigore, indirizzandosi verso le biblioteche popolari anche a seguito della creazione, nel 1932, dell'Ente Nazionale per le Biblioteche popolari e scolastiche (ENBPS) e promuovendo un capillare censimento delle istituzioni bibliotecarie sul territorio.

Pochi anni dopo, nel 1925 (r.d. 2 ottobre, n. 575), venne riconosciuta l'indispensabilità di incrementare il numero delle soprintendenze a quindici, cercando così di sopperire alle esigenze di certe aree geografiche che erano trascurate a causa delle dislocazioni di alcune sedi. Vennero quindi create tre nuove sedi svincolate dalla presenza di biblioteca governativa, in particolare a Verona per il Veneto occidentale (trasferita successivamente a Gorizia presso la Biblioteca statale Isontina), a Pescara per l'Abruzzo e il Molise e a Bari per la Puglia e la Lucania.

La geografia d'Italia era quindi così suddivisa: presso la Biblioteca Nazionale di Torino era dislocata la soprintendenza per le province di Torino, Alessandria, Aosta, Cuneo, Novara e Vercelli; presso l'Universitaria di Genova quella per le province di Genova, Imperia, La Spezia, Massa Carrara e Savona (già staccata dal Piemonte fin dal 1933); presso la Braidense di Milano, quella per le province di Milano, Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Mantova, Pavia, Sondrio e Varese; presso la comunale di Verona quella delle province di Verona, Vicenza, Trento e Bolzano; presso la Marciana di Venezia, quella per le province di Venezia, Belluno, Gorizia, Fiume, Padova, Pola, Rovigo, Trieste, Udine e Zara; presso l'Estense di Modena, quella per le province di Modena, Ferrara, Parma, Piacenza e Reggio Emilia; presso l'Universitaria di Bologna, quella delle province di Bologna, Ancona, Ascoli, Forlì, Macerata, Pesaro e Ravenna; presso la Nazionale Centrale di Firenze, quella per le province di Firenze, Arezzo, Grosseto, Livorno, Lucca, Pisa, Pistoia, Siena; presso la Nazionale centrale di Roma, quella per le province di Roma, Frosinone, Perugia, Rieti, Terni e Viterbo; presso la Provinciale di Pescara, quella per le province dell'Aquila, Campobasso, Chieti, Pescara e Teramo; presso la nazionale di Napoli, quella per le province di Napoli, Avellino, Benevento, Catanzaro, Cosenza, Reggio Calabria e Salerno; presso la Consorziale di Bari, quella per le province di Bari, Brindisi, Foggia, Lecce, Matera, Potenza e Taranto; presso l'Universitaria di Catania, quella per le province di Catania, Messina, Ragusa e Siracusa; presso la Nazionale di Palermo, quella per le province di Palermo, Agrigento, Caltanissetta, Enna e Trapani; presso l'Universitaria di Cagliari, quella per le province di Cagliari, Nuoro e Sassari.

L'attività delle soprintendenze si incrementò ancora successivamente, a causa del moltiplicarsi della nascita delle biblioteche comunali sul territorio nazionale e dell'attenzione della direzione generale per queste ultime e per le biblioteche ecclesiastiche, popolari e anche private. Altre motivazioni furono l'assegnazione dei finanziamenti e il potenziarsi dell'attività di tutela, sia a fini conservativi, sia per recuperare sul mercato antiquario beni trafugati o esportati illegittimamente [3] che rese necessaria la formazione per il personale delle biblioteche popolari, ai sensi del r.d. 3 giugno 1935, n. 1240 [4]. Un ulteriore incentivo all'attività di tutela fu pure la nascita nel 1938 dell'Istituto della patologia del libro, specificatamente indirizzato alla conservazione e al restauro.

Precisi riferimenti ai materiali librari erano anche presenti nella celebre legge di tutela legge 1 giugno 1939, n. 1089, in cui comparivano, tra le cose d'interesse culturale, "i manoscritti, gli autografi, i carteggi, i documenti notevoli, gli incunaboli, nonché i libri, le stampe e le incisioni aventi carattere di rarità e di pregio". Essa inoltre dava indicazioni per "la notifica delle collezioni o serie di oggetti, che, per tradizione, fama e particolari interessi e caratteristiche ambientali, rivestono come complesso un eccezionale", tra cui vi erano anche le biblioteche.

