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Il patrimonio culturale tra pubblico e privato: modelli organizzativi e strumenti giuridici

A proposito di Grande Brera

di Stefano Baia Curioni

Sommario: 1. Il caso. - 2. Fondazione, gestione privatistica del bene pubblico e ingresso di risorse dalla società civile. - 3. Gli storici dell'arte in trincea. - 4. La paura dell'esclusione sociale. - 5. "Non toccate la donna bianca". - 6. Il nodo progettuale. - 7. Inadeguatezze normative di contesto. - 8. The end.

Grande Brera: A Case of Cultural Policy in Italy
In the early Seventies of XX century the visionary impulse of Franco Russoli shaped the project of Grande Brera: the project was based on the idea of expanding the world famous Pinacoteque in the whole Brera palace, with an extension of the exhibition spaces in the Citterio palace, in order to include the extraordinary modern and contemporary art collections donated by some important families to the Italian state. After almost 40 years the project was still unaccomplished. In summer 2012 the Italian Minister of Cultural Heritage announced an agreement aimed at relaunching the project with an investment of 23 mn euro. As a consequence of this announcement a sharp and dramatic public debate took places. The case is used in this article in order to offer some interpretative hypothesis on the actual condition of public cultural policies in Italy.

1. Il caso

Dal mese di agosto 2012 Il dibattito sulle sorti del nostro patrimonio culturale, stagnante da alcuni mesi, si è violentemente riattivato per l'annuncio di un rilancio del progetto Grande Brera. I fatti all'origine della querelle, sono facilmente riassumibili.

Tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta Franco Russoli, allora soprintendente della Pinacoteca di Brera, concepisce il disegno, venato di slanci utopici e di un forte interesse per il contatto tra arte antica e contemporanea, di espandere, anzi "esplodere", il museo nel quartiere di Brera. In breve tempo si identifica Palazzo Citterio come possibile sede espositiva (assieme alla chiesa di S. Carpoforo), collegabile al complesso della Pinacoteca tramite il bellissimo orto botanico, e raccoglie le donazioni delle collezioni Jucker e Jesi, ricche di importantissimi capolavori, testimoni della straordinaria dimensione internazionale del collezionismo milanese degli anni Cinquanta e Sessanta. L'energia di Russoli mobilita un investimento di 1 miliardo e 480 milioni di lire del 1972 [1] per l'acquisizione del complesso. La morte precoce del soprintendente, mescolata ad una malcelata ostilità da parte del ministero (a cui si lega la mostra provocatoriamente chiamata da Russoli "Processo al Museo" [2]) interrompe di fatto lo sviluppo del progetto, che però aleggia sulla città e riemerge carsicamente: la Pinacoteca è sviluppata in spazi insufficienti e il Palazzo Citterio resta incompiuto come monito sulle spalle del ministero. Nel 1984 prende vita con una mostra di Alberto Burri. Nel 1986 la Fondazione San Paolo investe 21 miliardi di lire in un progetto di ristrutturazione di James Stirling, ma la spinta propulsiva si esaurisce ben presto. Poi nulla per anni fino alla mostra "L'isola dei porci" di Paul McCarthy organizzata dalla Fondazione Trussardi nel 2010, l'affidamento dell'incarico a Mario Bellini e i successivi commissariamenti, di fatto incapaci di produrre esiti. Questo fino alla primavera dello scorso anno: il 22 giugno 2012 il decreto legge, n. 83 conferisce in uso ad una costituenda Fondazione di diritto privato, la collezione della Pinacoteca di Brera nella prospettiva di ampliare gli spazi espositivi del museo, integrandoli con il polo museale di Palazzo Citterio, e gestire la costruzione del nuovo campus dell'Accademia di Brera nella Caserma Mascheroni. Tale decreto è convertito in legge nel mese di agosto. Contestualmente 23 milioni di euro del Cipe sono destinati a finanziare parzialmente i lavori. In ottobre il ministro Mibac Lorenzo Ornaghi incontra Giuseppe Guzzetti di Cariplo e il presidente Sangalli di Camera di Commercio, e si produce una sostanziale convergenza di vedute in direzione della costituzione della nuova istituzione, con l'assenso del comune di Milano e in particolare di Stefano Boeri. Nel mese di dicembre la sovrintendente milanese Bon Valsassina annuncia che le risorse pubbliche (che coprono meno del 20% del totale previsto per l'intervento), saranno destinate in larga parte al progetto di Palazzo Citterio e poi al rifacimento dei coppi del palazzo di Brera e al trasferimento degli ingenti archivi militari attualmente custoditi presso la caserma Mascheroni in modo da rendere effettivamente disponibile l'impianto.

Questi i fatti. Segnali di un motore che si avvia dopo una lunga stasi e, in sostanza, l'annuncio - perché in assenza di certezze sui contributi privati di questo si tratta - che il progetto di conversione della pinacoteca di Brera in un nuovo polo museale è ufficialmente rilanciato. Dopo un quarantennio di promesse e fallimenti puntualmente costellati di ottimismi delusi e roboanti dichiarazioni, dopo decenni in cui il degrado di Palazzo Citterio ferisce il centro della città, ispirando anche occupazioni e volontarismo (ricordiamo Macao di pochi mesi fa), la notizia avrebbe potuto essere vista come un segnale positivo di impegno.

