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Fondazioni di origine bancaria e imprese strumentali nel settore dei beni e delle attività culturali

Le società strumentali nelle Fondazioni: note introduttive [*]
[Foundations’ instrumental corporations: an introduction]

di Marco Cammelli

Un cordiale saluto agli intervenuti. Questo è il primo incontro dell'anno, di un anno che sarà ricco di iniziative perché tra poco, a fine mese a Venezia, già avremo un incontro promosso dall'Acri e dalla Commissione Beni Culturali, per il progetto catalogazione dei beni. Un tema anche questo importante che è ormai definitivamente maturato l'anno scorso. Questa iniziativa fa parte di quelle già sperimentate con successo nella stagione 2006-2007, vale a dire di incontri interni alle Fondazioni basate sullo scambio di esperienze e sottoposte alla valutazione di esperti, ancorate a settori specifici o a profili specifici dei problemi che come Commissione Beni Culturali abbiamo ritenuto di particolare interesse.

Questo incontro è stato pensato e organizzato insieme al collega Presidente Professor Mario Nuzzo, perché dal lato dei beni culturali è emerso in modo sempre più marcato il fatto che l'intervento delle Fondazioni non solo è cospicuo sul piano quantitativo, non solo è crescente, ma sul piano della qualità e delle forme di intervento si fa sempre più complesso, tanto da richiedere un'attrezzatura, forme di gestione, forme di organizzazione particolari, il che pone una serie di problemi delicati. Nel settore di cui ci occupiamo, infatti, da un lato operano le Fondazioni, ma dall'altra parte c'è tutto il sistema largamente pubblicistico dei beni culturali, sottoposto a regole peculiari in ordine al proprio regime di azione e di organizzazione, il che evidenzia la particolare attenzione che meritano le forme di collegamento immaginate, trattandosi di connessioni essenzialmente instaurate tra sistema pubblico e privati.

Ma questo è solo un aspetto, perché per altro verso c'è il fatto che le imprese strumentali sono una parte sempre più marcatamente significativa nell'esperienza delle Fondazioni e proprio un Comitato coordinato dal collega Mario Nuzzo ha da tempo approfondito questi profili. Ecco perché abbiamo immaginato di unire le cose e di valutare insieme questo settore e questo strumento cercando, nell'occuparci del settore dei beni culturali, di non perdere nulla delle riflessioni più generali in tema di imprese strumentali sin qui condotte.

E' chiaro infatti che l'approfondimento effettuato su che cosa sono, come sono organizzate, che regole hanno, che problemi pongono le imprese strumentali delle Fondazioni, è sul punto un necessario punto di partenza.

Per far questo siamo ricorsi al consueto schema dei nostri seminari, e cioè la mattina dedicata allo scambio di esperienze e il pomeriggio alle reazioni e approfondimenti degli esperti, seguendo la massima "prima i fatti e poi la riflessione sui medesimi" che fino ad oggi ha dato buoni frutti.

Inoltre, per facilitare e in qualche modo ordinare e rendere confrontabili le varie esperienze, abbiamo immaginato di raggruppare di diversi elementi intorno a quattro variabili principali che, ovviamente senza alcun vincolo rigido, credo utile richiamare e proporre.

Dall'indagine Acri dedicata alle imprese strumentali delle Fondazioni (settembre 2006), infatti, emergono elementi che possono considerarsi rilevanti nella (quasi) generalità dei casi. Mi appresto ad elencarli, non senza sottolineare un dato concettuale e lessicale, e cioè che per gestione diretta si intende la gestione dell'impresa strumentale operata dalla Fondazione al proprio interno, con contabilità separata ma senza costituire un soggetto giuridico autonomo: in tutti gli altri casi, si parla di gestione tramite società o ente (Fondazione, associazione).

Il primo riguarda la strumentalità, che va distinta tra strumentalità ai fini statutari e nei settori rilevanti, da un lato, e ad eventuali attività collaterali della Fondazione.

Il secondo attiene alla questione di eventuali utili maturati dall'attività dell'impresa strumentale, e più precisamente al regime giuridico cui questi ultimi sono sottoposti, specie per il profilo fiscale.

Un terzo ordine di questioni attiene più strettamente all'impresa, e ai problemi che sorgono sotto questo profilo. Tra i tanti, mi limito a citarne due: quello dell'(eventuale) iscrizione nel registro delle imprese e, più ancora, il classico tema della economicità: come intesa, in che modo declinata, con quali limiti, ecc.

