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L'autorizzazione per l'apertura di sale cinematografiche:
brevi note sull'art. 22 del "decreto Urbani"

di Leonardo Zanetti

Sommario: 1. L'evoluzione del quadro normativo. - 2. I contenuti dell'art. 22. - 3. Osservazioni conclusive.

1. L'evoluzione del quadro normativo

L'autorizzazione per l'apertura delle sale cinematografiche viene prevista dall'art. 31 della legge 4 novembre 1965, n. 1213 [1], provvedimento fondante dell'azione pubblica in materia di cinematografia sino all'entrata in vigore del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28, ossia del recente "decreto Urbani" [2], qui primariamente in esame.

La disciplina dettata nel 1965 in seguito viene più volte modificata e specificata [3], ma il suo schema concettuale si mantiene in larga parte inalterato per oltre un trentennio. Si tratta di regole che prefigurano un intervento pubblico di indirizzo e programmazione delle attività degli esercenti. Infatti il rilascio dell'autorizzazione è subordinato alla sussistenza di requisiti inerenti ad aspetti quali il rapporto tra popolazione residente e numero degli schermi, o la distanza tra le sale operanti sul territorio; requisiti variamente declinati e combinati a seconda delle ipotesi, ad esempio in base alla presenza o meno di ulteriori strutture nel territorio comunale. Peraltro, a dimostrazione di una impronta sostanzialmente "difensiva" del sistema, viene riconosciuta la priorità alle istanze di trasferimento di impianti rispetto a quelle di apertura ex novo.

La circostanza che il sistema tenda a preservare gli equilibri già esistenti sul mercato, in effetti, è alla base di ripetute prese di posizione critiche dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato [4]. Del resto, è lecito il dubbio che le misure in questione siano opinabili non solo sul piano dei contenuti ma anche sul versante degli esiti, visto che tra gli anni '70 e gli anni '90 si registra un calo verticale del numero degli spettatori in sala.

Forse proprio a causa del pungolo dell'Autorità antitrust, alla fine dello scorso decennio l'ordinamento cambia rotta in modo assai significativo, ancorché non completo, con l'entrata in vigore dell'art. 4 del decreto legislativo 8 gennaio 1998, n. 3 [5] e - quale normativa di attuazione - del decreto ministeriale 29 settembre 1998, n. 391 [6]. In sintesi, tale disciplina mantiene la necessità dell'autorizzazione soltanto per le sale con una capienza superiore ai milletrecento posti, concentrando il focus della regolazione non già sul mercato dell'offerta cinematografica complessivamente inteso bensì sul segmento delle strutture di grande dimensione, anche con specifico riguardo all'emergente fenomeno delle multisale. Le ormai ridotte funzioni autorizzatorie vengono peraltro mantenute in capo allo Stato, senza essere coinvolte nel processo di decentramento "a Costituzione invariata" compiuto in quel periodo, in forza dell'esclusione univocamente disposta dell'art. 156 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.

Rispetto a ciò, la scelta compiuta nella XIV legislatura dal "decreto Urbani", e segnatamente dal suo art. 22, concretizza un ulteriore revirement, che in sostanza restaura il quadro anteriore alla parziale liberalizzazione effettuata nella XIII legislatura.

L'apertura di strutture destinate alla proiezione di opere filmiche viene nuovamente sottoposta ad autorizzazione indipendentemente dalla capienza della sala. Il criterio dimensionale è utilizzato a tutt'altro fine, ossia per marcare la linea di confine tra competenze statali e regionali: per le multisale dotate di più di milleottocento posti, il rilascio del provvedimento spetta al ministero per i Beni e le Attività culturali [7], il quale si basa direttamente sulla disciplina dell'art. 22 d.lg. 28/2004; per tutti gli altri impianti, il rilascio del provvedimento è proprio del sistema delle autonomie, una volta che ciascuna regione abbia dettato una propria regolamentazione e comunque nel rispetto dei principi fondamentali posti dall'art. 22 d.lg. 28/2004. Ciò senza considerare qui una certa sfera di ultrattività della disciplina anteriore, di cui si dirà in seguito.

Dunque il legislatore torna all'antico dal punto di vista delle scelte sostanziali, e in primis della portata della necessità di autorizzazione, mentre innova per quanto riguarda la distribuzione delle funzioni tra Stato e autonomie, nell'intento di conformarsi alla novella costituzionale del 2001, che impatta sul settore sotto più profili: assegnando alla legislazione concorrente Stato-regioni la materia "promozione e organizzazione di attività culturali" nonché la materia "governo del territorio" ("nuovo" art. 117, comma 3, Cost.); prevedendo che il riparto delle attribuzioni pubbliche tra le istituzioni territoriali avvenga secondo il principio di sussidiarietà ("nuovo" art. 118 Cost.).

