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Beni culturali e Aedon: un decennio di politiche istituzionali

di Marco Cammelli

Il 2008 è destinato a restare negli annali della storia, e nella memoria delle persone, per molti accadimenti, alcuni dei quali tutt'altro che positivi. Ma per noi, sul piano più modesto della cronaca e della sfera personale, è un anno particolare per una ragione molto semplice: Aedon ha compiuto 10 anni.

Non è certo il caso di autocelebrazioni, anche se qualche ragione di soddisfazione si può trovare. L'avere vinto la scommessa di una Rivista nata senza cartaceo e on line, il che dieci anni fa era tutt'altro che scontato. Averlo fatto mantenendo l'accesso del tutto gratuito, grazie alla disponibilità di chi vi scrive e di chi vi opera come redazione e comitato di direzione, oltre che al sostegno dell'Editore. Avere raggiunto una media di 15.000 accessi al mese, con punte di 20-25.000, di cui più di un terzo da paesi stranieri. Essere diventati, grazie alla completezza della documentazione e alla serietà degli approfondimenti, un punto di riferimento nel settore per studiosi, operatori, studenti, cercando di coniugare la passione culturale per una materia così ricca di valori e significati con lo sforzo di una visione serena ed equilibrata dei problemi e dei diversi punti di vista.

Naturalmente si può fare di più e meglio, e la Rivista farà ogni sforzo per raggiungere risultati migliori.

Ma se volgiamo lo sguardo dalla Rivista ai beni culturali e alla loro condizione, non possiamo nasconderci che il bilancio di questo decennio è di segno diverso. E non si tratta di soggettivi stati d'animo, ma della severa lezione dei fatti. Istituzionali, naturalmente. Vediamoli.

Scorrendo l'indice delle dieci annate, emerge il dato di fondo di una incessante e spasmodica innovazione normativa e di un'altrettanto evidente difficoltà a venire a capo dei temi più scottanti e urgenti della materia.

Tra il 1998 e il 2008 si registrano infatti, limitandosi agli interventi istituzionali più rilevanti:

- quanto alla disciplina sostanziale, il decreto legislativo 490/1999 (t.u. dei beni culturali e ambientali), il c.d. Codice Urbani (d.lg. 42/2004), le disposizioni integrative e correttive del Codice (d.lg. 156/2006) e le ulteriori disposizioni integrative e correttive del Codice (d.lg. 52 e 63/2008);

- in tema di assetto istituzionale, il d.lg. 112/1998, la riforma costituzionale del Titolo V (legge cost. 3/2001) e il conseguente adeguamento alla riforma costituzionale del 2001 della legge c.d. La Loggia (legge 131/2003); la legge di riforma costituzionale del 18 novembre 2005, respinta dal referendum del 25-26 giugno 2006, l'intesa Mibac-Cei (1996) e l'ulteriore intesa tra ministro Mibac e Presidente Cei del 26 gennaio 2005 (d.p.r. 78/2005);

- sul piano della organizzazione del ministero, in ordine cronologico: Sibec (legge 352/1997); la legge 59/1997 e relativa attuazione: d.lg. 368/1998 (istituzione del ministero per i Beni e le Attività culturali) e d.lg. 300/1999 (riordino del Governo e modifiche al Mibac); il regolamento di organizzazione del Mibac (d.p.r. 441/2000); il regolamento costituzione e partecipazione a Fondazioni da parte del Mibac (d.m. 491/2001); il regolamento organizzazione uffici di diretta collaborazione del Mibac (d.p.r. 307/2001); Poli museali (d.m. 11 dicembre 2001); Patrimonio dello Stato spa (legge 112/2002, art.7); delega per il riordino organizzativo del Governo (legge 137/2002) e riorganizzazione Mibac (d.lg. 3/2004); regolamento di organizzazione Mibac (d.p.r. 173/2004); riordino Biennale di Venezia (d.lg. 1/2004), Centro sperimentale di cinematografia (d.lg. 32/2004), Istituto nazionale dramma antico (d.lg. 33/2004); articolazione centrale e periferica dei dipartimenti e delle direzioni generali Mibac (d.m. 24 settembre 2004); riordino attribuzioni Presidenza del Consiglio e ministeri (legge 233/2006); modifiche al regolamento di organizzazione del Mibac (d.p.r. 2/2007); regolamento riordino organismi operanti presso il Mibac (d.p.r. 89/2007); regolamento di riorganizzazione del Mibac (d.p.r. 233/2007).

