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Il cinema come bene da tutelare

di Vittorio Boarini

Sommario: 1. Il cinema: un fenomeno da baraccone divenuto patrimonio dell'umanità (o quasi). - 2. Il cinema diviene la settima arte e subisce la prima massiccia distruzione. - 3. Nascita dei cineclub e prime forme di tutela dei film. - 4. Il cinema parla. Seconda massiccia distruzione e nascita degli istituti di cultura cinematografica. - 5. Guerra e dopoguerra. Istituzione del deposito legale e terza massiccia distruzione. - 6. Il colore, la rivisitazione delle avanguardie e la svolta degli anni '70-'80. - 7. Il cinema diviene patrimonio dell'umanità, ma con riserva.

1. Il cinema: un fenomeno da baraccone divenuto patrimonio dell'umanità (o quasi)

L'assemblea generale dell'Unesco, riunitasi nel 1980 a Belgrado, stabilì che il cinema è un bene culturale, ma ritenendo che non fosse adeguatamente tutelato e corresse ancora il rischio di andare sistematicamente distrutto, raccomandò agli stati membri di adottare misure atte alla sua preservazione, cioè atte a salvaguardarlo più efficacemente rispetto alla semplice "conservazione". Vedremo in seguito la distinzione fra i due termini, ora cerchiamo di definire che cosa intendeva l'Unesco per cinema e in che modo sia lecito equipararlo alla letteratura, alle arti figurative, alla musica e, più in generale, ai vari campi della cultura e dell'arte.

Tale equiparazione è senz'altro possibile se per cinema intendiamo le opere, i film nel senso più generale del termine (fictions, documentari, corti e lungometraggi), prodotte dalla nascita della settima arte ad oggi, nonché quelle che verranno prodotte da oggi in avanti. Posta così la questione è facile stabilire che, analogamente ai quadri, alle statue, ai monumenti, alle opere teatrali e musicali realizzate nel corso dello sviluppo della civiltà umana, i film costituiscono un patrimonio che, per usare l'espressione dell'Unesco, appartiene all'umanità. E' appena il caso di rilevare l'assoluta infondatezza dell'obiezione che molti film sono dei semplici prodotti commerciali senza alcun valore artistico e tesi ad intrattenere il pubblico divertendolo (prodotti gastronomici per dirla con Brecht).

Ciò vale anche per le opere letterarie, o a qualsiasi altra disciplina artistica appartengano, senza contare che bisognerebbe stabilire quale autorità può decidere il loro valore e, soprattutto, se tale giudizio può essere dato una volta per tutte. Faccio, per esemplificare, il caso dei film italiani interpretati da Totò: la critica unanime li giudicò al loro apparire delle opere assolutamente prive di valore culturale, mentre oggi assistiamo ad una loro clamorosa rivalutazione con acclamate retrospettive al Moma di New York.

Va precisato che molto prima della deliberazione dell'Unesco vi erano stati dei riconoscimenti, in base ai quali il cinema poteva considerarsi parte del patrimonio culturale, dagli stati e dalle pubbliche istituzioni, ma ciò era avvenuto episodicamente e, comunque, in forma non sistematica, quindi, parziale. Il cinema continuava ad essere esposto alle ingiurie del tempo e all'incuria della società, cioè a quegli agenti patogeni che, potenziati dalle cosiddette leggi del mercato, hanno fatto sì che, di tutto il cinema del periodo muto, cioè di tutti i film prodotti fra il 1895 e il 1930, per fare l'esempio più eclatante, ne siano giunti fino a noi soltanto il 20%, mentre dell'intero patrimonio filmico mondiale si calcola che, al momento della presa di posizione dell'Unesco, ne restasse non più del 50%.

2. Il cinema diviene la settima arte e subisce la prima massiccia distruzione

Per una migliore comprensione dei termini esatti in cui si pone il problema del cinema in riferimento al suo status di bene culturale, è necessario considerare sinteticamente la vicenda storica attraverso cui la settima arte, nata come meraviglia tecnica e fruita a lungo come fenomeno da baraccone, diviene un linguaggio culturalmente autonomo, capace di dar vita ad autentiche ed originalissime opere d'arte.