Infine, il tema in qualche modo più complesso ed urgente, quello della governance. Mi riferisco innanzitutto al ruolo del Consiglio di indirizzo in ordine alle scelte riguardanti se istituirla o meno, che veste giuridica darle e come provvederla di mezzi, non dimenticando che l'impresa è un fatto, cioè l'organizzazione professionale dei mezzi di produzione per generare beni e servizi, prima ancora che un atto.

Ma, come sappiamo, altrettanti e forse maggiori problemi si pongono in capo al Consiglio di amministrazione, perché dall'atteggiarsi del rapporto tra quest'ultimo e l'impresa dipende il configurarsi della responsabilità della Fondazione in ordine alla gestione dell'impresa medesima, specie in caso di gestione diretta. In materia, appare cruciale approfondire il ruolo e limiti della contabilità separata, in sé e nella differenza con il "patrimonio separato", nonché il ricorso a soluzioni che se ben calibrate possono rappresentare altrettante soluzioni in grado di distinguere i ruoli della Fondazione e dell'impresa strumentale separandone, in misura variabile, anche le rispettive quote di responsabilità: penso alla previsione di una figura autonoma come responsabile dell'impresa, a meccanismi di delega (anche al segretario generale) per seguirne l'andamento, a procedure di scambio informazioni (efficaci e tempestive) tra Fondazione e impresa in merito alla gestione di quest'ultima.

Naturalmente nulla è prescrittivo, ma è indubbio che se descrittivamente ci interessa sapere che fanno, su che cosa operano, che cosa gestiscono le imprese strumentali, altrettanto determinanti sono alcuni snodi attraverso i quali passa buona parte delle problematiche aperte sulla impresa strumentale: se è diretta o indiretta, se è un soggetto separato o meno, come è costituita, come è finanziata, quali rapporti con gli organi di governo. Si tratta infatti di elementi essenziali da cui derivano, come tutti sappiamo, una serie di implicazioni di vario genere: sostanziali, fiscali, giuridiche, organizzative, ecc.

Non dimentichiamo infatti che a fine 2006 fu steso un importante elaborato poi diffuso dall'Acri a tutte le Fondazioni che costituisce un naturale e importante materiale di riferimento che certo dovremo tenere presente, così come poi nel 2007 ricordo un articolato intervento della prof.ssa Luisa Torchia che affrontava in particolare il profilo del se, quanto e quando le Fondazioni fossero tenute ad osservare procedure di evidenza pubblica nella stipulazione dei propri contratti.

Vorrei ora richiamare brevemente alcuni temi e problemi che ho tratto dal documento appena richiamato, che trovo di notevole importanza e nel quale alcune parti mi sembrano dissonanti, o parzialmente dissonanti da quanto per esempio ci veniva detto - sia pure in modo molto problematico - da Mario Nuzzo.

Il che non deve meravigliarci, perché le bocce non sono ferme e dunque operiamo in una situazione non perfettamente perimetrata. Di impresa se ne è già parlato, e anche di strumentalità, e qualcuno mi pare ne abbia dato un'interpretazione leggermente più ampia, perché ha parlato dei settori ammessi.

Ma veniamo ad alcuni aspetti di "lessico" su cui è bene trovare un linguaggio comune.

La diretta strumentalità normalmente non viene interpretata come esclusività ma è riferita semmai al dato dell'attività prevalente.

Quindi nel caso di gestione di un museo, non si esclude che poi ci sia una vendita di guide, che è chiaramente accessoria rispetto alla attività nettamente prevalente: strumentalità e non esclusività è un punto di lessico che mi pare importante richiamare.

Ancora. L'avvertenza da cui dobbiamo muovere è che le Fondazioni operano in un'area il cui regime è a tutt'oggi definito in modo sostanzialmente derogatorio rispetto all'ordinario: ad esempio, le agevolazioni fiscali riconosciute alle fondazioni sono interpretate per differenza rispetto al modello della società commerciale, e questo per il fatto che manca una disciplina aggiornata e comune delle fondazioni.

Avvertiamo fino in fondo il peso di avere un Libro I del Codice civile per questa parte largamente obsoleto, per cui ci muoviamo all'interno di un drastico dualismo: il modello della società commerciale e - per differenza - quello che commerciale non è.

Ora, quando le definizioni si danno in negativo, non soltanto risultano inevitabilmente imprecise, ma tecnicamente, sul piano giuridico, si costruiscono come deroga, cioè per differenza alla disciplina generale. Con il risultato, tutt'altro che secondario, che la deroga essendo tale va interpretata in modo stretto., senza estensioni o analogie. Con il risultato che ciò che non è espressamente compreso nella deroga, ricade nel regime ordinario. E tutti sappiamo quanti aspetti della struttura e della vita delle fondazioni risultano ancora non disciplinati.