Ma non è stato così. Le polemiche immediatamente sollevate dall'iniziativa hanno investito quotidiani e blog per poi riverberarsi sulle più alte cariche dello stato, rimbalzando in tutti i momenti di incontro collettivo sulle politiche culturali che hanno costellato l'autunno italiano, fino ai giorni nostri. Una rapida ricerca su Google su "progetto grande Brera" produce oggi 63.900 risultati in 0,28 secondi. Come mai? Potremmo azzardare due ipotesi: una fa riferimento alla presenza di una "critical juncture", di un momento un cui, nella prospettiva della teoria istituzionalista, la storia di un' istituzione si apre a diverse possibili soluzioni, ciascuna delle quali, una volta imboccata, produrrà durature conseguenze e dipendenze intertemporali, vincolando il futuro [3]. In questa prospettiva i dibattiti potrebbero essere letti come naturale conseguenza di un confronto trasparente tra opzioni diverse in un sistema democratico caratterizzato da una sfera pubblica adeguatamente strutturata. In questo caso l'opzione esercitata dalla politica culturale su Brera potrebbe essere letta come un momento controverso di crescita istituzionale. Una seconda ipotesi è che questa improvvisa accensione dei confronti esprima piuttosto il contrario di un momento di libertà, ovvero il segnale di un percorso istituzionale in larga parte arenato, bloccato. In questo caso più che una scelta di politica culturale il progetto sembra prendere la forma di un riuscitissimo esperimento sociale, che consente di monitorare le condizioni di riflessività - ovvero le condizioni di blocco decisionale e di esasperazione intellettuale - che caratterizzano il dibattito ma anche le scelte sulla cultura in Italia.

In assenza di ulteriori notizie sul suo futuro concreto del progetto Brera, una lettura delle principali posizioni emerse ne dibattito forse potrebbe offrire qualche indicazioni in merito a questa alternativa interpretativa. Chiarisco in premessa che data l'ampiezza dei riferimenti sulla rete si tratta comunque di una ricostruzione sintetica che potrebbe trascurare alcuni importanti interventi.

Cronologicamente possiamo dire che un primo accenno di questa ultima fase storica appare il 24 marzo del 2012, quando le pagine dei quotidiani salutano con unanime consenso lo stanziamento di 23 milioni di euro dal Cipe per l'avvio del progetto di trasferimento dell'Accademia e invocano la regia del ministro Ornaghi per la sua realizzazione [4]. Il 25 aprile il ministro Ornaghi in visita a Milano introduce con più fermezza il tema chiamando a raccolta la Fondazione Cariplo e la Camera di Commercio [5]. Il progetto, continua l'articolo di Marta Bravi sul Giornale, prevede l'intervento dei privati e l'autonomia dell'istituzione. Il 1 giugno il Giornale dell'Arte esce con un ampia intervista al ministro in cui si cita all'interno di una quadro complessivo anche il progetto sul museo milanese con un esplicito riferimento al tema della Fondazione. Il 26 giugno 2012 si registra un quarto passaggio sul Corriere della Sera [6].

Fino a questo momento non ci sono reazioni significative. Per quattro mesi tutto tace. Poi ad agosto, quando il decreto viene convertito in legge, lo scontro si apre con violenza e si attesta subito ai massimi livelli istituzionali. L'attenzione si mantiene durante il mese di settembre e ottobre, e poi progressivamente si riduce fino a dicembre per arrivare oggi ad un nuovo momento di silenzio. Il modo concitato in cui gli interventi si succedono sui diversi media non consente una leggibile ricostruzione della sequenza. Procederò quindi organizzando le posizioni in filoni principali.

2. Fondazione, gestione privatistica del bene pubblico e ingresso di risorse dalla società civile

Il primo filone argomentativo è dato dalla presentazione del progetto ministeriale e dagli argomenti addotti al suo sostegno. Il "manifesto" della posizione di Ornaghi è rintracciabile nelle posizioni prese durante la lunga intervista rilasciata al Giornale dell'Arte il 1 giugno del 2012:

"Dobbiamo...maturare la consapevolezza che al concetto di 'Stato culturale' occorrerà sempre più affiancare quello di 'Cittadinanza culturale'. Il primo è per molti aspetti un'eredità del passato e delle antiche forme di legittimazione del potere politico: lo Stato provvidenza, riconoscendo doverosamente il valore della cultura, se ne fa pressoché esclusivo promotore e finanziatore... La cittadinanza culturale propone invece un modello diverso, che la cultura incide sull'effettività e sulla qualità dei diritti di cittadinanza, configurandosi sempre più... come luogo di impegno comune" e poi continua "Ritengo che la collaborazione con gli enti locali sia un elemento di crescente importanza e valore, soprattutto rispetto a quei progetti dove risulta ancora più indispensabile il coinvolgimento del privato sociale e delle realtà locali. Esempi positivi per fortuna non mancano: penso a Venaria Reale o alla Villa Reale di Monza che sono 'consorzi', ma penso anche al Museo Egizio e in futuro mi auguro anche a Brera, dove il modello è quello della Fondazione" [7].

Sul piano generale traspare quindi una riflessione orientata alla trasformazione dello Stato, con un'attenzione alla necessità di trovare soluzioni istituzionali capaci di rafforzare la presenza e la partecipazione privata, nel senso di civica, lungo una linea di sussidiarietà da tempo predicata e frequentata legislativamente. L'iniziativa della Fondazione Grande Brera sembra quindi pensata come un momento di rielaborazione che, tra diverse soluzioni, individua quella tecnicamente più idonea al raggiungimento di autonomia ed efficienza gestionale all'interno di un movimento storico e generale di trasformazione della statualità.

Sulla stessa linea la posizione di Filippo Cavazzoni, sul Giornale, Il 24 agosto, quando la bufera ormai è scoppiata.

"Tre paiono comunque gli aspetti positivi di tale cambiamento: il godimento - da parte della Fondazione Grande Brera - di un'autonomia amministrativa e finanziaria; il coinvolgimento di realtà locali nella gestione dell'istituzione; la possibilità di ricevere finanziamenti privati. E' giusto invece che un'istituzione così importante possa avere una propria autonomia ed essere gestita diversamente, con un proprio direttore, un proprio consiglio d'amministrazione, un proprio bilancio e attraverso precise e specifiche strategie organizzative e promozionali (marketing e fundraising incluse)" [8].

Una breve verifica numerica chiarisce alcune delle motivazioni del progetto. Il Museo di Brera ha avuto nel 2009 336.981 visitatori, con un incasso lordo di 2.606.937 euro il 43% dei quali sono stati determinati dai servizi aggiuntivi, con un incasso medio complessivo a visitatore di 7,7 euro. Questi risultati collocano la pinacoteca tra i primi cinque musei statali italiani. La sua reddittività complessiva è allineata con gli altri pur avendo meno ricavi da servizi aggiuntivi (mancanza di ristorazione), una quota molto alta di non paganti sul totale e non avendo uno statuto di soprintendenza Speciale autonoma.

