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I beni culturali nella giurisprudenza costituzionale:
definizioni, poteri, disciplina

di Angelo Raffaele Pelillo


Sommario: 1. Premessa. - 2. La tutela. - 3. La valorizzazione. - 4. La gestione: musei e biblioteche.


1. Premessa

Il legislatore delegato ha finalmente mosso i primi passi nella direzione dell'atteso riassetto organico della materia dei beni culturali. Lo ha fatto sin troppo sommariamente, secondo parte della dottrina, trascurando di definire il contenuto di alcune delle principali espressioni o scivolando su talune sovrapposizioni di troppo.

Procediamo per gradi: il d.lg. 112/1998 dipana dal nucleo fondamentale, la tutela, le tre funzioni di conservazione, riconoscimento e protezione dei beni culturali: "nulla di meno ma anche nulla di più" [1]. E qualcosa in più può essere individuato con l'ausilio della giurisprudenza costituzionale.

 

2. La tutela

2.1) I vincoli

Attraverso l'art. 9 della Costituzione, il valore estetico-culturale entra a pieno titolo tra quelli primari del nostro ordinamento (sentenza n. 359/85), giustificando l'esercizio di poteri statali che incidono direttamente, ma con differente intensità, sulla sfera privata. Così si è legittimata la prelazione storico artistica, che ha permesso, ad esempio, l'acquisto nel 1988 de Il giardiniere di Vincent Van Gogh, già oggetto di trasferimento tra privati nel 1977 ma non regolarmente denunziato: affermandone la sostanza ablatoria, la Corte costituzionale ne disconosce natura espropriativa, e dunque il relativo trattamento indennitario (come ebbe a prevedere a fini edilizi con la sentenza n. 55/68), in presenza del presupposto costituito dall'iniziativa privata assunta irregolarmente, che giustifica la sopportazione del maggior danno provocato dal riacquisto del bene, da parte dello Stato, al medesimo prezzo e a notevole distanza di tempo (sentenza n. 269/95 ) [2].

Allo stesso genus della conservazione, poi, attingono tanto l'espropriazione dei beni culturali di cui all'art. 55 l. 1089/1939, quanto il vincolo "di completamento" [3] di cui all'art. 21, che può essere imposto dal ministro (...) "al fine di impedire che siano alterate le condizioni dell'ambiente che circonda le cose immobili". Ma quest'ultimo non beneficia dell'indennizzo, che è proprio del fenomeno espropriativo: distinzione difficile da comprendersi per il privato che per effetto dell'art. 21 si sia visto di fatto imporre un vincolo assoluto di inedificabilità, per di più a costo zero.

A tale proposito la Corte costituzionale, non senza qualche forzatura, ha sostenuto che la matrice comune non impedisce che il vincolo di completamento si risolva esclusivamente in una forma di regolamentazione della privata proprietà, anche nei casi di incidenza più rilevante: un minus, dunque, che non coincide con lo svuotamento del diritto assoluto provocato dall'espropriazione, ma che si collega a beni i quali pur brillando di luce riflessa contribuiscono a garantire il fondamentale obiettivo di assicurare il pubblico godimento del bene culturale (sentenza nn. 202/74 [4] e 309/84)

Considerazioni in parte analoghe si rinvengono nella sentenza n. 245/76 in ordine al vincolo dell'art. 5 l. 1089/1939, che in nome del mantenimento della destinazione unitaria vieta lo smembramento delle collezioni di oggetti di interesse artistico e storico).

2.2) In particolare, la disciplina dei centri storici

Il vincolo si affievolisce se il bene protetto prende le forme di quell'insieme composito che costituisce il centro storico cittadino.

L'interesse alla conservazione si rivolge, in questo caso, non tanto e non solo a contrastare il degrado in cui versano gli edifici di particolare pregio che lo compongono, quanto, soprattutto, ad evitare l'impoverimento e "la perdita delle caratteristiche tradizionali di tali insediamenti abitativi", per effetto dell'abbandono da parte della popolazione residente. Se poi tale fenomeno venga amplificato dall'esecuzione delle ordinanze di rilascio adottate dall'autorità giurisdizionale, al legislatore spetta il compito di conservare l'identità culturale, predisponendo misure che possano tamponare il flusso migratorio (l. 360/1991 per i centri storici di Venezia e Chioggia); alla Corte, di conseguenza, quello di trovare il difficile punto di equilibrio tra questo interesse e quello dei proprietari. Come? Stabilendo che solo la temporaneità di tale intervento evita la completa negazione del diritto fondato sull'art. 42 della Costituzione (sentenza n. 166/94).