Ma l'attenzione del legislatore alle logiche del decentramento, benché maggiore che nel passato, non risulta sufficiente, giacché la riserva allo Stato delle funzioni sull'autorizzazione degli impianti maggiori non si fonda su alcuna riserva di competenza prevista dal vigente ordinamento costituzionale: per cui la Consulta dichiara costituzionalmente illegittimo in parte qua l'art. 22 d.lg. 28/2004 [8]; ne discende che anche le funzioni legislative e amministrative in origine trattenute allo Stato devono intendersi ormai spettanti al sistema delle autonomie.

A questo punto, in particolare, diviene decisivo il ruolo del legislatore regionale, chiamato sia a declinare i principi fondamentali posti dall'art. 22 d.lg. 28/2004, sia ad allocare la competenza al rilascio dell'autorizzazione. E in proposito si possono segnalare alcuni primi interventi, con specifico riguardo a quelli della Toscana [9] e del Piemonte [10].

2. I contenuti dell'art. 22

a) Il riparto delle competenze

Per ciò che concerne il riparto delle funzioni legislative tra Stato e regioni, si è già rilevato che l'art. 22 del "decreto Urbani" contiene una disciplina di massima, nella prospettiva dell'individuazione dei soli principi fondamentali della materia e - del pari - dell'adozione da parte dei legislatori regionali di regole di maggior dettaglio.

Tuttavia, occorre evidenziare che l'art. 27, comma 4, del decreto mantiene in vigore la normativa statale precedente - l. 1213/1965 e d.m. 391/1998 - "nelle regioni nelle quali non siano state emanate le leggi di cui al primo comma dell'articolo 22 del presente decreto e fino alla data di entrata in vigore delle stesse".

Per quanto riguarda poi il riparto delle funzioni amministrative, pure si è già accennato alla circostanza per cui l'art. 22 d.lg. 28/2004 lascia alle leggi delle regioni il compito di distribuire le funzioni tra l'una o l'altra amministrazione territoriale. A sua volta, il legislatore regionale gode in proposito non di libertà ma di discrezionalità, dovendo applicare i criteri indicati dall'art. 118 Cost., e quindi allocare le funzioni al comune, salvo che vi siano ragioni di unitarietà o adeguatezza che impongano l'assegnazione delle funzioni ad un livello sovracomunale (ivi inclusa l'opzione intercomunale, ossia il ricorso a sedi associative tra comuni).

Occorre evidenziare che la citata pronuncia della Corte costituzionale ha preso le mosse - seppur ai diversi fini del riparto di competenze tra Stato e autonomie - dall'inerenza dell'autorizzazione de qua alla materia "governo del territorio". Ciò significa che detta autorizzazione deve trovare un inquadramento nell'ambito delle funzioni di pianificazione urbanistico-territoriale: le quali si basano sulla centralità dei comuni, fatte salve le competenze delle regioni - spesso delegate alle province - in merito all'approvazione dei piani, nonché le competenze delle province stesse in merito alla scelte di area vasta (a partire da quelle in tema di formazione del Ptcp). Il favor per il comune riconosciuto in via generale dall'art. 118 Cost. risulta quindi rinforzato dalle peculiarità del settore in discorso.

Dando uno sguardo alle prime discipline sub-statuali, tuttavia, si può rilevare che i legislatori della Toscana e del Piemonte hanno assunto scelte accomunate dalla volontà di centralizzare almeno in parte la decisione: il primo ha riservato sic et simpliciter alla regione il rilascio dell'autorizzazione [11]; il secondo ha attribuito la competenza ai comuni ma ha subordinato l'assenso di questi ultimi al parere favorevole di un organismo misto costituito presso la regione [12].

b) L'oggetto delle attribuzioni

Benché fin qui, per semplicità espositiva, il potere autorizzatorio sia stato riferito soltanto all'apertura delle sale cinematografiche, alla luce dell'art. 22 d.lg. 28/2004 l'oggetto della fattispecie risulta più ampio e articolato: il legislatore considera infatti la "realizzazione, trasformazione ed adattamento di immobili da destinare a sale ed arene cinematografiche", nonché la "ristrutturazione o ampliamento di sale e arene già in attività".