In definitiva dobbiamo sempre renderci conto che fino a quando non ci sarà uno statuto in positivo per l'area delle fondazioni (di cui le bancarie rimarranno sempre qualche cosa di un po' particolare), rischiamo parecchio nel gioco della definizione in negativo di queste attività.

Quanto all'utile, già si diceva, le imprese strumentali possono riguardare la produzione di beni o servizi direttamente strumentali, mentre naturalmente non è direttamente strumentale la produzione di utili.

Per quanto riguarda la governance, richiamo due aspetti sostanzialmente rilevanti nel discorso delle strumentali, soprattutto per quelle minori, di gestione diretta dell'impresa.

Naturalmente il problema è quello dei limiti e della separazione fra il funzionamento ordinario della Fondazione e il funzionamento della sua impresa.

Il punto chiave è quanto funziona la separazione e quanto la separazione in realtà cede all'unicità della cosa.

Il che, da una parte, porta naturalmente - se si vuole separazione -, ad accentuare i tratti distintivi; ma dall'altra, si pongono le esigenze della governance, quindi dello stretto controllo, della circolazione delle informazioni, della strumentalità nel senso di attuazione di progetti e programmi. ecc.

Non dimentichiamo poi che il diritto societario con gli artt. 2497 ss. ha introdotto la fattispecie della direzione e controllo di società, anche se in realtà lo ha fatto per i gruppi e i rapporti tra la capogruppo e le altre, e non certo in riferimento alle fondazioni. Infatti, si intende evitare che i diversi soggetti giuridici diventino come una sorta di cilindro del prestigiatore in cui sparisce il fazzoletto ed esce il coniglio, venendo così pregiudicate le ragioni degli azionisti e dei soci di minoranza. Il rischio è che la capogruppo finisca per drenare a suo vantaggio tutte le utilità lasciando alla controllata, e ai soci di minoranza di quest'ultima, solo gli svantaggi. Ed è per questo che il codice civile fa in modo che se c'è una stretta e dominante incidenza della capogruppo sulle altre società, lo schermo della persona giuridica sia superato.

Date queste premesse, e considerando che le società strumentali delle Fondazioni in genere sono partecipate al 100 per cento da queste ultime, il problema per questo profilo mi pare che non si ponga.

Resta il fatto che il discorso delle società strumentali è ancora molto da costruire, a ennesima conferma che il regime delle fondazioni manca di un'articolazione normativa specifica che l'esperienza mostra indispensabile. La conferma, ancora una volta, che siamo in una zona probabilmente destinata ancora per qualche tempo a rimanere grigia.

Nel frattempo, stiamo attenti a che non si realizzino invece i meccanismi di "pubblicizzazione di ritorno" che, invece, sono sempre in agguato.

Il discorso è molto semplice. Le Fondazioni, forti della loro storia e delle sentenze della Corte costituzionale del 2003, rivendicano l'esistenza di uno spazio intermedio tra il pubblico, esclusivo garante degli interessi generali, e il privato, irrimediabilmente individuale ed egoistico. Lo spazio, appunto, di soggetti che sono privati ma che si muovono per la realizzazione degli interessi generali della comunità cui appartengono. Nello stesso tempo, e al contrario, registriamo l'orientamento opposto secondo il quale l'amministrazione pubblica non è data solo dai soggetti pubblici, ma anche dai soggetti privati che svolgono funzioni da qualificare pubbliche perché funzioni di interesse generale.

In sé certo si potrebbe sostenere che fra funzioni di interesse generale e funzioni pubbliche il confine è labile. Ma se teniamo conto di quanto appena si è detto, le concezioni sottostanti sono invece del tutto diverse e per certi aspetti, proprio quelli che riguardano più da vicino le Fondazioni, del tutto opposte.

Vorrei concludere con due semplici indicazioni, un caveat e una proposta.

Non c'è dubbio che il complesso problema delle imprese strumentali è particolarmente aggrovigliato dal fatto che si spostano sulle Fondazioni una serie di problemi del contesto di cui le stesse si fanno carico, cercando come possono di dare risposta.

Questo è un primo aspetto di cui dobbiamo essere consapevoli.

Se infatti riferiamo tutto ciò che oggi è emerso direttamente alle Fondazioni - e dunque nel presupposto che la Fondazione sia al centro di queste tematiche - qualcosa certo avremo chiarito ma molto ancora resta in un cono d'ombra.

