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Commissione bicamerale sull'attuazione del federalismo fiscale, 8 febbraio 2012

Audizione parlamentare sullo Schema di d.lg. recante Ulteriori disposizioni
in materia di ordinamento di Roma Capitale
(425)

Capo II, Beni storici, artistici, paesaggistici, ambientali e fluviali

di Lorenzo Casini

Sommario: Premessa. - 1. L'oggetto della delega di cui all'art. 24, comma 3, lettera a), della legge n. 42 del 2009. - 2. Struttura, definizioni e terminologia delle disposizioni in materia di beni storici, artistici, paesaggistici, ambientali e fluviali. - 3. I meccanismi procedimentali: la Conferenza delle soprintendenze. - 4. Le funzioni (non) trasferite.

1. Premessa

Lo schema del secondo d.lg. sull'ordinamento di Roma Capitale prevede disposizioni anche in materia di valorizzazione dei beni storici, artistici, paesaggistici, ambientali e fluviali, in attuazione di quanto stabilito dall'art. 24, comma 3, lettera a), della legge delega n. 42 del 2009.

Tali disposizioni presentano numerosi aspetti problematici sotto diversi profili: struttura, definizioni e terminologia; i meccanismi procedimentali, con particolare riguardo alla Conferenza delle soprintendenze ai beni culturali del territorio di Roma Capitale; le funzioni trasferite.

In generale, lo schema di d.lg. non sembra garantire un effettivo trasferimento di funzioni amministrative, né pare in grado di semplificare i procedimenti, in quanto si limita a regolare strumenti di raccordo istituzionale rinviando a successivi piani, programmi e accordi.

1. L'oggetto della delega di cui all'art. 24, comma 3, lettera a), della legge n. 42 del 2009

Innanzitutto, occorre esaminare la portata della delega prevista dall'art. 24, comma 3, lettera a), della legge n. 42 del 2009, in base al quale "Oltre a quelle attualmente spettanti al comune di Roma, sono attribuite a Roma Capitale le seguenti funzioni amministrative: a) concorso alla valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali, previo accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali". In aggiunta, ai sensi dell'art. 24, comma 6, della legge delega n. 42 del 2009, il d.lg. dovrà "assicura[re] i raccordi istituzionali, il coordinamento e la collaborazione di Roma Capitale con lo Stato, la regione Lazio e la provincia di Roma, nell'esercizio delle funzioni" trasferite.

Con riguardo all'oggetto della delega, si segnala l'improprietà della formula "beni storici, artistici, ambientali e fluviali", locuzioni che non ricorrono da tempo nella legislazione di settore (i beni ambientali, ad esempio, rientrano oggi nella categoria dei beni paesaggistici). Inoltre, l'espressione "concorso alla valorizzazione" - che non include in alcun modo la tutela - non può che riferirsi alle ipotesi riguardanti la valorizzazione di beni che non siano già nella disponibilità del comune di Roma, pur trovandosi sul territorio dello stesso: per i beni di cui Roma è titolare, la funzione di valorizzazione può essere esercitata in via autonoma, senza necessità di alcun concorso con lo Stato (fatto salvo l'eventuale nulla osta da parte dell'autorità preposta alla tutela, vale a dire la soprintendenza statale) [1].

La delega, dunque, consente al d.lg. di:

1) precisare quali sono i beni oggetto degli interventi di valorizzazione;

2) individuare i compiti di valorizzazione da trasferire;

3) definire le modalità con cui attuare il "concorso" nello svolgimento dell'attività di valorizzazione (cui si collega la regolazione dei raccordi istituzionali, il coordinamento e la collaborazione tra Roma Capitale, Stato, regione Lazio e provincia di Roma).

2. Struttura, definizioni e terminologia delle disposizioni in materia di beni storici, artistici, paesaggistici, ambientali e fluviali

Le disposizioni riguardanti i beni storici, artistici, paesaggistici, ambientali e fluviali sono contenute nel capo II dello schema di d.lg., ad eccezione delle norme sulla Conferenza delle soprintendenze, attualmente collocate nell'articolo 2.

La struttura di queste disposizioni appare poco lineare: abbondano rinvii e richiami, la terminologia è imprecisa, le definizioni sono incomplete. Nel complesso, il testo risulta di difficile lettura.

Innanzitutto, le disposizioni sulla Conferenza delle soprintendenze, attualmente collocate nell'articolo 2, sui raccordi istituzionali, del capo I, "Disposizioni generali", potrebbero essere più appropriatamente inserite nel capo dedicato ai beni storici, artistici, paesaggistici, ambientali e fluviali. Non a caso, l'attuale articolo 3 richiama l'articolo 2. Sarebbe quindi razionale prevedere un apposito articolo sulla Conferenza delle soprintendenze, da situare nel capo II.