Tutto questo, senza citare le innovazioni provenienti da altre fonti extra-statuali, come la Convenzione europea del paesaggio (2000), o esterne al nostro settore, basti ricordare le ricorrenti modifiche sui servizi pubblici introdotte dalle finanziarie annuali come quelle della legge 448/2001 per i servizi pubblici non economici (art. 113-bis d.lg. 267/2000) a loro volta cadute per pronuncia della Corte cost. 272/2004, o singoli interventi certo non irrilevanti come quelli sulla alienazione e utilizzazione demanio storico-artistico (d.p.r. 283/2000) o le erogazioni liberali per progetti culturali (art. 38 legge 342/2000).

Su ognuno di questi provvedimenti la Rivista si è soffermata più volte, approfondendone i contenuti, le premesse, le implicazioni. Dunque non è su questo, e in questa sede, che vogliamo intervenire.

Il problema è un altro. Il semplice elenco che si è fatto è lì ad indicarci che in molti terreni, e sopratutto su profili chiave del sistema come l'assetto istituzionale (a cominciare dai rapporti centro/regioni/enti locali) e quello organizzativo del ministero, è stato un susseguirsi continuo di riforme, modifiche, ripensamenti, ulteriori riforme a ritmi quasi annuali.

Un attivismo (specie organizzativo) di questo genere, senza tregua e purtroppo senza grande risultato, è lì ad indicarci senza possibilità di smentita che la strada da seguire non è chiara, o se lo è non è sufficientemente condivisa, e che spesso non vi è né l'una né l'altra. E, anche senza prestare ascolto a interpretazioni maliziose che legano l'attivismo normativo sulla organizzazione alla più prosaica possibilità di azzerare le nomine dei vertici amministrativi fatte in precedenza, è innegabile che anche queste sono le implicazioni che ne derivano.

Ma sopratutto, un tale modo di procedere impedisce di maturare esperienze concrete e condanna il discorso a rimanere sospeso tra l'astrattezza del legislatore precedente e quella del legislatore successivo: l'uno e l'altro senza possibilità di verifiche, di apprendere, di correggere a ragion veduta.

Aggiungiamo il disorientamento che ne consegue per il personale che vi opera, in termini di aspettative e di progetti, e per il sistema delle relazioni esterne, dagli enti istituzionali (regioni, enti locali) agli interlocutori di ogni natura, dai livelli sovranazionali alla Cei, dalle imprese alla fondazioni.

Sullo sfondo, del sistema e del decennio, restano i temi cruciali del settore. L'importanza, e i connessi rischi, di una estensione dei valori culturali che ormai abbracciano l'intero paesaggio e sono componenti necessarie della maggior parte delle politiche pubbliche comprese quelle di sviluppo e di coesione, ma che proprio per questa dilatazione rischiano l'evanescenza del nucleo originario dei propri contenuti e di strumenti specifici di garanzia e di sostegno.

Il conseguente moltiplicarsi degli interlocutori, istituzionali e privati, domestici e sovranazionali, che spostano l'asse di riferimento e significative quote del processo decisionale in altre sedi, anche ministeriali (v. ministero dell'Economia).

La sfida di garantire le prescritte condizioni di autonomia scientifica, amministrativa e funzionale ad apparati tecnici indeboliti dalla diminuzione delle risorse e dall'aumento della precarietà, e nello stesso tempo la necessità di favorirne la maturazione in modo da sensibilizzarli sul versante, altrettanto cruciale, della capacità organizzativa e gestionale, della cooperazione con altre amministrazioni e privati, della utilizzazione economicamente appropriata delle risorse, a cominciare dal tempo.

Il tutto, in un Paese nel quale il rilievo dei sistemi locali e l'aumento del dualismo tra centro-nord e mezzogiorno impone soluzioni nuove ed articolate, mettendo fuori gioco il tabù della rigidezza e dell'uniformità a cui troppo si continua a sacrificare.

Temi, come si vede, centrali ma rimasti sullo sfondo rispetto alle consuete dispute pubblico/privato, stato/regioni, garanzie/managerialità che hanno dominato il decennio, peraltro più sul piano della passionalità e dell'ideologia che su quello dell'analisi razionale e dei fatti.

Non tutto è stato inutile, ed anzi non mancano sforzi apprezzabili come ad esempio quelli operati sui terreni più riposti ma decisivi della cooperazione tra amministrazioni e relativi accordi di programma. Una ragione in più per essere oggetto, questi come gli altri temi che si sono richiamati, di tutta l'energia dispersa nell'attivismo immobile di questo decennio.

Aedon non sarebbe nata senza l'iniziativa e le idee di Carla Barbati, il convinto e qualificato sostegno di Girolamo Sciullo, la generosa disponibilità di Angela Serra. Un sentito, grato ringraziamento.

 

 

 

 

 



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