Pur ricordando doverosamente i precedenti storici, come il capolavoro di D.W. Griffith Nascita di una nazione (1915) e la cosiddetta avanguardia comica (Chaplin e Keaton, per citare solo due massimi esponenti), nonché i tentativi di cinema futurista ed espressionista degli anni dieci, dei quali peraltro restano solo pochi reperti, dobbiamo constatare che tale grandiosa trasformazione avviene pressoché interamente nel corso degli anni venti, in quel decennio dei capolavori che vede l'affermarsi della scuola sovietica, del cinema espressionista tedesco - nelle due forme del "caligarismo" e della "nuova oggettività" -, dell'avantgarde francese, nella quale si iscrivono sia il cinema dadaista sia quello surrealista.

E' in questo decennio che avviene la seconda nascita del cinema, nel senso che l'invenzione dei Lumière si affranca definitivamente dalla condizione di spettacolo destinato unicamente a un pubblico popolare e dalla subalternità alle altre arti (in particolare al teatro, alla letteratura e alle arti figurative), per divenire realmente la settima arte, come l'italiano radicato a Parigi R. Canudo aveva auspicato fin dal 1911.

Per dare un'idea della straordinaria trasformazione che il cinema subisce in questi dieci anni è sufficiente accennare ad alcune delle grandi opere che vedono la luce a partire dal 1920, anno in cui esce Il gabinetto del dottor Caligari, di R. Wiene. E ancora: La corazzata Pot‘mkin, di S. M. Ejzenstejn, (1925), La madre, di V. Pudovkin, (1926), Metropolis, di F. Lang, (1926), seguito da Napoléon, di A. Gance, (1926), Faust (1926) e Aurora (1927), di F.W. Murnau, Lulù, di G.W. Pabst, (1928), La passione di Giovanna d'Arco, di C.T. Dreyer, (1928), L'uomo con la macchina da presa, di D. Vertov, (1929); Un chien andalou (1929) e L'åge d'or (1930), di L. Buñuel e S. Dalì; Luci della città, di C. Chaplin, (1930).

Paradossalmente, questa eccezionale fioritura culturale e artistica del cinema coincide con quella che R. Borde definisce la prima massiccia distruzione di film verificatasi nella storia delle immagini in movimento. In questa occasione si manifesta tutta la forza distruttiva di quelle che, spesso con reverenza, vengono definite le leggi del mercato.

Alla fine della "grande guerra", lo spettacolo cinematografico, che fino ad allora aveva le più diverse durate, si stabilizza attorno all'ora e un quarto - ora e mezza. I film, che spesso venivano inseriti in spettacoli d'arte varia, hanno ormai trovato proprie sedi specifiche dove si proiettano opere di durata standard, trascurando tutte quelle pellicole prodotte fino a quel momento della durata compresa fra i pochi minuti e alcune ore. La produzione si orienta in questo senso e le sale richiedono solo film della durata divenuta canonica.

Tutti i film prodotti fino ad allora perdono valore sul mercato e restano fermi nei magazzini della distribuzione, costituendo non solo un ingombro, ma anche un costo e un pericolo. Infatti, il supporto di celluloide era allora costituito da nitrato di cellulosa, ottimo per fissarvi sopra l'emulsione fotografica, ma altamente infiammabile, soggetto a una sorta di accensione-scoppio essendo composto chimico affine alla nitroglicerina: niente di più logico che distruggere questa merce invendibile; si procedette, quindi, a mandare al macero enormi quantità di pellicole per recuperare almeno l'argento metallico contenuto nell'emulsione e riciclarlo nella produzione di altre pellicole.

3. Nascita dei cineclub e prime forme di tutela dei film

Dobbiamo aggiungere che, sempre all'inizio di questo favoloso decennio, si manifesta altresì concretamente la consapevolezza che il cinema è un fenomeno culturalmente rilevante (circostanza che, a livello teorico già era più volte affiorata presso gli ambienti intellettuali d'avanguardia), e si adottano le prime misure che in qualche modo ne favoriscono la conservazione.