L'attività proseguiva però con grandi difficoltà per scarsezza di personale competente, penuria di fondi, disagi nei trasporti e scomodi collegamenti, aree geografiche di intervento sterminate, incomprensione degli amministratori locali e dei bibliotecari delle istituzioni territoriali [5]. Il tutto senza la possibilità di disporre di uffici autonomi, del resto osteggiati dai direttori stessi delle biblioteche governative che ritenevano in questo modo depauperato il loro lavoro, già mal retribuito, che così avrebbero perso l'indennità per il doppio incarico. Tale disastrosa situazione precluse l'avvio di quegli interventi, auspicati e comuni con le altre soprintendenze, ma mai nei fatti realizzati, relativi alla schedatura delle cinquecentine, alla creazione di archivi fotografici regionali, al restauro dei beni in precario stato conservativo [6], nonché le notifiche di raccolte librarie e di pezzi singoli [7], cui si aggiunsero più tardi le necessarie ricognizioni negli istituti per le rilevazioni dei danni di guerra [8].

Finalmente nel 1948 i ruoli delle biblioteche governative vennero scorporati da quelli delle soprintendenze bibliografiche (d.l. 7 maggio 1948, n. 546), anche se nei fatti solo a partire dal 1952 e in maniera graduale nei due anni a seguire, nelle varie regioni l'incarico di direttore venne diviso da quello di soprintendente. Le consuete difficoltà e gli stessi problemi degli anni precedenti però rimasero, aggravati dalle esigenze di potenziare, dagli inizi degli anni '50, altre azioni differenti dalla tutela, in particolare lo sviluppo del servizio di pubblica lettura sul territorio nazionale, da parte della direzione generale, su stimolo e impulso di Virginia Carini Dainotti e in linea con il sistema inglese delle public libraries, al fine di portare a un'integrazione e sinergia tra le biblioteche statali e quelle degli enti locali [9]. Contestualmente, nel 1954, la direzione generale delle biblioteche istituì una commissione con il compito sia di revisionare il regolamento delle biblioteche statali, sia anche di stilare per la prima volta un regolamento degli uffici di soprintendenza. Tale regolamento, che avrebbe sicuramente aiutato nello svolgimento dell'azione amministrativa, rimase però irrealizzato e il provvedimento non portò quindi ad alcun risultato.

2. L'esercizio regionale della tutela bibliografica (1973-2015)

La commissione Franceschini, istituita nel 1964 esaminò anche i problemi dei beni librari, recependo le osservazioni dei bibliotecari, che avevano richiesto la soppressione dei limiti cronologici al fine di evitare la libera esportazione di materiali posteriori al 1550 e l'eliminazione del requisito relativo alle caratteristiche ambientali per le notifiche di collezioni. I bibliotecari, inoltre, avevano evidenziato l'esigenza di effettuare le ispezioni anche sulle biblioteche private non notificate, fino a quel momento precluse, e la necessità di precisare la responsabilità dei soprintendenti in merito alle mostre bibliografiche promosse dagli enti locali.

In sostanza la commissione rivolse particolare attenzione ai compiti delle soprintendenze, ritenendo doverosa la revisione delle loro aree di azione orientandola verso il territorio regionale; auspicando il potenziamento delle risorse umane e finanziarie; sollecitando la creazione di soprintendenze speciali per determinate categorie di beni come quelli musicali o per particolari servizi, l'emanazione di un regolamento quadro per le biblioteche di enti locali, l'avvio di un censimento del patrimonio, la creazione di un servizio pubblico di stima e la costituzione di fondi di finanziamento per il restauro o la catalogazione di raccolte private di pregio [10].

Di lì a poco, e nel corso della successiva Commissione Papaldo, attivata nel 1968, venne emanata la legge 16 maggio 1970, n. 281 che sancì il trasferimento alle regioni delle funzioni già esclusive dello Stato in materia di "musei e biblioteche di enti locali". Nonostante il soprintendente Francesco Barberi avesse fortemente auspicato lo scorporo delle soprintendenze in due uffici, uno per la tutela e l'altro per la diffusione della cultura [11], già nel dibattito della commissione Franceschini, le posizioni sulla tutela espresse da Giacinto Nudi ed Emanuele Casamassima, direttore della Nazionale di Firenze, fecero sì che con d.p.r. 14 gennaio 1972, n. 3 (ai sensi della legge delega 16 maggio 1970, n. 281) venissero trasferite alle regioni, insieme alle competenze statali amministrative sui musei locali, le funzioni relative all'istituzione, ordinamento e funzionamento delle biblioteche locali e di interesse locale (quindi non le statali), la manutenzione, l'integrità e il godimento pubblico delle raccolte e il coordinamento delle attività degli istituti.