E' importante rilevare, peraltro, che tale autorizzazione viene considerata dalla norma quale titolo abilitativo a sé stante, ma nondimeno appare destinata a confluire nel procedimento unificato per gli impianti produttivi, di competenza dello sportello unico per le attività produttive (Suap), previsto dagli artt. 24 ss. d.lg. 112/1998 e dal d.p.r. 20 ottobre 1998, n. 447 [13]. Ciò, almeno, salvo che il legislatore regionale ponga regole espressamente derogatorie rispetto a quest'ultima disciplina.

E' noto infatti che confluiscono nel procedimento unificato tutti i provvedimenti richiesti per "la localizzazione degli impianti produttivi di beni e servizi, la loro realizzazione, ristrutturazione, ampliamento, cessazione, riattivazione e riconversione [...], nonché l'esecuzione di opere interne ai fabbricati [...]" (art. 1, comma 1, d.p.r. 447/1998). In particolare non sembra dubitabile che la proiezione di opere filmiche costituisca un "servizio" ai sensi dell'ampia e onnicomprensiva nozione utilizzata dalle norme sullo Suap (cfr. anche art. 1, comma 1-bis, d.p.r. 447/1998).

Ciò significa che l'autorizzazione in discorso confluirà nell'ambito del procedimento unificato, quale sub-procedimento di settore, senza pregiudizio del ruolo di coordinamento dello Suap e - tramite esso - del comune [14].

c) I principi fondamentali dati ai legislatori regionali

Si è detto più volte che l'art. 22 d.lg. 28/2004 rileva anche - o forse soprattutto - quale testo recante i principi fondamentali della materia, come tali vincolanti per i legislatori regionali. La disposizione auto-qualifica talune sue affermazioni nel senso che esse pongano appunto delle regole di principio, ma si ricordi che per costante giurisprudenza costituzionale simili auto-qualificazioni risultano di dubbia validità e/o efficacia [15]. Del resto, a ben vedere, la prescrizione di maggior rilievo viene espressa dall'art. 22 non tramite le sue proposizioni dichiaratamente di principio (le lett. a), b), c), d) del comma 1) ma attraverso un obiter dictum (sempre nell'ambito del comma 1).

Si tratta dell'inciso secondo cui l'autorizzazione deve essere disciplinata "anche al fine di razionalizzare la distribuzione sul territorio delle diverse tipologie di strutture cinematografiche". Esso conferma che la ratio legis è ancora oggi - come già nel passato (salvo che per la parentesi 1998-2004) - quella di programmare in generale lo svolgimento delle attività degli operatori, al di là delle problematiche poste da singole categorie di impianti, quali le multisale di maggiori dimensioni, la cui realizzazione in effetti solleva delicate questioni anche di ordine urbanistico-territoriale e quindi giustifica soluzioni differenziate e limitative.

La logica programmatoria viene poi confermata e specificata dalle disposizioni dell'articolo in commento secondo cui la disciplina dell'autorizzazione deve imperniarsi sui seguenti aspetti: "rapporto tra popolazione e numero degli schermi presenti nel territorio provinciale"; "ubicazione delle sale e arene, anche in rapporto a quelle operanti nei comuni limitrofi"; "livello qualitativo degli impianti e delle attrezzature"; "esigenza di assicurare la priorità ai trasferimenti di sale e arene esistenti in altra zona dello stesso territorio provinciale". Con l'unica eccezione del riferimento alla qualità delle strutture, si tratta di elementi tutti rivolti al governo dell'offerta, al solito in un'ottica sostanzialmente "difensiva", come dimostra la priorità assegnata al trasferimento delle sale già in esercizio.

Manca in questa disciplina, si ripete, la distinzione tra le categorie di sale: il legislatore statale, ai fini dell'an e del quomodo dell'autorizzazione, non considera né la dimensione né la vocazione delle strutture. Sono invece gli ordinamenti regionali a mostrare una certa attenzione per siffatte caratteristiche, in particolare esentando dall'autorizzazione le sale più piccole [16]. Si sta cioè realizzando un'asimmetria tra disciplina statale e regionale che potrebbe perfino rilevare in punto di legittimità costituzionale, qualora si ritenessero violati i principi fondamentali della materia (al di là del merito della questione, su cui si tornerà tra poco).

3. Osservazioni conclusive

La disciplina in esame, si è detto, ripropone il problema del rapporto tra indirizzo pubblico e autonomia privata nel settore dell'attività cinematografica, e segnatamente nel segmento della programmazione in sala.