Nel 1921, a Parigi, nasce il primo cineclub ad opera di quel Canudo, che abbiamo precedentemente ricordato e che con coerenza lo chiama Club des Amis de la Septième Art. A questo se ne aggiungerà, due anni dopo, un secondo, fondato da L. Delluc, il primo vero e proprio giornalista cinematografico, teorico del cinema e regista (sette film nella sua breve vita). La comparsa dei cineclub che, alla fine degli anni venti, saranno già una rete in tutta la Francia, con presenze altamente significative in vari altri paesi europei (l'Inghilterra con le Film Societies; il Belgio; l'Olanda, dove J. Ivens nel 1927 aveva fondato la Filmliga; la Germania con gli attivissimi Filmfreunde), segna un momento molto importante per l'affermarsi della consapevolezza che i film sono degni di tutela.

L'idea di riproporre agli amatori (o di proporre, nel caso di film che non trovavano uscita nei normali locali cinematografici), le opere ritenute particolarmente valide sotto il profilo culturale al fine di consentirne la visione a coloro che non avevano potuto vederle altrimenti, o di permetterne una "rilettura", come è normale con un libro o con un quadro conservato in un museo, esprime, infatti, un atteggiamento nei confronti del cinema molto significativo, fino a spingere i responsabili dei cineclub ad anticipare in qualche modo le cineteche costituendo delle raccolte di pellicole, che venivano così sottratte alla distruzione (è sostanzialmente da questa pratica che avrà origine la mitica Cinémathèque française, 1936).

In realtà, raccolte di film esistevano fin dagli anni dieci presso alcune biblioteche americane, che organizzavano proiezioni di documentari educativi, ma non solo. Va anche detto che almeno due cineteche pubbliche erano state istituite, in Inghilterra e in Francia, subito dopo la prima guerra mondiale. Si trattava dell'Imperial war museum, organizzato dall'esercito britannico per conservare i propri documentari girati in zone di guerra, e del suo equivalente francese, che conservava nel Fort d'Ivry, presso Parigi, ben ottocento documentari girati fra il 1914 e il 1918 al fronte. Ambedue, che esistono ancora, sono evidentemente casi particolari, con finalità che solo in seguito possono essere ricondotte alla conservazione del patrimonio cinematografico.

Tornando ai cineclub, dobbiamo notare che si tratta di organismi privati, sostenuti da intellettuali e amatori della nuovissima arte, che testimoniano l'affermarsi di una consapevolezza, ancora largamente estranea alle istituzioni pubbliche, le quali, considerando il cinema un fenomeno meramente commerciale, lo lasciavano totalmente alla mercé del laissez faire, fatto salvo l'intervento censorio preventivo (in Italia, ad esempio, la censura amministrativa sul cinema entra in funzione nel 1913 ed esiste ancora) e a volte anche repressivo. Al liberismo generalizzato fa eccezione l'Urss, dove le cinematografia era stata totalmente nazionalizzata da Lenin fin dal 1921, e dove lo Stato gestiva ogni aspetto della produzione e distribuzione dei film (con successo fin verso il 1927, quando si afferma il potere staliniano).

4. Il cinema parla. Seconda massiccia distruzione e nascita degli istituti di cultura cinematografica

Prima che il decennio dei capolavori abbia termine, quasi a voler concludere quell'epoca straordinaria con uno spettacolo pirotecnico, si verifica un evento destinato ad avere un impatto dirompente sulla storia del cinema. Nel 1928 Hollywood produce il primo film sonoro, Il cantante jazz, di A. Crosland, film modesto che non sarebbe neppure ricordato nella storia del cinema se non fosse stato l'alfiere di una grande rivoluzione tecnica, ricca di nuove possibilità espressive per un'arte che durante la sua breve vita ha sempre teso tecnicamente a riprodurre senza scarti la realtà, anzi a sostituirla.

A partire dal 1930 - la tecnica del sonoro ha dovuto essere perfezionata per la produzione su larga scala - il cinema parla: una sorta di ritorno alle origini dal punto di vista della meraviglia tecnica volta a stupire lo spettatore e, insieme, un impulso verso il futuro per un artificio che ora è in grado di riprodurre, oltre al movimento della realtà, anche il suo complemento acustico. Ma ecco il rovescio della medaglia: analogamente a quanto era accaduto all'inizio degli anni venti, le pellicole mute vengono soppiantate da quelle sonore e non hanno più spazio sul mercato, restando confinate nella fascia marginale dei cineclub, i quali si rafforzano ulteriormente. Assistiamo alla seconda distruzione massiccia - è sempre R. Borde che parla - dei prodotti cinematografici resi obsoleti dalla nuova invenzione, i quali, non più richiesti dal grande pubblico, sono ancora una volta destinati al macero.