A tali compiti si aggiunse nel 1977 la competenza sul servizio di pubblica lettura (d.p.r. 616/1977) e contestualmente, in base alla legge 281/1970, art. 17, considerandola attività residua, e non principale, come era invece al momento della loro fondazione [12], veniva anche trasferita tutta l'attività di tutela delle soprintendenze, delegandola alle regioni (artt. 8 e 9), delle quali sette (Basilicata, Calabria, Marche, Molise, Umbria, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia) non avevano una autonoma soprintendenza e tre (Veneto, Emilia-Romagna, Sicilia) ne annoveravano due per ciascuna [13].

Da quel momento le soprintendenze, insieme alle risorse umane che avevano scelto di lasciare l'amministrazione statale, passarono alle regioni con risultati variegati sul territorio nazionale: infatti, accanto a esempi virtuosi di grande attività e attenzione alle biblioteche, si verificarono situazioni di assoluta inerzia persino nel costituire un ufficio regionale da preporre allo svolgimento dei compiti sopra enunciati.

La competenza regionale è stata poi ribadita dal Testo unico dei beni culturali (art. 6, comma 4, e art. 2, comma 2, lett. c) e dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) che all'art. 5 recita: "2. Le funzioni di tutela previste dal presente codice che abbiano ad oggetto manoscritti, autografi, carteggi, incunaboli, raccolte librarie, nonché libri, stampe e incisioni, non appartenenti allo Stato, sono esercitate dalle regioni. Qualora l'interesse culturale delle predette cose sia stato riconosciuto con provvedimento ministeriale, l'esercizio delle potestà previste dall'articolo 128 compete al Ministero. 3. Sulla base di specifici accordi od intese e previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, di seguito denominata 'Conferenza Stato-regioni', le regioni possono esercitare le funzioni di tutela su carte geografiche, spartiti musicali, fotografie, pellicole o altro materiale audiovisivo, con relativi negativi e matrici, non appartenenti allo Stato". Allo Stato permaneva la "potestà di indirizzo e di vigilanza e il potere sostitutivo in caso di perdurante inerzia o inadempienza" (art. 6).

Lo stesso Codice ha inoltre riaffermato le competenze regionali in materia di tutela sui manoscritti, autografi, carteggi, posseduti da biblioteche non statali, cassando, con d.lgs. 24 marzo 2006, n. 156, la parola "documenti" la cui tutela, in quanto parte di archivio, spetta alla Stato, attraverso le soprintendenze archivistiche [14].

Ha poi sottolineato che, "Sulla base di specifici accordi od intese e previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, di seguito denominata 'Conferenza Stato-regioni', le regioni possono esercitare le funzioni di tutela su carte geografiche, spartiti musicali, fotografie, pellicole o altro materiale audiovisivo, con relativi negativi e matrici, non appartenenti allo Stato" [15], lasciando però nella sostanza indefinita la situazione e mantenendo tale materiale ancora in uno status di ambiguità e anche di "non tutela".

Tra le regioni solo l'Abruzzo, l'Emilia-Romagna (l.r. 42/1983) e il Lazio conservarono nella loro organizzazione uno specifico ufficio intitolato ancora soprintendenza bibliografia; le altre invece inserirono le competenze sulla tutela bibliografica all'interno della legislazione regionale inerente le biblioteche, spesso senza troppi approfondimenti [16]. La regione Emilia-Romagna, in una delibera (n. 309/2003) che approvava standard e obiettivi di qualità, dava indicazioni anche per la tutela bibliografica; la regione Piemonte ha emanato nel 2003 una delibera specifica (n. 52-9960 del 14.7.2003) che ha dettagliato l'esercizio della tutela dei beni librari [17]. Le altre, con l'emanazione soltanto di leggi generali sui beni culturali, si sono limitate per la tutela ad esaminare direttive e indicazioni pratiche [18], e a promuovere attività formative per i bibliotecari.

3. Il ritorno della tutela bibliografico allo Stato e l'istituzione delle soprintendenze archivistiche e bibliografiche (2015-2016)

Con d.l. 78/2015 convertito con modifiche in legge 125/2015, art. 16, comma 1-sexies, il Ministro Franceschini ha riportato nelle competenze dello Stato la tutela bibliografica.