 

Tabella 1. Visitatori e ricavi dei principali 4 musei italiani

Città ed Ente

Nome

UNESCO

Totale visitatori

Ricavi totali

Introito a visitatore per biglietti

Incasso a visitatore per servizi aggiuntivi

Incasso totale a visitatore

Paganti

Non paganti

% Non paganti sul totale

Firenze

Speciale

Galleria degli Uffizi e Corridoio Vasariano

Si

1.530.346

17.346.590

4,9

6,4

11.3

1.198.112

332.234

22%

Firenze

Speciale

Galleria dell'Accademia di Firenze

Si

1.130.149

 9.464.560

5,1

3,2

8,3

914.927

215.222

19%

Roma

Speciale

Museo e Galleria Borghese

Si

513.775

5.049.303

4,3

5,5

9,8

360.360

153.415

30%

Milano

Ordinaria

Pinacoteca di Brera

No

336.981

2.606.937

5,4

2,3

7,7

186.419

150.562

45%

Venezia

Speciale

Gallerie dell'Accademia

Si

333.098

1.862.675

4,3

1,3

6,6

228.022

105.076

32%

Fonte: Dati Mibac-Sistan 2010.

 

Dal punto di vista dei costi il ragionamento è più complesso essendo la pinacoteca immersa nei conti complessivi della soprintendenza. Sulla base dei dati ministeriali la struttura del personale appare molto simile a quella del Polo Museale romano, con una forte incidenza degli addetti alla custodia (109 su 163 persone) e una carenza (comune a tutte le soprintendenze italiane) di personale intermedio con competenze tecnologiche e gestionali. Oltre al personale, sono riferibili alla soprintendenza anche spese di funzionamento e di investimento che passano per cassa e includono anche elementi relativi al funzionamento. Con qualche cautela è possibile stimare che la gestione del museo, così come stanno le cose, senza investimenti e interventi sulla struttura di gestione, generi costi per circa 7 milioni annui a fronte dei quali determina un ricavo di 2,6 milioni con un deficit strutturale stimato nell'ordine dei 4 milioni. La cifra corrisponde a quanto indicato dal decreto che prevede un contributo di 2 milioni da parte del ministero e di 2 ulteriori da parte dei soci enti locali.

 

Tabella 2. Personale e costi della soprintendenza di Brera

Qualifica

Sbsae Milano e Lomb.
(2 musei)

Speciale Roma
(7 musei)

Sorveglianza e accoglienza

109 - 67%

235 - 62%

Supporto

4

12

Tecnico scientifico

9 - 5%

33 - 8%

Bibliotecari/Archivisti

2

5

Personale scientifico laureato (storici e al.)

17 - 10%

37 - 10%

Restauratori

 

7

Amministrativo

20 - 12%

44 - 11%

Informatico/funzionari tecnologie

1

5

Ingegneri

   

Dirigente

1

1

Totale

163

379

Costo del personale

5.391.742

12.512.782

Spese di funzionamento

77.245*

7.859.661

Investimenti

1.500.000**

2.507.776

* Sulla base di 159.841 eu di funzionamento complessivo della Sbsae (3 musei).

** Sulla base di 3.875.619 di investimenti complessivi Sbsae (2 musei).

Fonte: Dati Mibac.Sistan.

 

In questa prospettiva il movente dell'operazione sembra fortemente orientato dall'idea che la qualità della collezione possa indurre un deciso incremento dei visitatori e una migliore sostenibilità e da un obiettivo di flessibilità gestionale: creare un ente capace di portare a termine la ristrutturazione del Palazzo di Brera e di palazzo Citterio attraendo più capitali privati in modo stabile e operando in un regime di maggiore flessibilità gestionale.

Le polemiche mettono, dopo la metà di agosto, il ministro sulla difensiva, le sue argomentazioni si limitano a ribadire che il provvedimento non implica alcuna forma di "privatizzazione" effettiva e che non vi sono minacce per lo statuto pubblico dell'operazione. Ma la linea di elaborazione a questo punto si è già trasformata in una guerra di trincea. Attorno a questa proposta si aggregano, nei mesi seguenti, le posizioni di chi pensa che sia tempo e ora di sbloccare l'istituzione, di autonomizzarla, di renderla più efficiente, sfuggendo alle difficoltà imposte da una macchina statale che non pare in grado di funzionare adeguatamente. In questo senso può esser letto l'appello lanciato da Ledo Prato e Michele Trimarchi sul Giornale dell'arte il 1 novembre dello scorso anno: "Più Coraggio, Più Innovazione! Chiediamo al Governo di procedere con convinzione e determinazione nell'avvio del Progetto Grande Brera e nella costituzione della Fondazione" [9]. Ma sul progetto si addensano difficoltà, forse impreviste dallo stesso ministro, fin dalla conversione in legge del mese di agosto.

3. Gli storici dell'arte in trincea

Ma l'onda che si abbatte sull'iniziativa ministeriale viene da un altro mare. Non appena il decreto appare, Il 18 agosto, una lettera aperta sottoscritta da numerosi intellettuali e studiosi tra cui Salvatore Settis e Carlo Ginzburg al Presidente della Repubblica recita:

"Dopo la Grande Brera privatizzata, sarà più facile avere i Grandi Uffizi privatizzati o la Fondazione Galleria Borghese, privata come gli Archeologici di Napoli o di Taranto. Il fine generale è quello di una 'gestione secondo criteri di efficienza economica'. Il che, se ci si consente, rappresenta uno schiaffo ai direttori dei grandi musei nazionali i quali stanno da mesi compiendo sforzi eroici per tenere aperte, vive e vitali tali istituzioni dovendo lottare con fondi ridotti al lumicino (negli ultimi dodici anni il bilancio ministeriale è crollato da 2,5 a 1,5 miliardi). Altro che 'efficienza economica'. Questi valorosi servitori dello Stato e i loro predecessori hanno creato musei ammirati in tutto il mondo ed ora sono costretti ad una gestione non 'secondo criteri di efficienza economica', bensì in condizioni umilianti di mera sopravvivenza (i loro stipendi variano fra i 1.700 e i 1.900 euro netti). Una 'economia di guerra' che minaccia e ostacola lo sviluppo dello stesso turismo culturale".