Se l'inizio degli anni trenta (cosiddetto periodo del cinema classico fino agli anni cinquanta) è segnato da una nuova ecatombe di film, è anche il momento in cui la consapevolezza del rilievo culturale e artistico della settima arte mette capo ad una conquista decisiva per la sorte del patrimonio filmico: la nascita delle cineteche, cioè degli istituti dedicati alla conservazione delle pellicole, che a partire dal 1933, quando a Stoccolma viene istituita la Cineteca svedese, si manifesterà in alcune delle principali città situate al di qua e al di là dell'Atlantico.

Il fenomeno acquista subito una grande rilevanza e spinge i nuovi istituti a raccordarsi fra loro, tanto che, nel 1937, si giunge alla costituzione della Fiaf (Federazione internazionale degli archivi del film) ad opera dei quattro archivi di maggior rilevanza ed esattamente quello di Parigi (al quale già abbiamo accennato), quello di New York, di Londra e Berlino. Quest'ultimo - il nazismo è al potere in Germania dal 1933 - rigorosamente controllato dallo Stato, come del resto tutta la cinematografia, analogamente a quanto accadeva nell'Urss di Stalin e, sia pure in forme non così stataliste, nell'Italia fascista (Mussolini era al potere dal 1922), dove il regime, negli anni trenta, teneva ben saldo il controllo di tutta la produzione filmica.

A proposito dell'Italia, dove a Milano, nel 1935, era sorta una cineteca privata, che diverrà la Cineteca italiana, tuttora operante come Fondazione, e nello stesso anno si era dato vita, come vedremo, alla Cineteca di Stato, vanno segnalati altri fatti memorabili al fine del nostro assunto. Intanto va detto che nel nostro paese, dove il fenomeno dei cineclub aveva avuto negli anni venti scarsa rilevanza, era stata fondata fin dal 1924 l'Unione cinematografica educativa meglio conosciuta come Istituto Luce, la quale aveva iniziato a raccogliere film, soprattutto documentari, che ancora oggi costituiscono una preziosa collezione. Negli anni trenta, poi, quando il regime pensa di sfruttare a fondo la possibilità del cinema a fini di dominio, i cineclub spuntano numerosi nelle Università sotto il nome di Cineguf (Guf era l'acronimo di Gioventù universitaria fascista).

Ancora più rilevante è la nascita, su sollecitazione del Conte Volpi di Misurata, della Mostra internazionale d'arte cinematografica - il titolo è assai significativo - sezione della Biennale di Venezia che ogni anno dal 1932 tiene al Lido un vero e proprio festival, il primo nel mondo (gli Oscar, istituiti nel 1928, non sono un festival), il quale, fin dalla sua seconda edizione, ospiterà una grande retrospettiva a significare che il cinema comprende anche il suo passato, cioè la sua storia.

La costituzione del Centro sperimentale di cinematografia, cioè di una vera e propria scuola di cinema, di carattere statale come quella di Mosca, è un fatto di grande momento, tanto più che comprende anche l'allestimento, sempre nel 1935, della Cineteca nazionale, quale strumento indispensabile della scuola, della quale è una articolazione. Il processo di strutturazione del cinema italiano culmina nel 1937 con la fondazione di Cinecittà, una sorta di Hollywood sul Tevere, che ancora oggi costituisce uno dei migliori complessi produttivi nel quadro della cinematografia europea.

5. Guerra e dopoguerra. Istituzione del deposito legale e terza massiccia distruzione

Si giunge così alla vigilia della seconda guerra mondiale, di quella tragedia che investirà tutta l'Europa assieme a tanti paesi extraeuropei, con inenarrabili lutti e distruzioni. Il cinema ha conosciuto un grande sviluppo sia in Europa, dove i fascismi e lo stalinismo ne hanno colto l'importanza di strumento formativo dell'opinione pubblica, in particolare per quanto riguarda i cinegiornali e il cinema documentario, sia negli Stati Uniti, dove il New Deal rooseveltiano usa ampiamente il cinema per far conoscere la propria attività tesa al progresso sociale.