Da tale provvedimento sono rimaste escluse le regioni a statuto speciale (Valle d'Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Sicilia, Sardegna e Trentino-Alto Adige, con le province autonome di Trento e Bolzano), nelle quali permane la competenza regionale. In ogni caso a tutte le regioni vengono mantenute le competenze di valorizzazione e promozione sulle biblioteche non statali già previste dalle leggi degli anni '70.

Si è così messo fine all'anomalo trasferimento alle regioni, che la differenziava da tutti gli altri settori dei beni culturali e che tra l'altro era in deroga al testo rinnovato dell'art. 117 della Costituzione che decreta la competenza esclusiva dello Stato in materia di beni culturali. Tale passaggio aveva già forti contraddizioni fin dalle origini ed era stato oggetto anche di accese contestazioni, a cominciare da quella del padre del ministero dei Beni culturali, Giovanni Spadolini che, nel 1975, in occasione dell'istituzione del ministero, ne aveva sottolineato il paradosso [19]. Anche la direzione generale delle biblioteche, unica senza competenze di tutela territoriale, aveva cercato, prima dell'emanazione dei decreti delegati del 1972, di contenere al minimo il trasferimento di competenze alle regioni, e ora vede finalmente riconquistare la dignità delle altre direzioni [20].

Si è così avverata la profezia del filologo Augusto Campana, membro della Commissione con delega per gli archivi e le biblioteche al momento delle leggi di trasferimento di competenze alle regioni, che, pur dichiarandosi non d'accordo, sottolineò "che tra 50 anni avrà ragione il professor Barberi", che, come si è detto, aveva sostenuto una netta distinzione tra attività di tutela da quella di promozione della lettura e delle biblioteche, suggerendo l'istituzione di due uffici diversi.

L'impegno della direzione generale biblioteche e istituti culturali si è rivolto immediatamente alle necessarie attività propedeutiche al ritorno della tutela libraria allo Stato. Il 2 settembre 2015 ha invitato le regioni, a concludere tutti i provvedimenti già avviati entro il 14 agosto, data di entrata in vigore della legge in questione, e successivamente, in data 26 ottobre 2015, ha siglato un accordo con la direzione generale degli archivi affinché le soprintendenze archivistiche, già capillarmente presenti sul territorio, provvedessero ad esercitare la tutela anche sui bei librari con la collaborazione di bibliotecari delle biblioteche statali. In data 28 ottobre ha poi siglato un altro accordo con la ex direzione generale belle arti e paesaggio, con il quale si avvaleva degli uffici esportazione costituiti in seno alle soprintendenze, opportunamente integrati con funzionari bibliotecari per i pareri di competenza, per il rilascio degli attestati di circolazione temporanea per mostre (esportazione e importazione) richiesti da enti o da librai per mostre mercato, aste librarie estere, e per libera circolazione e relativa uscita definitiva dal territorio nazionale, e, se negato, proposta alla soprintendenza archivistica e bibliografica di avvio di procedimento di dichiarazione di interesse culturale o di acquisto coattivo; rilascio di licenza di esportazione per le uscite extra UE. Con nota del 20 dicembre 2015 si è anche chiarito che per le pratiche relative a beni librari potrà essere utilizzato il sistema informatico SUE (Sistema uffici esportazione).

Con d.m. 23 gennaio 2016, n. 44, art. 5 sono state costituite in tutte le regioni, ad eccezione di quelle a statuto speciale, le soprintendenze archivistiche e bibliografiche (Piemonte; Lombardia; Liguria; Veneto e Trentino-Alto Adige, ma solo per la prima regione; Emilia-Romagna; Toscana; Lazio; Umbria e Marche; Abruzzo e Molise; Campania; Puglia e Basilicata; Calabria), che, pur essendo emanazioni della direzione generale degli archivi, rispondono funzionalmente per le competenze sui beni librari alla direzione generale biblioteche e istituti culturali. Al loro interno è stata prevista un'area funzionale dedicata, denominata "patrimonio bibliografico". La soluzione adottata, pur non propriamente ottimale poiché unisce due settori afferenti a due distinte direzioni generali, ha tenuto tuttavia conto della capillarità della presenza delle soprintendenze archivistiche sul territorio, delle affinità tra i due ambiti e dell'impossibilità di incremento dei posti dirigenziali conseguenti all'istituzione di soprintendenze bibliografiche autonome, pur magari circoscritte ad un numero più ristretto, assegnando ad esse compiti sovraregionali, come era stato alle origini. Non praticabile sarebbe stata pure l'assegnazione dell'esercizio della tutela bibliografica alle biblioteche statali, considerato che la riforma ha nettamente distinto, per tutti gli altri settori, le competenze di tutela territoriale da quelle di conservazione e gestione del patrimonio.