La questione che viene sollevata, in modo radicale, impone uno spostamento di asse. Non si tratta di posizioni nuove nello scenario italiano, ma prendono forma in modo particolarmente articolato e richiedono una considerazione specifica.

Il punto centrale dell'attacco non è tanto, o soltanto, quello della "privatizzazione" di una funzione pubblica quale quella di gestire un patrimonio di così elevata rilevanza artistica. Ma in primo luogo la messa in evidenza di un fatto incontrovertibile e per molti aspetti davvero non spiegabile, ovvero la riduzione monotonica del bilancio statale assegnato al Mibac. E' una questione da vedere: le più alte autorità del paese da Carlo Azeglio Ciampi a Giorgio Napolitano periodicamente sentono il bisogno di ribadire che la cultura è una colonna portante, cruciale, strategica per il futuro del paese, ma il budget del ministero, a fronte di una gamma estremamente ampia di competenze, è in calo da anni, ben prima che lo spread imponesse severità diffusa. Già prima del 2010 la riduzione del suo budget superiore al 30% in termini reali con una caduta della sua rilevanza rispetto al bilancio dello stato dallo 0,34 del 2005 allo 0,23 del 2009 per arrivare a quote prossime allo 0,18% nel 2011 [10]. Si tratta di un evento storico e politico rilevante, che non può essere considerato come un fatto acquisito e, per così dire, scontato. Apparentemente a questa riduzione delle disponibilità statali è corrisposto un incremento della spesa degli enti locali e in particolare dei comuni. Ma, a parte l'incidenza recente e crescente dei vincoli di stabilità sulle capacità di spesa dei comuni che tocca fortemente la spesa in cultura, è ovvio che anche negli anni scorsi la maggiore spesa dei comuni non ha vicariato la spesa dello Stato perché si è principalmente rivolta ad oggetti ed istituzioni diverse da quelle statali (musei locali, mostre, istituzioni e fondazioni locali ecc.) e ha svolto un'azione di sussidiarietà solo in alcuni limitati casi (fondazioni miste come le lirico sinfoniche). Questo significa che già prima dell'impatto della recente crisi della finanza pubblica, la decisione politica effettiva, con buona pace di ogni pronunciamento di principio, è stata quella di depotenziare la principale infrastruttura gestionale del patrimonio culturale italiano. Da questo fatto storicamente inequivocabile nasce una prima domanda: In che modo si può pensare di rendere strategica la gestione del patrimonio culturale del paese in presenza di una scelta strutturale e prolungata di destrutturazione dell'apparato preposto alla gestione dei beni storici artistici e archeologici, beni non delocalizzabili per ovvie ragioni e non trasferibili per dettato costituzionale? In che modo si può pensare di migliorare la gestione pubblica della cultura se non si creano incentivi per le competenze migliori e non si investe nella qualificazione delle risorse umane? Qual è il senso di scorporare la gestione di importanti componenti del patrimonio statale in nome dell'efficienza quando è stata proprio la carenza di risorse a produrre e forse progettare una buona parte dell'inefficienza che si cerca di combattere? La forza dell'argomentazione - che di fatto crea una posizione di blocco radicale del progetto Brera - si àncora proprio su queste domande e sull'evidenza amara che ad esse nessuna forza politica, da molti anni a questa parte, almeno 15, è in grado di rispondere. Allo stesso modo riesce difficile capire la ragione di questo evidente, progressivo e politicamente trasversale, smantellamento di un sistema di competenze che almeno fino alla metà degli anni Ottanta, costituiva un punto di forza del paese (e la visionarietà di Russoli ne è un esempio). Che sia possibile la presenza di una sorta di disegno o di volontà comune? O forse solo il frutto casuale di una rara combinazione di disattenzione e scarsa competenza specifica? O forse un fatto storico e civile che sarà mostrato come indicatore di una trasformazione civile i cui confini ancora ci sfuggono. Fatto sta, mi permetto di aggiungere, che la mancata risposta a questa domanda rende non solo problematica e imbarazzante la difesa di ogni progetto di ridisegno gestionale del patrimonio, ma anche poco credibile ogni immagine di un nuovo "ministero della creatività" o "ministero della cultura" un'ipotesi che si presenta come un altro modo di perdere tempo e confondere le acque rispetto ai problemi più profondi.

Il fatto è che il "niet" che si è alzato nel mese di agosto scorso non elabora solo una posizione di allarme generale sulle strategie di trasformazione dello stato, ma trascina con se almeno altre due posizioni limitrofe: una di natura critico-sociale e altre di natura sindacale e corporativa.

4. La paura dell'esclusione sociale

Tommaso Montanari, uno dei promotori della lettera a Napolitano vede in azione nel disegno di Grande Brera un processo di esclusione e di limitazione della mobilità sociale e il 25 agosto scrive:

"Questo aiuto (dei privati n.d.r.) non sarà dato gratuitamente. Il Museo Egizio di Torino è presieduto da un membro della famiglia reale italiana, quella degli Agnelli. Il quale tra pochi giorni lascerà il posto alla moglie del presidente di Telecom Italia e Generali. Così il patrimonio che doveva servire alla costruzione dell'eguaglianza torna a veicolare e legittimare significati di profonde differenze sociali. Non è difficile immaginare Brera nelle mani della Milano già da bere, fino a ieri cupamente berlusconiana, e quindi crepuscolarmente formigoniana. L'Egizio prima e ora Brera tornano simboli del primato della Casta: un primato fondato sul privilegio e sull'illegalità dell'evasione fiscale più gigantesca d'Europa. Anzi, meno che simboli: orpelli da affidare ai cadetti incapaci, o alle mogli (relegate da una delle borghesie più maschiliste del mondo ad occuparsi del 'bello inutile e innocuo' dell'arte). I musei gestiti con la condiscendenza della beneficenza: luoghi da cui bandire il rigore della scienza e la formazione dei cittadini, e da piegare invece fino a ridursi cornici docili per i riti di autocelebrazione di una ricchezza incivile e ignorante" [11].