Con riguardo alle definizioni, non sembra necessario riprodurre, all'art. 3, comma 2, la definizione di valorizzazione di cui all'art. 6, comma 1, del d.lg. n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio). In primo luogo, la definizione fornita dal Codice è valida in ogni contesto e non richiede di essere riprodotta nel d.lg. in esame; basterebbe, al limite, richiamarla. In secondo luogo, la definizione di cui all'articolo 6 del Codice riguarda l'intero patrimonio culturale, mentre il d.lg. sembra riferirsi - ma il punto è tutt'altro che chiaro, come si dirà tra breve - solo ad alcuni beni (storici e artistici). Peraltro, la definizione non è riportata nella sua interezza: manca infatti la parte "In riferimento al paesaggio, la valorizzazione comprende altresì la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati, ovvero la realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati", la cui esclusione non trova giustificazione, dato che l'articolo 3 dello schema di d.lg. riguarda anche i beni paesaggistici [2].

Quest'ultimo aspetto mette in luce un profilo più complesso, legato all'oggetto stesso delle funzioni trasferite. La legge delega n. 42 del 2009 fa riferimento, come visto, a "beni storici, artistici, paesaggistici, ambientali e fluviali". Lo schema di d.lg. considera la formula "beni storici e artistici" come sinonimo della locuzione "beni culturali", definiti ai sensi dell'art. 10 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Nella Relazione illustrativa dello schema di d.lg. si giustifica tale lettura in base al dettato costituzionale, che all'art. 9 si riferisce al patrimonio storico e artistico. Questa interpretazione, però, non può essere accolta, perché inverte la sequenza logico-temporale delle definizioni: dapprima vi era la espressione cose di interesse storico e artistico (legge n. 1089 del 1939), usata anche nella Costituzione; negli anni Cinquanta nasce la formula bene culturale, dalla portata più ampia [3]. Ciò appare evidente dall'art. 10 del Codice, dove la locuzione beni culturali include le cose di interesse non solo storico e artistico, ma anche archeologico e etnoantropologico, nonché i beni archivistici e librari.

Rimane quindi dubbio se, nel 2009, la legge delega:

a) abbia usato, in modo anacronistico, la espressione beni storici e artistici come sinonimo di beni culturali; oppure

b) abbia scelto di limitare il trasferimento di compiti ad alcune categorie di beni [4].

Nella ipotesi a), le norme dell'attuale schema di d.lg. sono incomplete, in quanto non tengono conto della specificità di alcune categorie di beni (archivi e biblioteche), né del relativo regime di competenze (la tutela dei beni librari non di appartenenza statale è stata infatti trasferita alle regioni, ai sensi dell'art. 5, comma 2, del Codice). Nella ipotesi b), lo schema di d.lg. dovrebbe chiarire a quali beni si riferisce. Sul punto, mentre può ammettersi la estensione ai beni archeologici (già realizzata dalla legge n. 1089 del 1939 sulla tutela delle cose di interesse storico e artistico; e tenendo conto che le aree archeologiche sono comprese nella formula "beni paesaggistici"), più problematica sembra l'inclusione dei beni archivistici e dei beni librari (per i quali esistono apposite soprintendenze e sono previste competenze regionali in materia di tutela).

In conclusione, si suggerisce di definire meglio l'oggetto del Capo II. Se si intende far riferimento genericamente ai beni culturali di cui all'art. 10 del Codice, occorre tener conto di tutte le relative implicazioni. Se, viceversa, si sceglie un ambito più ristretto, come una interpretazione più conforme al dettato dalla legge delega sembra suggerire, occorrerebbe precisarlo nell'art. 3.

3. I meccanismi procedimentali: la Conferenza delle soprintendenze

Con riguardo ai meccanismi procedimentali, lo schema di d.lg. introduce una apposita Conferenza delle soprintendenze ai beni culturali del territorio di Roma Capitale.

Premesso che sarebbe meglio usare la formula "è prevista" o "è attivata" invece dell'attuale "è istituita", perché - come precisato anche dalla Relazione illustrativa - la Conferenza ha natura esclusivamente procedimentale, si ribadisce che le norme su questo strumento troverebbero collocazione più appropriata nel Capo II del d.lg. Più in generale, poi, in termini di architettura istituzionale non può non destare perplessità la previsione della sezione speciale per Roma all'interno della Conferenza permanente stato/autonomie: è la dimostrazione, questa, di come simili sedi siano ormai sovraccaricate, e lo saranno ancor di più se la soluzione proposta per Roma Capitale fosse il paradigma di quanto avverrà in futuro per le singole città metropolitane.