Il problema finisce con il riproporsi ove si consideri che, particolarmente per i centri storici, le misure di tutela possono essere indirizzate non solo su beni "oggettivamente" di interesse artistico e storico, ma anche su quelli che assumono tale dignità perché indissolubilmente legati a fatti, costumi ed episodi di rilievo per la comunità. Il valore da proteggere diviene quello espresso da uso ed utilizzazione pregressi, tipici di luoghi di ritrovo ed esercizi di commercio sui quali l'amministrazione impone il vincolo di cui all'art. 2 l. 1089/1939 (sentenza n. 118/90) [5]. L'iniziativa non mira ad imporre la continuazione della medesima attività nello stesso luogo; né lo potrebbe, perché oggetto del vincolo, chiarisce l'organo di giustizia costituzionale, sono le "cose" o beni che costituiscono la testimonianza di usi pregressi: l'attività culturale, anche se suscettibile di sfruttamento economico, subisce pertanto limitazioni esclusivamente a causa di usi non compatibili o comunque pregiudizievoli, ferma restando l'intangibilità dei precetti costituzionali in materia di iniziativa economica e del libero esercizio di attività culturali, quali si desumono dal combinato degli artt. 2, 9 e 33 della Costituzione (in una risalente pronunzia, peraltro, la Corte ha ammesso incidentalmente la legittimità di una eventuale preclusione alla iniziativa privata in ordine alla ricerca archeologica, altrimenti soggetta a concessione-autorizzazione: sentenza n. 54/64).

2.3. La circolazione

Il contenzioso che ha riguardato l'esercizio del controllo preventivo-autorizzatorio su esportazione o prestito temporanei dei beni, è risultato fortemente condizionato dalla debolezza delle scelte effettuate dal legislatore, che ha ritenuto (come sarà in avanti più ampiamente chiarito) di poter delimitare gli ambiti di competenza di Stato e regioni attraverso il criterio del livello di interesse, rispettivamente nazionale o locale, suscitato dal singolo bene.

Su tale premessa alla Corte costituzionale non restava che annullare in parte il decreto del ministro del Commercio per l'estero, che aveva attribuito agli uffici istituiti presso alcune soprintendenze la titolarità del rilascio di nulla osta e licenze per l'esportazione di tutti i beni, senza distinzione alcuna per quelli di livello regionale (sentenza n. 278/91).

Restava però irrisolto il dubbio circa la titolarità del potere di valutazione dell'interesse coinvolto. Né peraltro nella giustizia costituzionale è dato ricavare un univoco criterio di giudizio, se si eccettua il "collegamento con gli organi dello Stato competenti nella medesima materia", ai quali riservare, previa comunicazione, l'individuazione del livello d'interesse (sentenza n. 339/94).

2.4. Il restauro

È intervento che incide sulla fisica consistenza del bene protetto, mantenendolo o modificandolo, e così differenziandosi da tutte le altre misure, tipiche della manutenzione, dirette alla difesa delle condizioni, per lo più esterne, di conservazione (sentenza n. 277/93).

Le istituzioni che intendano promuoverlo su beni custoditi presso musei locali abbisognano di autorizzazione, che viene rilasciata dalla soprintendenza (...) sempre che non sorga contestazione sulla paternità dell'iniziativa: recente è il diniego dell'autorizzazione al restauro di un dipinto appartenente alla Pinacoteca di Spoleto, perché richiesta dalla regione e non dal comune ritenuto competente (sentenza n.136/96: cessazione della materia del contendere per sopravvenuta revoca del diniego di autorizzazione).

Ma attraverso il restauro, riconosce la Corte, concorrenti interessi potrebbero confrontarsi sulla medesima categoria di beni: in relazione ad edifici di interesse artistico e storico, vincolati ai sensi della l. 1089/39, la misura può essere sia imposta dal ministro per i Beni culturali al proprietario dell'immobile (salvo intervento diretto sostitutivo), sia promossa dalla regione nell'espletamento delle attività di recupero del patrimonio edilizio in via di degrado, quali tipiche espressioni della disciplina urbanistica di competenza riservata. Qualora la teorica sovrapposizione dovesse concretamente realizzarsi, il rischio del sovraffollamento degli interventi su uno stesso bene dovrà essere scongiurato facendo ricorso al sempreverde principio della leale collaborazione (sentenza n. 70/95) [6].

 

3. La valorizzazione

Nel sostanziale silenzio dell'art. 117 della Costituzione, che racchiude nei musei e biblioteche di interesse locale la potestà legislativa regionale, è nell'art. 9 Cost. che vanno ricercati i presupposti per l'esercizio decentrato dei poteri in materia di beni culturali. Esercizio invero fortemente osteggiato, che ha trovato ingresso nella Carta costituzionale all'ultimo istante, per effetto della sostituzione del termine "Stato" con quello di "Repubblica". Il giudice delle leggi ancora pochi anni fa (sentenza n. 921/88), evidenziando le numerose lacune della gran parte degli Statuti, lamentava la scarsa sensibilità delle regioni nel cogliere la dimensione di tale coinvolgimento. Critica in parte ingenerosa, se si osserva che solo con il d.p.r. 805/1975 (artt. 1/2) si è data forma all'apertura tracciata nella Costituzione, prefigurando l'intervento regionale quale collaborazione "nell'attività di tutela attraverso forme da stabilirsi di comune accordo", e quale concorso "nella valorizzazione, secondo programmi concordati". Il legislatore attuale sviluppa il concetto del concorso, affidando a Stato, regione ed enti locali la cura della valorizzazione attraverso l'attuazione degli interventi definiti in comune nella istituenda sede della Commissione per i beni e le attività culturali di cui agli artt. 154 e 155 del d.lg. 112/1998. E non solo, perché aggiunge al fine convenzionale di garanzia della fruizione collettiva del bene (anche attraverso attività conoscitiva), quello del "miglioramento delle condizioni di conservazione fisica del bene", unitamente a "sicurezza, integrità e valore", criterio che tuttavia a molti è apparso intruso [7].