Michele Dantini alla fine di agosto, in un intervento molto articolato e problematico, aggiunge alcuni tasselli al quadro delle perplessità, aggiungendo all'ipotesi di razionamento degli accessi ai ruoli di potere anche una rarefazione delle occasioni formative, in coerenza con un pericolo che a suo avviso coinvolge tutto il sistema universitario pubblico:

"Il dilemma attorno alle politiche del patrimonio può dunque almeno in parte riformularsi in una domanda concernente gli istituti di alta formazione. Quale politica del 'patrimonio' assicura migliori pratiche di selezione dei 'capaci'? E maggiore slancio alla ricerca storica e critica? E' infatti pensabile che l'ingresso delle fondazioni bancarie nei musei si accompagni al pericolo di crescente politicizzazione degli incarichi culturali. In un momento di crescente definanziamento della ricerca pubblica questo implicherebbe un'ulteriore umiliazione istituzionale e insidie per l'autonomia degli studi. Scelte di (sia pur parziale) privatizzazione del patrimonio, se non accompagnate da cautele e correttivi legislativi, possono modificare drasticamente i rapporti tra università private e università pubbliche, non solo per quanto riguarda i corsi in discipline storiche e sociali; e dare o togliere ai rispettivi studenti opportunità di apprendistato e lavoro. Di tutto questo enigmaticamente non si parla. La contesa sulla tutela ha implicazioni profonde sul piano educativo" [12].

5. "Non toccate la donna bianca"

Diverse, se vogliamo più tradizionali, le posizioni dei sindacati Mibac che ad ottobre, cavalcando la critica degli intellettuali, entrano in sciopero:

"La decisione di procedere alla costituzione della Fondazione 'Grande Brera' rappresenta un atto del tutto unilaterale che avvia, di fatto, un processo di riorganizzazione del ministero, in una fase delicatissima nella quale le politiche di gestione dei servizi istituzionalmente in capo al Mibac si devono necessariamente confrontare con gli effetti della cosiddetta spending review. La vicenda della Grande Brera è, del resto, assai emblematica: un blitz normativo che privatizza di fatto una delle più prestigiose pinacoteche possedute dalla Stato, in un progetto nel quale lo Stato impiega ingenti risorse sia per la costituzione della Fondazione che per il suo funzionamento. ... L'esperienza attuale dimostra come le fondazioni non offrano alcuna garanzia di tutela economica nei confronti del personale, scarichino costi di gestione sull'utenza, attraverso i rincari dei biglietti d'ingresso, senza però rinunciare al ricorso economico pubblico in quanto non è, al momento e nel futuro, ipotizzabile una loro autonomia economica. Si tratta di un'operazione che apre la strada alla privatizzazione dei maggiori musei Italiani: lo Stato rinuncia alla funzione di gestione diretta dei propri beni culturali e istituzionalizza il ruolo dei privati, che integrano e, addirittura, potranno sostituire il pubblico nella gestione. Un modello di gestione lontana da grandi modelli italiani ed europei".

Pochi giorni dopo sono i docenti di Brera, inizialmente favorevoli al rilancio del progetto, ad entrare in conflitto: "Non siamo utili idioti" dichiara Sandro Scarrocchia, docente dell'Accademia di Brera, tra i firmatari dell'appello lanciato da Vittorio Emiliani perché si fermi al più presto l'iter per la nascita della discussa, temuta e attesa Fondazione Grande Brera.

Insomma è bastato che il motore di Brera fosse avviato per sprigionare opposizioni che non hanno mancato di lasciare il segno, tanto che a dicembre il Giornale dell'Arte mostra segni di pessimismo:

"Lo spettro della Grande Brera turba la speranza di una Milano futura regina della cultura. ... Qualcosa ora si sta avviando, ma il sogno si riduce, diventa meno 'grande'. Nella drammatica carenza di fondi, comune a quasi tutti i musei statali, spicca anche una forte spesa che indigna Bandera. Spiega che le è impossibile pagare le utenze, luce, telefono eccetera: '1,5 milioni di euro all'anno, dice, e non abbiamo i soldi, così il nostro debito cresce. La spesa più pesante è la climatizzazione, che deve essere perfetta e continua'. ... Restano anche i dubbi sul reale accordo con l'Accademia per trasferire la didattica nella caserma Mascheroni in tempi lunghi e incerti. Il nuovo direttore, Franco Marrocco, nominato a luglio 2012, rassicura ma pone condizioni: 'Tutti i professori sono consapevoli del trasferimento della parte didattica: non ci opponiamo. Certo, vogliamo uno spazio adeguato al prestigio dell'Accademia. Servirà un concorso internazionale e un bravo architetto: gli ambienti della Mascheroni vanno ristrutturati e adeguati e bisogna edificare qualcosa per non restare con spazi insufficienti come oggi. Gli accordi prevedono anche che una parte dell'Accademia resti nel vecchio palazzo: biblioteca, teatro e alcune aule'".

6. Il nodo progettuale

Forse però la fragilità del rilancio di Brera non dipende solo dalla durezza degli attacchi da parte degli storici dell'arte. Pochi giorni dopo il decreto, l'intervento di Patrizia Asproni, di Confcultura non è privo di durezze: "Siamo favorevoli al concetto di 'efficienza economica', ma la Storia ci insegna che in questo Paese la costituzione di nuovi 'enti' porta alla superfetazione normativa, a un aumento della burocrazia e alla corsa alla poltrona: chi nominerà la presidenza? La direzione? I politici? I tecnici? E quale sarà il fondo di dotazione della Grande Brera? Pensare prima al contenitore giuridico anziché al contenuto è quello che è sempre stato fatto in Italia, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. Da un governo di tecnici ci aspettavamo di meglio'" [13].

