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Ossimori istituzionali: l'instabile immobilità della organizzazione ministeriale

di Marco Cammelli

La griglia di questo numero della Rivista, l'ultimo del 2006 e il primo sull'avvio del nuovo esecutivo, offrono una rappresentazione perfetta, quasi da tavolino, delle dinamiche in atto nel settore dei beni culturali: vincoli e impulsi che in modo crescente, anche in questa materia, ci vengono dall'ordinamento comunitario; consuete e difficili messe a punto dei rapporti tra stato e sistema locale; modifiche istituzionali e organizzative rilevanti ma poco decisive su apparati in serie difficoltà di funzionamento. Sullo sfondo, il riproporsi di aree numericamente limitate ma significative di contenzioso, concentrate sulle incerte linee di confine tra competenze centrali e regionali (Corte costituzionale) e tra autorità di tutela e garanzie dei privati (giudice amministrativo).

Ne trattano, in profondità, i saggi dedicati all'argomento ed è dunque opportuno farvi rinvio. Ma sul tema dell'organizzazione del ministero, per l'ennesima volta ripensata nel suo assetto di vertice e bloccata su aspetti chiave del personale tecnico-direttivo è invece bene soffermarci.

I fatti sono rappresentati dallo scorporo di funzioni effettivamente eterogenee (v. sport); dalla diversa dislocazione di quelle in materia di turismo, che lo sono molto meno e che comunque sono trasferite alla Presidenza del Consiglio riaprendone un profilo di gestione diretta estraneo alla vocazione di stretto indirizzo e coordinamento che si pensava (rectius: si era disposto, v. riforme del 1999) acquisito; dal ritorno al modello di "segretariato" dopo la breve parentesi "dipartimentale" dei primi anni 2000.

Il tema non è il merito, su cui i saggi che trattano tali temi indicano con chiarezza ciò che c'è da sapere e da riflettere, ma la concezione istituzionale e organizzativa sottostante a queste scelte. Una filosofia, se così vogliamo definirla, basata sul principio della costante e ampia reversibilità e disponibilità delle scelte organizzative in ragione dei più disparati motivi: il mutare dei governi, le esigenze delle coalizioni, le opzioni dei singoli titolari o l'onda lunga di dinamiche di tutt'altro genere e in particolare dei limiti di spesa.

Ebbene, l'esperienza nostra e dei paesi a noi confrontabili, le dinamiche interne agli apparati specie di natura prevalentemente tecnica, le aspettative degli operatori e di chi dall'esterno vi si rapporta, le stesse relazioni tra istituzioni portano univocamente verso una direzione opposta, quella della stabilità e autonomia di tali scelte.

Naturalmente prima, e alla base, vi stanno opzioni di fondo: quali interessi pubblici riconoscere come determinanti, a chi affidarne la cura e secondo quali macro modelli di riferimento. Ma una volta operate queste scelte, il che avviene normalmente in base a processi di lunga durata, il resto si definisce in termini di coerenza e di compatibilità con quanto acquisito. Al più intervenendo, quando necessario, sulla quantificazione delle risorse disponibili o sulle modalità operative in base alle condizioni del tempo.

L'autonomia degli assetti organizzativi fondamentali rispetto all'alternarsi di maggioranze politiche e di formule governative, dunque, non è né autoreferenzialità né immobilità ma espressione del durevole peso che vi esercitano, lasciandone una traccia profonda, le variabili fondanti della materia (centralità dei beni culturali) e del quadro istituzionale (tra le quali, cruciali, i rapporti stato-governo locale), la densità dei saperi professionali da preservare nelle diverse politiche di settore, le esigenze di operatività nel funzionamento quotidiano, il delicato rapporto tra buon andamento (richiesto ad ogni organizzazione) e tutela delle garanzie dei terzi (profilo squisitamente limitato a questo genere di apparati pubblici).

Nessuno mette in discussione che le scelte di "modello" operate alla fine degli anni '90 dalle riforme c.d. Bassanini possano essere riviste e, se necessario, del tutto superate. Ma le esigenze che abbiamo nell'insieme riferito all'autonomia richiedono, allora, una diversa analisi e composizione. In breve, una diversa, motivata e riconoscibile modellistica. Senza parlare dei vincoli, antichi ma non trascurabili, che ci impongono i principi di identità e di non contraddizione, per cui non si può volere una cosa e il contrario o sfuggirne le necessarie implicazioni.

In questo quadro, si possono trasferire competenze da un ministero all'altro ma è necessario chiarire che combinazione di interessi pubblici si persegue. E' lecito appoggiare compiti gestionali alla Presidenza del Consiglio, ma è doveroso chiedersi se tale soluzione è compatibile con le funzioni di Palazzo Chigi in un sistema maggioritario di coalizione o chiarire quale nuovo ruolo si intende assegnare a quest'ultimo. Si può diffidare del modello ministeriale dipartimentale e tornare a quello di segretariato, salvo affrontarne tutte le implicazioni comprese quelle delle relazioni con gli organi periferici del ministero. Può comprendersi una ridefinizione del Consiglio nazionale per i beni culturali, a patto però di spiegare quali rapporti tra politica e saperi tecnici si immaginano e quali e quante esigenze di rappresentanza delle domande espresse dai sistemi locali si assegnano a questa sede o si lasciano alle c.d. conferenze permanenti.

Se invece a tutto questo si pone mano per bilanciare equilibri, tra l'altro mutevoli, delle singole coalizioni, per sistemare qualche posizione amministrativa di vertice o sulla spinta di indifferenziate prescrizioni quantitative originate dalla necessità del contenimento della spesa pubblica, allora i modelli si afflosciano, le aspettative si confondono e il sistema va in blocco frazionandosi in due livelli tra loro non comunicanti: una superficie, esposta ad un incessante susseguirsi di modifiche per lo più formali, e il profondo corpo degli apparati, sostanzialmente immoto ed estraneo ad ogni processo di innovazione.

Tra l'uno e l'altro rischia di allargarsi, così, una vasta terra di nessuno dove rischiano di disperdersi, nello stesso tempo, l'operatività e l'efficacia degli apparati e l'effettività delle garanzie dei terzi che in questi casi, e sopratutto rispetto ai provvedimenti amministrativi in materia di tutela e di valorizzazione dei beni culturali, sono affidate alla solidità e al buon funzionamento della organizzazione ben più che agli interventi in sede giurisdizionale.

 



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