Ora, è fuor di dubbio che nel decreto si parli di conservazione sia nel generale contesto della tutela riservata allo Stato, che nell'ambito della valorizzazione. Ma non è detto che l'identità lessicale configuri necessariamente una indebita sovrapposizione: almeno in questo campo la Corte costituzionale sembra aver giustificato una qualche elasticità delle definizioni normative, non solo sostenendo che taluni interventi di conservazione possano essere assunti nell'ambito proprio della manutenzione (sentenza n. 277/93 già citata), ma riconoscendo che nella stessa valorizzazione possano trovare spazio attività significative quali quelle destinate al "recupero", che per consistenza ed ampiezza sembrano assimilabili al nucleo della conservazione (sentenza n. 64/87) [8].

 

4. La gestione: musei e biblioteche

L'esercizio delle funzioni connesse alla gestione riservata di musei e biblioteche ha generato il più aspro conflitto tra Stato e regioni: così allorquando una legge dello Stato ha disposto finanziamenti per il miglioramento delle strutture e delle condizioni di sicurezza per i beni culturali (sentenza n. 264/91); nello stesso modo in occasione dell'emanazione del regolamento autorizzato che ha definito indirizzi e criteri per la gestione dei servizi aggiuntivi di musei e biblioteche (sentenza 462/94); ancora una volta, in relazione al restauro di un bene custodito presso un museo locale (sentenza n. 277/93). La Corte costituzionale, ricorrendo anche a toni energici, ha risposto a tutte queste istanze ricordando che anche per le materie delegate il limite invalicabile che segna il passaggio della titolarità è quello costituito dal livello di interesse, locale o nazionale, dell'istituzione culturale ovvero del bene in essa custodito.

Ma ammettere che nella composita e ricchissima realtà del nostro paese beni di particolare pregio possano essere ospitati presso strutture di rilievo locale, ovvero essere collocati negli angoli più remoti, significa denunziare l'assoluta evanescenza del criterio dell'interesse. Il bene culturale è per definizione collegato al territorio in cui si trova; ne è in qualche modo l'espressione, e quindi è di interesse locale. Nello stesso tempo trasmette valori che non hanno certo bisogno di passaporto e che si rivolgono all'intera comunità, ben oltre i confini regionali e nazionali (e quindi è di rilievo addirittura sovranazionale).

Di questa riflessione, pur ovvia, non c'è traccia nelle pagine scritte dal giudice costituzionale. Il quale, piuttosto, è stato costretto a rincorrere affannosamente il principio della leale collaborazione al fine di dare luce alle molte zone d'ombra provocate dalla latitanza del legislatore, che non ha mai provveduto a definire minutamente le competenze regionali, malgrado vi fosse tenuto dall'art. 48 del dpr 616/1977.

Oggi bussa alla porta il trasferimento della tanto contesa funzione, attraverso l'art. 150 d.lg. 112/1998 cesserà la querelle? Verosimilmente sì, se la Commissione paritetica seguirà concretamente la strada della cooperazione. Ma potrebbe accadere che le istituzioni museali siano ripartite tra lo Stato e le regioni riesumando il criterio dell'interesse [9], che probabilmente la Corte Costituzionale non avrebbe difficoltà a legittimare di nuovo.



Note

[1] M. Ainis, Il decentramento possibile, in Aedon, 1/1998.

[2] Annotata da M.A. Scino, La prelazione artistica al vaglio della Corte Costituzionale, in Giur. Cost., 1995, 1930.

[3] A. Mansi, La tutela dei beni culturali, Padova, 1998, 99.

[4] Annotata da G. Rolla, In tema di vincoli su beni di interesse artistico e storico, in Giur. Cost., 1974, 2130.

[5] Annotata da F. Rigano, Tutela dei valori culturali e vincoli di destinazione d'uso dei beni materiali, in Giur. Cost., 1990, 665.

[6] Annotata da E. C. in Giur. Cost., 1995, p. 676.

[7] G. Sciullo, Beni culturali e principi della delega, e M. Cammelli, Il decentramento difficile, in Aedon, 1/1998.

[8] Si riconosce tuttavia che in tal caso possono verificarsi interferenze con l'esercizio delle competenze regionali in materia urbanistico-edilizia, affidando la soluzione al principio della leale collaborazione.

[9] M. Cammelli, Il decentramento difficile, in Aedon, 1/1998.


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