Al servizio II - Patrimonio bibliografico e diritto d'autore della direzione generale delle biblioteche e istituti culturali sono stati assegnati, con decreto del direttore generale del 4 marzo 2016, le funzioni di tutela in materia di beni librari di proprietà non statale e la cura dei rapporti con le soprintendenze archivistiche e bibliografiche.

Fino al 15 settembre 2016 le soprintendenze trasmettevano alla direzione generale biblioteche i risultati dell'istruttoria e quest'ultima emetteva il provvedimento finale. Ora, con nota del 20 luglio 2016 del direttore generale delle biblioteche, a seguito anche di quanto rappresentato dalla direzione generale archivi che invitava a dare seguito alla riforma, attribuendo appieno alle soprintendenze le competenze sulla tutela bibliografica, in analogia a quelle da sempre svolte per i beni archivistici (d.p.c.m. 29 agosto 2014, n. 171, art. 36), viene conclusa la fase di sperimentazione ormai dopo un anno dalla legge e viene attribuito alle soprintendenze la totalità dei procedimenti amministrativi, dalla fase istruttoria all'atto finale. La direzione generale delle biblioteche si riserva il coordinamento delle attività delegate, la redazione di linee guida e di indirizzo e la promozione di buone pratiche.

In questa prima fase, nelle more della definizione di un proprio organico, le soprintendenze per lo svolgimento dei loro compiti si sono avvalse della collaborazione di bibliotecari in servizio nelle biblioteche statali. Nel d.m. 14 settembre 2016 rettificato con d.m. 19 settembre 2016, che definisce l'organico del ministero dei Beni culturali, è stato previsto per ciascuna soprintendenza un numero di bibliotecari congruo per le funzioni di tutela del patrimonio bibliografico, tenendo conto dell'estensione territoriale di competenza, e in particolare con la dislocazione di quattro bibliotecari nelle regioni con maggiore ampiezza (Piemonte, Lombardia, Emilia, Toscana, Lazio, Campania, Puglia e Basilicata, Veneto e Trentino-Alto Adige) e due bibliotecari nelle altre. Il prossimo concorso per 500 funzionari di area III F1 che prevede la copertura di 25 posti per bibliotecari e l'auspicabile contestuale attivazione di procedure di mobilità e di ampliamento dei posti potranno coprire, almeno in parte, le vacanze, ponendo le basi per rendere quindi operative a pieno regime le soprintendenze. Parallelamente è anche in progetto la costituzione degli uffici di esportazione specifici per i beni archivistici e librari, distinti da quelli per gli altri beni culturali.

4. Un particolare aspetto della tutela bibliografica: lo scarto

La tutela dei beni librari si esercita, ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 3) sulle seguenti tipologie di beni culturali (art. 10, comma 2, lett. c; comma 3, lett. c): le raccolte delle biblioteche dello Stato; le raccolte delle regioni; le raccolte degli altri enti pubblici territoriali; le raccolte librarie appartenenti a privati, dichiarate di eccezionale interesse culturale.

Sono altresì beni librari, se è intervenuta per essi la dichiarazione di interesse culturale (art. 10, comma 3, lett. c-d): i manoscritti, gli autografi, i carteggi, gli incunaboli, i libri, le stampe, le incisioni con relative matrici aventi carattere di rarità e di pregio, le carte geografiche, gli spartiti musicali aventi carattere di rarità e di pregio, le fotografie, con relativi negativi e matrici, le pellicole cinematografiche e i supporti audiovisivi in genere, aventi carattere di rarità e di pregio.

Si tratta di materiale che solo in parte può essere considerato tout-court bene librario, perché esso, a seconda del contenitore che lo accoglie, può appartenere alla categoria dei beni archivistici (come i carteggi, ben presenti negli archivi privati, o anche le fotografie e i materiali cinematografici) o dei beni storico-artistici (come le stampe, le incisioni, le carte geografiche e le fotografie).