Circa il funzionamento della Conferenza delle soprintendenze, emergono alcuni dubbi in relazione al generico richiamo agli artt. 14 ss. della legge n. 241 del 1990, con specifico riguardo al meccanismo previsto dall'art. 14-quater, comma 3, per il superamento del dissenso. L'art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990 prevede infatti che "...ove venga espresso motivato dissenso da parte di un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la questione, in attuazione e nel rispetto del principio di leale collaborazione e dell'articolo 120 della Costituzione, è rimessa dall'amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio dei ministri, che si pronuncia entro sessanta giorni, previa intesa con la regione o le regioni e le province autonome interessate, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali, ovvero previa intesa con la regione e gli enti locali interessati, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali. Se l'intesa non è raggiunta entro trenta giorni, la deliberazione del Consiglio dei ministri può essere comunque adottata". Data la peculiare natura della Conferenza delle soprintendenze prevista dallo schema d.lg., in cui pressoché tutti i soggetti coinvolti sono preposti alla tutela del patrimonio storico-artistico, appare evidente come l'ipotesi prevista dall'art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990 si configurerebbe come la "normale" procedura di superamento del dissenso, con la conseguenza che, in caso di mancato accordo, la decisione sarebbe comunque assunta dallo Stato. E questo sembra porsi in contrasto con l'obiettivo della legge delega, vale a dire il trasferimento di compiti a Roma Capitale.

Deve rilevarsi, inoltre, che alla Conferenza sono di fatto attribuiti, peraltro in modo incompleto, gli stessi compiti già previsti in generale dal Codice dei beni culturali e del paesaggio per i diversi soggetti pubblici (Stato, regioni, province, comuni): per esempio, lo schema di d.lg. richiama gli accordi ex art. 112 del Codice, ma non menziona l'ipotesi di trasferimento di beni ai sensi dell'art. 102 del Codice medesimo [5].

Considerata la specificità di questa Conferenza, sembrerebbe opportuno prevedere formule meno generiche e non limitarsi a rinviare a norme esistenti o a ulteriori forme di accordo. Senza contare che l'attuale organizzazione del ministero per i Beni e le Attività culturali rende assai problematico il coordinamento della Conferenza, sia per quanto riguarda le strutture centrali e regionali (lo schema del d.lg., ad esempio, non menziona la Direzione generale per la valorizzazione), sia con riferimento alle strutture periferiche, ossia le soprintendenze, a cui va aggiunta la soprintendenza speciale per l'area archeologica di Roma. In altri termini, sotto il profilo organizzativo, lo schema di d.lg. sembra adottare la consueta tecnica della sovrapposizione di cose nuove alle vecchie (nella specie: la Conferenza delle soprintendenze ai già complessi rapporti tra soprintendenze e direzioni - regionali e generali) [6].

In considerazione dell'elevato numero di uffici competenti, dunque, andrebbe valutata l'ipotesi di semplificare innanzitutto il quadro delle attribuzioni, anche prevedendo una sola struttura ad hoc: un organismo incaricato dalla valorizzazione dei beni culturali situati nel territorio di Roma Capitale, che potrebbe essere costituito in base all'art. 112, comma 5, del Codice dei beni culturali e del paesaggio [7].

4. Le funzioni (non) trasferite

Ulteriori problemi sono legati al novero di compiti elencati dall'articolo 4 dello schema del d.lg. Nella maggior parte dei casi, infatti, si fa riferimento ad attività che potrebbero essere comunque svolte da Roma Capitale senza necessità di alcun trasferimento. Inoltre, appare dubbia la legittimità costituzionale - per possibile eccesso di delega - della lettera c), del comma 2, del medesimo articolo 4, in base alla quale si prevede il concorso "nel rilascio di titoli autorizzatori, nulla osta e pareri preventivi limitatamente agli interventi di valorizzazione specificamente concordati": tale attività sembra rientrare nell'ambito della tutela, funzione riservata allo Stato e non oggetto di delega.

Lo schema di d.lg. non individua effettivi compiti di valorizzazione da attribuire a Roma Capitale, ma si limita a regolare un (nuovo) tipo di conferenza di servizi al fine di svolgere attività in larga parte già previste dal Codice dei beni culturali e del paesaggio. E non viene menzionato in alcun modo il rilievo internazionale del patrimonio culturale di Roma, anche solo con riguardo al centro storico, dichiarato sito Unesco nel 1980: per esempio, il d.lg. potrebbe far espresso riferimento al piano di gestione del sito [8].

La funzione di valorizzazione, per le proprie caratteristiche, consentirebbe di formulare ipotesi maggiormente articolate, distinte in base al tipo di attività (fruizione, accessibilità, servizi aggiuntivi) e del bene oggetto di intervento, nonché in relazione ai soggetti coinvolti (sia pubblici che privati). Il secondo d.lg. sull'ordinamento di Roma Capitale rappresenta un'occasione eccezionale per farlo, per il bene non solo del patrimonio culturale capitolino, ma dell'intero patrimonio storico-artistico della Nazione.