A ben vedere, si potrebbe dubitare della stessa legittimità costituzionale dell'intervento del legislatore delegato nel senso della re-introduzione della necessità di autorizzazione (in via generale e non soltanto nelle ipotesi già considerate dalla normativa del 1998). Infatti, se si scorrono i principi e criteri direttivi configurati dalla legge-delega, è arduo cogliervi un riferimento a siffatta revisione [17], e anzi si possono scorgere obiettivi di segno assai diverso, quali lo "snellimento [...] dei procedimenti" [18].

Ma, al di là di questo aspetto di ordine procedurale, la questione rimane soprattutto di merito, trattandosi di verificare l'equità e l'efficacia delle regole in commento: questioni chiaramente eccedenti i limiti di questo scritto, ma a cui occorre dedicare almeno qualche cenno.

In punto di equità, e di conformità a norme costituzionali sostanziali, appare evidente che la nuova disciplina protegge lo status quo, (ri)stabilendo una barriera all'ingresso di nuovi operatori nonché al mutamento dei rapporti tra gli operatori già attivi. La critica prevalente a tale approccio è quella, ripetutamente enunciata dall'Autorità antitrust, che verte sulla lesione del principio di concorrenza [19]; critica sicuramente plausibile, anche se l'applicazione delle logiche di mercato alle attività culturali e segnatamente cinematografiche è controversa e parziale, per indicazioni di ordine sovranazionale [20] prim'ancora che per la disciplina ora recata dall'art. 26 dello stesso "decreto Urbani" [21]. Un rilievo meno frequente e però meritevole di almeno altrettanta attenzione, ad opinione di chi scrive, è quello che richiama non (sol)tanto i diritti economici quanto la libertà dell'arte, sancita dall'art. 33, comma 1, Cost.. Sembra innegabile, infatti, che gli ostacoli all'apertura delle sale incidano sulla creazione così come sulla fruizione dell'opera, per lo meno in termini di effettività delle chances di diffusione e visione della pellicola.

Naturalmente, non si può ignorare che la normativa in discorso persegue l'obiettivo di governare il settore in una fase assai delicata, nella quale si assiste alle difficoltà delle sale tradizionali nel confronto con i megaimpianti multischermo, al prevalere della dimensione "industriale" su quella "artistica".

E' però discutibile, e siamo venuti al profilo dell'efficacia, nonché della proporzionalità, che l'affacciarsi di nuovi - e semmai disinvolti - operatori costituisca realmente l'unica o la principale causa della situazione, e che non si debba invece guardare altrove, ad esempio alla riduzione dei cosiddetti "diritti d'antenna" corrisposti dalle emittenti televisive oppure alla scarsa attenzione del legislatore per gli incentivi fiscali [22] [23]. E comunque il gigantismo di alcuni impianti andrebbe semmai affrontato prevedendo la necessità di autorizzazione non già per tutte le sale bensì per le sole strutture di maggiori dimensioni (come disponeva la disciplina del 1998), e ciò riferendosi non tanto all'attività in sé quanto all'impatto urbanistico-territoriale (come suggerisce indirettamente la sentenza della Consulta sulla disposizione in commento) [24] [25].

 

Note

[1]"Nuovo ordinamento dei provvedimenti a favore della cinematografia".

[2]"Riforma della disciplina in materia di attività cinematografiche, a norma dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137"

[3] L'intervento più rilevante è la sostituzione del suddetto art. 31 da parte dell'art. 9 del decreto-legge 14 gennaio 1994, n. 26, convertito con modificazioni dalla legge 1° marzo 1994, n. 153, recante "Interventi urgenti a favore del cinema". Tra le disposizioni di attuazione si ricordi da ultimo il dpcm 8 settembre 1994, recante "Determinazione dei criteri per la concessione dell'autorizzazione all'apertura di sale cinematografiche", e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 282 del 2 dicembre 1994 (modificato dal dpcm 13 maggio 1996, "Integrazione dei criteri per la concessione dell'autorizzazione per l'apertura di sale cinematografiche", in Gazzetta Ufficiale n. 148 del 26 giugno 1996).

[4] Per limitarsi al periodo finora considerato, si ricordino: l'Indagine conoscitiva nel settore del cinema, chiusa con provvedimento n. 2335 del 5 ottobre 1994, in Bollettino Agcm, n. 40/1994; la segnalazione n. 5 del 23 novembre 1994, in Bollettino Agcm, n. 47/1994; la segnalazione n. 10 del 19 dicembre 1996, in Bollettino Agcm, n. 52/1996.