Bisogna aggiungere che i fascismi e poi il dilagare della guerra accelerano enormemente l'emigrazione degli intellettuali verso gli Stati Uniti, soprattutto dei protagonisti delle avanguardie, fenomeno che, almeno per quanto riguarda il cinema, era già in atto fin dagli anni venti. Le conseguenze di ciò sono molto rilevanti e spiegano appieno i loro effetti nel dopoguerra, quando la forza dirompente che sempre aveva caratterizzato le avanguardie europee dà straordinari frutti in America.

Il dopoguerra vedrà il dominio in Europa occidentale, ovviamente, dei film americani e in particolare in Italia, la quale ha l'obbligo, per una clausola che gli Stati Uniti hanno voluto inserire nel trattato di pace, di importare un cospicuo numero di pellicole hollywoodiane ogni anno. In questo periodo si attuano anche alcuni provvedimenti legislativi volti specificamente alla tutela dei film, come l'istituzione, nel nostro paese nel 1949, del deposito legale, cioè dell'obbligo di depositare una copia di ogni film prodotto in Italia presso la Cineteca nazionale (in seguito anche dei film in coproduzione), analogamente a quanto avviene per tutti i libri editi in Italia, dei quali debbono essere depositate due copie presso la Biblioteca nazionale.

Si tratta di un'analogia interessante, ma fra le due forme di deposito esistono differenze profonde, come vedremo in seguito, a cominciare dal fatto che i film da depositare sono solo quelli italiani o coprodotti dall'Italia con altri paesi, mentre i libri sono tutti quelli stampati in Italia, compresi quelli stranieri tradotti. Sarebbe logico che anche i film stranieri, doppiati o sottotitolati in italiano, fossero depositati, ma ciò non è possibile anche per la inflessibile resistenza dei produttori. Intanto il cinema italiano ha toccato la sua punta più alta con il "neorealismo", acquisendo una fama internazionale e influenzando altre cinematografie, mentre nel nostro paese è oggetto di dispute politico-ideologiche.

L'arte cinematografica si è ormai affermata come tale, ma la sua protezione da parte delle pubbliche autorità è ancora estremamente debole e la distruzione dei film continua nel modo che potremmo definire fisiologico. Prima di affrontare questo importantissimo argomento, dobbiamo fare i conti, sempre seguendo R. Borde, con la terza massiccia distruzione di film che si verifica verso la metà degli anni cinquanta. Abbiamo accennato all'alta infiammabilità del supporto nitrato che si continua ad utilizzare per i film. Ciò aveva dato luogo a spaventosi incendi sia di stabilimenti di sviluppo e stampa (in uno di questi, a Berlino, era andato perduto il negativo originale della Passione di Giovanna d'Arco) sia di depositi di pellicole, che avevano distrutto interi palazzi, spesso con perdite umane.

Le pubbliche autorità decidono di porre fine a queste tragedie vietando l'uso della pellicola infiammabile e, a partire dalla metà degli anni cinquanta, in pressoché tutti i paesi si adotta per legge un supporto filmico costituito da acetato, comunemente denominato supporto di sicurezza (safety). Già sappiamo che fine faranno tutte le pellicole infiammabili, quantomeno la maggior parte, che non si è ritenuto economicamente conveniente riversare su supporto di sicurezza e che per essere conservate si sarebbero dovute ricoverare in depositi speciali, previsti dalla legge, da costruirsi appositamente e molto costosi.

E' l'ultima grande catastrofe per il cinema mondiale, sia pure attenuata dal fatto che l'esistenza di istituti per la conservazione dei film, assieme all'interesse dei produttori a non perdere le opere più prestigiose e più commerciali del loro repertorio, hanno consentito di salvare almeno i capolavori, ma non solo, trasferendoli sul supporto prescritto dalla legge. Va comunque notato che in quegli anni non si erano ancora sperimentate le tecniche oggi utilizzate per il restauro dei film e, quindi, i riversamenti vennero spesso effettuati senza la cura necessaria a salvaguardare la qualità fotografica dell'originale, apportando così alle opere danni in molti casi irreversibili.