Per riempire il contenitore fondazionale non basta un progetto di restauro architettonico. Quello si poteva anche realizzare senza ricorrere alla Fondazione. Poco dopo una considerazione di Alessandro Hinna sollecita un ripensamento complessivo del rapporto pubblico - privato nel campo dei beni culturali per testare forse modelli di ibridazione, un ripensamento a suo avviso assente nel caso di Brera: "Vi è timore, da molti ormai avvertito, di una 'moda fondazionale' che ha affidato alla scelta della forma giuridica istituzionale la possibilità di innovare le modalità di gestione dei beni e delle attività culturali, spesso ignorando della necessità di intervenire su aspetti più propriamente strategici e gestionale. Non è, con la 'corsa agli statuti' che reali processi di innovazione potranno essere avviati e sostenuti. Proprio in una logica di un 'patrimonio cultuale come bene comune' (e, quindi, di un patrimonio che di per sé non è né 'del pubblico', né 'del privato' ma, appunto, di 'tutti') dovrebbero essere quindi pensate le nuove forme di equilibrio e collaborazione tra soggetti pubblici e privati, inaugurando prassi e metodi gestionali non più appartenenti né alla logica pubblicistica tipica della delega gestionale allo Stato, né a quella privatistica strettamente orientata alla congrua remunerazione del capitale investito" [14].

Aldo Bassetti, Presidente degli Amici di Brera, è ancora più esplicito:

"Inesistenza del progetto museale completo...inesistenza di un piano finanziario globale...non conoscenza dei tempi necessari alla collocazione nella nuova sede dell'Accademia di Brera" [15]"il punto centrale della questione, ... è la battaglia per il progetto,... Come Amici di Brera, cerchiamo di spiegare a tutti che non esiste... Questa non è la vera Grande Brera, manca lo spirito del grande progetto di livello internazionale. La crisi è di valori e di progettualità. Sono molto pessimista. Anche perché ancora non è chiaro chi sia il committente del progetto" [16].

Ma non è ancora tutto.

7. Inadeguatezze normative di contesto

In uno degli interventi forse più puntuali sul piano tecnico tra tutti quelli che hanno costellato le cronache degli scorsi mesi Pietro Petraroia punta il dito su un altro aspetto della questione: la mancanza di un sistema di raccordi Stato-regioni che consenta una gestione strategica della sussidiarietà un problema che si affianca alla carenza progettuale di fondo.

"Le regioni e, in parte, lo Stato hanno sostanzialmente interrotto nel 2005 la loro cooperazione di legislatori della valorizzazione, lasciando in sospeso la riflessione e le decisioni sugli aspetti tecnici ed organizzativi che ne riguardano l'esercizio, fra esigenze della tutela ed esigenze di un godimento pubblico economicamente ed organizzativamente sostenibile; di conseguenza, non si dispone al momento di quelle linee guida semplici e certe in base alle quali l'apporto di privati alla valorizzazione (ad esempio partecipando ad una fondazione o a una società, o in altro modo) possa svilupparsi con chiari riferimenti tecnici, procedurali, economici, evitando percorsi incerti nei tempi di autorizzazione, di cofinanziamento, di realizzazione. Il problema dunque, nel caso di Brera come in tanti altri casi consimili, si articola in due livelli: una carenza normativa, per la perdurante mancanza a livello nazionale e regionale dei regolamenti tecnici sulla gestione e sulle procedure di valorizzazione e tutela (ma per i musei si potrebbe almeno 'richiamare in vita' immediatamente l'atto di indirizzo di cui al decreto ministeriale del 2001); e poi la mancanza di un chiaro progetto di valorizzazione, che integri gli aspetti museografici e museologici con quelli finanziari, organizzativi e promozionali, con le progettualità ed i servizi culturali del territorio, ma anche con gli aspetti sociali, imprenditoriali, infrastrutturali, come richiesto dal Codice" [17].

8. The end

Indubbiamente la varietà e soprattutto la distanza tra le opzioni di principio che animano il dibattito su Grande Brera tracciano un quadro illuminante e scoraggiante della situazione della gestione del patrimonio culturale del paese. Un quadro che potrebbe anche peggiorare se l'oggetto del contendere fosse Pompei o il Palatino. L'evidenza qualitativa suggerisce che questi scontri non segnalano la necessità di un confronto attorno ad un momento di autentica libertà progettuale, quanto piuttosto la presenza di una situazione bloccata, attanagliata dal perdurare di nodi che non si riescono a risolvere. Il segnale lanciato dal progetto Grande Brera non è quello di una "critical Juncture" ma piuttosto di un blocco nel consenso, annunciato e drammatico, che rallenta, impasta, non consente di trovare soluzioni.

Non v'è rimedio? Deve il ministero procedere sulla strada delle Fondazioni appaltando segmenti di potere alle istituzioni locali e mantenendosi come un fortino assediato in mezzo alle polemiche e alle, speriamo solo fantasiose, soluzioni di trasformazione "creativa"? E' possibile, ed è stata più volte evocata in questi mesi, la necessità di costruire pochi poli indipendenti a forte partecipazione privata, sostanzialmente enucleati dal ministero, mirando a costituire forme di imprenditorialità culturale privata che svolgano (ma come e perché?) funzioni pubbliche ma soprattutto servano a processi di sviluppo economico locale (turismo, eventi ecc.). Purtroppo a problemi complicati non esistono soluzioni semplici e rapide. L'urgenza è guadagnare, attraverso uno spostamento dell'asse prospettico, i necessari margini di libertà per riprogettare il quadro istituzionale complessivo, se si vuole rompere le resilienze automatiche e guadagnare la possibilità di scegliere.