[5]"Riordino degli organi collegiali operanti presso la Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento dello spettacolo, a norma dell'articolo 11, comma 1, lettera a), della legge 15 marzo 1997, n. 59".

[6]"Regolamento recante disposizioni per il rilascio di autorizzazione per l'apertura di sale cinematografiche, ai sensi dell'art. 31 della legge 4 novembre 1965, n. 1213 e successive modifiche".

[7] Ancorché su parere conforme della Consulta territoriale per le attività cinematografiche, organo consultivo a composizione mista, stante la presenza di rappresentanti delle regioni e degli enti locali.

[8] Corte cost., 19 luglio 2005, n. 285.

[9] L.r. 27 dicembre 2004, n. 78, "Disposizioni in materia di autorizzazione all'esercizio cinematografico"; d.p.g.r. 30 marzo 2005, n. 42-R, "Regolamento di attuazione della legge regionale 27 dicembre 2004, n. 78 (Disposizioni in materia di autorizzazione dell'esercizio cinematografico)"; del. Giunta 28 novembre 2005, n. 1154, "L.r. 27 Dicembre 2004 n. 78 (Disposizioni in materia di autorizzazione all'esercizio cinematografico). Indirizzi regionali ex art. 4. Approvazione".

[10] L.r. 28 dicembre 2005, n. 17, "Disciplina della diffusione dell'esercizio cinematografico del Piemonte". La legge richiede peraltro una disciplina di attuazione per la propria piena operatività.

[11] Art. 3, comma 2, l.r. 78/2004.

[12] Art. 6, comma 2, l.r. 17/2005.

[13] In argomento si veda per tutti Le riforme amministrative alla prova dei fatti: lo sportello unico per le attività produttive, a cura di G. Gardini e G. Piperata, Torino, Giappichelli, 2002.

[14] In tal senso si può notare che la disciplina di attuazione dettata dalla regione Toscana ribadisce ex professo la riconducibilità dell'autorizzazione in esame entro l'ambito del procedimento unificato presso lo Suap (cfr. art. 7 d.p.g.r. n. 42-R/ 2005).

[15] Cfr. ex multis Corte cost., 31 maggio 2001, n. 170, consultabile sul sito www.cortecostituzionale.it.

[16] In Toscana, l'autorizzazione non è necessaria per le sale con una capienza fino a trecento posti (art. 3, comma 1, d.p.g.r. n. 42-R/ 2005); in Piemonte, si prefigura la semplificazione delle procedure per le sale con capienza fino a cento posti (art. 4, comma 2, lett. f), l.r. 17/2005).

[17] Si veda l'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137.

[18] Cui si riferisce il comma 2, lett. c), del citato art. 10 l. 137/2002.

[19] In aggiunta ai documenti citati nella nota 4, si vedano: la segnalazione n. 16 del 17 febbraio 2000, in Bollettino Agcm, n. 6/2000; la segnalazione n. 20 dell'11 dicembre 2003, in Bollettino Agcm, n. 50/2003.

[20] In argomento si veda S. Foà, W. Santagata, Eccezione culturale e diversità culturale. Il potere culturale delle organizzazioni centralizzate e decentralizzate, in Aedon, n. 2/2004.

[21] Che riprende il contenuto dell'art. 55-bis l. 1213/1965.

[22] Come rileva G. Endrici, nel suo contributo in questo stesso numero di Aedon.

[23] Per non dire che sul settore cinematografico così come su quello televisivo grava l'ombra del "conflitto di interessi" tra l'esecutivo attualmente in carica e un noto gruppo imprenditoriale.

[24] Criteri analoghi sono alla base della disciplina sul commercio, e segnatamente del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114. Infatti gli "esercizi di vicinato" sono sottoposti a semplice dichiarazione di inizio attività, mentre l'autorizzazione è richiesta soltanto per le "medie strutture di vendita" e per le "grandi strutture di vendita". Inoltre i criteri per la programmazione della rete distributiva commerciale si incentrano non sulla conservazione dello status quo ma sulla gestione dell'impatto degli insediamenti per quanto riguarda ambiente, traffico, centri storici, zone montane.

[25] Impregiudicata naturalmente la necessità di munirsi dei titoli abilitativi previsti dalle normative settoriali poste a presidio di ulteriori e distinti interessi pubblici (in materia edilizia, igienico-sanitaria, antincendio, ecc.).

 



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