6. Il colore, la rivisitazione delle avanguardie e la svolta degli anni '70-'80

Si deve aggiungere che, sempre negli anni cinquanta, comincia ad affermarsi in modo rilevante l'uso delle pellicole a colori, tanto che a partire dal decennio successivo il colore si affermerà definitivamente chiudendo il mercato al bianco e nero, ma senza dar luogo ad un'ulteriore distruzione o, almeno, non di grave entità. Il tema del colore offre l'opportunità di alcune messe a punto assai pertinenti per le problematiche relative alla conservazione. I film erano stati a colori, almeno una gran parte di essi, fin dalla nascita del cinema, così come erano sempre stati sonori, anche se nell'uno e nell'altro caso si erano utilizzate tecniche assai diverse dalle attuali.

Per quanto riguarda l'accompagnamento musicale, i film muti venivano accompagnati dal vivo da un'orchestra o, quantomeno, da un pianoforte, con la partecipazione di un rumorista e, spesso, di un dicitore che leggeva i cartelli e commentava l'azione. Per il colore, invece, si procedeva con varie e, a volte, sofisticate tecniche a colorare le copie positive, mentre il negativo era sempre in bianco e nero. Ciò non è indifferente, per esempio, ai fini di un restauro: per restaurare un film muto colorato è indispensabile, infatti, disporre di almeno una copia positiva, altrimenti non possiamo sapere come gli spettatori del tempo hanno visto quel film, fatto estremamente importante perché allora il colore era usato in maniera espressiva e non, come generalmente oggi, mimetica.

Inoltre, tentativi di usare un negativo colore erano già stati fatti negli anni venti e, negli anni trenta, erano approdati a risultati straordinari, sia pure ancora sperimentali, come il famoso Becky Sharp, girato da R. Mamoulian nel 1935, o l'altrettanto famoso Il mago di Oz, dovuto a V. Fleming e uscito nel 1939. Solo negli anni cinquanta si afferma il sistema Technicolor, che ha il grande vantaggio di dare piena stabilità ai colori, però è assai costoso. Successivamente, per ragioni economiche appunto, il technicolor verrà sostituito dall'eastmancolor che, si scoprirà negli anni ottanta, non garantisce la permanenza del colore e perciò le pellicole, dopo una decina d'anni, cominciano a presentare gravi alterazioni. E anche questo è un gravissimo problema per il restauro di tali film.

Nel corso degli anni sessanta, un decennio in cui si afferma la cinefilia di massa, mentre irrompono le neoavanguardie cinematografiche in Europa (Nouvelle vague e Free cinema) e in America (il cinema underground, forse la più radicale rivisitazione delle avanguardie storiche), cresce la consapevolezza che il cinema appartiene al patrimonio dell'umanità.

Le cineteche si espandono e si potenziano (anche se ancora non si afferma la necessità di applicare al cinema il restauro, come agli altri beni culturali); gli elitari cineclub lasciano il campo ai cinestudio, più adeguati a soddisfare la voglia di vedere di un numero sempre crescente di spettatori consapevoli; la Cinémathèque française, con la sua sala in cui proietta film di ogni genere e di ogni epoca tutti i giorni dalle due del pomeriggio alle due del mattino, diviene un modello a cui guardano migliaia di amanti della settima arte.

Dopo l'esplosione eversiva del sessantotto, con la sua critica radicale alle istituzioni, si assiste ad una profonda trasformazione degli archivi cinematografici che, durante gli anni settanta e ottanta, si moltiplicano e cominciano a svolgere funzioni atte a preservare i film, superando l'attività tradizionale di pura conservazione per dedicarsi al restauro conservativo e, successivamente, al restauro nel senso forte del termine, cioè al ripristino storico-filologico delle opere cinematografiche.

La mutata consapevolezza nei confronti del patrimonio cinematografico è dovuta anche alla crisi strutturale, con caduta verticale degli spettatori nelle sale, in cui il cinema è entrato a causa delle profonde trasformazioni sociali, dei mutamenti nei modi di vita, della motorizzazione e del turismo di massa, dell'entrata della televisione in ogni casa. L'incertezza per il futuro del cinema, di un'arte che dalla sua nascita era andata espandendosi continuamente, sia quantitativamente sia in senso qualitativo, tecnicamente e culturalmente, accentua l'interesse per il suo passato e induce al suo recupero, alla preservazione della sua storia.