L'attività di tutela si svolge attraverso specifiche linee di azione, indirizzate anche agli altri beni culturali, consistenti nei seguenti aspetti: l'individuazione e l'identificazione dei beni stessi (artt. 10-11); la dichiarazione di interesse culturale per i beni appartenenti a privati (artt. 13-14); l'inventariazione e la catalogazione (artt. 17, 118); la conservazione, con la verifica dell'idoneità dei depositi di conservazione, e il restauro con il rilascio delle relative autorizzazioni (artt. 29-33); i procedimenti per alienazioni, permute, le verifiche di denunce di furti, l'autorizzazione per i trasferimenti di sede (artt. 21, 53-59); la prelazione (artt. 60-62); l'acquisto coattivo (art. 70); l'espropriazione (art. 95, comma 1); le verifiche e i controlli sul commercio librario (artt. 63-64) [21]; l'esportazione temporanea e definitiva (artt. 65-68, 74); il prestito per mostre con il rilascio degli attestati di libera circolazione e di licenze per l'esportazione temporanea (in caso di mostre) o definitiva (art. 21, comma 1, lett. b; art. 48); il comodato, il deposito, la custodia coattiva (artt. 43-44); la riproduzione con le relative autorizzazioni previa verifica conservativa (artt. 107-110); le ispezioni per accertare l'esistenza e lo stato di conservazione o di custodia dei beni (artt. 18-19).

Tra le competenze ritornate allo Stato c'è anche quella relativa allo scarto bibliografico (art. 10, comma 2, lett. c; art. 21, comma 1, lett. d). Si tratta di un'operazione che nelle biblioteche statali, a cui generalmente sono assegnati compiti di conservazione, è sempre stata esclusa e che è consentita solo a partire dal 2013, ma solo secondo determinate modalità e criteri, con un apposito decreto emanato dalla direzione generale biblioteche (d.d.g. 16 novembre 2013).

Nelle biblioteche non statali, con particolare riguardo a quelle di pubblica lettura, dove prevale l'interesse contenutistico dei volumi e non quello di oggetti in sé come beni culturali, lo scarto e la conseguente dismissione del materiale, è sempre stata una pratica consueta atta a svecchiare il patrimonio, che può essere aggiornato con acquisizioni recenti, garantendo nello stesso tempo la sopravvivenza dello spazio nei depositi.

Ai sensi del suddetto accordo tra la direzione generale biblioteche e la direzione generale archivi del 26 ottobre 2015, l'autorizzazione allo scarto è stata assegnata alle soprintendenze archivistiche e bibliografiche.

Le biblioteche non statali devono pertanto inviare la richiesta di autorizzazione allo scarto alla soprintendenza archivistica competente per territorio, che dopo avere acquisito il parere tecnico scientifico del bibliotecario a cui è affidata l'istruttoria, trasmette la pratica alla direzione generale biblioteche per il rilascio del provvedimento finale.

I criteri da seguire per l'autorizzazione allo scarto sono gli stessi indicati dal decreto dirigenziale del novembre 2013, che vengono quindi estesi a tutte le biblioteche. Una prima modalità da osservare riguarda la domanda [22] che deve essere corredata oltre che dall'elenco dettagliato del materiale che si intende scartare, da un verbale del direttore della biblioteca da cui devono evincersi "le motivazioni che inducono allo scarto in accordo con il carattere distintivo della biblioteca e delle sue raccolte".

Riprendendo integralmente il decreto dirigenziale del novembre 2013, sono state minuziosamente elencate le tipologie di materiali per cui è possibile lo scarto: giornali, quotidiani e periodici; gazzette e bollettini ufficiali; repertori, enciclopedie e dizionari; manuali scolastici e universitari; materiale didattico in genere; pubblicazioni a fogli e/o fascicoli mobili soggette ad aggiornamento periodico; volumi mutili o posseduti in più copie; basi dati su supporti magnetici od ottici; microfilm e microfiche; ristampe; materiale cosiddetto minore quali annunci economici e di vendite, annunci pubblicitari, bollettini ecc. Viene escluso dallo scarto il materiale antico, raro o di pregio e il materiale pervenuto come deposito legale e parte dell'archivio regionale (d.p.r. 3 maggio 2006, n. 252, art. 4).