I fatti e il buon senso suggeriscono che a monte di ogni progetto "annunciabile" e di relativamente rapida realizzazione, è necessario che la politica culturale si concentri su un percorso - necessariamente lungo e difficile - di investimento nel ministero dei Beni culturali. Si tratta di una scelta civile non ulteriormente rimandabile che dovrebbe dare priorità alla qualificazione del personale e alla costruzione di una accountability non più procastinabile. Parte di questo cammino dovrebbe essere compiuto alla luce dell'obiettivo di attrarre risorse migliori, più formate e giovani. E' necessario sottolineare che nel ministero non sono presenti uomini e donne provenienti da altri paesi europei e non, magari portatori di esperienze e competenze che la cultura italiana potrebbe attrarre da tutto il mondo. E' necessario ricordare lo scempio cinicamente compiuto ai danni delle vocazioni di migliaia di giovani attratti in questi decenni da corsi in "beni culturali" che non hanno avuto la minima possibilità di lavorare nel campo pur avendone, almeno in alcuni casi, le competenze. Questa riqualificazione del ministero è evidentemente di un progetto politicamente ingrato, destinato ad aprire feroci confronti e ad assorbire investimenti formativi e infrastrutturali. Ma senza questa decisione il declino non può essere fermato e le singole Fondazioni non possono porvi rimedio, anzi, potrebbero illudere. Tornando a Brera, certamente raddoppiare il numero dei visitatori potrebbe essere considerato un obiettivo interessante sul piano dello sviluppo locale, anche e soprattutto per gli indotti urbani. Ma se si osserva la condizione complessiva dell'offerta museale milanese il disegno si modifica. A Milano oggi sono operativi 46 musei per 94.000 metri quadri espositivi che nel 2010 hanno prodotto 441 mostre. L'insieme ha prodotto 3,7 milioni di visitatori, oltre il 55% del totale della regione. Di questi il 3,3 milioni si concentrano sulla zona 1 (centro). Di questi i 2/3 (quasi due milioni) sono registrati da 5 istituzioni (Terrazze del duomo, Cenacolo, Brera, Musei del castello e Museo della Scienza). Altre 9 istituzioni oscillano tra i 100 e i 200 mila visitatori annui e tutte le altre (33 circa) hanno poche migliaia di visitatori annui. Siamo certi che l'urgenza sia quella di far gravitare più utenti su Brera? Non sarebbe forse meglio vincolare più seriamente le istituzioni ad un piano di miglioramento dei servizi puntando ad una maggiore integrazione dei palinsesti e della comunicazione? In questo caso il disegno ideale non sarebbe quello di costruire una Fondazione per Brera ma un polo che trainasse e riqualificasse l'intero complesso dei musei del territorio, garantendo varietà, limitando i costi dell'intasamento logistico in centro e in una via piccola e storica come Brera, lavorando più sui cittadini che sui turisti...

Il secondo elemento ecologico che dovrebbe costituire una sorta di scenario preliminare e necessario allo sviluppo dei singoli progetti riguarda il rapporto pubblico privato. Sul tema sono stati diffusi tanti trattati da scoraggiare qualunque tentativo di ricapitolazione, senza che appaiano segni di chiarezza condivisa. Forse in questa sede si può identificare un punto su cui convergere. Buona parte del patrimonio culturale del paese è già sostanzialmente gestito dai privati e dalle famiglie italiane.

Si tratta di una quota rilevante del totale e soprattutto di una componente del patrimonio che include principalmente istituzioni e beni decentrati, dispersi sul territorio, di piccole dimensioni e di difficile sostenibilità. In questa prospettiva è semplicemente un nonsenso concentrare tutta l'attenzione sulla dimensione statale del patrimonio. E' necessario pensarlo come un insieme, coordinando regolazioni, azioni e politiche. Bene, questo privato storicamente responsabile della conservazione del patrimonio e del paesaggio è in difficoltà, tanto quanto e forse più del pubblico, principalmente per la mancanza di infrastrutturazioni, di reti, di sostegni, e non è certo incentivato ad operare da una riduzione della presenza pubblica o da una riduzione delle infrastrutture di gestione complessiva del patrimonio, a contrario. Questo privato o si sostiene per la presenza di fonti di reddito finanziarie o industriali, o muore di solitudine, in contesti che non aiutano, in cui mancano gli strumenti di management territoriale, di valorizzazione e di appoggio operativo [18]. E in questo senso la posizione di Petraroia deve essere considerata. Questo privato sta riducendo la sua capacità di sostegno con conseguenze difficilmente valutabili per l'integrità del patrimonio del paese.

Significa questo che i progetti fondazionali vanno abbandonati? No, a patto di non considerarli come una panacea.

Plausibilmente andrebbero inquadrati in una doppia dimensione:

- Da una parte come completamento, ma anche complessivo ripensamento dei percorsi sperimentali di autonomia ed efficientamento avviati dallo stesso ministero attraverso la costituzione delle soprintendenze speciali. Il bilancio è molto disomogeneo. Alla luce dell'ormai ultradecennale esperienza, i poli museali, Firenze, Roma e Venezia sembrano aver funzionato, le archeologiche, molto più ampie e radicate nel territorio no. Sia Pompei che Roma entrano ed escono dai commissariamenti. Ma le ragioni di queste difficoltà non hanno una diagnosi condivisa, non è da escludere che esse dipendano dal fatto che la transizione verso l'autonomia è stata largamente incompleta, per esempio esclude la gestione del personale. E in presenza di articolate complessità territoriali questa carenza risulta esiziale. In questo senso la scelta del ministero di favorire forme di autonomia e sussidiarietà avanzata (Egizio di Torino e appunto Brera) per grandi plessi museali, appare più come una linea di minor resistenza che di effettiva correzione.

- Dall'altra come occasione per dare vita a forme di responsabilizzazione e coordinamento delle politiche culturali a livello locale allargato (area metropolitana). Una delle evidenze più chiare per gli operatori culturali e istituzionali è infatti la sorprendente frammentazione dei processi decisionali tra una pletora di fondazioni, istituzioni, sponsors, donors, iniziative che se da un lato possono essere state il segno di una ricchezza ideativa, in una situazione di estrema difficoltà e necessità di rigore si trasformano spesso in sprechi. E' necessario procedere a forme più evidenti di coordinamento, nella consapevolezza dei rischi di free riding che questo comporta per i soggetti e della necessaria revisione dei ruoli di coordinamento centrale.