Tutte le considerazioni fin qui svolte portano all'affermazione di due principi decisivi, fondamentali per la svolta, che si verifica fra gli anni settanta e ottanta, nell'opera di preservazione del cinema quale bene culturale: a) viene comunemente accettato che fra gli scopi fondamentali della conservazione dei film si iscriva di diritto quello di poterli far fruire ad un pubblico il più vasto possibile; b) si conviene che non si può garantire una vera conservazione del patrimonio filmico senza un'adeguata opera di restauro conservativo e non si può assicurare una fruizione corretta dei film senza un intervento di restauro strutturale, cioè tecnico ma anche storico-filologico.

A questo punto bisogna ribadire che le cineteche avevano svolto precedentemente un lavoro prezioso di acquisizione, catalogazione e conservazione delle copie nonché, quando riuscivano ad ottenerli, dei negativi. Compiti complessi soprattutto per quanto riguarda la conservazione dei materiali filmici, molto diversi fra loro per epoca, formato, qualità della pellicola ed altro, tanto che ciascuno di essi presenta specifiche condizioni di conservazione (temperatura, umidità, ecc.). Inoltre, spesso le copie sono fragili per la semplice usura del tempo e vanno maneggiate con estrema cura, senza contare che la pellicola infiammabile, che già pone di per sé anche problemi di sicurezza, se non viene spesso svolta tende a compattarsi in un blocco gelatinoso con un potenziale analogo a quello di una bomba al plastico. Ma tale lavoro prevedeva in forma assai ridotta l'accesso alle collezioni (possibilità di visionare in sede le pellicole da parte di studiosi e ricercatori) e solo raramente la proiezione pubblica dei film conservati, almeno fino a che non si afferma il modello offerto dalla Cinémathèque française.

Il restauro poi, era una nozione ancora assai vaga, un termine usato impropriamente per designare il riversamento di un film infiammabile su supporto di sicurezza, operazione che, fra l'altro, portava, come già abbiamo accennato, a risultati assai modesti. Ma c'è di peggio, l'uso generalizzato di mandare al macero il materiale infiammabile riversato, precludendosi così la possibilità di fare in seguito, quando le condizioni tecniche lo avrebbero consentito, un riversamento migliore.

7. Il cinema diviene patrimonio dell'umanità, ma con riserva

Con l'evolversi della situazione, accompagnata dall'espandesi della cinefilia di massa e del moltiplicarsi degli insegnamenti universitari di discipline cinematografiche, si sviluppa una tendenza ad una piena equiparazione del cinema agli altri beni culturali, tendenza che si traduce concretamente in una rinnovata presenza delle cineteche nella vita culturale. Esse si dotano, infatti, di sale di proiezione dove offrono al pubblico e i loro film e quelli che scambiano con altre cineteche o reperiscono in altri modi, facendo emergere così, finalmente, la storia del cinema, il passato della settima arte, la memoria delle immagini in movimento a lungo rimasta per i più imprigionata negli archivi. Questa emersione presuppone una complessa opera tecnica, e ciò è testimoniato dalla nascita di laboratori specializzati nel restauro delle pellicole, nonché una crescita degli studi filologici che sempre più intensamente uniscono gli sforzi degli archivisti e degli storici.

Intanto va precisato che l'utilizzo di un film, cioè di una copia positiva, da parte di un archivio, presuppone che si disponga del suo negativo o che, comunque, il negativo sia accessibile per quando si dovrà stampare una nuova copia. Le copie, infatti, si usurano proiettandole, ma anche passandole alla moviola per una visione di studio, e dopo un certo numero di passaggi debbono essere sostituite. Ecco cosa significa esattamente restauro conservativo: una serie di operazioni che consentono di utilizzare una copia senza rischiare di perderla per usura, cioè che consentono di ristamparla all'occorrenza. Nel caso di una copia unica, della quale non sia reperibile il negativo, si può trarre dalla copia stessa un controtipo negativo, operazione costosa e implicante una perdita di qualità fotografica, ma indispensabile se non si vuole tenere la copia inutilizzata.

Colgo l'occasione per anticipare un'osservazione di grande rilievo per la tesi qui sostenuta e cioè che le norme istitutive del deposito legale sono del tutto inadeguate. Depositare una copia positiva, infatti, significa praticamente costringere la Cineteca nazionale nel caso italiano (che però è identico a quello degli altri paesi), a non usarla o a farne un controtipo negativo, cosa del tutto assurda dato che il negativo del film esiste ed è nella disponibilità del produttore.