Tale materiale potrà in ogni caso essere scartato solo se risulta deteriorato in misura tale da rendere impossibile la fruizione del bene, senza possibilità di recupero del supporto o, se materiale multimediale, per obsolescenza tecnologica, sempre che non sia pervenuto per deposito legale; se è presente almeno una copia sostitutiva, anastatica, in fotoriproduzione o digitale o se è incoerente con le raccolte della biblioteca, solo se essa è presente in una biblioteca aperta al pubblico sita nella stessa regione oppure esista una riproduzione digitale di cui è garantita la conservazione a lungo tempo. In questa seconda ipotesi, si dà la possibilità, nel caso di obsolescenza dei contenuti "intesa come esaurimento dell'utilità della pubblicazione in connessione con l'aggiornamento della stessa o con il venir meno della sua funzione primaria", che la presenza della pubblicazione sia verificata sull'interno territorio nazionale. Quest'ultima clausola quindi permette di soddisfare le esigenze delle biblioteche pubbliche, il cui scarto è generalmente legato alla perdita di valore informativo e contenutistico delle pubblicazioni.

 

Note

[1] G. Fumagalli, La tutela dei cimeli bibliografici, in Rivista delle biblioteche e degli archivi, XIII (1902), pagg. 24-25; C. Giunchedi - E. Grignani, La Società bibliografica italiana, pag. 85, n. 30.

[2] In generale: F. Cristiano, Dal centro alla periferia: le soprintendenze bibliografiche, in Archivi di biblioteche. Per la storia delle biblioteche pubbliche statali, Roma, Edizioni d'arte e letteratura, 2002, pagg. XCVI-CXLVII; G. Solimine, La politica dell'Amministrazione centrale per le biblioteche pubbliche: le soprintendenze bibliografiche e la presenza sul territorio, in Tra passato e futuro, cit., pagg. 153-170, ripreso da Id., Le soprintendenze bibliografiche come strumento di una politica centralista per le biblioteche pubbliche, in La biblioteca e il suo tempo. Scritti di storia della biblioteca, Manziana, Vecchiarelli, 2004, pp. 189-212; L. Bellingeri, Tra tutela e promozione. I due volti delle soprintendenze bibliografiche, in Quaderni estensi, 2012, IV, pagg. 105-125; E. Arioti, Gli archivi delle soprintendenze bibliografiche: riflessioni a margine di alcuni interventi di inventariazione, ibid., pagg. 135-152.

[3] Sull'attività delle soprintendenze in quegli anni: A. Bruschi, Le Soprintendenze bibliografiche: organamento e funzionamento, in Primo congresso mondiale delle biblioteche e di bibliografia, Roma-Venezia 15-30 giugno 1929, Roma, Libreria dello Stato, 1932, vol. III, pagg. 265-276; F. Barberi, Problemi delle Soprintendenze, in Accademie e biblioteche d'Italia, 1938, XII, pag. 296-3068 (relazione presentata al Convegno Nazionale dei bibliotecari italiani, Bolzano-Trento 1938); R. Papò, Il cinquantenario delle soprintendenze bibliografiche, in Accademie e biblioteche d'Italia, 1954, XXII, pagg. 385-398.

[4] T. Bozza, Soprintendenze bibliografiche e corsi per dirigenti delle biblioteche popolari, in Accademie e biblioteche d'Italia, 1954, XXII, pagg. 409-418.

[5] Come nel caso di F. Barberi, Schede di un bibliotecario (1933-1975), Roma, AIB, 1984, pagg. 21-62, che descrive la sua attività di soprintendente in Puglia dal 1935 al 1944.

[6] Cfr. la relazione, presentata al VI congresso dell'associazione italiana biblioteche tenutosi a Napoli nel 1940, da F. Barberi, L'avvenire delle soprintendenze, in Accademie e biblioteche d'Italia, 1940, XIV, pagg. 416-423.

[7] Dalla pubblicazione Manoscritti e libri rari notificati, Roma, Ministero della Pubblica Istruzione, 1948 si evince che dalle origini al 1947 le notifiche sono state appena 239, una cifra a dir poco ridicola.

[8] A. Paoli. "Salviamo la creatura". Protezione e difesa delle biblioteche italiane nella seconda guerra mondiale, con saggi di G. De Gregori e A. Capaccioni, presentazione di M. Guerrini, Roma, AIB, 2003.