Se invece ci spostiamo e valutiamo questa problematica da una posizione terza e in questa prospettiva ci interroghiamo sulle ragioni che portano le Fondazioni su questi percorsi, le cose si fanno assai più chiare. Emerge infatti con sufficiente evidenza che le Fondazioni esercitano questo potere organizzativo in ordine alle società strumentali non solo e non sempre per dare una risposta a propri problemi, ma anche per (cercare) di risolvere problemi che nascono altrove, e in particolare dal settore pubblico, cioè dal contesto in cui operano.

Da un lato infatti il riferimento alle sentenze Corte costituzionale n. 300 e 301 del 2003 va assunto nella pienezza dei principi ivi affermati: dunque, le Fondazioni sono certamente soggetti privati come private sono le risorse da utilizzare per finalità generali. Ma, appunto, c'è un evidente vincolo di funzionalizzazione: la Fondazione che non lo rispettasse è certamente sanzionabile in vari modi non perché quella risorsa è pubblica, ma perché si tratta di una risorsa privata destinata a finalità di natura e rilievo generale che non deve essere diversamente utilizzata.

D'altra parte c'è il problema del pubblico, quello vero, istituzionale, insomma la pubblica amministrazione che incontra difficoltà crescenti a svolgere il proprio ruolo tanto che spesso non riesce a progettare, a costruire, a restaurare, a gestire. Possiamo invocare quanto vogliamo il fatto che la sussidiarietà non va confusa con la vicarietà, la complementarietà, ecc di chi istituzionalmente deve provvedere. Ma il fatto è che in un sistema pubblico per molti aspetti in ginocchio è inevitabile che le difficoltà (non solo di risorse) finiscano per cadere sulle Fondazioni in modo pesante. Il che è ovvio nei casi più evidenti, come il reperimento di risorse o la difficoltà di far marciare in modo sincronico (v. le frequenti ipotesi di cofinanziamento) dinamiche assai differenziate.

Meno ovvio, ma forse più preoccupante, è tuttavia il fatto che proprio queste difficoltà possono spingere le Fondazioni a fare proprie queste esigenze, interiorizzandole e attrezzandosi per risolverle. Perché, così facendo, non solo si allontanano dalla loro missione che è quella di essere voce della comunità e della società civile ma, nel farlo, si accostano pericolosamente a quell'area a regime pubblicistico da cui invece debbono rigorosamente rimanere estranee.

Anche alla luce di queste ultime osservazioni, suggerirei di dividere le società strumentali in due categorie: quelle che si limitano a produrre beni e servizi esclusivamente per la Fondazione (strumentali in senso stretto) e quelle che, per essere strumentali a Fondazioni che non si limitano ad erogare ma che pongono in essere direttamente interventi in favore della comunità, incidono direttamente anche su altri soggetti o comunque vi si correlano direttamente.

Su queste ultime c'è da stare molto attenti, basti pensare al richiamo operato da Escalar sul terreno del regime fiscale. Per questi motivi suggerirei che su quest'area - che è quella del restauro, degli edifici, degli immobili, di infrastrutture sociali (scuole, ospedali, ecc.) -, le Fondazioni operassero direttamente (anche con strumentali) solo a condizione che lo si faccia per intero con risorse proprie e soltanto su beni di proprietà. Al di fuori di questi casi, la soluzione adottata potrebbe essere posta in discussione con più di un fondamento.

Resta da richiamare, infine, il principio di fondo a cui ognuno di noi deve fare riferimento, riprendendo anche in questo caso quanto ci diceva il collega Nuzzo: le Fondazioni devono comprendere che l'autonomia è anche piena responsabilità del proprio operato e piena consapevolezza dei propri limiti, altrimenti si trasforma in scomposta frammentazione.

L'autonomia non è un "in sé" definito, astratto e monistico: è, al contrario, un principio informatore di sistemi plurimi. E' una modalità relazionale, non una condizione di isolamento o di solitudine. Il che, come ci ha ricordato Mario Nuzzo, da un lato comporta il dovere di "dare conto" del proprio operato e dall'altro, e tra le Fondazioni, la necessità di concordare una rotta comune di navigazione tra problemi così delicati come quelli che oggi abbiamo approfondito.

Perché autonomia è, nello stesso tempo, riservarsi l'ultima parola e la decisione finale ma anche comprendere che, in gioco, c'è un intero sistema e non solo la propria realtà

 

Note

[*] Testo della relazione discussa nel seminario Acri su Le imprese strumentali nel settore dei beni e delle attività culturali, tenutosi a Roma l'11 gennaio 2008.

 



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