Entriamo così nel vivo del problema, cioè del fatto che oggi il cinema è considerato un bene culturale, ma non è tutelato come lo sono normalmente tali beni. Infatti i pubblici poteri non emanano norme in questo senso, si limitano a sostenere gli istituti di cultura cinematografica, le cineteche, le programmazioni di qualità, le operazioni di restauro, ma senza emanare una legislazione che tuteli la conservazione del cinema in alcuni aspetti fondamentali. Ad uno di essi già abbiamo accennato, al fatto che il deposito legale dovrebbe riguardare non una copia ma un negativo. Aggiungiamo che normalmente un film è di proprietà del suo produttore o di chi da lui lo ha acquistato. Nulla contro la proprietà privata, per carità, ma mentre per un quadro la proprietà è soggetta a una serie di restrizioni (non si può portarlo all'estero, bisogna averne cura, ecc.), un film può anche essere distrutto dall'avente diritto senza che nessuno possa legalmente intervenire.

Infine, la questione del restauro, divenuta sempre più rilevante con l'ulteriore sviluppo negli anni novanta dei laboratori specializzati legati alle cineteche e all'impiego delle nuove tecnologie, soprattutto quelle digitali che aprono nuove prospettive non solo al restauro ma al cinema in generale. Possiamo constatare, attraverso le varie manifestazioni di carattere storico-archivistico che sono andate consolidandosi in questi anni (festival come il bolognese Cinema ritrovato, ad esempio), quale decisiva importanza abbia il restauro strutturale per una corretta visione di un film, cioè per fruirlo nelle stesse condizioni in cui fu visto al suo apparire o come fu licenziato dal suo autore.

Sono molteplici le ragioni per cui i film, anche abbastanza recenti, giungono a noi modificati rispetto a una versione che non possiamo chiamare originale (una delle fondamentali differenze fra un film e un'opera d'arte come un dipinto), ma che diremo corretta da un punto di vista storico e filologico: interventi del produttore per renderla, a suo avviso, più gradita al pubblico, tagli di censura, varianti per le copie destinate all'esportazione, usura che porta alla perdita di fotogrammi e potremmo continuare a lungo.

Il restauro prevede molte operazioni complesse, come la collazione delle copie esistenti, la ricerca di eventuali negativi, l'esame di documenti quali i visti di censura o il diario di lavorazione o, ancora, le recensioni d'epoca. Ma il punto di fondo è che nessuna legge regola il restauro cinematografico. L'Istituto centrale del restauro, che fissa norme precise per gli interventi sui beni culturali, non ha competenza per il cinema, le cui opere restano affidate alla discrezione di chi ha la possibilità di restaurarle, operazione per la quale spesso è necessario l'accordo dell'avente diritto, cioè di chi dispone dei diritti commerciali sul film oggetto dell'intervento.

In questa circostanza si può misurare l'enorme divario che ancora separa un film da un altro bene, per esempio un quadro d'autore di proprietà privata. Se il proprietario del quadro vuole restaurarlo deve sottostare alle regole fissate dalla Carta del restauro, dovuta alla scienza e intelligenza di quel grande storico dell'arte che è stato Cesare Brandi. Per un film, invece, non esistendo norme, è successo e succede che dopo il restauro, del quale non si è tenuti a compilare una relazione dettagliata da rendere pubblica, i materiali di partenza vengano distrutti. Qui veramente sconfiniamo nell'inciviltà. Come giudicare la qualità di un restauro se non possiamo prendere visione dei materiali di partenza? Peggio ancora, come rimediare a un'operazione mal riuscita se non esistono più i materiali dai quali riprendere le mosse sperando in un esito più felice?

Su tali interrogativi concludo questa sorta di schematica fenomenologia del cinema, un'arte tecnica e fragile che si è profondamente trasformata attraverso la dialettica di successi e distruzioni, giungendo a divenire un bene culturale ma non ancora riconosciuto come tutti gli altri. A causa certamente della sua natura industriale e riproducibile per antonomasia, ma soprattutto per le sue caratteristiche mercantili, in base alle quali i pubblici poteri privilegiano sostanzialmente le leggi del mercato rispetto ai diritti dell'umanità sul proprio patrimonio.

 



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