[9] V. Carini Dainotti, La biblioteca pubblica in Italia tra cronaca e storia, Firenze, Olschki, 1969; Virginia Carini Dainotti e la politica bibliotecaria del secondo dopoguerra, in Bollettino AIB, 1999, 39, n. 4. Sull'attività delle soprintendenze cfr. anche gli inventari degli archivi di quelle della Liguria e dell'Emilia-Romagna: L'archivio della soprintendenza per la Liguria e la Lunigiana, a cura di M.G. Billi e S. Giusti, Genova, Regione Liguria, 2003; Gli archivi delle soprintendenze bibliografiche per l'Emilia-Romagna. Inventario, Bologna, Editrice Compositori, 2010. Sui soprintendenti: Dizionario biografico dei soprintendenti bibliografici (1919-1972), Bologna, Bononia University Press, 2011.

[10] A. Vinay, La commissione Franceschini e le biblioteche, in I congressi 1965-1975 dell'Associazione italiana biblioteche, a cura di D. La Gioia, Roma, AIB, 1977, pagg. 87-93, riedito in Angela Vinay e le biblioteche. Scritti e testimonianze, Roma, ICCU-AIB, 2000, pagg. 203-211.

[11] F. Barberi, in Per la salvezza dei beni culturali in Italia. Atti e documenti della Commissione d'indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, vol. II, Roma, Colombo, 1967, pagg. 453-454.

[12] Il trasferimento risentì dell'attenzione del momento per la creazione delle biblioteche pubbliche nei comuni e per l'attenzione per il servizio di informazioni bibliografiche correnti, a discapito dell'interesse per i libri antichi e dei bibliotecari conservatori: V. Jemolo - M. Morelli, Alla ricerca di un'identità. Variazioni sul tema "il bibliotecario conservatore", in Bollettino d'informazione AIB, n.s., 1983, XXXIII/2, pagg. 121-133.

[13] V. Carini Dainotti, Le soprintendenze ai beni librari e la tutela nella bufera delle ristrutturazioni dei trasferimenti e delle deleghe, in Miscellanea di studi in memoria di Anna Saitta Revignas, Firenze, Olschki, 1978, pagg. 119-147.

[14] In tale elenco risultavano, fin dalla legge 1 giugno 1939, n. 1089, art. 1 pure i "documenti notevoli" dopo i carteggi, includendo tra il materiale librario evidentemente quelle raccolte di documenti sciolti, notevoli perché significativi per supporto scrittorio, particolarità paleografica o per antichità, che, già ab antiquo erano stati scorporati dagli archivi ed erano andati a confluire nelle biblioteche, valorizzando il loro valore culturale e non amministrativo. Tale confusione ritornò ancora nel Testo unico dei beni culturali del 1999 (d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490) e solo la modifica effettuata nel 2006 al Codice dei beni culturali e del paesaggio ha sanato l'originaria ambiguità ricongiungendo i documenti ai beni archivistici: G. Sciullo, La tutela dei beni librari, in Aedon, 2006, 2.

[15] D.lgs. n. 42/2004, art. 5, comma 3.

[16] Tra i vari contributi al tema si citano: A. Gualdani, Tutela e gestione del patrimonio librario, Padova, Cedam, 2004; A. Petrucciani, regioni e biblioteche: un'occasione mancata, in L'Italia e le sue regioni. L'età repubblicana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2015, pagg. 563-581.

[17] È suddivisa nelle seguenti sezioni: Adozione di criteri e procedure, con specifici articoli dedicati ai seguenti argomenti: individuazione dei beni librari oggetto di tutela; dichiarazione di particolare o eccezionale interesse; restauro; alienazione; prelazione; commercio; esportazione definitiva e temporanea; prestito per mostre e, in allegato, indicazioni per furti e affidamento dei lavori di restauro.

[18] Tra queste si segnala la pubblicazione della regione Lombardia: Beni librari e documentari. Raccomandazioni per la tutela, a cura di O. Foglieni, Milano, 2007.

[19] Ministero per i Beni culturali e Ambientali, I beni culturali dall'istituzione del Ministero ai decreti delegati, Roma, Ufficio centrale per i beni ambientali, architettonici, archeologici, artistici e storici, 1976, pag. 76.

[20] P. Traniello, Biblioteche e regioni, Firenze, Giunta regionale toscana, 1985, pagg. 27-45.

[21] Sulle problematiche del commercio libraio: G. Magri, Alcune considerazioni sul mercato del libro antico dopo la legge 6 agosto 2015, n. 125, in Aedon, 2015, 2.

[22] Tale testo è disponibile all'URL: http://www.librari.beniculturali.it/opencms/opencms/it/dirgenerale/servizioii/Scarto_bibliografico.



copyright 2017 by Società editrice il Mulino
Licenza d'uso


inizio pagina