 

 

Note

[1] Ai sensi1 dell'art. 6, comma 1, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la valorizzazione "consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale. In riferimento al paesaggio, la valorizzazione comprende altresì la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati, ovvero la realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati". Sulla funzione di valorizzazione, da ultimo, Diritto e gestione dei beni culturali, a cura di C. Barbati, M. Cammelli e G. Sciullo, Bologna, Il Mulino, 2011, p. 53 ss.; si leggano anche M. Dugato, Fruizione e valorizzazione dei beni culturali come servizio pubblico e servizio di pubblica utilità, in Aedon n. 2/2007, e, in termini più ampi, il volume Cultura e istituzioni. La valorizzazione dei beni culturali negli ordinamenti giuridici, a cura di L. Degrassi, Milano, Giuffrè, 2008; in precedenza, L. Casini, La valorizzazione dei beni culturali, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2001, p. 651 ss.

[2] Su questi aspetti, S. Amorosino, La valorizzazione del paesaggio e del patrimonio naturale, in Rivista giuridica dell'edilizia, 2009, II, p. 143 ss., e G. Severini, La valorizzazione del paesaggio, in Urbanistica e paesaggio, a cura di G. Cugurra, E. Ferrari e G. Pagliari, Napoli, ES, 2006, p. 237 ss. Il Codice, peraltro, contiene una seconda definizione di valorizzazione, all'art. 111, comma 1, ai sensi del quale "Le attività di valorizzazione dei beni culturali consistono nella costituzione ed organizzazione stabile di risorse, strutture o reti, ovvero nella messa a disposizione di competenze tecniche o risorse finanziarie o strumentali, finalizzate all'esercizio delle funzioni ed al perseguimento delle finalità indicate all'articolo 6. A tali attività possono concorrere, cooperare o partecipare soggetti privati". Con riguardo alla disciplina dettata dal Codice dei beni culturali e del paesaggio in materia di valorizzazione, C. Barbati, La valorizzazione: gli artt. 101, 104, 107, 112, 115, 119, in Aedon n. 3/2008.

[3] Queste vicende sono ricostruite già in M.S. Giannini, I beni culturali, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1976, p. 3 ss. (ora anche in Id., Scritti. Volume Sesto 1970-1976, Milano, Giuffrè, 2005), F. Merusi, Art. 9, in Commentario della Costituzione, diretto da G. Branca, Bologna-Roma, Zanichelli-Il Foro It., 1975, vol. 1, p. 434 ss., S. Cassese, I beni culturali da Bottai a Spadolini, in Rass. Arch. St., 1975, p. 116 ss. (anche in Id., L'Amministrazione dello Stato, Milano, 1976, p. 152 ss.).

[4] Sul punto, i lavori preparatori della legge n. 42 del 2009 non sono di grande ausilio, dato che si limitano a richiamare l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in materia di beni culturali.

[5] Ai sensi dell'art. 102, commi 4 e 5, del Codice, "4. Al fine di coordinare, armonizzare ed integrare la fruizione relativamente agli istituti ed ai luoghi della cultura di appartenenza pubblica lo Stato, e per esso il ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali definiscono accordi nell'àmbito e con le procedure dell'articolo 112. In assenza di accordo, ciascun soggetto pubblico è tenuto a garantire la fruizione dei beni di cui ha comunque la disponibilità. 5. Mediante gli accordi di cui al comma 4 il ministero può altresì trasferire alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali, in base ai princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, la disponibilità di istituti e luoghi della cultura, al fine di assicurare un'adeguata fruizione e valorizzazione dei beni ivi presenti".

[6] Su tali problematiche, G. Sciullo, Il Mibac dopo il d.p.r. 91/2009: il "centro" rivisitato, in Aedon n. 3/2009, C. Barbati, L'amministrazione periferica del Mibac, nella riforma del 2009, ivi, e L. Casini, Il mito di Sisifo ovvero la quarta riorganizzazione del ministero per i Beni e le Attività culturali, in Giornale di diritto amministrativo, 2010, n. 9, p. 1006 ss.

[7] In base all'art. 112, comma 5, del Codice, "lo Stato, per il tramite del ministero e delle altre amministrazioni statali eventualmente competenti, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono costituire, nel rispetto delle vigenti disposizioni, appositi soggetti giuridici cui affidare l'elaborazione e lo sviluppo" dei piani strategici di sviluppo culturale previsti dal precedente comma 4.

[8] Sui piani di gestione previsti dalla normativa Unesco, C. Vitale, La fruizione dei beni culturali tra ordinamento internazionale ed europeo, in La globalizzazione dei beni culturali, a cura di L. Casini, Bologna, Il Mulino, 2010, p. 171 ss., in particolare p. 177 ss.

 



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