La partita non è perduta, ma è urgente arrestare il logorio delle energie comuni. Come ho avuto modo di scrivere a proposito del progetto milanese in un articolo intervista apparso sul Giornale delle Fondazioni: il progetto Grande Brera potrebbe essere una straordinaria occasione di rilancio del sistema complessivo del patrimonio nel paese o un ulteriore esempio di un suo utilizzo semplicistico e solo apparentemente razionale. Molto dipenderà dai modi in cui il ministero deciderà di implementare il processo [19].

 

Note

[1] A. Stella, Palazzo Citterio museo incompiuto da quarant'anni, subito il restauro, in Corriere della Sera, 20 maggio 2012.

[2] Devo questa e altre importanti informazioni ad una conversazione con Giovanni Agosti svoltasi nelle aule dell'Università Bocconi il 19 febbraio 2013.

[3] Collier, Ruth Berins, and David Collier (1991), Shaping the Political Arena: Critical Junctures, the Labor Movement, and Regime Dynamics in Latin America. Princeton, Princeton University Press, chapter 1.

[4] "'Si parte sul serio, finalmente — dice Mario Resca, commissario straordinario per la Grande Brera (in scadenza, il suo incarico, triennale, finisce a luglio) e che molto si è battuto per trovare qualche risorsa che facesse almeno iniziare i lavori — E' merito del ministro Ornaghi che ci ha creduto e ha posto come obiettivo questo progetto, facendolo suo, e che è riuscito a portare a casa il risultato in un momento difficilissimo, dimostrando di voler concretamente investire sulla cultura'. Fa i salti di gioia Sandrina Bandera sovrintendente della Pinacoteca. 'Fantastico, una notizia che si attendeva da anni — esordisce — E' una cifra importante di partenza per avere poi altri finanziamenti'". Anna Cirillo, in Repubblica, 24 marzo 2012.

[5] "'La grande Brerà si realizzerà con la squadra giusta e in tempi rapidi, al massimo quattro anni' ha garantito il ministro, con una dotazione di fondi di 23 milioni di euro. 'Il primo passo è stato fatto' con lo stanziamento di risorse da parte dello Stato. Il piano dei lavori prevede che i bandi dovranno essere fatti entro la fine dell'anno, pena il definanziamento. 'C'è stata da parte mia - ha aggiunto Ornaghi - una chiamata a partecipare a questo importantissimo progetto per Milano e per l'Europa, e hanno risposto positivamente e subito, il presidente della Fondazione Cariplo e il presidente della Camera di Commercio. Mi auguro che possa rispondere positivamente anche il presidente della regione. Credo che gli enti principali della Lombardia si rendano conto dell'importanza di questo progetto e non solo dal punto di vista economico finanziario'". M. Bravi, in Il Giornale, 25 aprile 2012.

[6] "Nasce 'La Grande Brera', ente costituito dal ministro per i Beni culturali, Lorenzo Ornaghi, 'finalizzato al miglioramento della valorizzazione dell'Istituto, nonché alla gestione secondo criteri di efficienza economica'. Manca solo un tassello per completare il quadro. I privati. 'Ora - spiega il direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici della Lombardia, Caterina Bon Valsassina - serve il loro aiuto'", in Corriere della Sera, 26 giugno 2012.

[7] M. Romana, Signor Ministro ha qualcosa da dire?, Il Giornale dell'Arte, 1 giugno 2012.

[8] "Inoltre, continua Cavazzoni, la condivisione gestionale con le istituzioni locali creerà un più stretto legame con il territorio e una maggiore partecipazione alla vita della Fondazione stessa. Infine la trasformazione della Pinacoteca in Fondazione autonoma permetterà di coinvolgere finanziatori privati (cosa attualmente non consentita) i quali potranno offrire un punto di vista importante sugli aspetti gestionali, apportando nuove competenze (l'efficienza economica, a esempio). Il risultato sarà una fondazione con tanto pubblico e poco privato"; F. Cavazzoni, Grande Brera grande efficienza, 24 agosto 2012.

[9] Fondazione Grande Brera: meno male se c'è, in Il Giornale dell'arte 325, novembre 2012. Altre posizioni criticano il provvedimento per la sua insufficiente innovatività, come quella di Oscar Giannino, che non sembra mancare di fantasia, ma forse assegna troppa enfasi al mercato come regolatore della cultura: "il decreto sviluppo del ministro Passera, che farà nascere una fondazione di diritto privato, non apre in realtà alcun nuovo scenario. Nel testo infatti vi è un difetto notevolissimo: ancora è previsto che lo Stato, tramite il ministero dei Beni culturali, debba versare stabilmente ogni anno 2 milioni di euro a Brera e una cifra simile anche gli enti locali. Così si blocca il cambiamento. Se si vuole che le fondazioni museali e culturali abbiano vera autonomia ed efficienza economica, che producano lavoro, ricerca scientifica e progetti innovativi, non è pensabile ad una quota fissa garantita annualmente dalle nostre tasche. Neanche se dentro le sale c'è il Cristo morto di Mantegna o Lo Sposalizio della Vergine di Raffaello." Chicago Blog

[10] S. Baia Curioni, P. Dubini, La gestione del patrimonio artistico e culturale in Italia: la relazione tra tutela e valorizzazione, Banca Intesa S. Paolo, Roma, 2011, pp. 49-50.

[11] T. Montanari, Brera un trofeo per la casta, in Il Fatto, 25 agosto 2012, cfr. articoli anche del 18 e 23 agosto.

[12] M.Dantini, Il dibattito sullla Fondazione Grande Brera. Perché difendere il principio pubblico della tutela e le ragioni della ricerca, Micheledantini, about care anda carelessness, micheledantini.micheledantini.com. 31 agosto 2012.

[13] Corriere della Sera, 23 agosto 2012.

[14] A. Hinna, Giornale delle Fondazioni, 12 ottobre 2012.

[15] Risposta all'intervento di P. Petraroia su Giornale delle Fondazioni, 31 agosto 2012.

[16] Giornale dell'Arte, 15 dicembre 2012.

[17] Giornale delle Fondazioni, 31 agosto 2012.

[18] A. Stella, Ville Venete, in Corriere della Sera.

[19] Intervista su Giornale delle Fondazioni a cura di C. Seia, settembre 2012.

 

 



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